Capitolo Trentasettesimo - Parte Terza: Cultus Sanguinis
A Noah non era chiaro il momento esatto in cui il proprio corpo avesse smesso di ubbidirgli, ma era accaduto. Si era sentito come imprigionato nel corpo di un golem, contenuto impotente tra le pareti di una prigione d'argilla. Gli era già capitato; se si sforzava un minimo riusciva a ricordare che anche la prima notte in cui la minaccia del Cultus si era presentata alla sua porta, con Zenas ferito e sanguinante e Alexandria in bilico tra paura e senso di responsabilità, aveva provato una sensazione simile. Esattamente come quella volta, i suoi muscoli avevano deciso da soli come contrarsi, tendersi, agire per non soccombere - e così avevano fatto ancora. Passando accanto a Levi, con le unghie di Z'èv inutilmente aggrappate alla felpa che aveva indosso, Noah aveva tacitamente accettato l'invito di Gaspard, il Magister, il nemico. Nonostante la coscienza battesse i pugni e sbraitasse per non oltrepassare l'ingresso di quel luogo, le gambe non vollero sentire ragione. In meno di quanto sperato fu al fianco di Zenas, a un soffio da quell'individuo tanto accogliente nei modi quanto nauseante in presenza. Più gli si avvicinava, più sentiva scaturire da lui un'aura sinistra.
Noah tentò di mordersi la lingua, non ci riuscì. Forse finché non avesse raggiunto le sue Chimere non sarebbe stato in grado di avere reale controllo su di sé, cosa che lo spaventò più del dovuto. Era certo che in viso gli si leggesse quella paura e che l'alchimista innanzi a loro ne stesse traendo smisurato piacere: chi non lo avrebbe fatto, sapendo di star piegando un Re?
«Akh...» la voce di Nakhaš lo raggiunse sotto forma di un ringhio che in qualsiasi altra situazione lo avrebbe fatto fermare, voltare, ubbidire. Sapeva di starsi trasformando in una sorta di agnello sacrificale, eppure non riusciva proprio a capire per quale ragione il suo corpo lo stesse spingendo così vicino alla lama che lo avrebbe sgozzato.
Gaspard allargò il sorriso, nello sguardo un compiacimento che gli scivolò addosso come miele: denso, appiccicoso. Quell'uomo era certo della propria vittoria, di averli già cotti a sufficienza da poter versare sulle loro carcasse abbrustolite il proprio appagamento - e probabilmente non ne aveva nemmeno tutti i torti. Il terreno di gioco era a suo favore, il numero di pedine anche. Se si pensava pure alle sue abilità con l'alchimia, a Noah latenti, si poteva facilmente darlo per trionfante.
Zenas gli afferrò il polso appena si vide superare, bloccandolo a un gradino dal nemico. Non parlò, così come non fecero i suoi fratelli. Alex doveva essere rimasta nei pressi di Levi, i suoi artigli si erano staccati da lui senza che se ne accorgesse, come arresi. Chissà cosa stavano pensando di lui. Avrebbe voluto voltarsi e guardare le sue creature, trovare fiducia e coraggio in loro, invece i suoi occhi non abbandonarono nemmeno per un momento quelli di Gaspard - fu quello l'istante in cui realizzò davvero dove era arrivato e che non era più prigioniero di sé stesso: i passi che avrebbe fatto, ciò che avrebbe detto da quell'istante in poi sarebbero nuovamente stati una sua scelta, piacevole o meno.
Deglutì con forza, sentendo la gola bruciare: «In ogni caso dobbiamo entrare qui dentro per trovare Colette e Niko, no?»
L'individuo di fronte a lui annuì socchiudendo appena gli occhi. La sua sembrò quasi una riverenza e Noah fece fatica a non storcere la bocca. «Vedo che siete un uomo più ragionevole di quanto millantato dal mio predecessore» I baffi di Gaspard si sollevarono insieme agli angoli delle sue labbra: «Uomo sciocco. Alchimista mediocre. Non avrebbe mai meritato un incontro con voi.» La soddisfazione che gli si poteva vedere nello sguardo sembrò consolidarsi mentre spostava l'attenzione da Noah a Zenas, a Levi e infine ad Alexandria, tesi come corde di violino alle spalle del loro padrone. «Con nessuno di voi.»
L'Hagufah trattenne il respiro. Qualcosa di strano, nel tono in cui aveva pronunciato quelle parole, parve trillare come un campanello d'allarme in distanza.
«Prego!» vibrò la voce del Magister, «Seguitemi all'interno! Ho fatto preparare la Sala Grande apposta per questo incontro.» E con una sorta di sussultò oltrepassò l'ingresso di quell'edificio sparendo in una penombra che da fuori dava l'impressione di essere ancor più fitta. La sua doveva essere una mossa premeditata: precederli avrebbe dato loro l'impressione di poter fuggire, di non essere intrappolati in quello che d'improvviso pareva essere un corridoio così stretto da impedirgli di tornare verso l'uscita. Come c'era d'aspettarsi, quell'uomo non era affatto uno stolto. Forse folle, ma non sottovalutabile.
Fu solo a quel punto, quando la schiena di quel tizio sparì completamente dalla sua vista, che Noah si sentì pronto a girare la testa e affrontare le Chimere. Benché avesse l'impressione, o piuttosto la sicurezza, che Gaspard li stesse in verità ancora scrutando, si concesse il rischio di tornare a essere solo Noah, non il grande e immortale Salomone, colui che il nemico pensava essere. Lo avrebbe voluto, ma non lo era.
Zenas, a meno di un paio di spanne da lui, aveva la mascella contratta, la mano ancora stretta intorno al suo avambraccio e lo sguardo fermo sul punto in cui fino a pochi istanti prima se ne stava il Magister del Cultus. Non dava l'idea di voler dire nulla e l'Hagufah, notandolo, si morse la lingua con più forza. Era forse deluso da lui? Si sarebbe aspettato altro? Un comando all'attacco, una pallottola in mezzo alla fronte...? Girò ancora un poco il capo, incontrando Levi e Alex. Se ne stavano vicini, spalla a spalla con le labbra tese in una linea poco rassicurante. Anche Z'èv era stata immobilizzata dal braccio del fratello, il corpo piegato in un movimento sospeso nel tempo, una falcata mai iniziata che l'avrebbe spinta nella direzione in cui si trovavano lui e Akràv. Un nodo strinse lo stomaco di Noah quando lo realizzò. C'era qualcosa di infinitamente sbagliato nella posa di lei, in quel suo tentativo di corrergli dietro, eppure non poté negare a sé stesso di trovarlo anche rassicurante. Sapeva che da qualche parte, nel suo piano o in quello che sarebbe dovuto essere chiamato tale, vi era un errore, un punto sbagliato che avrebbe potuto rovinare ogni cosa - glielo stavano confermando il sapore amaro della propria saliva e gli sguardi di quei due fermi su di lui come frecce pronte a scoccare.
Scosse la testa: «Che altra scelta avevamo?» chiese loro, a tutti e nessuno in particolare. Anche se non avessero approvato la sua decisione c'era ben poco che potessero fare.
Il braccio di Levi cadde nuovamente lungo il fianco, stanco, i suoi occhi serpentini si chiusero mentre le spalle si alzavano in un sospiro che all'Hagufah parve troppo grave. Si stava rassegnando e non era affatto un buon segno, pensò.
«Zenas...»
L'altro non lo fece finire. Con uno strattone tirò Noah dietro le proprie spalle: «Tranquillo,» soffiò, lo sguardo scuro e duro come l'ardesia «sarò per lui come lo scudo di Agamennone» e quasi sembrò che a finire quella frase si fosse aggiunta, discordante, una risata soffocata.
Sul viso di Nakhaš passò un grazie silenzioso, una riverenza dello spirito. All'Hagufah lo stomaco si torse ancor di più. Avrebbe voluto vomitare nella speranza di non sentirsi così male, peccato non vi riuscisse. Con un gesto elegante, poi, la Chimera poggiò un palmo sulla schiena della sorella, invitandola a precederlo. Alex esitò, cosa che invece Zenas non fece. Le sue dita ruvide abbandonarono la felpa di Noah e a passi pesanti si incamminò verso la porta da cui era uscito e poi rientrato Gaspard. Non si fece fermare da nulla: né dalla paura di poter essere aggredito giusto un passo dopo aver varcato la soglia, né dallo sguardo dell'Hagufah aggrappato ai suoi dread sciolti. Forse l'unica cosa che a quel punto gli importava veramente erano Colette e Nikolaij. Vivi o meno. Lo aveva detto lui stesso, no? E lo intendeva veramente, giusto? Piuttosto che nulla, le loro ceneri.
Noah si strinse una mano all'altezza del cuore. Lo sentiva dolere e il pensiero che quella sensazione fosse legata a quelle delle sue creature gli fece tremare le ginocchia.
Alexandria gli passò accanto, algida e strafottente come i primi tempi insieme. Stavolta non gli avrebbe concesso alcuna carezza, non un sorriso rassicurante o parole dolci. In quel momento era solo Z'èv, seppur il corpo non avesse ancora subito alcuna mutazione.
Levi le era alle costole, un passo solo a separarlo da lei - e quando la Contessa si fermò per aspettarlo, Noah sentì l'urgenza di riempire lo spazio.
Tentennò alla prima falcata, aumentando lo spazio che li allontanava da Akràv.
«Stammi vicino» sentì soffiare al proprio orecchio mentre un brivido freddo gli scendeva lungo il collo: «altrimenti non riusciremo a farti da scudo a dovere.» Quello di Alex non era un ordine, ma qualcosa di estremamente simile.
Deglutì, poi i suoi occhi tornarono a fissare i contorni dell'ingresso che sembrarono sfiorare le spalle di Zenas. Gli sembrò ancor più grosso, ma nemmeno quello bastò a impedire alla penombra di inghiottirlo.
Noah fece un altro passo, stavolta meno molle, poi uno ancora. Più la soglia si avvicinava, meno il suo corpo sembrava temerla - cosa che, invece, la sua mente non fu in grado di evitarsi.
Uno.
Due.
Tre.
L'istinto di chiudere gli occhi per addentrarsi nell'ignoto provò a sopraffarlo, ma si ricordò di non potersi mostrare per quel che era in realtà: un semplice contenitore rotto che doveva aver fatto colar fuori di sé l'ambrosia a cui Gaspard ambiva.
Quattro.
Cinque.
Così corrugò le sopracciglia combattendo contro se stesso per impedire alle palpebre di serrarsi.
Sei.
Trattenne il fiato e in un istante fu dentro.
L'odore d'incenso citato da Alexandria al loro arrivo gli pizzicò il naso e gli fece prudere la gola. L'aria pareva densa e difficile da respirare nonostante alle sue spalle l'ingresso fosse ancora aperto. La vista faticò ad abituarsi alla penombra fitta di quel luogo e per poco non si ritrovò a sbattere contro la schiena di Zenas.
«Benvenuti nella nostra umile Schola» la voce del Magister risuonò lungo le pareti accompagnata dal riverbero che Noah aveva udito solo in chiese e biblioteche antiche e, strofinandosi gli occhi per mettere meglio a fuoco il luogo in cui si trovava, si accorse che non doveva poi essere qualcosa di tanto diverso.
Finestre a imbuto, strette e lunghe, disposte a grande distanza le une dalle altre, facevano entrare luce a sufficienza per non brancolare nel buio. Alcuni candelabri disposti in nicchie reggevano candele che si accorse essere alimentate da vecchie lampadine. Il pavimento era composto da assi lise di chissà quale epoca messe lì a coprire i mosaici originali e sulle pareti spoglie si trovavano quadri ancor più vecchi ma per nulla corrosi dal tempo. Era forse una galleria d'arte? Aguzzando la vista, Noah riconobbe gran parte dei soggetti raffigurati. Su uno c'era una città torre, Babele, alle cui fondamenta erano raggruppati dei mostri dalle fattezze animali. Chimere, gli suggerì la mente. Su un'altra tela più piccola vi era un'ampolla al cui interno un liquido rosso circondava le caviglie di un uomo. Teneva in testa una corona e tra le mani un bastone. La rosa rossa, Rubedo, l'allegoria dello zolfo e soprattutto della fase ultima della Grande Opera: la sublimazione. Noah volse lo sguardo alla ricerca delle raffigurazioni dell'Albedo e Nigredo, ma non le trovò. Vi erano altre immagini su cui non riuscì a soffermarsi.
«Non il palazzo migliore in cui il nostro Ordine abbia avuto il piacere di soggiornare, ma come i Magister cambiano, così lo fanno le nostre sedi.» Si premurò di aggiungere Gaspard, distraendolo per un breve istante dall'analisi di quel luogo. Noah l'osservò e il ripudio nei confronti di quell'individuo crebbe ancora, convincendolo a distogliere lo sguardo. Improvvisamente si accorse di come il suo corpo fosse meno provato, seppur teso, e di come le fitte alla testa si stessero placando, lasciando dietro di loro un'insolita calma. Forse, il fatto di riconoscere l'iconografia legata all'Ars stava involontariamente generando in lui un senso di sicurezza, come se in qualche modo sapere gli avrebbe permesso di prevenire.
Un movimento leggero, poco oltre le spalle del Magister, catturò la sua attenzione. Non se ne era accorto prima, probabilmente nemmeno le Chimere lo avevano fatto, ma nelle nicchie più vicine al fondo del corridoio, alternati, se ne stavano silenziosi alcuni adepti. Nessuno dei loro volti riconoscibile, notò. Erano quattro e vestiti di scuro, ma nessuno di loro aveva partecipato allo scontro dei giorni prima.
Avrebbero dovuto apparire come una minaccia, pensò Noah, ma per qualche strana ragione non riuscì a percepirli come tale - era forse la presenza di Zenas e Levi insieme a rassicurarlo tanto? In fin dei conti si trattava delle Chimere più antiche del mondo e conosceva fin troppo bene il loro potenzial... si interruppe, rischiando quasi di sussultare. Davvero lo conosceva? Provò a pensarci, ma la voce di Gaspard tornò ad echeggiare per il corridoio.
«Non nego che avrei voluto accogliere Sua Altezza in un luogo più adatto alla sua persona, magari al Quartiere Coppedé, oppure nella sede di Malta, ma purtroppo ho avuto solo l'onore di capitare qui. Spero per voi sia sufficiente.»
Noah provò a restare impassibile e si accorse di riuscirci meglio del previsto: «Non ho alcun interesse per la cosa, la mia priorità al momento è riportare a casa le mie creature.» Persino la voce parve più profonda e non dovette essere l'unico a stupirsene: davanti a lui, Zenas lo cercò con la coda dell'occhio e, nella misera porzione di viso che apparì sopra la sua spalla, l'Hagufah notò il sopracciglio aggrottato.
Il Magister tese un angolo della bocca: «Certo, posso immaginarlo... ma se posso-»
«Preferiremmo di no.» Ringhiò Akràv, distogliendo lo sguardo da Noah che, per un momento, ebbe l'impressione che l'interruzione fosse stata ben poco apprezzata dall'alchimista. Il suo mezzo sorriso parve tremolare, ma non si scompose più di tanto.
Alla prossima, si ritrovò a pensare, probabilmente Zenas ne avrebbe subìto le conseguenze.
«Capisco l'urgenza, ma un'occasione così ghiotta è rara. Quando è stata l'ultima volta che un Magister ha avuto l'opportunità di parlare direttamente con voi? Secoli fa!» Una scintilla d'orgoglio gli attraversò lo sguardo: «Vi porterò dai vostri cari, ve lo posso giurare, ma permettetemi di sfruttare tale momento.»
Lo sguardo di Zenas tornò oltre la sua spalla. Era ovvio che stesse cercando Levi, eppure Noah avanzò di un passo: «Non siamo qui per parlare, Gaspard.»
Un brivido ben poco celato e lontano dall'essere provocato dalla paura scosse l'uomo: «Ma è per parlare con Voi che ho impedito ai miei ragazzi di poggiar mano su chi siete venuto a cercare.»
Il sussulto di Noah fu un misto di timore e sollievo e fu certo di avvertire qualcosa di simile smuovere anche i suoi compagni.
Colette e Niko erano vivi. Aveva avuto ragione sin dall'inizio, il suo sesto senso si era imposto sulla paura per un valido motivo, Gaspard stesso lo stava ammettendo!
Strinse i pugni per non gioire, perché era certo che non fosse ancora il momento giusto - non sapevano dove fossero, né cosa aspettasse loro prima di incontrarli.
«Quindi una volta finita la conversazione che accadrà? I tuoi lacchè potranno far loro del male?»
L'altro rise e il suono del suo divertimento rimbalzò lungo tutte le pareti. Si volse a guardare i quattro nascosti nelle nicchie, a cercare da loro una sorta di supporto che non arrivò, o forse lo fece in un modo che a Noah parve incomprensibile: «Far del male?» gli chiese, stupito, «Santo cielo, no!» Come fatto in precedenza, il Magister si portò entrambe le mani alla bocca per nasconderla ed enfatizzare la propria sorpresa. «No...»
No?
E allora perché da secoli le Chimere e Salomone scappavano da loro? Noah sapeva che era perché volevano far del male a Levi, Zenas, Hamza, Colette, Willhelmina, Alexandria e Nikolaij, lo sapeva con una certezza tale da essere sicuro aver vissuto quelle fughe e quelle battaglie.
«Lo scopo del nostro Ordine non è far del male alle vostre creature. Men che meno a Voi...» Gaspard fece un passo nella loro direzione e Akràv, polo uguale di un magnete differente, ne fece uno verso il proprio Sovrano, schermandolo meglio. Il nemico si fermò: «Il nostro scopo è imparare. Da ognuno di voi.»
«Lo disse anche un tuo predecessore» a intromettersi, stavolta, fu Levi: «un bel po' di secoli fa.»
Zenas seguì a ruota: «Eppure per tutti gli anni a seguire non abbiamo fatto altro che ammazzarvi per evitare di essere ammazzati.»
A Noah venne da voltarsi verso le Chimere alle sue spalle, ma si trattenne per non perdere di vista il nemico, e una frase gli passò nella mente così veloce che non riuscì nemmeno a chiedersi da dove arrivasse.
Il problema di non sapere accettare un rifiuto.
Dietro di lui, la solita mezza risata di Levi sopraggiunse: «La red flag più gettonata di questo secolo, no? Dei veri precursori!»
L'istinto di voltarsi lo sorprese, gli occhi si spalancarono. Era una sua impressione o il commento di Levi sembrava una vera e propria risposta a ciò che aveva pensato? Lo aveva forse detto ad alta voce?
Gaspad non ne sembrò felice, ma come Noah tentava di celare il fatto di non essere l'uomo che il Magister credeva che fosse, egli provò a non perdere compostezza: «Ogni cosa muta, ed essendo il tutto uno e uno il tutto, di certo anche voi e noi siamo cambiati. Potremmo collaborare per raggiungere un fine comune, un obiettivo in grado di soddisfare ogni fame.»
«E in che modo?» L'Hagufah aggrottò le sopracciglia. Il sospetto che da qualche parte vi fosse una fregatura continuava a perseguitarlo.
«Vi daremo i mezzi per raggiungere i limiti dell'Ars che ancora non siete stato in grado di superare, Vostra Grazia. In cambio, solo la sapienza che avete tenuto segreta per tutti questi secoli.» L'enfasi con cui gli stava parlando smosse in lui qualcosa. Curiosità. Sì, perché le conoscenze del Cultus, il fatto che loro stessi fossero ancora in formazione, forse avrebbero potuto aiutarlo a maneggiare l'Ars come un tempo, come l'uomo che era stato - peccato che non fosse certo di poter barattare con loro ciò che gli chiedevano. Inoltre, si chiese quali fossero i limiti che Salomone ancora non aveva raggiunto e se, in realtà, fosse rimasto qualcosa da scoprire; con l'amaro in bocca, Noah si convinse che sicuramente si trattava di più di quello che al momento lui sapeva. Ed ecco in cosa si assomigliavano il Re del passato e l'ombra di adesso. Zenas lo aveva detto più volte durante i suoi racconti tra la preparazione di una leccornia e l'altra: Salomone aveva fame di conoscenza, un bambino di fronte ai regali di un Natale eterno. Era stata quella sua bramosia a fargli apprendere le leggi dell'Alchimia, a dargli le armi per alimentare la sua magia, per riportare in vita una persona: la prima di tante, di sette nello specifico. La prima delle Chimere. Ed era stato sempre per il suo desiderare di più che aveva sfidato il mondo intero, la legge naturale delle cose. E più apprendeva, più andava avanti, più si rendeva conto che nel profondo tutto resta uguale pur cambiando. L'Ars prendeva per restituire, non importava se si parlasse degli elementi che componevano un oggetto o della morte che sostituiva la vita: niente si creava dal nulla. Il tempo procedeva, le civiltà cambiavano, ma inesorabilmente la conoscenza e la bramosia portavano a desiderare di più, a generare guerre in un circolo vizioso senza fine - un uroboro le cui scaglie rappresentavano gli eventi e le genti. Persino le sue Chimere avevano trovato altre persone da amare quanto se non più di lui, mentre Salomone non si era concesso realmente il tempo per farlo, troppo preso a occuparsi di loro e della propria curiosità mai sazia, finendo per aprire ferite profonde sulle quali avrebbe continuato a gettar sale. Tutte loro avrebbero voluto andarsene, ma sarebbero sempre tornate indietro perché piagate. E quindi lui dava l'illusione del cambiamento, di lasciar loro provare cose nuove, ma finiva con l'inghiottire nuovamente la coda di ogni esistenza che seguiva quella precedente.
E Noah non voleva più essere quell'uomo. Per quanto ci avesse sperato al suo arrivo da Colette, con il tempo aveva appreso cose di sé che gli avevano fatto credere che l'amnesia fosse stata un bene. Poteva essere migliore. Voleva esserlo. Avrebbe permesso loro di creare il proprio cerchio di eventi, concedendo alle Chimere la libertà di tornare da lui solo se lo desideravano davvero. Sarebbe stato diverso da quel giorno per tutti quelli a venire - peccato che per farlo avrebbe dovuto accogliere una convinzione di Salomone, dimostrandosi ancora un po' simile a lui.
«Se accettassi cosa dovrei fare, esattamente?»
«Che diamine ti sta frullando in testa, N-» Prima che Zenas potesse pronunciare il suo nome, Noah gli afferrò una spalla. Strinse a sufficienza per fargli capire di tacere, di lasciargli prendere il comando. Non era forse lui il Sovrano?
Il sorriso di Gaspard si allargò tanto da mostrare una striscia di denti bianchi: «Ad apprendere e perfezionare.»
«Cosa?»
«Il Processo. Il modo corretto per usare l'Ars, per arrivare al compimento dell'Opus.»
«Non è cosa che tutti possono fare» avrebbe voluto deglutire, ma non ci riuscì. Temeva quali fossero le finalità del Cultus perché, come gli appunti di Salomone gli avevano fatto intuire e le Chimere avevano confermato poi, l'Opus era il dominio completo dell'Ars, l'ascesa a divinità. Le ɛvɛn stesse erano scarti del processo che precedeva quell'ambizione, potere condensato, artificio per ripristinare gli equilibri di corpi mostruosi - e cosa erano le divinità, se non mostri idealizzati? Lo stesso Dio che lui e Levi avevano venerato si era rivelato una sorta di demonio, strappandoli l'uno dall'esistenza dell'altro, provocando un dolore tale da squarciare corpo e anima. «Ve lo dico per esperienza, e anche se uno solo di voi riuscisse nell'impresa... a quale scopo? E siete certi che il vostro Araldo sarà disposto a obbedirvi?» disse in un fiato, finendo con il mimare una smorfia sospesa tra disapprovazione e sconcerto. Perché non riusciva a ricordare l'obiettivo esatto di quella setta? Perché gli pareva di non star cogliendo i giusti segnali?
Il Magister abbassò il capo come a voler nascondere un sorriso, poi si volse verso la fine del corridoio. Tese il braccio in direzione di un'enorme porta scura, intagliata con simboli che da quella distanza Noah non riuscì a riconoscere ma che sembrava aspettarlo come un patibolo. Lì dietro, ne fu certo, avrebbe trovato risposte a domande che si sarebbe pentito di aver posto.
«Un tale uomo e una visione così limitata...» Gaspard tornò a fissarlo: «Non vi avrei mai creduto, eppure...» si morse il labbro inferiore, trattenendo con evidenza un sospiro, «Lasciate che vi illumini» d'improvviso girò sui propri tacchi, dando loro le spalle. L'alchimista prese a camminare ancora, riducendo pian piano lo spazio tra sé e la porta. Noah cercò con lo sguardo Levi, incapace di decidere cosa fare. Avrebbe dovuto seguirlo? Oppure doveva aspettare che facesse qualcosa? Ed era saggio avanzare lungo quel corridoio senza sapere cosa li stesse realmente attendendo? Confidò con tutto se stesso di non dover prendere da solo quella scelta e, in risposta alle sue preghiere, Nakhaš socchiuse appena le palpebre. Era un'asserzione, un tacito invito a seguire il nemico verso l'ignoto ancora una volta. Doveva fidarsi di Gaspard e quell'idea lo fece trasalire. La sensazione di mille mani addosso, come gli era già capitato di provare in passato, arrivò all'apice di quel brivido. Noah avvertì pressione intorno ai polsi e alle tempie, dita sconosciute afferrargli le caviglie, polpastrelli invisibili pigiarsi sulla pancia facendo contorcere lo stomaco. Si rese conto essere paura, ma non sua - o quantomeno, non solo. Era infatti quella di centinaia di altre vite, di tutte le esistenze che aveva affrontato. Il numero di mani era proporzionato al numero di volte in cui l'aveva provata con tale intensità. E, a quanto pare, Salomone non era stato intoccabile quanto avrebbe voluto o creduto.
Notando la sua esitazione Levi gli disse qualcosa, un "yesh lekhe oti (hai me/ci sono io)" sibilante che lo convinse a mordersi forte la lingua per scacciare tutte quelle dita che sentiva addosso.
Noah tornò a guardare Gaspard, ormai più vicino alla porta che a loro.
Qualunque cosa lo stesse aspettando, si ripeté, aveva Nakhaš. E Z'èv. E Akràv. E pregò con tutto se stesso anche Wòréb e Akhbàr.
Il primo passo fu difficile, il secondo anche. Il terzo venne più naturale e, al quarto, Zenas gli comparve davanti per mantenere fede al suo ruolo di scudo.
«L'ottenimento della Pietra Filosofale potrebbe essere già una prova eloquente di chi si meriti un tale ruolo» La voce del Magister rimbombò, coprendo il martellio sempre più doloroso del suo cuore nel petto. «Non tutti possono ottenere un onore del genere, così come non tutti gli adepti possono ambire al ruolo di Magister. Solo i migliori otto, ma sfortunatamente per noi, molti sono ormai vecchi decrepiti, quindi...» gli adepti nascosti tra le nicchie del corridoio abbassarono lo sguardo non appena Noah passò loro davanti, una sorta d'inchino che lo fece sentire a disagio. Non sembrarono udire le parole di Gaspard, quel suo commento così scomodo per un uomo nella sua posizione - oppure finsero di non farlo, succubi del suo fascino.
«Il candidato migliore saresti tu» Anche la voce di Zenas risuonò teatrale lungo le pareti e l'istinto di afferrargli un lembo della maglia fece pizzicare le dita di Noah, ma resistette all'impulso, concentrandosi piuttosto sugli intarsi finalmente visibili della porta.
Divisa a metà tra tra le due ante, un'altra figura appartenente al concetto dell'Opus Magnum, l'Aura Catena Homeri, una scala composta da dieci cerchi al cui interno vi erano altri simboli, troneggiava sopra le loro teste per più di un metro.
«Oh, suvvia, onorevole Akràv! Così mi lusingate...»
Alle proprie spalle, il sussurro di Alex catturò Noah più del teatrino di Gaspard.
«Sangue. L'incenso serve a coprire il fetore del sangue.»
Le mani della paura strinsero l'addome, i palmi presero a sudargli. L'Hagufah sentì il proprio corpo venir imprigionato, i pensieri farsi confusi. In che senso c'era odore di sangue? Non era stato detto che Nikolaij e Colette erano salvi, che nessuno li aveva toccati? L'aria sembrò restargli bloccata in gola. Li aveva forse fatti condannare tutti?
«Non mi arrogherei mai un tale titolo, ma Salomone d'altro canto...» lo sguardo lascivo dell'alchimista gli sfiorò il viso e Noah si costrinse a ricambiare, tentando in tutti i modi di apparire meno preoccupato di quanto fosse in realtà: «avete già controllato, piegato, ma mai usato fino in fondo, anche se ne sareste in grado, il vero potenziale dell'Ars, Sire... e noi possiamo stare al vostro fianco per istituire un nuovo ordine, una nuova società in cui sarete un Dio e il Cultus, gli alchimisti, i vostri angeli».
All'unisono, le Chimere si lasciarono sfuggire dei lamenti.
«E noi? Siamo stati solo una scusa per arrivare a Salomone?» ringhiò Zenas.
«Dovrebbe essere lui il vostro Araldo?» mugugnò Alex.
«Uh, allora avete sempre puntato a ricreare una copia di... com'è che si chiamavano quei posti? Agarthi e Shamballah, ma in chiave più lobbystica?»
Un altro brivido scosse Noah, il dolore alle tempie rimontò e per un momento gli parve che la vista fosse sul punto di offuscarsi.
Santo cielo... non solo era un Re millenario, un mezzo despota e uno tra i più grandi alchimisti della storia, ora quei pazzi volevano addirittura trasformarlo in un dio e tenerlo al guinzaglio. Di certo, dovevano essere molto sicuri del loro piano.
«Non è ciò che desidero» soffiò.
«Ma è ciò che è necessario fare» lo riprese Gaspard.
La mano di Alexandria lo raggiunse, afferrandogli un braccio e scacciando parte della paura: «Il mondo non ha bisogno di un nuovo ordine o di uomini con il potere degli dèi.»
Con disinvoltura, il Magister poggiò il palmo sull'enorme porta, proprio a metà tra il penultimo e il terzultimo cerchio: «Ne siete sicuro? Voi, che avete vissuto decine e centinaia di vite, che avete scorto quanto ripugnante può essere l'animo umano privo di una guida solida, non volete raggiungere la pace?»
Noah dapprima deglutì, poi scosse la testa.
Gaspard soffocò una risata, ma non riuscì a nascondere il sorriso. Con l'indice della mano libera tornò a puntare verso i suoi ospiti, tenendo un ritmo immaginario: «E' proprio per questa vostra ostinazione e poca ambizione che le Chimere sono diventate fondamentali. Sapete» con quella sua lingua piccola e biancastra si passò le labbra, «all'inizio i miei predecessori davano loro la caccia in quanto possibilmente utili per le nostre ricerche. Nessun membro del Cultus è mai riuscito a ricrearne una, nemmeno lontanamente. Un vero, o meglio, un immenso peccato visto che avrebbero potuto essere il nostro esercito di mezze-divinità, ma poi ci è balzata, anzi, mi è balzata all'orecchio un'altra possibilità. Perché avere qualcosa di incompleto, quando avremmo potuto ambire a Voi?»
L'istinto di fare un passo indietro prese Noah alla sprovvista. Sentì il tallone staccarsi da terra, tentare la persuasione alla fuga, ma dove avrebbe potuto fuggire? Davanti a lui c'era un alchimista ovviamente più capace di lui, attorno anche. Nemmeno sparare sarebbe servito a qualcosa.
«Con il potere di un Dio potrei distruggervi, minacciarmi è inutile.»
Il cigolio della porta corse lungo il corridoio e le sue pareti, riverberò nell'aria e nel corpo di Noah molto più forte di quanto ci si sarebbe aspettati. Perché era certo che non sarebbe servito?
«Abbiamo messo in conto anche questa possibilità, Sire. Ma abbiamo tempo per farvi capire la vera importanza di questo progetto e sappiamo che, nonostante la vostra poca ambizione e la visione limitata solo al vostro desiderio puramente personale, siete un Sovrano e di conseguenza volete solo il meglio per il vostro popolo.» Una striscia dorata, calda, squarciò la penombra del corridoio inondando sempre più la figura del Magister, ora circondato da un'aura ben più minacciosa.
Akràv per un momento parve spaventarsi e nell'arretrare per poco non gli finì addosso. La luce però non gli fece nulla, piuttosto ferì gli occhi di Noah che dovette socchiudere le palpebre e alzare un braccio innanzi al viso per proteggersi. La presa di Alex si fece più forte, quasi lo trascinò a terra e, ancora una volta, la sentì ringhiare mestamente "sangue". Ma di chi? Che diamine c'era in mezzo a tutto quell'oro? Le ginocchia dell'Hagufah tremarono, oltre la pelle delle palpebre vide qualcosa muoversi, ma non fece in tempo a riconoscerla - poi dalla veemenza riconobbe le dita di Levi afferrargli la spalla, come ad assicurarsi che non potesse sparirgli da sotto il naso.
«Un popolo che al momento è composto solo da sette creature, ma che presto potrebbe essere immenso.»
Nonostante il bruciore, Noah si sforzò di sbirciare sopra al proprio braccio. Seguì il fascio di luce da terra, per abituarsi, ai piedi del Magister. Si era allontanato, il portone ora quasi completamente aperto. Con il cuore in gola, fece salire lo sguardo lungo i pantaloni del completo, sulla giacca saltando di bottone in bottone. Sfiorò con l'attenzione le sue braccia spalancate prima di ritornare al viso, a quel sorriso mefistofelico, allo sguardo ora febbrile e minaccioso.
Alexandria dietro di lui annaspò, mollando la presa sul suo braccio e investendolo con il proprio sgomento, così intenso da sovrastare qualsiasi altra sensazione.
Cosa aveva visto? Di cosa si era accorta?
Poi una goccia cadde proprio sulla manica di Gaspard, distorcendogli la smorfia.
Noah sollevò lo sguardo e inorridì.
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