Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo trentatreesimo: Un passo alla volta

"My head won't let me go like if I died you'd never know

I made friends with the dark parts that are inside of my mind

I tie them up to the commas back in juvenile rhymes
And my eyes are about to blow
But that's all part of this freak show"

- Hope for the underrated youth, Yungblud


Nikolaij tentò per giorni di avvicinarsi a Noah, peccato che la presenza costante di Zenas tra di loro fu d'intralcio ai piani del fratellino, cosa che invece il ragazzo apprezzò infinitamente. Non si sentiva tranquillo in sua presenza. Il suo aspetto così singolare gli metteva addosso una certa ansia, come facevano i rimasugli di un sogno poco piacevole al risveglio. Era difficile dire se fosse per colpa dei suoi occhi, così simili a quelli di un albino o per il suo aspetto in generale, eppure Noah non riusciva proprio a desiderare di restare solo con lui. 
C'erano stati alcuni tentativi di conversazione durante i pasti, ma il malumore di Colette e la sua insofferenza nei confronti di Niko gli avevano permesso di evitare di rispondere a qualsiasi domanda. Per una volta la stravaganza della donna gli stava tornando utile.
Mentre Zenas, Levi ed Alexandria cercavano di rendere l'arrivo del fratellino un evento gioioso che avrebbe dovuto risanare parte delle ferite famigliari, lui e Colette provavano a estraniarsi dai festeggiamenti. Si muovevano insieme, scudo l'uno per l'altro, stando in silenzio per la maggior parte del tempo, occupati entrambi ad affrontare chissà quale tipo di battaglia con i propri pensieri.

Fu però la mattina del quinto giorno, con l'arrivo del gelo di fine autunno, che Noah capì di non poter continuare a nascondersi dietro le frecciatine velenose che Wòréb non si era risparmiata. Doveva affrontare Nikolaij, la sua presenza insolita ed estranea che aveva scombussolato la pace raggiunta. Così, stretto nella felpa del pigiama, con la tazza di caffè-latte tra le mani, l'Hagufah si avvicinò cautamente al bambino. Incurante del freddo, Akhbar se ne stava seduto al tavolino in giardino. Le punte dei piedi, avvolte in calzini spessi, toccavano appena il terreno stepposo sotto di loro, mentre la copia di Libération che stava leggendo lasciava che le proprie pagine ondeggiassero nella brezza. Per un misero istante a Noah saltarono alla memoria scene di "Home Alone 2", facendogli sovrapporre la figura di un piccolo Macaulay Culkin a quella della Chimera.
Socchiuse gli occhi scacciando l'immagine, poi poggiò la tazza sul tavolino: «Buongiorno» mugugnò con la bocca ancora impastata di sonno e rimasugli di caffeina.
Nikolaij si volse nella sua direzione abbandonando l'articolo che lo aveva tenuto impegnato e quando il suo sguardo si posò su Noah, l'Hagufah avvertì il proprio corpo inconsistente. Quegli occhi dai contorni rossi e chiazze carta da zucchero non sembrarono vederlo veramente, ma piuttosto attraversarlo per perdersi nel nulla oltre le sue spalle. Si muovevano svelti come se ricevessero stimoli continui, eppure nell'espressione del bambino non c'era la fatica che solitamente caratterizzava l'incapacità degli albini di resistere all'intensità della luce.
La Chimera sorrise e, ancora una volta come nei giorni precedenti, Noah notò una piega curiosa sul suo labbro superiore, come una traccia sbiadita di cheiloschisi. «Adonay (mio signore)» lo salutò con un cenno reverenziale del capo provocandogli un senso di impaccio, quasi fosse sbagliato, da parte sua, rivolgergli la parola dopo tutto il tempo passato a evitarlo. «Solo? Oggi il vostro familio vi ha abbandonato?» Le sopracciglia dell'Hagufah si piegarono quasi a toccarsi e le labbra si schiusero come se dovessero pronunciare una risposta che in realtà nemmeno aveva preso forma. Nikolaij sussultò: «Intendo Colette!» si affrettò a dire.
«Oh!» Finalmente Noah capì: «Oh, scusa! Io sono... ancora un po' addormentato» sospirò scuotendo il capo. Faticava a seguire le allusioni delle Chimere, usavano termini e associazioni che per la maggior parte del tempo a lui parevano estranee.
«Figuratevi! Non tutti sono animali notturni come me» sorrise nuovamente, ma il modo in cui lo fece sembrò ben lontano dall'appartenere a un bambino. L'espressione di Akhbar rasentava quella di un vecchio provato dalla vita e, nel notarlo, un brivido corse lungo la schiena di Noah. Chissà se anche il sé precedente provava lo stesso disagio nel guardare quella creatura. Chissà se si fosse mai pentito di aver relegato Nikolaij in quel corpo.
Forse notando qualcosa sul suo viso, la Chimera chiuse il giornale tenendo il segno con una mano, mentre con l'altra indicò una delle sedie libere: «Se volevate accomodarvi fatelo pure! Non dovete aspettare un invito, dopotutto siete-»
«Noah. Sono Noah.» Lo interruppe bruscamente. In tutta onestà, per quanto si fosse sforzato ad accettare quella situazione, trovava fastidioso il modo in cui gli si rivolgeva usando quella forma così ossequiosa ormai dismessa e, non poteva negarlo, disprezzava anche il fatto che tutte le Chimere, di tanto in tanto, si rivolgessero a lui con appellativi quali "Adon" (Signore/Sire), "Melekh" (Re) o semplicemente Salomone. Sapeva che ognuno di quei termini gli apparteneva, li sentiva risuonare da qualche parte dentro di sé tra il costato e le budella, ma non gli piaceva. Non ancora o non più, quantomeno.
Akhbar annuì.
«Come desiderate.»
«E... ti prego, dammi del tu» aggiunse afferrando lo schienale gelido della sedia.
L'altro strinse il sorriso senza però distogliere lo sguardo. Lo seguiva, i suoi occhi non si staccavano mai veramente dalla faccia di Noah, eppure continuavano a dargli l'idea di non vederlo veramente.
L'Hagufah bevve un sorso dalla tazza, il calore della bevanda scivolò lungo la gola fin nello stomaco. Una sensazione dolce parve distendergli le interiora che fino a quel momento, forse per l'agitazione o forse per il freddo, erano rimaste contratte. 
«Non pensavo sarest...i» Nikolaij si morse la lingua prima di sbagliare ancora e, nel notare il suo sforzo, Noah non riuscì a evitarsi un sorriso di tenerezza. Insolito, si ritrovò a pensare, eppure non quanto si sarebbe aspettato. «Sì, saresti...» la Chimera socchiuse gli occhi e sospirò: «Dicevo, non pensavo saresti mai venuto a fare due chiacchiere con me.»
Beh, solo un orbo non avrebbe notatogli evidenti tentativi di stargli lontano, pensò il ragazzo. Aveva provato a camuffarli, peccato che le sue abilità a riguardo, lo aveva punzecchiato Colette, facessero alquanto pena.
«Già...» ammise: «nemmeno io.»
Il fruscio della carta gli solleticò le orecchie, lasciando poi che il silenzio avanzasse tra loro come nubi di tempesta all'orizzonte. Di certo la sua non doveva essere stata una confessione piacevole da sentire, men che meno sospettava che un qualsiasi interlocutore fosse pronto a udirla.
«Ho per caso fatto qualcosa di sbagliato?»
Noah corrugò le sopracciglia, spostando l'attenzione dal bordo della tazza alle mani di Niko, elegantemente poggiate sulla carta stampata. Provava ancora una specie di timore nell'incrociare il suo sguardo, così s'impose di soffermarsi sui dettagli del suo corpo poco per volta. Avrebbe imparato a conoscerlo con cautela, in modo d'arrivare al volto senza sentirsene turbato.
«No, figurati...» scosse il capo e le ciocche color frumento gli sfiorarono le tempie: «Solo che non sono ancora abituato a voi, alle vostre...»
Le mani di Akhbar abbandonarono i fogli per accogliere il suo meno a mo' di coppa. Inesorabilmente Noah si ritrovò a osservargli la bocca, dove un sorriso sghembo lo accolse. «Mutazioni?» Lo precedette.
«Esatto.»
La testa di Niko si piegò da un lato, abbandonandosi sul palmo più lontano.
«Sì, in effetti non sono una bellezza da vedere» scherzò: «Mi consola il fatto di non essere il solo così trasfigurato, però. Nemmeno Hamza si può definire il tuo lavoro meglio riuscito, per non parlare di Will. Quando le si apre l'altro paio di occhi è... bleah!» Tirò fuori la lingua facendo una smorfia disgustata. «La sua fortuna è che può nasconderlo se non si incazza, mentre noi...» La sua mimica era esattamente come quella dei bambini: esagerata, gioiosa, quasi divertente. Persino senza guardargli il viso nell'insieme si poteva comprendere ogni sua emozione dal modo in cui le labbra si piegavano in un modo o nell'altro.
«Sembriamo fanatici di Halloween praticamente tutto il tempo!» concluse e, solo a quel punto, Noah si pose il dubbio d'essere stato scortese. Lui che li aveva condannati a quella vita, con quell'aspetto, ora se ne ritrovava inorridito - ipocrita da parte sua.
«Diamine! Io... sono stato-»
«Ehi, ehi, ehi!» Quando le dita sottili di Nikolaij gli sfiorarono la spalla, l'Hagufah non riuscì a a impedirsi di sussultare provando quasi ad allontanarsi. Nonostante il tocco della Chimera fosse stato delicato si sentì preso alla sprovvista - cosa che però non parve infastidirla.
Akhbar si sporse in modo che i loro occhi s'incrociassero e, a quel punto, Noah si ritrovò a dover fare i conti con l'inevitabile. Fissò il ragazzino cercando in tutti i modi di non allontanarsi maggiormente, combattuto tra sforzo e senso di colpa. Come poteva trattarlo a quel modo? Niko era una sua creatura, parte della famiglia che si era creato. Aveva scelto lui stesso di riportalo in vita!
«Non è colpa tua, okay? Può succedere. L'Ars è... imprevedibile.» Gli sorrise con quel fare comprensivo tipico dei nonni che parlano ai nipoti e, solo ricordandosi che quel moccioso era in realtà nato agli inizi del ventesimo secolo, l'Hagufah riuscì ad attenuare il senso di disagio. Le Chimere erano così brave ad apparire giovani, umane, che alle volte si dimenticava chi fossero in verità - e certamente, con un po' di abitudine, avrebbe finito con il considerare anche l'aspetto di Nikolaij normale.


Il ragazzino rimise distanza tra loro. Le sue dita si allontanarono dal corpo di Noah provocando all'Hagufah un insueto senso di vuoto: «Certo, non mi sarebbe dispiaciuto essere un bel pezzo di manzo come Levi o un gigante come Zenas, ma almeno con le ɛvɛn posso camuffarmi un po'!» e la mano s'infilò svelta nel tascone della felpa che aveva indosso. Come un topo in dispensa cercò qualcosa di suo interesse e, dopo poco, ne uscì con una scatoletta di latta tonda e bassa. L'agitò leggermente facendo tintinnare il contenuto, la soddisfazione a rasserenargli lo sguardo. Noah osservò con curiosità i suoi gesti, l'oggetto che aveva tirato fuori e che sembrava la confezione di vecchie caramelle alla liquirizia. Quando Akhbar ruotò i due lati, aprendo il buco sul fianco della latta, l'Hagufah ne vide uscire una pallina rossa come il sangue che lanciò riflessi sul palmo pallido della Chimera. Per un istante ne rimase affascinato. Già nelle settimane precedenti gli era parso di vedere quelle cosine. Se la memoria non lo ingannava, cosa abbastanza probabile, aveva visto Colette tritarne qualcuna e metterla nella tisana dei fratelli, come a zuccherarla. Fino a quel momento non si era mai posto la briga di chiedere cosa fossero esattamente, supponendone solo l'identità. Ora che Nikolaij dava loro un nome però, ricordò di averne letto nei diari: si trattava di frammenti di pietra filosofale, difficilissimi da ottenere e di grande aiuto per le Chimere. Ed era forse stato grazie a loro che la gamba di Akràv, la ferita atroce che si era procurato a Vienna, era guarita con tanta velocità.

Niko ingoiò la ɛvɛn senza dire una parola, poi socchiudendo gli occhi alzò il viso verso il cielo per permetterle di scendere senza intoppi lungo la gola. Noah scorse il suo misero pomo d'adamo mai veramente sviluppato andare su e giù accompagnando la discesa di quella pallina. Si scoprì a trattenere il fiato, come se si aspettasse chissà quale tipo di reazione, eppure nulla accadde.

Rimase muto a osservare il profilo della Chimera, incapace d'immaginare il proseguo di quell'azione, poi Akhbar spezzò ancora una volta il silenzio.
 «Senza queste saremmo fregati!» Quando le sue palpebre si riaprirono, iridi nero pece caddero su Noah come macigni.




Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro