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21 Dicembre 1857 Italia, campagna Toscana.

Sospirai e guardai a lungo fuori dalla finestra alla ricerca di un qualche impertinente fiocchetto di neve. Nei giorni precedenti erano scesi dolcemente alla spicciolata inaugurando così l'inverno italiano, ma ora sembravano aver voglia di giocare a nascondino e di imbiancare il nostro territorio non sembravano averne nemmeno la più recondita intenzione. Mossi lievemente la mano destra in cui tenevo quella maledetta lettera appena ricevuta. Accidenti alle stelle e al cosmo che mi giravano sempre a sfavore. Tirai su nuovamente quel maledetto pezzo di carta e lessi, per l'ennesima volta, quella manciata di righe.

Cara Marie,
Come stai? Siamo molto preoccupati qui su! Da quando sei partita non abbiamo ricevuto notizie, sei sicura di aver spedito le missive all'indirizzo giusto? Comunque io ed Alex volevamo farti i nostri più sentiti auguri di buon compleanno con la promessa che quando tornerai su festeggeremo tutti insieme.
Volevo anche dirti che sei invitata ufficialmente al matrimonio mio e di Alexander. Sono così contenta, non puoi neanche immaginare la mia gioia! Finalmente potrò sposarmi con l'uomo della mia vita e anche la salute sembra essere dalla mia parte.
Ti aspettiamo per la prossima estate, anche prima se riesci ad anticipare la tua salita.
Con molto affetto,
Nina ed Alex.

«Per la miseria, o si sono perse le lettere per strada o il postino sta complottando contro di me!» Sbraitai nervosa e decisi di dare fuoco anche a quella lettera.
«Mannie stai calma, non agitarti così.» Tommaso mi si fece vicino a prese a massaggiarmi le spalle indolenzite. Ormai ero agli sgoccioli della gravidanza a qualsiasi posizione mi era scomoda. Stare in piedi mi era probito. Avevo i piedi così sformati che le mie adorate scarpine non calzavano più ed ero costretta a girare con delle ridicole pantofole.
«Mi aiuteresti ad alzarmi? Voglio fare alcuni passi per non far addormentare totalmente i miei arti.» Allungai le mani verso di lui che non esitò ad afferrarle. Mi aiutò ad issarmi sulle gambe quando una dolorosa fitta pervase le mie carni trovando come epicentro il mio basso ventre. Mi chinai in avanti cercando di limitare il dolore mentre dei versi di dolore fuoriscivano a fiumi dalla mia bocca.
«Mannie?! Che hai?»
«Credo...credo...» Un urlò bloccò le mie parole. Quelle fitte erano così dolorose da non permettermi di ragionare lucidamente. Una serie di bestemmie volarono dalle labbra di Tommaso mentre si destreggiava a chiamare mille servi in modo che potessero far arrivare Elizabeth.
«Stai calma va bene? Ora ti metto sul letto e vediamo cosa dice Beth va bene?» Non lo ascoltai nemmeno in quanto il mio vestito era chiazzato scuro al centro delle mie gambe.
«Oh per la miseria.» Mi prese in braccio e mi adagiò sul materasso.
Mi tolse il vestito velocemente preferendo farmi stare più comoda con una camicia da notte.
La mia amica arrivò come una furia e mi spalancò le gambe senza farsi troppi problemi.
«Dobbiamo aspettare, sei appena entrata nella fase ma ancora non sei pronta.»
«Ma fa male!» Mi lagnai ma non ricevetti risposta.
Strinsi la mano di Tommaso e lo guardai preoccupata.
«Se qualcosa dovesse andare storto, ti prenderai cura tu del mio piccino?»
«Non succederà nulla suvvia, non fare questi pensieri.» Gli strinsi forte la mano e lo guardai negli occhi.
«Non possiamo saperlo, promettimi solo che qualsiasi cosa accada ti prenderai cura di lui.» Con la mano libera mi accarezzò i capelli e poi fece scorrere il pollice sulla mia fronte. «Ma certo, farei di tutto per voi due.»
Annuii soddisfatta e rincuorata dalle sue parole.
Rimasi nel letto a contorcermi per un tempo che parve infinito. Il sole aveva compiuto quasi tutto il suo dovere quando sentii dei dolori lancinanti e qualcosa premere nel mio basso ventre.
«Eccoci! Ci siamo!» Urlò Elizabeth. Due cameriere mi tenevano le cosce larghe con le mani, non volevano che io le richiudessi per colpa di un riflesso condizionato.
Tom era rimasto accanto a me per tutto il tempo, non si era mai allontanato. Mi si fece più vicino e mi baciò la tempia.
«Dai che ce la fai piccola stella.» Gli rivolsi uno sguardo iniettato di dolore. Mi feci coraggio e cominciai a spingere con tutta la forza di cui ero padrona. Un lungo urlo si impossessò delle mie corde vocali mentre continuavo a spingere senza sosta.
«Vedo la testolina! Continua così!» Piansi tutte le lacrime di cui disponevo, urlai usando tutte le note che la mia voce offriva e spinsi tanto per portare alla luce quella piccola creatura che per nove lunghi mesi aveva scavato un posto nel mio corpo e nel mio cuore.
Gli incoraggiamenti di Tommaso vennero sostituiti dal pianto del bambino. Mi accasciai, stremata, sui morbidi guanciali. Vidi Tommaso tagliare un lungo cordone sbucare da chissà dove. Ero stanca e confusa. Le immagini si muovevano come se fossero state più lente del solito.
«Datemi il mio bambino, voglio vederlo.»
«Ecco, ecco.» Avvolse il piccolino in una morbida copertina e me lo porse poggiandolo delicatamente sul mio seno.
Fu amore a prima vista.
Era un piccolo maschietto come tante volte mi era apparso in sogno. Un minuscolo batuffolino biondo con gli occhietti chiusi. Lo strinsi piano fra le mie braccia e me ne guardai bene di far cadere le mie lacrime di gioia sul suo piccolo capo.
«Ciao piccolino, benvenuto.» Con un dito gli accarezzai dolcemente la guanciotta e lo vidi calmarsi. Era identico ad Alex, non vi erano più dubbi che fosse suo.
Non appena cominciò a storcere la boccuccia e piagnucolare, mi scoprii il seno per farlo attaccare.
Lo tenni stretto al mio seno mentre poggiava le manine sulle mie morbidezze. Era la cosa più bella che io avessi mai visto nella mia intera esistenza.
«Sai che nome ti starebbe veramente bene piccolo? Gideon.» Sorrisi e gli accarezzai i capellini.
«Si, ti chiamerò Gideon.» Gli depositai un tenero bacio sulla fronte prima di strofinare il mio naso sul suo piccino piccino. Distolsi lo sguardo dal mio piccolo amore per rivolgerlo a Tommaso.
«Siete bellissimi.» Riprese a disegnare sul suo blocco. "Ma quando lo ha preso?" Pensai ma non diedi voce a quel pensiero.
«Elizabeth?»
«Ti hanno sistemata e se ne sono andate per lasciarti riposare.» Neanche me ne ero resa conto. Staccai mio figlio dal seno e gli feci fare il ruttino prima di cullarlo dolcemente.
Il mio baricentro si era spostato, ora c'era lui nel mezzo della mia vita.
Fuori alcuni fiocchi cominciarono a scendere lentamente.
Sorrisi vedendoli.
In quel freddo giorno di dicembre, nel solstizio di Inverno, il mio bambino era venuto al mondo.
E non c'era miglior regalo che la vita potesse farmi.

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