(siamo) nulla di che.
[Note autore - che sì, boh, fa strano trovarle all'inizio, ma tant'è:
La os che segue è una nata come missing moment di Domino, che mi era stata chiesta in tempi non sospetti, ma boh può essere intesa come volete.
Nasce da me e basta, la co-autrice della storia originale non ha plottato questo pezzo.
È totalmente random, senza logica, ok.
Solo per dire che se la seconda stagione dovesse andare in merda, sappiate che c'è sempre un posto sicuro in cui tornare.
#simuelcanon
Un bacio.
-Lilith]
Se tiene la finestra aperta, può vedere il cielo notturno.
Simone non ci ha mai fatto caso perché, alla fine, nella propria camera non ci passa chissà quanto tempo e non è un particolare a cui prestare attenzione.
Tuttavia, quella sera il suo occhio ricade sull'anta socchiusa della porta-finestra, sullo scorcio del manto stellato che si intravede dalla posizione che ha assunto sul letto, con il busto appena sollevato da due cuscini e una gamba lasciata a penzoloni dal materasso.
Pensa che fortuna che vedi il cielo dalla tua stanza, gli suggerisce una voce dentro alla sua testa.
Nell'ultimo periodo c'è sempre un tintinnio che lo rimprovera, consiglia o consola quando rimane solo con sé stesso.
Ah, forse sta diventando pazzo.
«Secondo me dovremmo scambiarce 'e stanze.»
La voce che gli arriva alle orecchie, invece, è ben diversa, più vicina, presente e squillante.
Per Simone è sufficiente voltare di qualche centimetro il capo per vedere Manuel fermo sulla soglia della porta, con le braccia incrociate al petto e una spalla premuta contro lo stipite.
Non è una novità osservarlo lì: è sempre in giro per casa da quando lui e sua madre Anita si sono trasferiti a villa Balestra che, d'improvviso, è diventata più calda e accogliente – e più piccola, in realtà, se mai possibile.
Sospira sommessamente. «Perché mai?» domanda, con disinteresse.
«Beh, io c'ho più roba.»
«Non c'hai più roba, sei solo più disordinato.»
«Vabbè, quel che è,» Manuel sbuffa «come la fai lunga.»
Avanza con lentezza all'interno della stanza. I suoi movimenti sono fluidi, i piedi ricoperti solo da un sottile calzino strisciano sul pavimento. Si chiude la porta alle spalle e gira la chiave nella toppa.
È un gesto che è diventato abitudinario, che Simone riconosce subito – è come un segnale, il suo campanello d'allarme che si attiva ogni qualvolta che la loro bolla viene creata.
Ci siamo, di nuovo.
Buffo come lo scatto di una serratura corrisponda all'aumento dei battiti del suo cuore.
Patetico.
Manuel prosegue finché non si avvicina abbastanza al letto per potersi sedere sul bordo.
In un primo momento, Simone resta inerme e il suo sguardo ricade, distratto, sulla vista fuori alla finestra, su quella distesa blu puntinata di bianco che in tante occasioni hanno ammirato insieme, in giardino, sdraiati a ridosso del bordo di una piscina da mettere a nuovo.
Poco dopo, però, la sua attenzione viene nuovamente catturata dal viso dell'altro ragazzo, illuminato dalla luce fioca della lampada sulla scrivania – tenue, soffusa, crea ombre sui suoi lineamenti definiti, su l'accenno di barba che contorna la linea della sua mandibola.
Simone schiude le labbra. Con uno scatto solleva il busto, si protende in avanti e con una mano si aggrappa alla felpa blu di Manuel all'altezza del petto; ciò gli serve per attirarlo verso di sé e per premere la bocca sulla sua.
Quel gesto tramuta in un bacio sconclusionato, che ha poca cura, tant'è che i loro denti cozzano, le lingue si cercano e si mancano e si trovano e si scontrano senza logica.
Manuel fatica a respirare. La sua mente, per qualche secondo, va in cortocircuito. Una parte di lui vorrebbe andare avanti, proseguire verso quel punto di non ritorno che hanno raggiunto tante volte – quante?
Ha smesso di contarle negli ultimi mesi, a dire il vero.
Ciò nonostante, si costringe a staccarsi, giusto per riprendere fiato. «Oh,» biascica, portando una mano sotto il viso dell'altro ragazzo e premendo le dita sul suo mento «che c'hai stasera?»
Simone aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Niente, che c'ho?»
«Pari assatanato.»
«Ah, io?»
«E chi, io?»
Per tutta reazione, gli tira un colpo a pugno chiuso su un braccio, senza fargli male. «Stronzo» borbotta ed è l'unica cosa che, in effetti, riesce ad uscire dalla sua bocca poiché Manuel è già pronto a baciarlo di nuovo, ad ammutolirlo in quel modo che piace ad entrambi.
Quest'ultimo si ritrova inconsciamente a sorridere nel frattempo, divertito, ma ringrazia che entrambi abbiano gli occhi chiusi e che non possa essere visto – perché non saprebbe come spiegarlo.
Non dovrebbe stare così bene in quella situazione.
E invece ci sta benissimo, cazzo.
Cerca di scacciare quei pensieri che, adesso, sarebbero soltanto deleteri.
Al contempo, nella testa di Simone, la situazione è la medesima: c'è caos, ci sono macerie intorno, c'è la voce della sua coscienza che echeggia, che un po' lo incoraggia e un po' lo rimprovera durante quel nuovo bacio confusionario e smanioso.
Manuel lo spinge appena con un palmo premuto sul torace, lo fa tornare con la testa sul cuscino, il che permette a lui si salire meglio sul materasso; si ritrova a cavalcioni sulle sue gambe, le ginocchia puntate ai lati dei suoi fianchi.
«A-adesso chi è quello... quello assatanato?» bofonchia Simone, a fatica, dal momento che le sue labbra sono continuamente assalite dalla bocca di chi lo sovrasta, il quale non replica a quel quesito, piuttosto «Simò?» soffoca.
«Cosa?»
D'improvviso, l'aria pare essere più pesante dentro la stanza, sebbene la finestra sia ancora aperta e il cielo stellato sia lì, fermo e immobile ad osservarli e giudicarli.
Anche la luce sembra sparita, lasciando spazio ad oscurità ed ombra. È per tal motivo che Simone non è più in grado – quasi – di vedere qualcosa, di decifrare l'espressione di Manuel, i suoi occhi grandi, lucidi e un briciolo persi.
Non lo vede, però lo sente.
Percepisce il suo tono graffiato, che flebile pronuncia: «Voglio fa' 'na cosa.»
Non chiede cosa, ritiene non sia necessario – perché poi, alla fine, i gesti risultano essere più eloquenti. E lo sono nel momento in cui lo vede sporgersi verso il comodino verde menta accanto al letto, aprire il primo cassetto ed estrarre quegli oggetti – anch'essi divenuti abitudinari.
Nonostante l'assenza di luce, Simone è in grado di scorgere il tubetto di plastica rigida e una confezione piccola e quadrata, dal colore blu metallizzato. Non è una novità, li hanno già usati; quindi, in un primo momento non capisce cosa ci sia di diverso, almeno finché Manuel non si solleva con il busto, indietreggia leggermente con il bacino e posa ciò che ha raccattato dal cassetto sul petto dell'altro ragazzo.
Simone sbatte con dolorosa lentezza le palpebre.
Forse ora è più chiaro?
La sua coscienza lo prende in giro.
«Vuoi...?»
Sì, è facilmente comprensibile ciò che vuole.
Manuel serra le labbra, prova a respirare a fondo e ad essere quanto più calmo gli è possibile. «Oh, non esce da qui, Simò,» dice, serio «quel che succede qua dentro, resta qua dentro.»
«A chi dovrei dirlo?»
«Che ne so, a qualcuno, parli co' tanta gente.»
Simone aggrotta le sopracciglia: quella frase non ha molto senso, di base non parla davvero con nessuno, non ha amici, non usa i social network – non ha nemmeno Instagram – e le sue interazioni con altri esseri umani sono ridotte all'osso.
Con chi dovrebbe parlare, di grazia?
Magari si prende un gatto ed inizia a parlare con lui.
«Sei sicuro?» decide di troncare quel discorso e focalizzarsi su un punto che merita decisamente più attenzione.
«Seh, non te l'avrei chiesto se no.»
«Guarda che non serve, possiamo continuare a...»
«Simò, te lo sto a chiede.»
Lo ha sentito, forte e chiaro e un po' tale aspetto lo rende nervoso.
Non si sono mai scambiati i ruoli sotto le lenzuola, da quando quella loro...
Come deve chiamarla?
Non-relazione?
Amici con benefici?
Fratellastri con benefici?
Oddio, cazzo, rimangiatelo, che schifo.
Non siete fratellastri!
Vabbè, quel che sono: due persone che fanno sesso da mesi, chiusi in una stanza, mentre nessuno fuori sa nulla.
Se esiste una definizione a ciò, lui ancora deve trovarla.
Ad ogni modo, non si sono mai invertiti e non sa se Manuel sia pronto a quel passo – che è un grande passo, se ci si pensa bene.
Però è una sua richiesta, una sua decisione e non può che rispettarla e acconsentirla.
Si limita ad annuire, mentre Manuel gli si toglie di dosso e gli scivola accanto, iniziando a rimuovere la felpa che finisce a terra, alla rinfusa.
Ecco che, in seguito, si spogliano, evitando di guardarsi troppo – è difficile, considerando che i loro occhi si attraggono di continuo, pure quando non vogliono.
È sempre stato così: un perenne cercarsi, solo loro, in una stanza piena di gente.
Per due persone che non dovrebbero provare dei sentimenti in un rapporto di solo sesso, è un po' assurdo, ma è una consapevolezza che non vogliono assumere.
A volte ci si continua a ferire pur di non trovarsi faccia a faccia con la realtà.
La realtà fa troppa paura, l'illusione è un rifugio perfetto.
Manuel si posiziona prono sul letto, preme una guancia contro il cuscino.
Simone indugia per un breve istante, soppesando il tubetto di lubrificante neutro tra le dita. È la prima volta che si cimenta in quei gesti e teme di non esserne in grado.
Cioè, è andato a letto con Laura l'anno prima, però, come ovvio, è una situazione ben diversa.
Se ce la fa lui, ce la fai anche tu, lo rimbecca la propria coscienza.
E sì, presume che se Manuel ne è in grado con la medesima esperienza, può cavarsela – se non fosse che lui è insicuro cronico su tale aspetto e teme di fare soltanto un grande casino.
Prende un respiro profondo, quasi dovesse prepararsi ad una lunga apnea, che un po' è davvero così.
Si china in avanti fino a portare il viso più vicino alla schiena nuda dell'altro ragazzo. Deposita un bacio in mezzo alle sue scapole, dopo scende con delicatezza seguendo la linea della spina dorsale.
«Oh, che stai a fa'?»
Si blocca non appena ode la sua voce.
«Ti sto—baciando?» biascica.
«Non ce sta bisogno.»
«Boh, pensavo che...»
«E pensavi male, muoviti.»
Si reputa un briciolo stupido, impacciato. Ha solo pensato a come rendere quel momento quantomeno piacevole, considerando che quella sta per diventare una prima volta per Manuel e una parte di lui vuole renderla memorabile, un piacevole ricordo.
Oh, per favore.
Scuote il capo, lascia perdere quel velo di dolcezza che adesso sembra stonare.
Apre la boccetta di plastica, fa colare quel liquido viscoso a impiastricciarsi le dita.
Come già appurato, non è mai capitato che si cimentasse in simili gesti – non con un ragazzo – ma prova ad essere quanto più disinvolto possibile, sciolto e rilassato in quella preparazione che vuole rendere attenta e curata.
Ha qualche difficoltà perché trova i muscoli di Manuel molto tesi, che oppongono resistenza.
«Manuel?» lo richiama, allora.
«Cosa?» replica l'altro, il viso nascosto nel cuscino e la voce impastata.
«Devi stare tranquillo.»
«So' tranquillo.»
«Il tuo corpo qui dice il contrario.»
Non capisce cosa intende: di fatto, è calmo. Si aspettava di non esserlo, eppure non è così. Forse se ne sta solo auto-convincendo.
Prende l'ennesimo sospiro profondo, socchiude le palpebre.
A discapito di quanto successo poco prima, nonostante il non ce sta bisogno, Simone riporta le labbra sulla sua schiena, sfiora con delicatezza la pelle, anche sulle spalle.
Stavolta, Manuel non gli dice di smettere.
Così prosegue - o inizia, finalmente - quella preparazione del suo corpo, in una nuova prima volta, l'ennesima tra di loro.
Ci mette cura e attenzione, analizza ogni lieve gemito, ogni sussulto, respiro più profondo o affannato, mentre continua a baciarlo e accarezzarlo.
Che, di solito, non c'è troppa dolcezza nei loro gesti, un tacito assenso per quella non-relazione che non sembra aver bisogno di premura.
Ci sono sempre stati graffi e morsi, una passione bruciante e incontrollabile.
Eppure, in tale occasione decide di farne uso - lo farebbe sempre, a dire il vero – e spera vada bene.
Va bene, ma nessuno dei due lo dice a voce alta.
Rimangono soltanto i loro sospiri che commutano in uno solo quando poi Simone si solleva di qualche centimetro con il bacino, si massaggia l'erezione che si è fatta presente, scarta il preservativo e srotola quell'involucro di lattice su di essa; i sospiri si fanno più pesanti quando docilmente lo penetra e comincia a muovere i fianchi, in affondi lenti, poco cadenzati.
Nasconde il naso tra i ricci appena sudati sulla nuca. Con una mano cerca la sua, sul materasso, e riesce a far intrecciare le loro dita. Forse anche quello è un gesto di più che dovrebbe evitare - per non farsi male da solo - ma non è in grado di trattenersi.
Non trattiene nemmeno il «Tutto okay?» che gli esce di bocca poco dopo.
Manuel ha gli occhi chiusi, quasi avesse scelto di sentire e non vedere. Schiude la bocca. È meno teso, più rilassato e sta provando una serie di sensazioni nuove e appaganti che non sa decifrare.
Ma sono belle.
«Sta'—zitto, non parlà» soffoca.
Allora Simone obbedisce, smette di proferire parola, lascia che i gesti siano abbastanza eloquenti, che prendano il posto di tutte quelle cose che vorrebbe dire e che non può esternare.
Le parole tramutano le illusioni in cruda realtà.
Lo fa finché il piacere non aumenta, finché il ventre non gli formicola, le membra gli tremano, ogni fibra del suo corpo pare esplodere, andare in fiamme.
Scoppia in un orgasmo che lo lascia senza fiato.
Trattiene un urlo, serrando più forte che può le labbra. In seguito, scivola su di un fianco, in modo da far sollevare i fianchi a Manuel; a tal punto è in grado di allungare una mano e masturbarlo docilmente fino a far travolgere anche lui dalle medesime sensazioni.
Manuel viene in silenzio, senza emettere suono, frastornato e stravolto. Dei ricci castani si sono appiccicati alla sua fronte - stanno crescendo un po', dopo averli tagliati durante il quarto superiore; pensa che, forse, dovrebbe farlo di nuovo.
O magari sta concentrando la propria mente su un aspetto così futile come il taglio di capelli per non pensare all'importanza e al peso del momento che ha appena vissuto.
Ancora una volta sono insieme durante un traguardo ed esperienza di vita e fingono sia nulla di che.
A fingere di star sempre bene si impara ad essere attori perfetti.
Pure noi siamo nulla di che.
Assume una posizione supina sul letto, fissando il soffitto. È nudo, ma non ha ancora le forze di alzarsi e raccattare il lenzuolo per coprirsi, almeno finché c'è assenza di suono.
Essa perdura per qualche minuto, intanto che Simone riprende fiato, si sfila il preservativo, gettandolo a terra alla rinfusa, e si pulisce le mani con le salviette che tiene sul comodino.
Cerca di essere risoluto, di non focalizzare troppo lo sguardo sull'altro ragazzo, come se questa cosa potesse metterlo a disagio.
È l'ultima cosa che vuole fargli provare.
«Stai...» fa per dire. Tuttavia, viene preceduto da Manuel che finge un colpo di tosse e si mette a sedere sul materasso, tirandosi il lenzuolo tra le gambe e ignorando la fitta e il bruciore che lo attanaglia sotto al coccige.
«Se vedono pure dalla stanza tua» esclama «le stelle, dico.»
È una frase così casuale e improvvisa che Simone ci impiega qualche secondo a recepirla e metabolizzarla.
Sbatte piano le palpebre e assume la medesima posizione del compagno. Lancia un'occhiata verso la portafinestra parzialmente aperta. «Sì, uhm—più o meno» borbotta.
«Vedi, pure pe' questo è più bella della mia.»
«Hanno lo stesso affaccio.»
«Ma angolazioni diverse.»
«Ma sta' zitto» borbotta e gli tira un lieve colpetto con il gomito. Ridono entrambi all'unisono. Quel gesto dura poco, lasciando sui loro volti solo l'ombra di un sorriso.
Simone si morde piano il labbro inferiore. Vorrebbe domandargli di nuovo se è tutto okay, se sta bene, se gli ha fatto male, eppure sa che si troverebbe davanti ad una lastra di ghiaccio impossibile da sciogliere - il che è pure paradossale.
Vorrebbe anche sporgersi nella sua direzione, magari baciarlo e lasciare in sospeso quel gesto, permettere ad esso di comunicare ogni cosa che non può avere suono. Ci prova, si protende verso di lui di qualche centimetro.
Ma, come accaduto prima, Manuel glielo rende impossibile: si alza di scatto dal letto e raccatta i propri vestiti da terra. «Me vado a fa' 'na doccia» annuncia, infilandosi distrattamente i boxer di cotone.
Simone non prova a fermarlo. Si limita ad annuire, smorzare un sorriso privo d'entusiasmo. «Okay» biascica.
Lo osserva indirizzarsi verso la porta, far scattare la serratura e poi andare via, volatilizzarsi nel corridoio, chiudendosi l'anta alle spalle.
Resta da solo, a scrutare le stelle fuori alla finestra come se niente fosse successo.
***
Qualcosa, però, è successo, e Simone non è bravo a lasciare andare.
Dovrebbe esserlo, dovrebbe lasciar correre in certe situazioni, non aggrapparsi troppo a determinati dettagli e perdersi in dilemmi che non hanno alcuna soluzione - non una che può trovare lui, a dire il vero.
A volte si sforza troppo, specialmente se il problema riguarda Manuel: il modo in cui smette di funzionare in maniera logica e sensata se si tratta di lui è disarmante.
Quindi, per le settimane che seguono, cerca di decifrare i suoi comportamenti, le sue frasi - dette e non dette.
Si verificano altre prime volte, differenti momenti in cui è lo stesso Manuel a volersi immergere nelle sensazioni di quella sera con la finestra aperta e le stelle fuori; Simone lo asseconda, lo tiene per mano, a suon di ti giri te o mi giro io, che è diventata una frase quasi di rito.
Si sforza, si sforza, si sforza, ci mette così tanto impegno da scoppiare.
Ci prova ad un livello tale da non capirci proprio più niente, in una situazione incontrollabile che non ha più nessuna logica.
La voce dentro alla sua testa gli suggerisce di smettere di cercare di capirci qualcosa, gli sussurra invece di lasciare andare, lasciati trascinare.
Ed agisce in quel modo, continuando a sottostare ai desideri di Manuel che, alla fine, divengono anche i propri.
Perché non si può decifrare chi non vuole essere letto, chi alza troppe barriere e ti tiene lontano.
Perché mi tieni lontano?
Quella sera, Simone è seduto nel porticato di villa Balestra.
Avrebbe potuto optare per la panca di legno vicino al tavolo del medesimo materiale, invece si è accovacciato a terra, le spalle contro il muro e le ginocchia flesse al petto. Ha una cuffia in un orecchio, ma la musica è talmente bassa da essere a stento recepibile; sente meglio il suono onnipresente delle cicale che rimbomba nell'aria.
Percepisce qualcosa di differente quando, come in un copione dove le scene si ripetono sempre uguali, Manuel gli siede accanto assumendo una posizione simile.
«Non dovevi uscire?» gli viene spontaneo chiedere, poiché ricorda una loro conversazione di soltanto qualche ora prima dove l'altro affermava che non ci sarebbe stato per cena, che sarebbe andato fuori con amici - chi sono 'sti amici, poi.
«C'ho ripensato» replica Manuel. Tiene lo sguardo fisso davanti a sé «poi domani ce dovemo alza' presto.»
«Come se a te cambiasse qualcosa.»
«Cambia, vedi che tu' padre quest'anno mica me darà tregua, come lo scorso» sospira «vabbè che è l'ultimo anno, però... prevedo già 'na tragedia.»
Domani è un giorno che, sulla carta, è importante.
È l'ultimo primo giorno di scuola, dovrebbe essere qualcosa di relativamente emozionante - almeno crede - eppure Simone non è toccato da nessun sentimento del genere.
Ha ancora la testa annebbiata, troppo concentrata nel risolvere quel groviglio che è Manuel e nel quale è rimasto intrappolato.
Ignora la sua frase, ignora le parole che aggiunge che divengono mute.
Tiene gli occhi, ridotti ad una fessura, puntati su di lui. Inclina il capo su di lato, quel che è sufficiente a posarlo sulla sua spalla.
Da quella posizione, percepisce il respiro dell'altro ragazzo che diventa d'improvviso più affannoso, la sua voce che si quieta, il finto colpo di tosse che gli smorza il fiato.
Simone si muove appena con la testa, lo fa fino a quando non è in grado di raggiungere il lato del suo collo con le labbra. Bacia quella minuscola porzione di pelle, piano, con delicatezza e un pizzico di malizia.
Al contrario di quanto previsto, Manuel non si scosta e nemmeno si irrigidisce. Per un attimo, rimane fermo ed immobile, emettendo un profondo sospiro. E dopo «Simò,» bofonchia «ce sta mi' madre di là.»
«Mh-m» è l'unica risposta che ottiene.
«Se viene de qua è 'n macello.»
«Sì?»
Simone comincia a tracciare con la lingua dei minuscoli cerchi, proprio sopra la clavicola lasciata scoperta dalla t-shirt grigia e leggera.
Manuel pianta gli incisivi nel labbro inferiore. «Simò...» mugola ancora.
Prima che possa essere scansato bruscamente - prima che questa cosa lo faccia rimanere troppo male - Simone si discosta.
Si appoggia con il capo al muro dietro di lui, mantenendo lo sguardo fisso ed arrendevole sull'altro ragazzo.
Manuel esamina l'ambiente intorno: il sole è tramontato da poco, ogni cosa si è tinta di una forte luce arancione e l'aria di fine estate inizia ad essere più fresca.
Sono soli.
Anita, sua madre, è indaffarata in cucina, non può accorgersi di loro.
«Magari dopo...» biascica e finge un colpo di tosse per schiarirsi la voce. Soltanto ora scruta il viso di chi gli è accanto. «Cioè, dopo cena, intendo, posso–possiamo...»
«Vieni in camera mia?»
«O tu da me.»
«Non era più bella la mia stanza?»
«Il mio letto è più comodo.»
Di norma, riderebbe, quantomeno sforzerebbe un sorriso a quel modo di sviare la questione. In tale occasione, non succede: l'espressione di Simone rimane statica, un briciolo assente.
Abbassa lo sguardo. «Okay» si limita a sussurrare.
Si lascia trascinare.
***
Trascorrono insieme una parte della notte che precede l'ultimo primo giorno di scuola.
Lo fanno in una stanza con la porta chiusa, soffocando i gemiti che non devono far sentire a Dante e Anita presenti a casa.
Ed è assurdo la mattina seguente sedersi a tavola tutti insieme, difficile per Simone anche solo sostenere lo sguardo di Manuel mentre gli passa la brocca con la spremuta d'arancia o gli versa direttamente il caffè in una tazza di ceramica.
Pure quando sono fuori, appropinquati alla moto che hanno cominciato ad usare insieme per spostarsi già dall'anno precedente, è strano.
«Io 'sto gruppo lo silenzio.»
Simone sente Manuel lamentarsi, intanto che si infila il casco in testa. «Che gruppo?» domanda.
«Quello de classe nostra. A parte che se stanno a manda' trecento foto sui loro vestiti da ultimo primo giorno, che chi se ne frega, sinceramente - gira voce che dovrebbe arriva' uno novo in classe nostra e Luna sta a fa' la matta pe' capì chi è.»
Scrolla le spalle con noncuranza. «Boh, può aspettare che arriva, no?»
«Hai presente di chi stai parlando, sì?» Manuel sospira e decide di bloccare il cellulare tramite il tasto laterale e ripone l'apparecchio nella tasca anteriore dei jeans. «Trecento notifiche inutili, te giuro» borbotta ancora.
Raccatta anche il secondo casco e lo sistema sul capo.
Simone sale in sella. Scivola all'indietro in modo da permettere a Manuel di mettersi alla guida. Non replica in alcun modo, non prosegue quella conversazione, ancora una volta perso in un mondo parallelo dove loro sono qualcosa in più di un nulla di che.
L'ultimo primo giorno di scuola, complice l'orario ridotto, passa in fretta, tra le raccomandazioni di impegnarsi di più in vista della maturità e discorsi pindarici da parte di tutti i professori su come potrà essere il futuro dei ragazzi.
A Simone pare un tantino esagerato, considerando che mancano ancora mesi, periodo durante il quale può succedere di tutto.
Non presta troppa attenzione nemmeno ai compagni di classe dopo, durante l'intervallo o l'uscita - tipo Luna che ancora cerca di scoprire il nome del nuovo arrivato, che sarà in classe per inizio prossimo mese.
Non gli interessa.
Ma ultimamente non gli interessano molte cose.
La sera, da routine, villa Balestra è chiassosa durante la cena: Anita obbliga tutti a stare seduti composti a tavola, imbandita come giorno di festa per chissà che ragione.
È un aspetto che un briciolo lo fa sentire a disagio. Per fortuna, però, dura poco, la cena finisce in fretta e può rintanarsi in camera propria.
Eppure, sembra stargli stretta anche quella.
Nemmeno la porta-finestra aperta e il cielo limpido e stellato che può scorgere lo rassicurano quella sera.
È irrequieto, nervoso, il che lo guida – lo spinge – ad abbandonare quell'ambiente, camminare attraverso il corridoio buio e raggiungere la stanza accanto.
Lo fa in maniera inconscia, quasi come potesse trovare sollievo e risoluzione lì.
Non è sicuro sia così, però vuole provarci.
Trova Manuel in piedi, che si è appena tolto di dosso la t-shirt blu ed è in procinto di indossare quella bianca, larga e bucata che usa come pigiama.
Simone trasalisce a tale visione, di fronte alla sua schiena nuda e appena ricurva – come se non lo avesse mai ammirato senza vestiti.
Coglione.
Sbatte rapidamente le palpebre, intanto che varca la soglia della camera e poi si chiude la porta alle spalle, girando la chiave nella toppa.
Simile copione.
Manuel si accorge della sua presenza grazie allo scatto della serratura. Si gira in maniera lenta, rigirandosi la maglietta sporca tra le dita.
«Oh, tutto bene?» domanda, per cortesia.
Simone non risponde. Piuttosto avanza verso di lui con ampie falcate, afferra il suo viso tra le mani con poca cura – gli graffia le guance – e preme la bocca sulla sua. Si trasforma in un bacio avido, pregno di passione – fin troppa – che smorza e toglie il fiato ad entrambi.
In un primo frangente, Manuel rimane con le mani a mezz'aria, incapace di compiere qualsivoglia gesto. Ne è in grado dopo qualche secondo, quando appoggia i palmi sulle sue spalle e lo spinge un po' all'indietro per costringerlo a staccarsi – soltanto per riprendere a respirare.
«Simò...» riesce a biascicare ed è l'unico suono in grado di emettere poiché l'altro ragazzo riprende a baciarlo con più foga, dapprima sulle labbra, poi scende sulla linea della mandibola e agguanta il collo.
Allora socchiude le palpebre, sospira e le sue mani vanno a finire sui fianchi di chi gli è di fronte.
«Simò...» sospira, di nuovo «dovremmo—dovremmo smetterla.»
Parla, ma non viene ascoltato – perché Simone non vuole sentire, non vuole pensare, vuole solo lasciarsi trascinare, ancora.
«Simo...» cantilena Manuel, la sua voce si spezza un briciolo.
Simone si sforza di essere più calmo e di tenere a freno il proprio desiderio per una frazione di secondo, durante la quale si tira un po' indietro. Ha le labbra gonfie e gli occhi che si son fatti lucidi.
Gli mordicchia il mento. «Che c'è?»
«O' sai che c'è.»
«Non lo so» mente.
Manuel accenna un sorriso, privo d'entusiasmo. Sposta una sola mano, la posa sulla guancia dell'altro ragazzo. Il pollice gli scivola sul suo labbro inferiore in maniera rude, percepisce la pelle screpolata al di sotto.
Per diretta reazione, Simone ingloba il suo dito con la bocca, inizia a succhiare piano, lambendolo con la lingua. Manuel resta imbambolato a fissare quel gesto, ammaliato da un incantesimo del quale pensava di essere immune.
Invece ne è completamente devastato, annientato dalle ciglia folte e scure di quel ragazzo riccioluto che lo fissa dritto negli occhi e non gli lascia via di scampo.
«Questa—è l'ultima volta che famo 'sta cosa» dice. È incerto, ha un tono gracchiante.
Non ci credi manco tu, pensa Simone. Rilascia il pollice con uno schiocco e un rivolo di saliva gli scorre sul mento.
«Rendiamola memorabile, allora» soffia.
Non sa nemmeno da dove prenda una simile sfacciataggine; a volte viene fuori in modo prorompente e non riesce a frenarla, il che gli sta bene perché lo fa sembrare più sicuro e disinvolto, pure quando non lo è per niente e dentro sta cadendo a pezzi.
Quella frase ha un effetto destabilizzante per Manuel che, allora, si fionda su di lui e fa collidere di nuovo le loro labbra.
Comincia di nuovo, tutto, un'altra volta.
Per l'ultima volta.
Forse.
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