Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Bagno di sangue


Attenzione: questo capitolo presenta spoiler sul finale de "Le cronache dell'Assassino - Sfavillo"


❃ ❃ ❃ ❃ ❃ 


 

Dieci giorni.

Il disastro accadde in dieci giorni ed io non lo sapevo. Forse avrei dovuto saperlo, perché magari sarei riuscito a fermarlo. Eppure, quasi sicuramente, non sarei stato in grado di fare nulla.

I pezzi di quel diabolico piano iniziarono ad andare al loro posto all'alba del primo giorno, quando mi svegliai di soprassalto nella mia stanza, richiamato da sussurri che provenivano da qualche parte vicino a me. Sotto di me.

Sbattei le palpebre più volte, con il collo indolenzito a causa della posizione strana in cui avevo dormito e al cuscino scomodo, sbadigliai silenziosamente, mi stropicciai gli occhi ancora intorpiditi dal sonno stringendo due pugni contro di essi. Poi sgusciai con un movimento indolente delle gambe fuori dalle lenzuola, scostandole dal mio corpo che subito avvertì il freddo tipico dei mesi autunnali, che si avviano all'inverno. Le stropicciai sul materasso, mentre poggiavo le piante dei piedi a terra, dimenticandomi qualsiasi altra cosa che non fosse quel foro nel pavimento: niente ciabatte, niente vestaglia per coprirmi, nessuna voglia di aprire le tende davanti alla finestra per far entrare la luce.

Proseguii per la stanza a tentoni eppure sapendo esattamente la meta, muovendo i piedi molto piano, perché se io potevo sentire loro, forse loro potevano sentire me. Mi inginocchiai, la pelle nuda a terra, le scanalature nelle tegole di legno che premevano contro la mia carne e lasciavano leggerissimi segni che una volta in piedi sarebbero andati via. Poggiai anche i palmi delle mani a terra, piegai i gomiti, il mio corpo s'inclinò verso il basso.

Tutto quanto di me era proteso verso quella stanza, come se volessi trasferirmi verso il basso, udire quelle conversazioni, che ultimamente andavano a farsi sempre più sospette. Appoggiai l'occhio contro la fessura, spinsi lo sguardo oltre di essa. E per un momento mi chiesi semplicemente come poteva manifestarsi una tale coincidenza: come poteva, la mia stanza, trovarsi proprio sopra all'ufficio del Re degli Assassini? Come poteva esserci un buco nella tegola che mi permetteva di spiare quando volevo?

Per un momento, il dubbio si insinuò nella testa come un veleno che, dopo averlo bevuto, si propaga lentamente nelle vene fino ad arrivare al cuore. Ma scostai quell'idea malsana così come era arrivata, perché mi sembrava troppo assurda, troppo subdola.

Tornai a prestare attenzione a ciò che stava capitando nella stanza sotto di me: rimasi ad osservare quasi con il fiato sospeso, con gli occhi verde foglia che si fermavano su quelle figure, su quei volti, sulle loro espressioni.

Alaister, come sempre, sedeva tranquillo dietro alla sua scrivania, indossando una semplice camicia di seta bianca dalle maniche ampie, i bottoni appena aperti all'altezza del petto, i capelli nerissimi racchiusi in un codino basso da un nastro di raso azzurro. A guardarlo così sembrava un principe, ma se lo si vedeva negli occhi, quelle iridi da coccodrillo e quel giallo da pantera risultava preoccupante, angosciante. Un antagonista più che un eroe. In piedi, di fronte a lui, c'erano diversi uomini: Jayden, uno degli assassini che meno piaceva ad Helias a quanto avevo sentito dire; un tizio dalla pelle scura e butterata di cui non conoscevo il nome e un paio di altri assassini a cui non mi ero mai avvicinato. Se mi fossi spostato meglio, cambiando angolazione, avrei notato anche la presenza di Trill, sempre al suo posto davanti alla porta, sempre a fare il suo ruolo di guardia silenziosa in modo egregio.

- ... La situazione dovrebbe esservi chiara. - proseguì il Re degli Assassini nel suo discorso, intrecciando le dita e ponendole sotto al mento, con i gomiti poggiati sulla scrivania e le labbra appena increspate in un sorriso un po' ambiguo. Un po' oscuro.

Gli assassini si mossero appena sul posto, spostando il peso del corpo da una gamba all'altra, come se avvertissero quello sguardo inquietante come un ulteriore peso da cui era impossibile liberarsi.

- Quindi, è sicuro che Ciril Crow terrà a bada Yul? - disse Jayden. Il mio corpo scattò come sull'attenti, a quel nome; le fibre del mio essere vibrarono come se un fulmine mi avesse appena colpito, violentemente. Schiusi le labbra, la sorpresa dipinta in volto, il groppo stretto in gola, le mani che iniziavano a sudare, il gelo che mi attanagliava i piedi e saliva alle gambe, e poi allo stomaco, al collo, un gelo che mi affogava. Che potevo scacciare soltanto sentendo il resto del discorso e prendendo un lungo, pensante respiro, per poi trattenerlo uno, due, tre secondi.

- Certo. Ci siamo accordati nell'ultima visita che mi ha fatto. A voi toccherà... - Fece una pausa, la lingua passò sul labbro superiore, rosso e carnoso, labbra che non ricordavo di aver mai baciato, perché i baci erano una cosa troppo romantica, troppo poco perversa, per uno come Alaister. I baci erano una cosa troppo dolce, troppo pura, per lui. E sembrava cercare le parole giuste, alzando gli occhi verso l'alto, scrutando il soffitto.

Si fermò a guardarmi. Per un attimo ebbi quella inquietante impressione: che i suoi occhi soppesassero la fessura dalla quale lo spiavo da molto tempo, ormai, e che il suo sguardo s'immergesse nel mio, protetto da metri di distanza. Il mio respiro si fermò. - ... Ostacolare Helias. - Ed ecco che tornava a guardarli, lasciandomi capire che mi ero soltanto immaginato quell'occhiata fugace, che le mie paure per un attimo mi avevano influenzato, ingannato. - In qualsiasi modo. -

I sicari al suo servizio annuirono, obbedirono, fecero quello che anche io ero costretto a fare ogni giorno dalla Cerimonia dell'Offerta. Strinsi le labbra, avvertendo quel gelo farsi ancora più freddo, come se l'aria stessa attorno a me si fosse abbassata di parecchi gradi. Iniziai a tremare, iniziai a capire. I pezzi del puzzle iniziavano ad andare al loro posto: Ciril, l'uomo che gli aveva fatto visita, che aveva parlato di un certo Pevensie e di Ender; gli assassini che avrebbero dovuto ostacolare Helias.

Alaister aveva orchestrato qualcosa di gigantesco e di mostruoso e non riuscii neanche a capire in cosa quel piano consistesse che già avevo la nausea, i brividi, che già temevo e cercavo di capire come fermare tutto quello.

Ma non potevo farlo. Ormai, constatai mentre gli Assassini della Gilda uscivano da quell'ufficio, era troppo tardi per agire. Potevo soltanto rimanere a guardare.



❃ ❃ ❃ ❃ ❃



Sesto giorno.

Una carrozza arrivò di corsa a Skys Hollow, superando i cancelli della Fortezza dell'Assassino mentre un fulmine squarciava il cielo completamente nero. La pioggia batteva furiosamente contro i vetri della mia finestra, quasi come se volesse percuotermi, quasi come se volesse infrangerla per bagnarmi il viso.

E le stavo di fronte, a guardare di sotto, perché avevo origliato dall'ufficio di Alaister che un carro molto importante sarebbe arrivato presto. E, finalmente, era là: i cavalli, dal manto nocciola reso ancora più scuro dall'acqua che lo imperlava, sembravano più imbizzarriti ed irritati del solito, come se andassero di fretta; il cocchiere aveva tutta l'aria di essere più uno del gruppo degli assassini, che un servitore incaricato di portarli fin lì.

Lo sportello si aprì con uno strattone rapido, la spallata di un uomo un po' troppo lontano per essere riconosciuto, guardandolo con più attenzione, avrei ipotizzato Jayden.

Durante quei giorni in cui non era successo nulla, mi sembrava come se il tempo fosse stato sospeso, come se avessi trattenuto il respiro fino al momento in cui sarebbe accaduto qualcosa. Non avevo detto una parola ad Alaister né chiesto nulla al riguardo, temendo che lui si sarebbe insospettito e avrebbe capito che l'avevo spiato per tutto il tempo. E ora, ora che finalmente quel carro era arrivato quasi sbandando davanti alle porte della Fortezza, qualcosa dentro di me, fremeva d'orrore per arrivare alla fine di quella storia.

Jayden uscì con un balzo dalla carrozza e tenne lo sportello aperto, incurante della pioggia che lo investiva e del vento che ululava, lasciando che un altro assassino emergesse dall'interno e si palesasse di fronte a me, mozzandomi il fiato.

Ma non era tanto lui ciò che mi stupì e mi riempì di terrore, ma cosa portava in braccio.

Chi.

Per la prima volta nella mia vita mi accorsi di quanto poteva essere piccolo. Minuto, soltanto un ragazzino di diciannove anni, anzi, quasi un bambino, per com'era tenuto in braccio, stretto al petto del sicario che lo trasportava, addormentato con l'aria beata e angelica di chi non ha alcuna preoccupazione al mondo.

Come sempre, era la persona più bella che avessi mai visto: i capelli dorati che scintillavano d'argento e azzurro ogni volta che un fulmine lacerava il cielo sopra di loro; le labbra carnose a forma di cuore e del colore delle fragole mature appena schiuse, talmente delicate che ci si aspettava potesse cantare o sussurrare parole dolci da un momento all'altro; il naso piccolo e leggermente all'insù, perfettamente centrato su quel viso armonioso ; e quegli occhi, adesso nascosti dalle palpebre, così belli e così innaturali da suscitare vero e proprio scalpore, da ghiacciare quando si posavano su chi aveva di fronte.

Helias. Un singulto strozzato mi sfuggì dalle labbra e battei un colpo contro il vetro, il pugno chiuso talmente forte da infilarmi le unghie nei palmi delle mani. Un pugno di frustrazione, la rabbia di chi non capisce cosa sta guardando.

Perché lui non si sarebbe mai addormentato dolcemente in presenza di altre persone, figuriamoci assassini; e di certo non si sarebbe mai lasciato prendere in braccio come una specie di principessina. Ma la cosa che mi lasciò sgradevolmente allarmato fu la fasciatura stretta intorno alla testa, a scompigliare i boccoli dorati.

Prima che la carrozza scomparisse verso le stalle della Fortezza, ne uscirono altri due uomini in silenzio, mentre la pioggia schiaffeggiava le loro guance e il vento torturava le loro mantelle. Poi iniziarono a camminare verso le grandi porte di legno dell'ingresso ed io dovetti aprire la finestra per continuare a guardarli, sporgendomi fuori.

Le frustate della poggia mista al vento mi colsero così impreparato che per un attimo mi ritrassi all'interno della camera da letto, ma poi ritornai a sporgermi all'esterno, per guardare ciò che accadeva.

Le porte si aprirono e, come l'apparizione di un angelo pronto a portare salvezza, Alaister accorse davanti agli uomini, dicendo loro qualcosa che non riuscii a capire neanche leggendolo dal movimento delle labbra. Loro erano troppo lontani, l'ululato del vento troppo rumoroso, la pioggia troppo violenta. Le gocce mi entravano negli occhi, mi sferzavano la faccia, dovevo passarmi i palmi sulla faccia per non restare completamente bagnato. Ma riuscii a guardare il resto: il Re degli Assassini prese Sfavillo fra le braccia, posò le labbra sulla sua fronte, sopra la fasciatura, in una sottospecie di bacio della buonanotte e, insieme agli altri, entrò all'interno della Fortezza.

Un bacio. Lui non aveva mai fatto così, con me, e per un momento mi chiesi il motivo dell'attaccamento ad Helias. Ma forse non l'avrei definito un semplice attaccamento, più probabilmente, una vera ossessione.

Sembrava che seguisse ogni suo passo, come l'avvoltoio che tiene d'occhio la carcassa per giorni e giorni. L'aveva salvato, l'aveva allenato e tenuto sotto la sua ala protettiva per anni, pensando che restasse fedelmente, per sempre, al suo fianco. Ma così non era stato e adesso, le cose si facevano tremendamente pericolose.

Chiusi la finestra, prendendo ad asciugarmi la faccia con i lembi della camicia da notte. Poi mi accostai alla porta e il borbottare del vento, l'urlo dei tuoni e il suono ovattato di passi si fusero insieme.

- ... nifero. - disse qualcuno nel corridoio, lontano dalla mia porta, ma abbastanza vicino perché lo udissi.

- Bene. Si sveglierà quando sarà il momento. - riconobbi la voce di Alaister, che si allontanava man mano che continuava a parlare, sino a far regnare quel silenzio pieno di rumori inquietanti che scuotevano la notte.

Indietreggiai, tornando pesantemente a sedere sul letto. Mi incurvai su me stesso, appoggiai i gomiti sulle ginocchia, infilai le dita fra i capelli bagnati, accarezzando le ciocche castane, per poi stringerle in un pugno, tirandole quasi.

Perché era così ossessionato da Helias? Sin dal momento in cui l'aveva ritrovato a Treblin, non aveva fatto altro che insistere su di lui. C'erano troppe cose che io non sapevo, troppe cose di cui io non ero a conoscenza.

Poi, all'improvviso, mi accorsi di uno sconcertante dettaglio a cui nessuno, fino ad allora, sembrava aver pensato: cosa ci faceva, Alaister Noir a Treblin? Come aveva fatto a trovarsi lì, lo stesso momento della fuga di Helias? Un tempismo un po' troppo azzeccato per sembrare casuale.



❃ ❃ ❃ ❃ ❃



Decimo giorno.

Probabilmente, fino ad oggi, la vita mi era sembrata difficile, dura, eppure una cosa scontata da portare avanti. Non mi ero mai accorto di quanto potesse essere effimera, di quanto potesse scivolare facilmente dalle mani, cadere a terra e frantumarsi in mille pezzi come un bel vaso in uno degli opulenti salotti di Sophia.

In fondo, il tempo non si fermava mai. Quando si guardava fuori dalla finestra era già pomeriggio. Quando si guardava fuori dalla finestra era già sabato. E poi era già finito il mese, già finito l'anno e in un batter d'occhio erano passati dieci anni. Ma non pensavo che quel ciclo, ad un certo punto, potesse bruscamente fermarsi, o che potesse essere troppo tardi per poter fare qualsiasi cosa.

Sebbene stessi a stretto contatto con il Re degli Assassini, la morte mi sembrava un'idea pericolosamente vicina e allo stesso tempo estremamente distante. Nessuno avrebbe mai potuto fare a me del male, ma questo non significava che gli altri fossero al sicuro. Non con Alaister Noir come nemico.

Quella mattina di quel decimo giorno, quel primo ottobre, origliai la mia ultima conversazione dall'ufficio del Re degli Assassini e restai talmente inorridito che non potevo, non volevo crederci.

- Certo, gli diremo che arriveremo all'Esecuzione alle dieci, per liberare Yul. -

Una risata gelida, fredda, divertita, ma in un modo sinistro. La risata di Alaister. - Sì, e lui capirà di dover andare prima di noi. A quel punto, se ne occuperà Ciril con i suoi soldati. -

Quando captai la parola "Esecuzione", quando intuii che Yul era stato catturato e che volevano usare la rabbia di Helias come strumento per attirarlo in qualche tipo di trappola, capii che era troppo tardi per poterlo avvisare, perché di lui non restava che una macchia nera sugli edifici bianchi di Skys Hollow. Mentre lo guardavo correre via saltellando da un tetto all'altro come un gatto randagio, compresi che c'erano poche cose da fare. Dovevo uscire dalla Fortezza senza essere visto. Dovevo rubare un cavallo. Dovevo riuscire a salirci su senza averlo sellato. Dovevo arrivare in tempo all'esecuzione in piazza e prima di Helias. E dovevo fare tutto questo in un preciso ordine.

L'aspetto positivo era che, con tutto quello che stava succedendo, a nessuno importava se l'innocuo cortigiano del Re degli Assassini se ne andava a farsi una passeggiatina. Infatti, pochi minuti dopo ero già in groppa ad uno stallone, senza preoccuparmi di aver saltato troppe lezioni perché mi ostinavo a non voler incontrare Sophia nei primi tempi della mia bizzarra carriera. No, in effetti non ricordavo come si cavalcasse, ma al mio confuso approccio il cavallo rispose con un nitrito arrabbiato e se la diede a gambe, cosa che, in fondo, era proprio ciò che volevo.

Privo di qualsiasi sella, protezione ma soprattutto di redini, mi tenni stretto al collo dell'animale come più potevo, aggrappandomi alla criniera, stringendo i denti per paura di mordermi la lingua e chiudendo appena gli occhi, costringendomi a non guardare giù. Per quanto cavalcare potesse essere abituale, nessuno si soffermava a pensare quanto potesse essere alto un cavallo. E pericoloso, se cadevi.

Ma non avevo tempo di preoccuparmi di rompermi l'osso del collo cadendo da cavallo, perché presto Yul non avrebbe avuto neanche più un collo. E neanche la testa. Un groppo mi salii alla gola e, per la paura, rischiai di vomitare la pregiata zuppa di pesce che avevo mangiato la sera prima, a cena, di fronte ad Alaister. Ma riuscii ad ingoiare, a prendere un respiro e a non urlare, continuando a tenermi ostinatamente stretto al cavallo che, con tutta probabilità, rischiavo di strangolare.

Il corso dei miei ovattati e confusionari pensieri mi distrassero talmente tanto che mi accorsi di essermi avvicinato alla piazza delle esecuzioni solo dalle urla della gente che rischiavo di investire sotto i letali zoccoli dello stallone che cavalcavo. Mi aggrappai alla criniera e, con un dolore non indifferente per il cavallo, tirai le ciocche con tutte le mie forze in modo da fargli reclinare la testa all'indietro. La bestia si impennò all'improvviso, nitrì a tutta forza e, se non mi fossi trattenuto disperatamente al suo manto, probabilmente sarei ruzzolato di qualche metro all'indietro. Ma poi, finalmente, frenò pestando gli zoccoli e rimase del tutto fermo.

Non sapevo come ci ero riuscito, ma ce l'avevo fatta, in qualche strano modo. Scesi dal cavallo scivolando dalla sua groppa, mentre lasciavo andare un sospiro di sollievo. Non ero fatto per l'azione, non ero fatto per i combattimenti e tanto meno per le corse contro il tempo, ma questa volta dovevo superare i miei limiti. Per fortuna, la mia disastrosa entrata in scena non aveva attirato l'attenzione di nessuno: la folla era così fitta che non vedevo spiragli liberi fra la gente, che era tutta ammassata a guardare.

A guardare.

Doveva capitare qualcosa di davvero assurdo per lasciare molto più di un centinaio di persone senza parole ed evidentemente quel qualcosa di assurdo accadde, perché non volava una mosca. Il silenzio era talmente impenetrabile che, se avessi parlato, una sola sillaba sarebbe riecheggiata nel vuoto per almeno due, tre volte. Nonostante ciò, tutto il rumore che avevo prodotto arrivando non era riuscito a far voltare nessuno. Perché tutti guardavano.

Ma io non riuscivo a vedere.

Mi misi in punta di piedi, ma tutto quello che riuscii ad intravedere fu un guizzo dorato e poi l'argento di una lama che roteava nell'aria, per poi sparire di nuovo. Mi tuffai fra la folla, talmente stretta che per avanzare dovevo spintonare, insinuarmi fra i corpi, stringere gli occhi e i denti e anche scalciare. Sembrava come nuotare contro un'immensa marea: ad ogni bracciata mi sentivo gettato sempre più indietro. Ma non mi sarei lasciato affogare.

- Fatemi passare... - biascicai, mentre spingevo una donna che torturava il manico di un ombrellino con gli occhi serrati e rivolti al patibolo. - Fatemi passare! - sbottai e, con un'ultima spinta, ruzzolai in prima fila, ai piedi di un uomo che non mi presi la briga di osservare in faccia. Perché ora anche io, finalmente, potevo guardare.

Ma guardare non era la parola giusta.

Rimasi a terra, senza avere la forza nelle gambe per alzarmi, ma riuscendo soltanto a sollevare il capo per guardare i due assassini: l'uno dai capelli d'oro e gli occhi di ghiaccio che infilzava i colli di due soldati con un colpo solo, come degli spiedini; l'altro dalle ciocche rosse come il sangue e lo sguardo blu come la notte che afferrava le teste di due soldati e le sbatteva l'una contro l'altra, facendoli stramazzare al suolo. C'era una perfetta armonia in loro, un preciso equilibrio di forze e un invincibile dinamismo che li rendeva micidiali, intoccabili. Due assassini, due uomini, due persone, due semplici esseri contro un numero così vasto di guardie da dare l'impressione che combattessero contro il mondo intero, un mondo che sanguinava, che sommergeva la terra di sangue. E nessuna, nessuna di quelle stupide guardie riusciva a toccarli.

Helias e Yul volteggiavano sul patibolo brandendo rispettivamente delle armi all'apparenza anche improvvisate, due mietitori che spargevano ondate di rosso sul patibolo e con una tale grazia da dare l'impressione di essere due ballerini su un palcoscenico, a dare vita ad uno stupendo spettacolo che si sarebbe presto tramutato in una tragedia. Sì, sembrava che dessero vita a qualcosa, piuttosto che la estirpassero, che uccidessero.

Anche io, come il resto dei cittadini, restai senza parole, atterrito dall'incredibile dose di violenza e bellezza che i due assassini, ovvero il mio amico di infanzia, quello che avevo creduto essere il mio amore per tutta una vita, e il mio confidente, quello su cui sapevo di poter contare, riuscivano a trasmettere ad ondate, facendo rimanere tutti con la gola secca, la bocca arsa, gli occhi spalancati dalla meraviglia e dal terrore. Sembrava impossibile che soltanto in due rovesciassero un'orda intera di guardie direttamente mandate dal re, eppure era così.

Finché non accadde.

Sentì l'urlo, un nome, lo scintillio di un'arma, il movimento di un corpo, il lacerarsi di un petto. Un respiro, poi un fiotto di sangue e un corpo che scivolava a terra.

Un corpo. Il corpo. Yul.

Un grido mi strappò le viscere, mi scosse dall'interno come una scarica elettrica violentissima, prima ancora che riuscissi a produrlo con la disperata danza delle corde vocali. Strinsi gli occhi, serrai i pugni fino ad affondarmi le unghie nei palmi delle mani, spalancai la bocca sforzando i muscoli della faccia e urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni, fino a farmi dolere la gola.

- NO! -

Una negazione. Una sillaba che tutto sommato non serviva a nulla, perché negare quello che stava succedendo sarebbe stato come bendarsi gli occhi e tapparsi le orecchie. Eppure, quella parolina esprimeva l'immensità della confusione e del dolore che mi scuoteva dentro, il sentimento di rabbia e furore che impazziva mentre gli occhi si riempivano di lacrime di disperazione, di frustrazione causata dalla mia impotenza. Un'impotenza che avevo avuto sin dall'inizio, perché tante piccole prove mi sfilavano sotto al naso senza che riuscissi a capire.

In contrapposizione al mio grido, Helias abbandonò il corpo esanime del suo amato, il suo corpo morto, e si alzò in piedi senza dire una parola. Sembrava una statua di ghiaccio, una bellissima opera d'arte cesellata nel marmo, un'arma affilata che scintillava appena prima di colpire. E le mie grida si smorzarono, mi morirono sulle labbra, le lacrime smisero di scendere, quando lui prese fra le mani l'ascia del boia e diede inizio all'ultimo atto di quell'impressionante tragedia.

Il resto, fu talmente confuso, talmente sporco, che riuscii a ricordarmi soltanto i colori: il dorato dei suoi capelli che si spruzzava di rosso, il pallore madreperlaceo della sua pelle che si chiazzava di rosso, il nero pecioso dei suoi vestiti che si riempiva di rosso, le lame scintillanti delle sue armi che grondavano di rosso. Scarlatto, carminio, porpora, cremisi, vermiglio, rosso.

Sangue, ovunque. Il patibolo si trasformò in un mattatoio e per me fu uno spettacolo così raccapricciante che dovetti coprirmi gli occhi, finché non sentii qualcosa cozzare contro le pietre lisce della strada, poi contro le mie ginocchia. Guardai, i miei occhi incontrarono l'opacità dello sguardo di un soldato. Della testa mozzata di un soldato.

Mi alzai in piedi con uno scatto rapidissimo, inorridito, sollevai lo sguardo sul patibolo ed ebbi modo di notare la fine: l'elsa di un'arma sbatté contro la tempia dell'assassino, Sfavillo barcollò, i soldati lo sopraffecero, lo sommersero, le armi lo percossero e, lentamente, Helias cadde.

Ma prima della sua caduta, prima ancora di vederlo crollare, incassai i suoi colpi come se fossero miei e mi voltai, stordito dalla perdita, sconvolto dalle pozze rosse che erano arrivate fino ai miei piedi, inorridito da quella trappola, dalla morte, da quel bagno di sangue in cui ero stato immerso senza volerlo sin dalla Cerimonia dell'Offerta.

Mi voltai e iniziai a correre, contro corrente, nuotando fra i corpi senza neanche più guardarli in faccia, senza neanche considerarli più persone. Erano degli ostacoli. Ostacoli fra me e la causa di tutto. Perché io sapevo di chi era la colpa, sapevo perfettamente chi aveva fatto tutto quello. Sapevo chi aveva ordito l'inganno sin dall'inizio e chi aveva condannato a morte Yul ed Helias.

Alaister Noir.

Mi liberai dalla calca con un ultimo ringhio e mi fermai soltanto per un attimo, soltanto per il tempo di prendere un lungo, lunghissimo respiro, quel fiato che mi sarebbe bastato per l'ultima corsa contro il tempo della mia vita.

Non avevo idea di dove fosse il cavallo con cui ero arrivato, non mi importava, non l'avrei cercato: dovevo arrivare dal mostro con le mie gambe e distruggerlo con le mie mani.

Dopo quel respiro, iniziai a correre e correre, ancora e ancora e ancora. Non importava chi oltrepassavo, quale aspetto potevo avere; non importava quanto mi facessero male i piedi, quanto mi bruciassero i polpacci, quanto ululassero i polmoni. Almeno per una volta nella mia vita, dovevo fare qualcosa e usare tutte le mie forze e lottare per arrivarci. Per una volta nella mia vita, dovevo fare un'azione di mia spontanea volontà, senza che fossero il piccolo capo di una banda di ladruncoli, la padrona di un lussuoso bordello o il micidiale Re degli Assassini ad ordinarmelo.

Ora stava a me tuffarmi nel bagno di sangue.

Le mie gambe si fermarono oltre i cancelli della Fortezza dell'Assassino, senza neanche sapere come ci ero arrivato, quando ci ero arrivato. La mia memoria si era fermata all'istante in cui la lama aveva trapassato il petto di Yul Pevensie come se fosse stato burro. Si era fermata al singolo momento in cui Helias aveva barcollato, in cui le gambe avevano perso la forza, in cui l'ascia gli era scivolata di mano. La mia memoria si era fermata quando l'ultimo spiraglio di ciò a cui volevo bene veniva cancellato, lavato via col sangue.

Ma ora mi era tutto chiarissimo, non c'era più traccia di confusione, soltanto di una lucida e profonda rabbia che mi scuoteva dall'interno con la forza di un vulcano attivo che si risveglia dopo secoli di silenzio, incenerendo tutto il resto.

Ripresi la corsa, questa volta con un'intenzione diversa. Volevo fare del male ad Alaister, farlo soffrire, spaccargli la spina dorsale, levargli quel micidiale sorriso dalla faccia con un pugno. Mentre spalancavo la porta della Fortezza, mi ripromisi di non dimenticare cosa volevo fare: ucciderlo, ucciderlo, ucciderlo.

E con quel pensiero in sottofondo, con la rabbia che mi consumava da dentro come acido che mi corrodeva gli organi, scorsi il Re degli Assassini in piedi, a poca distanza dall'ingresso. Mi stava aspettando, perché lui sapeva che sarei andato all'esecuzione. Doveva averlo scoperto in qualche modo. E mi guardava, con un sorriso strisciante in faccia.

Io non speravo in una situazione migliore, perché devastato, travolto, distrutto ancora da quell'urlo che mi aveva lacerato da dentro e da quel dolore che mi distruggeva ancora, gli corsi incontro, con l'intenzione di smembrarlo pezzo per pezzo, con le mie stesse mani. Ma poi barcollai, poi mi vidi cadere, poi atterrai ai suoi piedi.

Nella gola mi salì un singulto strozzato, quello che mi aspettavo fosse un lamento, rabbia, confusione, incredulità. Furore, per non essere riuscito ancora una volta a fare nulla. Eppure, quel singulto si trasformò in qualcosa di liquido: un colpo di tosse, la mano davanti alle labbra, il palmo sotto gli occhi. Soltanto così mi accorsi di aver sputato sangue.

Una pozza di sangue.

Mentre la vista mi si riempiva di pallini e il naso percepiva l'odore acre di quel liquido scarlatto che io stesso avevo tossito, sollevai gli occhi verso Alaister. E, prima che perdessi i sensi senza comprenderne la ragione, mi ricordai quello che dovevo fare: ucciderlo.







❃ ❃ ❃ ❃ ❃

L'angolo assonnato di un'autrice sognatrice  


Hola a tutti!

Ce l'ho fatta ad aggiornare, in qualche modo, yay! Non sono riuscita a rileggere decentemente, non so cosa ho scritto, sigh- Non me ne vogliate, sono le due e mezza xD (chissà perché aggiorno sempre in questi orari assurdi. Destino!). Questo capitolo richiama vecchi e tristi ricordi, eh sì. Inoltre, secondo voi che cos'ha il caro Lysandro? Vi lascio con questo dubbio e spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Alla prossima ^^

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro