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Capitolo Ventisettesimo - Parte Terza: Wòréb

"What if I can't forget you?
I'll burn your name into my throat

I'll be the fire that'll catch you

What's so good about picking up the pieces?
None of the colors ever light up anymore in this hole"

- Caraphernelia, Pierce the Veil


Immense pupille nere, tanto espanse da dare al viso una connotazione deliziosamente bizzarra. Noah non riusciva a guardare altro che quella mutazione. Dalla distanza a cui si trovava non era in grado di distinguerle dalle iridi e ancor meno dalle sclere, ma a essere onesti non aveva nemmeno la certezza vi fosse una differenza. La donna a cavalcioni su Zenas, coi i suoi dreadlock stretti e tirati in una mano e l'altra a bloccargli con forza il viso a terra, era ovvio fosse una di loro, una Chimera. I lunghissimi capelli neri lanciavano riflessi bluastri, a tratti verde petrolio, e si muovevano in onde leggere cullate da un vento che in quel momento lui non riusciva a sentire, dando l'impressione di essere un mantello di piume.

Addolcendo appena l'espressione e allentando la presa sulla chioma del fratello, la donna puntò distrattamente l'indice nella direzione in cui si trovavano lui e Alexandria nascosta alle spalle di Levi. Per qualche istante restò immobile, studiandoli esattamente come un rapace, poi, in uno scatto che gli strinse lo stomaco, lo puntò. L'Hagufah si sentì schiacciare contro il muro, un animale in trappola, e gli parve che persino la Chimera al suo fianco avesse percepito una sorta di pericolo muoversi verso di lui.
Noah avrebbe voluto deglutire, o meglio ancora sparire oltre lo stipite dell'arco che si apriva tra corridoio e salotto, in modo da non farsi vedere, ma ormai era lì e le sue gambe non lo avrebbero mai fatto fuggire.

«Chi è?» gracchiò lei in modo quasi buffo, ricordando una vecchia comara che si accorge di un intruso - e d'improvviso sembrò che tutti intorno a lui tirassero un enorme sospiro di sollievo.
Levi, più di tutti, scoppiò in una fragorosa risata. Calda, piena e gioiosa, apparì inappropriata per il contesto, per non parlare del fatto che fino a un momento prima fosse sul punto di tirare una pedata dritta in faccia alla sorella. «Colette! Vecchia cornacchia del malaugurio, allora sei tu ad aver occupato casa! Ci hai fatto prendere un colpo, sai?» Fu facile immaginare che sul suo viso si fosse appollaiato un enorme sorriso.

«Come osi?» La donna afferrò la prima cosa che le sue lunghe dita trovarono e con rinnovata vena omicida nello sguardo la tirò al fratello. Levi non fece fatica a evitare il libro, ma Noah per poco non se lo sentì arrivare nello stomaco. Furono i riflessi di Alexandria a salvarlo - nemmeno riuscì a ringraziarla con uno cenno, tanto era pietrificato.
«Vecchia? Chi credi di essere, brutta canaglia?! Recentemente hai controllato il calendario? Se non te ne fossi accorto è quasi il tuo duemilanovecentosettantottesimo compleanno!»
Con un colpo di reni Zenas colse quell'animato scambio tra i fratelli come scusa per liberarsi e, una volta toltosi il peso di lei dalla schiena, le si gettò addosso, stringendola tanto da farla avvampare. Non fu chiaro se il suo fosse un semplice gesto d'affetto o un tentativo di bloccarla dal tirare altro contro Levi, ma di certo servì a chetarla un minimo. «Santi numi! È dal tuo millesimo anno che ti stuzzica con queste battute, possibile che tu te la prenda ancora?» Il fatto che stesse sorridendo sicuramente non giovava all'interpretazione di quel gesto. Infatti, con metà viso nascosto nei capelli di lei, Akràv sembrava bearsi di quel contatto in modo genuino e d'istinto i muscoli di Noah si rilassarono. Se lui si stava fidando poteva davvero esserci un pericolo in agguato?

«Eddai akòth! Sei comunque bella come al tuo primo secolo» ridacchiò Nakhaš allontanando una ciocca dal viso.
«Tu, stupida serpe, hai un'idea distorta di come si facciano i complimenti a una donna!» Nonostante la dimostrazione d'affetto di Zenas e l'atmosfera ora più gaia, l'Hagufah la vide comunque storcere la bocca e digrignare i denti quasi non riuscisse a ignorare l'ironia dietro quei commenti o... una sensazione poco piacevole tornò a stringergli lo stomaco. Aveva un brutto presentimento e, si convinse, forse Colette non voleva ignorarla.

Levi mosse un paio di passi verso di lei e nel vederlo ridurre lo spazio tra sé e la sorella Noah sentì il bisogno di trattenerlo per l'orlo della maglia. L'osservò fare un mezzo inchino e porgere alla pazza una mano con quel suo solito fare cavalleresco e, ignorando il pericolo che lui invece sentiva essere tornato in agguato, Zenas mollò la presa su Colette.
Noah non ebbe il tempo di aprire bocca, di mettere in allerta chi di dovere che la donna si aggrappò con voracità alle dita di Nakhaš. Sul suo viso si disegnò un'espressione tutt'altro che confortante. Veloce come un'aquila che si scaglia sulla preda sfoderò artigli neri quanto le sue iridi che, curvandosi, entrarono nella carne di lui, ferendolo. Rivoli di sangue colarono lungo il palmo, il dorso e il polso di Levi, cadendo in gocce sul pavimento. A quella visione l'Hagufah si sentì bruciare la carne. La sensazione che ci fosse lui al posto di Nakhaš fu così intensa da fargli spalancare la bocca in cerca d'aria. Conosceva quel dolore, lo percepiva proprio - mentre a differenza sua l'altro non fece una piega.
Il Generale si portò la mano della sorella alle labbra, la baciò con una delicatezza che in quell'istante Noah gli invidiò, poi l'appoggiò alla fronte: «La tua radiosità è talmente ovvia che nessuna parola potrebbe renderle giustizia, ma chèrie» concluse ignorando la violenza gratuita di cui era stato vittima.
Gli artigli imbevuti di sangue uscirò dalla carne di Levi, procurando all'Hagufah un nuovo bruciore. Le labbra carnose di Colette d'improvviso si tesero in una smorfia di compiacimento e con una frivolezza fuori luogo si lasciò sfuggire un verso di sorpresa. Nessun'ombra di rimorso nell'espressione, come se non avesse fatto alcun gesto riprovevole nei confronti del fratello: «Vedo che qualcosa in questi anni hai imparato, akh... brutta bestia la fame d'amore, vero?» e inarcando il sorriso, sotto e intorno agli occhi spuntarono dalla pelle delle macchie scure che, crescendo veloci come piante nei documentari in tv, divennero presto delle piccole piume. Era inquietante vedere la naturalezza della sua mutazione spuntare dal nulla, eppure aveva un ché di bellissimo.

Nakhaš mollò la presa sulla mano di lei e si rimise dritto, spezzando la magia del suo inchino: «Fame d'amore?» le chiese, puntando il proprio sguardo in quello della sorella, forse fingendo di non capire: «Direi piuttosto galanteria fuori moda, akhòt, ma lasciami rimediare, ho una sorpresa.» Le stesse dita a cui Colette si era aggrappata con tanta avidità si mossero nell'aria compiendo un mezzo cerchio. Un altro paio di gocce caddero a terra dopo che la mano si fu fermata in direzione di Noah e, come un presentatore al circo, Nakhaš portò l'attenzione generale sull'ospite d'onore, il prossimo artista. Nuovamente il cuore del ragazzo riprese a battere forte, mentre lo stomaco si strinse nauseandolo. No, si disse, non voleva gli occhi di quella squilibrata ancora di sé. Se un fratello lo aveva quasi accoltellato con le cesoie da giardino e all'altro aveva lacerato una mano, non volle nemmeno immaginare cosa potesse fare a uno sconosciuto. A lui, per l'esattezza.

Colette corrugò le sopracciglia. Il suo corpo immobile rivolto nella direzione in cui si trovava, spalle al muro e incapace di fuggire a causa delle gambe impietrite. La donna restò in quella posa per un tempo che all'Hagufah parve infinito, poi con l'ennesimo scatto gli si fece vicina. Fu un fulmine scuro che smosse con violenza l'aria intorno a lui. La sentì sfiorargli il viso, le narici, ma non entrò nei polmoni.
Si ritrovò in apnea.
Di nuovo la testa della Chimera si piegò da un lato, studiandolo meglio. Noah poteva percepire le sue pupille su di sé come polpastrelli indesiderati. Sentiva la pelle tirare, il volto venir mosso da una parte e poi dall'altra nonostante lei non avesse alzato su di lui alcun dito. I secondi sembrarono dilatarsi, l'ansia mangiargli le interiora, poi Colette parlò: «Per quanto mi piacciano i ragazzi più giovani, qui mi sembra di esagerare...» Le sue labbra si piegarono in una sorta d'espressione insoddisfatta, quasi stesse davvero pensando che i fratelli le avessero portato un toyboy con cui divertirsi.

Una pressione confortante si strinse sulla spalla del ragazzo che, come strappato da un sogno, si accorse della presenza di Levi al proprio fianco. Quando era arrivato? Come aveva fatto a raggiungerlo?
«So che il tuo genere è più... maturo, ma fidati, hu shoneh mageberim akherim (lui non è come gli altri).» Le parole di Nakhaš suonarono come quelle di un commerciante intento a chiudere la vendita più proficua della giornata e Noah ebbe davvero l'impressione di essere messo all'asta.

Le sopracciglia di Wórèb si corrugarono, tradendo la sua curiosità. Indietreggiò di un passo, facendo scorrere gli occhi dalla testa ai piedi dell'Hagufah, poi nuovamente su, come a soppesarlo. Chissà cosa stava pensando, si chiese, e chissà se sarebbe giunta da sola alla conclusione corretta.
La sua testa scattò ancora e stavolta si fissò su Alexandria. Per un istante a Noah parve che un tik nervoso alla palpebra l'avesse sopraffatta, come se stesse trattenendo un fastidio e il suo corpo si volesse ribellare, poi tornò a osservarlo. Che avesse sperato di leggere sul viso della sorella la risposta? Che si fosse innervosita non trovandola? Si bagnò le labbra con la punta della lingua: «È un alchimista?» nella voce della donna stranamente si poté sentire un miscuglio di stupore, dubbio e paura, tutte emozioni che Noah sentì proprie.
Le Chimere erano diffidenti con gli alchimisti, in fin dei conti la stragrande maggioranza di quelli rimasti erano membri del Cultus, a detta loro, quindi riusciva a capire il perché di quel tono. E in tutta onestà non gli piacque. Cosa avrebbe fatto se in un ennesimo gesto privo di controllo si fosse avventata su di lui? Levi sarebbe riuscito a salvarlo?
Accanto al proprio orecchio il ragazzo percepì le labbra di Nakhaš tendersi in una tracotanza che lo agitò ancor di più: «L'Hagufah» sibilò.

Il tempo tornò a dilatarsi.

«L'Hagufah?» Ora, sul viso di Colette, regnavano solo due emozioni, l'incredulità e la paura. Guardò Levi con così tanta intensità che parve i suoi occhi dovessero uscire dalle orbite, poi si volse verso Alexandria, stretta nelle proprie spalle in un atteggiamento insolito. Girò su se stessa per cercare Zenas, anch'egli muto e serio, poi tornò a fissare il fratello maggiore: «Zeh khata leshaqer (mentire è peccato).»
«Zuq az shelanu (allora noi siamo assolti)» le rispose.
Wòréb a quel punto non poté più ignorare la presenza dell'ospite. Gli si fece vicino, tanto che le linee nere spuntatele intorno alla parte alta del viso apparvero finalmente in tutta la loro delicatezza: piccolissime piume come quelle di un pulcino. Chissà se toccandole si sarebbe ferito. Chissà se lo avrebbe fatto lei senza dargli via di scampo.
Noah a quel punto desiderò diventare parte del muro e sparire. Odiava sentirsi osservato da lei, la temeva più di quanto temesse ognuna delle altre Chimere; così, quando la mano di Colette gli si strinse sul mento alzandogli bruscamente il viso, bloccandogli il cuore in gola, di un'unica cosa fu certo: l'avrebbe ucciso. Lì, senza convenevoli o esitazioni, esattamente come aveva ferito il fratello. Eppure non accadde. O quantomeno non in quel momento.
«Qisheqush! (Stronzate!)» gridò: «Lanetsakh qeilu noteru ett hakhoteim (i peccatori restano tali per sempre)» e prima ancora che potesse fargli qualsiasi cosa o solamente pensare di spezzargli il collo, Alexandria le afferrò il polso, ringhiando. Il cuore di Noah battè un unico colpo, una sorta di singulto che gli fece credere d'avere un mancamento - grazie al cielo la stretta di Levi lo tenne fermo.
Le dita di Colette si staccarono dal suo viso con una certa riluttanza, come se le stessero impedendo di compiere la cosa giusta e l'altra l'allontanò da lui a sufficienza per farlo sospirare.

«Tissetaqel 'alaiv! (Guardalo!)» Anche Alexandria si fece sfuggire di bocca un tono alterato: «Guarda i suoi occhi e ascolta... Come fai a non sentirlo?» le scrollò il braccio con veemenza, infossando i polpastrelli nella carne del polso.
Colette digrignò i denti, strattonò la sorella a sé e arrivò a un soffio dal suo viso. La superava di una spanna, a sufficienza perché desse l'impressione di volerla azzannare. «So cosa sento, Alexandria!» sputò: «Ma tu hai detto di non averlo salvato. Tu lo hai fatto morire!»
All'inizio Noah non capì il senso di quelle parole. Nonostante fossero in una lingua a lui familiare gli venne difficile dargli un senso. Avvertì solo un peso soffocante cadere addosso a tutti i presenti, ammutolendoli, poi l'udito parve ovattarsi, il respiro riprendere con una lentezza tale da non essere sufficiente a farlo stare sveglio. Di cosa stavano parlando? Che significava?
Avrebbe voluto guardare Z'év, cercare in lei una spiegazione, ma il suo corpo si rifiutò d'obbedire, annebbiandogli la vista. Così premette un palmo contro l'occhio, scuotendo la testa. Fuori da ogni logica, nella sua bocca si fece strada il sapore salato del mare, poi quello ferroso del sangue. Il pavimento sotto i piedi divenne liquido e in un istante si ritrovò barcollante.
Che gli stava succedendo?
Levi lo sorresse. Entrambe le sue mani gli si strinsero addosso come se conoscessero quel corpo alla perfezione, poggiandosi in punti in cui nemmeno le sentì. Avrebbe voluto ringraziarlo, ritrovare stabilità e contegno,  ma tutto ciò che percepì a quel punto fu il nulla.

Ania: Finalmente Colette è stata introdotta, cosa che mi auguro essere apparsa, a voi lettori, corretta a livello di tempistiche. E' un personaggio impetuoso, un'onda di energia racchiusa in un gran bel pezzo di figliola, ma come avete visto non è stabile.

Ammetto che la sua backstory è quella che più amo e spero prossimamente di poterla approfondire con voi - perché merita, fidatevi.

Mi raccomando, per pietà nei miei confronti lasciatemi qualche feedback T.T

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