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Capitolo trentaduesimo: I nodi che tornano al pettine

"And if the sinner's asleep then how can I rattle his cage?
I'm so sick of these dark days chasing me further underground
But I'll find my way to light and you'll find your own demise
We were not born the enemy and we will not stop for anything
So try to tell me all the things that I've done wrong
This fire will burn until we fall"

- Rise for the Runaways, Empire the Crown


A Nikolaij era stata concessa un'ora per raccattare tutte le sue cose e farsi trovare nei pressi del porto; lui aveva impiegato solo quaranta minuti per tornare all'appartamento che aveva affittato, prendere lo zaino da trekking grande la metà del suo corpo e raggiungere Alexandria e Colette nella Lancia Thema nera che la sorella maggiore aveva comprato da un vecchino di zona. Levi aveva affidato a loro il compito di recuperare la settima Chimera, ma Z'év non avrebbe saputo spiegare con certezza il motivo di tale decisione. Forse voleva tenere Niko lontano da Noah visto ciò che era successo, forse preferiva stare di persona accanto al Re dopo il flashback destabilizzante. Probabilmente aveva valutato il fatto che in auto con due donne un ragazzino avrebbe destato meno sospetti, oppure, nel più insolito dei casi, aveva preso quella decisione per evitarsi i battibecchi tra Wòréb e Akhbar, come se a lei, invece, non dessero sui nervi.

Con le mani strette intorno al volante di plastica Alex lanciò uno sguardo veloce allo specchietto retrovisore, incontrando il sorriso innocente del fratellino.
«Hai paura che sparisca ancora?» Le chiese poggiando la testa sul finestrino. Lei tornò a guardare la strada. La radio trasmetteva un brano dei The Libertines di cui ricordava il motivetto, ma la tensione che si respirava nell'abitacolo le impedì di godersi il momento. Avrebbe dovuto gioire, Nikolaij era finalmente tornato da loro e all'appello mancavano solo due fratelli, eppure non ci riuscì. Accanto a sé aveva una persona che l'odiava, forse pentita di non essere riuscita a spaccarle il cranio prima che intervenissero le altre Chimere e, alle spalle, aveva colui che per poco non aveva fatto venire un infarto al Re, mettendo nuovamente tutto a repentaglio.
Forzò un sorriso.
«Tranquillo, akh, ho la sicura alle portiere posteriori proprio per evitare la fuga di mocciosi come te.» Persino senza guardarla era chiaro che Colette stesse gongolando per la battuta; non si sarebbe fatta sfuggire alcuna occasione per punzecchiarlo e, di rimando, nemmeno lui.
«Non pensavo che un'auto da nonna come questa potesse avere un simile optional!»
«È vintage, si vede che in questi anni non hai sviluppato alcun gusto.»
«È quello che ti ripeti allo specchio ogni mattina per giustificare il calo di spasimanti?»
Alex dovette frenare l'impulso di ridere mordendosi la lingua. Fortunatamente a distrarla c'era anche il traffico della A55.
«Almeno io li ho, o sbaglio? Anche perché nel tuo caso non si tratterebbe di pedofilia?»
Z'év ebbe un sussulto, i suoi occhi si fecero grandi di imbarazzo e stupore e il piede scivolò sul freno rischiando di farla inchiodare: «Ti sembrano cose da dire?» Per la prima volta dopo giorni i loro sguardi si incrociarono. Faccia a faccia con la sorella, Alexandria si stupì di come i suoi occhi fossero rimasti così profondi e vivi.
«Beh, non è così? Avrà pure il corpo di un marmocchio, ma è pur sempre un centenario, come definisci la cosa?» Per un momento soppesò la logicità di quel commento, poi riprese a guardare fissa la strada. Non era certa che rispondere sarebbe stata la scelta migliore.
«E comunque,» riprese Colette, ravvivandosi una ciocca sfuggita dal mollettone: «che hai combinato in questi anni? Ricordo che eri partito con Hamza e Will.»
Niko fece spallucce. Dallo specchietto Alex lo vide girare il viso verso la corsia accanto e riflettere.
«Li ho persi a Basilea. Il Cultus ci stava addosso e tra un vicolo e l'altro abbiamo finito con il separarci. Avrei potuto aspettarli all'ostello in cui alloggiavamo, ma era troppo rischioso» fece una pausa per strofinarsi il naso, lo sguardo ancora perso sulle macchine che stavano sorpassando: «Così dopo qualche giorno, forse una settimana da solo ho deciso di prendere in mano la situazione. Se fossi rimasto lì sicuramente sarei morto.»
«E che hai fatto?» Gli domandò Z'év cercandolo nel rettangolo di specchio. Era curiosa, ben più di quanto si sarebbe aspettata - dopotutto era in parte colpa sua se suo fratello era finito a vagare come un orfano per il mondo. Inoltre, quel suo corpo doveva avergli reso le cose ancora più difficili.
Akhbar fece un grosso respiro, poi tornò a guardare verso il cruscotto: «Ho cercato le mie origini. Mamma e papà venivano dalla Polonia, quindi lì avrei trovato dei parenti. C'erano dei cugini ancora in vita e i loro figli. Me la sono giocata bene e mi sono fatto ospitare per qualche anno, poi... beh, con questo aspetto non potevo restare per molto, quindi ho finto di morire e ho girato per un po'. Alla fine sono tornato alla casa di San Pietroburgo.»
Un nodo strinse lo stomaco di Alexandria. Anche lei aveva pensato di tornare nella propria terra, cercare i pronipoti delle sue sorelline e vedere quanta strada il sangue dei Varàdi avesse fatto, peccato che al momento di scegliere la propria destinazione era finita a Innsbruck. Aveva passeggiato per la città, ripercorso i sentieri di ghiaia del giardino in cui era morta. Aveva vagato per i corridoi di una villa ora museo ricordando i suoi giorni lì e, una volta raggiunta la sala da ballo, aveva chiuso gli occhi e ricordato il valzer che era stato suonato in suo onore. Una danza a cui il suo futuro marito si era negato e che aveva permesso a Salomone di farle da cavaliere. Era stato in quel preciso istante che aveva capito di non poter più tornare a "casa", perché l'unico luogo degno di quel nome era scomparso insieme al Re e alle altre Chimere.

D'un tratto il cartello con lo svincolo per la D9 balzò davanti agli occhi di Alex, riportandola al presente.
In meno di tre quarti d'ora sarebbero arrivati a destinazione, constatò mentre si destreggiava tra gli altri veicoli per arrivare in tempo all'uscita.

«Non è stato semplice, questo è certo, ma non posso negare di essermi anche divertito. I domestici pensano io sia il figlio del padrone. Ho fatto credere loro che per affari vive a Dubai, ma che preferisca io abbia un'educazione tradizionale.» Un nuovo sorriso gli tese le labbra.
«Ti piace proprio mentire, eh?» Colette tirò fuori un burro cacao. Sembrava che quel suo commento fosse più un pensiero detto erroneamente ad alta voce che una vera domanda.
Nikolaij si sporse verso di lei, le mani a ghermire il poggiatesta della sorella maggiore: «È l'unica costante che mi è rimasta. A te no?»
Wòréb abbassò il parasole avvicinandosi allo specchio, si passò lo stick sulle labbra carnose e poi le premette tra di loro per omogeneizzarlo sulla superficie: «Ora abbiamo Salomone. La mia costante è lui.»
Il cuore di Alexandria iniziò a battere forte.
«Ma non c'è stato per gli ultimi trent'anni, questo non lo rende una costante.»
Lo percepì a ridosso della gabbia toracica, sempre più impetuoso, gonfio di ansia. Sapeva che prima o poi sarebbero arrivati a quel discorso, sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto fare i conti con quel giorno e con i propri fratelli, Colette in particolare.
«Ventotto, per la precisione.» Le sentì dire con la stessa nonchalance dei commenti precedenti: «Ma anche nell'assenza, lui c'è sempre stato. Lo abbiamo intorno a noi quando abitiamo le case che ci ha lasciato, quando usiamo le ricchezze che ci ha concesso. Lo abbiamo addosso grazie al sigillo e dentro per colpa dell'Ars e del suo sangue. Salomone è una costante.» Eppure Alexandria non era certa che quel pensiero fosse stato, per la sorella, un mantra durante gli anni precedenti.
Niko tornò al proprio posto: «Il Salomone che ho visto prima non mi sembrava così... saldo. O sbaglio?»
«Solo un'impressione-»
«Akhòt» a quel punto, con un principio di dolore al petto, Alex non riuscì a frenare la lingua: «Akhbar ha ragione. Noah non è ancora l'uomo di un tempo, non è...»
«Noah?» Improvvisamente la ragazza sentì addosso gli occhi di entrambi i fratelli. Nikolaij la osservava con evidente confusione, come se non capisse.
«Il suo nome. Si chiama Noah.»
«Il nome dell'hagufah, intendi» la imbeccò il bambino.
Colette incrociò le braccia sotto il seno, la testa scattò con quel suo solito tic.
«No, il suo.» Le sembrò che la gola si stesse seccando, eppure non si fece intimidire. Niko doveva capire ed era meglio se iniziava a farlo sin da subito. Meno domande faceva a Noah, meglio sarebbe stato per lui. Non aveva bisogno di altri dubbi, di affrontare ancora una volta il caos che la sua situazione poteva generare. «Lui è Noah Dietrich e sarà tale finché non ci dirà di essere pronto.»
«N-non credo di capire...»
Z'év si bagnò le labbra, poi morse l'inferiore pensando a come spiegare in modo semplice ogni cosa - si arrese in fretta.
«Non sappiamo come né perché, ma ha perso la memoria. Salomone è... da qualche parte dentro il nuovo hagufah.»
«No, aspetta...» incoscientemente Akhbar si slacciò la cintura, portandosi in mezzo ai sedili anteriori per poter osservare meglio il viso delle sorelle: «mi stai dicendo che quello non è il nostro Re?»
Alexandria fece un sorpasso azzardato, soprattutto visto il motore della Lancia: «No! No, assolutamente» pigolò: «lui è il Re, solo che non ne ha memoria.»
«E come avete fatto a convincerlo a seguirvi? Come diavolo lo avete trovato? Insomma, lui era... morto. Io c'ero! E tu pure! Lo abbiamo visto venir ferito, cadere dalla scogliera... c'era il suo sangue tra le onde!»
Un conato di vomito colse Alexandria alla sprovvista, sentì l'acido della colazione risalirle in gola. Dannazione se ricordava quel giorno! Se si sforzava poteva persino ricordare il sapore ferroso e salato dell'acqua di mare quando si era immersa.
Colette distolse lo sguardo. Non disse nulla e per un istante parve smettere anche di respirare. Il suo silenzio fu assordante perché permise all'eco delle sue grida di sfiorare le orecchie di Z'év.

Quanto mancava a casa? Quanto tempo doveva ancora sopportare quella conversazione e le reazioni del proprio corpo?
Alexandria fece cadere lo sguardo sul display del cellulare, il navigatore a darle sicurezza e conforto.

Dieci minuti.

«L-Levi lo ha incontrato per caso e... beh, quando lo abbiamo rivisto Noah ci ha riconosciuto.»
«Come? Hai detto che non ha memoria!»
Perché cavolo si era imbarcata in una situazione simile? Avrebbe fatto bene a cambiare discorso, a lasciare a Levi la responsabilità di informare Niko - o forse averlo fatto salire in auto con lei faceva parte del suo piano.
«Ha dei flashback!» Sbottò prima di abbassare il finestrino per pagare il casello. Goffamente cercò i soldi e ripartì appena la sbarra si alzò davanti a loro. «Lui... si è ricordato alcune cose, per ora.»
«E dell'Ars? Che mi dici di quella?»
Alex sussultò. Un altro tasto dolente con cui dover fare i conti.
«Non la controlla come una volta» soffiò Colette: «ma la può usare.»
«E allora come facciamo a essere sicuri che sia Salomone? Chi ci assicura che non sia un erede? Qualche nipote nato da un bastardo che si è lasciato dietro?» Il tono di Nikolaij stava prendendo note sempre più acute, la sua espressione era una maschera di pura preoccupazione - e come biasimarlo? Gran poco di quello che gli avevano detto sembrava essere sufficientemente rassicurante.
«È lui.» Tuonò Wòréb: «Il sigillo non mente e se tu non lo percepisci forse non sei abbastanza Chimera. Noah» sottolineò quel nome in modo teatrale e ad Alex sembrò quasi che si stesse sforzando a chiamarlo così: «ha gli occhi di Salomone. Non solo per il colore, ma anche per il modo che ha di guardarci. Nessun discendente potrebbe ricordare ciò che i flashback gli hanno mostrato.» Un silenzio spesso calò nell'abitacolo, avvolgendo tutti in una coperta di disagio e fastidio. Non era chiaro il motivo di quelle sensazioni, eppure Z'év poteva distinguerle nitidamente.

L'auto imboccò il sentiero di casa. Niko si rimise a posto senza aggiungere nulla. Quegli ultimi metri parvero interminabili. Non importava quanto l'edificio o l'auto dei fratelli si facessero grandi e definiti, ad Alexandria parvero irraggiungibili - ma infine arrivarono a destinazione.
Nello spegnere il motore si concesse di deglutire la saliva che era rimasta immobile nella sua bocca per tutto quel tempo. Era finita, pensò.

«Non ero mai stato qui» bisbigliò Akhbar più a se stesso che a loro. In effetti lui aveva visto gran poco dell'Europa: nei settant'anni insieme avevano viaggiato oltreoceano sì, bazzicato in Russia e in Portogallo, ma nulla più. Nikolaij aveva molto da recuperare e, forse, ora che avevano Noah sarebbero riusciti a mostrargli tutto.
Lo scatto della serratura arrivò un istante dopo quel pensiero. Svelto il ragazzino aprì la portiera: «Grazie per il passaggio, ragazze» e in un istante fu fuori. A Z'év sembrò quasi che il fratello stesse correndo verso la porta, lontano dalla tensione, e desiderò anche lei poterlo fare; tuttavia, per rispetto nei confronti di Colette, esitò ancora un momento concedendosi un sussurro: «E anche questa è fatta.» Provò ad abbozzare un sorriso, ma dubitò la smorfia potesse apparire in qualche modo piacevole, così portò la mano sinistra alla maniglia, spalancò la portiera e si sporse fuori dalla cabina - in fin dei conti dovevano star aspettandole, no?

Nell'uscire dall'abitacolo però si ritrovò la giacca impigliata in qualcosa.
Abbassò lo sguardo per incontrare le dita della sorella e il cuore perse un colpo.
«Alex...» non la stava guardando, probabilmente dopo la conversazione con Akhbar doveva costarle fatica, eppure per lei era sufficiente a farla sentire come una scolaretta davanti alle prime difficoltà.

«Io... ani rotseh ledaber (mi piacerebbe parlarti).»
«Bameh medubar? (di cosa si tratta?)» Con la gola secca si abbassò a sufficienza per poterle guardare il viso. Era sempre stata bellissima, persino con quella smorfia crucciata. Alexandria l'aveva invidiata per tantissimo tempo.

L'altra chiuse le palpebre lasciando cadere la testa all'indietro. Pareva riposarsi dopo una grossa fatica: «Al hayom hahu (di quel giorno).»
Z'èv sentì il sapore acido del rigurgito tornare a farle visita. Non era pronta a sentirsi additare ancora una volta, ancor meno desiderava discutere con la sorella.
«Ti prego, non ho le forze per parlare ancora del passato.»
«Ma il passato ci definisce, Alex, e io ho bisogno di parlartene» quando riaprì le palpebre, gli occhi di Wòréb si posarono su di lei, macigni a tenerla ferma in quella posizione scomoda. «Quella volta sbagliai a prendermela con te. Non è stata colpa tua, ma io...» una risata nervosa le sfuggì dalle labbra: «non riuscivo ad accettare il fatto che avessi perso anche Salomone. Vedi, dopo Nicholas... no, non potevo perdere un'altra persona così importante, fondamentale per la mia esistenza.» Un velo umido le riempì gli occhi, ma nessuna lacrima volle osare cadere: «Dover accettare il fatto che non ci fosse un colpevole da accusare era inconcepibile per me, ma questo non doveva darmi il diritto di provare a ucciderti. Tu sei mia sorella e il bene che ti voglio... è immenso, davvero» gli angoli della sua bocca si piegarono verso il basso, ma Colette parve voler nascondere il dolore riportandoli al loro posto - tentativo vano. «Non sono pazza fino a quel punto e non voglio essere ricordata da te in quel modo.»

Istintivamente Z'év scattò dentro all'abitacolo, le ginocchia ad affondare nel cuscino del sedile come il suo viso nei capelli della sorella.
Sentiva il cuore gonfio, pronto a esplodere, ma anche lei trattenne le lacrime.
«Ricordo tante cose di te, Colette. Ricordo il giorno in cui mi togliesti di dosso i resti di Alexandria Orsòlya Varàdi con una spugna ruvida e dell'acqua fredda, in un catino nella soffitta di un ostello. Ricordo tutte le volte, nelle settimane che seguirono quel momento, in cui ti infilasti nel mio letto per abbracciarmi e dirmi che era solo questione di tempo, che alla fine una vita sarebbe valsa come un'altra» respirò il suo profumo al gelsomino e sandalo beandosi della sensazione di familiarità che le riempì i polmoni. «Ho memoria delle tue lezioni sulla seduzione e dei consigli di bellezza che non ho più messo in pratica. Ho stampate nella mente le nostre passeggiate e le fughe, i regali inaspettati e le volte in cui mi hai protetta come una sorella maggiore. Ricordo ogni cosa bella che hai fatto per me, akhòt» il primo singulto di Colette le fece quasi battere la testa contro il tettuccio: «ma purtroppo ricordo anche fin troppo bene che quel giorno pregai tu riuscissi a spaccarmi il cranio su quel fottuto pavimento.» Ringhiò dolcemente, certa che quelle parole avrebbero fatto male quanto un morso: «Io ho distrutto tutto. Voi per primi. Levi più di ogni altra persona al mondo. Meritavo tutto l'odio che foste capaci di partorire... nondimeno ho sempre saputo, mentre mi stringevi il collo e mi picchiavi la testa sulle piastrelle, che alla fine sarei morta amata.» Lentamente, Alexandria si staccò dalla sorella. I loro sguardi si incrociarono, unendosi come calamite. L'orrore sul viso di Wòréb le strinse lo stomaco, eppure riuscì a trovare la forza di tendere un sorriso a labbra strette.
«Ma grazie, akhòt. Ho desiderato sentirti dire queste parole dal giorno in cui Noah è tornato nella nostra vita.»

Ania:

Sento in lontananza il rintocco delle campane che suonano a festa.
Sì, ho ufficialmente finito la prima rifinitura dei capitoli "bozza" che avevo pubblicato anni fa.

Da ora parte il lavoro verso l'epilogo di questa avventura!

A voi che siete arrivati sin qui chiedo con tutto il cuore la cortesia di darmi un piccolo feedback, se ne avete modo, altrimenti ci rivedremo alla fine di questo percorso.

Per il resto, buona serata <3

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