Prologo
Leean Hudson?
Leean saltò su non appena la voce sconosciuta le risuonò nella testa. Qualcuno aveva appena avviato una nuova chat, ma era convinta di non conoscerlo. Le parole lampeggiavano in controluce, seguivano il movimento della nuca. Sparirono poco dopo.
Davanti a lei, una donna dal lungo vestito candido trascinava l'orlo della stoffa fra un'opera d'arte e l'altra; levò appena lo sguardo per incontrare il suo, ma lo distolse non appena l'uomo accanto a lei le indicò un altro quadro.
Non avevano nulla di sospetto, ma Leean seguì i loro movimenti, restando immobile a tastarsi le tasche della divisa alla ricerca di qualcosa con cui giocherellare. Qualcosa che però non avrebbe trovato.
Sei una guardia di sicurezza del museo, no?
Ancora quella voce. Questa volta la catalogò come appartenente a un ragazzino di massimo diciotto anni.
Leean si portò una mano all'orecchio, lì dove, attaccato al padiglione auricolare, si trovava lo Psych. Toccò il triangolino di plastica appena tiepida e premette il pulsante al centro dell'apparecchio.
Sì, rispose, e le sue stesse parole le comparvero davanti. Le bastò pensare il comando, poi lo Psych trasferì la sua voce interiore, così come lei stessa la immaginava, nella chat mentale. Ha bisogno di aiuto?
La donna di prima passò di nuovo nelle vicinanze, gli occhi scuri puntati su un busto di ceramica. Ammirava le spalle ben proporzionate dell'opera, l'aria da pensatore antico che l'artista aveva voluto donargli, e le ali che gli si spiegavano dietro la schiena. L'Uomo Infinito, si chiamava, e Leean riportava alla memoria con facilità la spiegazione della guida del museo, dopotutto la ascoltava ogni singolo giorno della propria vita, mentre osservava i visitatori e si assicurava che nessuno combinasse qualche guaio.
«Queste ali simboleggiano l'ascesa della sua anima,» diceva l'uomo che l'accompagnava.
Leean arricciò il naso. Nessuna ascesa, le ali rappresentavano l'anima stessa. Il modo in cui si spiegavano simboleggiava l'estensione estrema dell'anima data dal pensiero, e niente di più. Si trattava di ali, ma sarebbe potuta essere la coda di un pavone e non sarebbe cambiato nulla, se non forse l'estetica dell'opera stessa - da mettere in un museo delle stramberie, in quel caso.
Ti piace essere una guardia?
Ancora intenta a godersi il profumo emanato dalla coppia, un miscuglio di vaniglia, ambra e legno, Leean alzò appena il sopracciglio. Sporse la testa per osservare oltre i labirintici muri bianchi del museo.
Il ragazzino non stava provando a rimorchiarla, vero?
È il mio lavoro, rispose soltanto.
Sei felice di rischiare la tua vita per la sicurezza di persone che nemmeno conosci?
Leean passò la mano sulla pistola appesa alla cintola. L'odore della polvere da sparo le solleticò la memoria. La circondava, insieme ai rumori di tutti quelli che si esercitavano al poligono assieme a lei.
Non è che rischio proprio la vita, ammise. Non sono un poliziotto, al massimo devo buttare fuori qualcuno che non ha pagato il biglietto.
È davvero questo che vuoi dalla vita? Senti di essere nata per questo?
Ci stava davvero provando. Fantastico. E dire che Leean si era sempre preoccupata di non distinguersi in intelligenza. L'aveva vista come ascoltava incuriosita le varie interpretazioni dei passanti, forse. Doveva stare più attenta a diventare un tutt'uno con l'ambiente, maledizione.
Aggiustandosi il cappellino sulla nuca, Leean fischiettò un motivetto casuale. Si interruppe non appena capì che quello era un ottimo modo per attirare l'attenzione, non certo di sparire.
Che imbecille.
Non lo so, gli rispose alla fine. Non ci ho mai pensato.
Accarezzò il manico del manganello sul fianco. Non le era mai piaciuta l'idea di darlo in testa alla gente, ma non aveva mai nemmeno dovuto usarlo. Perciò, alla fine, le andava bene come lavoro. Un'Argento come lei non poteva sperare in un mestiere più pacifico di quello.
Trovi giusto che una scelta fatta prima ancora di nascere ci renda bloccati in un ruolo?
Ovunque volesse arrivare il ragazzino con tutte quelle domande, Leean non aveva tempo per starlo ad ascoltare. Così glielo disse, di essere al lavoro, e diede il comando mentale di chiudere la chat. Da oltre una delle pareti su cui era appeso il quadro di un'alba dall'atmosfera mistica, sbucò Gary. La divisa bianca a lui stava meglio, le spalline rinforzate gli mettevano in risalto il fisico ben piazzato.
Le strizzò l'occhio mentre le si avvicinava. Leean stirò le labbra in quello che sperava tanto somigliasse a un sorriso e non al ghigno di un qualche maniaco appena uscito di galera.
«Ehi, abbiamo un problema.» Gary si chinò su di lei, spargendo profumo di dopobarba. «Codice 321.»
Leean annuì. «Vado a prendere dei croccantini.»
«Cosa?» Gary la prese per il braccio e la tenne ferma dove si trovava. Rideva, mentre si lisciava i capelli scuri all'indietro.
Leean batteva le palpebre, confusa. «Qualcuno non si è perso un cane? Prendo i croccantini per attirarlo.»
«Quello è il Codice 231. No, qualcuno in una chat anonima ci ha riferito di aver messo una bomba nel museo.»
«Che?» Urlò con voce troppo alta. La coppia che ancora ammirava l'Uomo Infinito si girò, le parole di lui interrotte a metà e la bocca ancora dischiusa. Leean si schiarì la voce e avvicinò il viso a quello di Gary per sussurrare. «Una bomba? Sicuri non sia solo uno scherzo?»
«È probabile,» ammise lui. «Per quanto di cattivo gusto. Ma per sicurezza stiamo dando un'occhiata in giro. Puoi occuparti tu dei giardini all'ingresso?»
«Non dovremmo far evacuare il museo?»
«Sì, in teoria. Ma il problema sono i piani sotto e sopra di noi. E poi non vogliamo scatenare il panico, ancora. Vogliamo prima dare un'occhiata, male che vada poi ci occuperemo di scortare tutti fuori.»
Una scelta rischiosa. Eppure Leean annuì. «Va bene.» Sperava solo che i compagni sapessero quello che stavano facendo.
Gary le diede una botta amichevole alla spalla, e lei ingrandì il sorriso; inquietante, di sicuro ormai era solo inquietante. «Mi raccomando.» Sparì di nuovo nel labirinto di opere d'arte, fiero, la schiena dritta, come se il museo appartenesse a lui.
Leean mutò espressione, uccise il maniaco che si era impossessato dei suoi muscoli facciali e si tolse il cappellino; tastò i capelli, sul lato della testa non rasato, e li scompigliò sospirando. Il dubbio per l'interesse improvviso di un ragazzino nei suoi confronti le logorava le pareti dello stomaco con la stessa forza di un artiglio infuocato. Ma la coppia di prima era tornata a osservarla, perciò provò un ennesimo sorriso stremato e si congedò.
Premette il tasto sullo Psych, e la chat con il misterioso ragazzino si riaprì, accompagnata da una nota acuta. Questa volta però porre domande spettava a lei. Basta giochetti.
Sei stato tu?
A fare cosa?, le rispose, all'istante. Non aveva aspettato altro che il suo ritorno. Intendi a mettere la bomba?
Leean strofinò le dita una contro l'altra, mentre varcava l'arco che conduceva ai giardini; il gelo di un intero inverno si condensava sulle punte dei suoi polpastrelli. Si godette l'odore dei bucaneve e dei narcisi che crescevano al centro dei giardini, confinati in un cerchio di marmo. Piante verdi si attorcigliavano attorno alle gambe della statua, l'edera le si arrampicava sul ventre, le copriva i seni e le ornava i capelli, smossi da un vento invisibile.
Le persone parlottavano in piccoli gruppi, nascosti dietro le colonne, con le fronde del bambù che proiettavano ombre sui loro volti. Due ragazzini, ancora nel fiore dell'adolescenza, ridacchiavano su una panchina. Una coppia, un ragazzo e una ragazza, entrambi troppo intenti a sussurrarsi segreti all'orecchio e a scambiarsi occhiate dolci per preoccuparsi di una bomba in procinto di esplodere.
Quindi sei stato tu, esplose Leean nella chat.
Io ho dato l'avviso ai tuoi colleghi.
Perciò hai dei complici? Quanti siete?
Un movimento le solleticò la coda dell'occhio. I veli degli abiti candidi di una donna di passaggio, appurò voltandosi, che le ricadevano addosso in maniera asimmetrica. Le facevano apparire le braccia più esili di quanto non fossero in realtà.
Leean si morse l'interno della guancia e tornò a cercare. Troppe persone. Tutti che ridevano, piano e in maniera composta, mentre indicavano i petali dei narcisi per spiegarne il significato a qualcun altro; tutti che si aggiravano con gli occhi luccicanti, assetati di conoscenza; tutti ignari che da un momento all'altro del profumo dei giardini non sarebbe restato altro che polvere da sparo, fuoco e cenere.
Hai mai desiderato provare un ruolo diverso? La nuova domanda del ragazzino arrivò mentre Leean aggirava il cerchio di narcisi e bucaneve. Ti sei mai chiesta come sarebbe coltivare dei fiori o studiare psicologia?
Da oltre i capelli della statua, Leean notò una figura, immobile dietro una colonna. Un ragazzo. La luce del sole che entrava dalle vetrate sulla parete si rifletteva sulle sue lenti. Leean strabuzzò gli occhi, ma non distinse altro che un volto privo di lineamenti prima che quello sparisse.
No, gli rispose, andando dietro alla figura misteriosa.
Seguiva lo scintillio degli occhiali fra le foglie del bambù. Spostò di peso un uomo troppo magro intento a chiacchierare con degli amici. «Mi scusi,» borbottò mentre se lo lasciava alle spalle.
E davvero ti va bene così?
Smettila con queste stronzate, sbottò lei. Dimmi dov'è la bomba.
Cosa faresti, se dovessi perdere il tuo lavoro? Se scoprissi di non essere portata per l'unica cosa che ti è permesso fare? Se scoprissi che non sei fatta per proteggere gli altri?
Niente, non farei proprio niente. Questo è il mio ruolo.
Eccolo ancora, lo scintillio, proprio sotto l'arcata principale. Un altro signore lo coprì con il proprio passaggio. Maledizione a lui e al suo stupido pancione; quando si allontanò, del ragazzino non restava altro che una sensazione, un ghiaccio disperato che permeava l'aria.
Leean entrò nel labirinto di opere d'arte. Accerchiata da dipinti, cercava in ogni volto, in ogni sagoma, un segno che lo ricollegasse alla figura misteriosa.
E se invece non lo fosse?, continuava a chiedere lui.
Leean mandò un messaggio veloce ai compagni. Forse lo aveva individuato, disse, e il luccichio degli occhiali tornò ad abbagliarla. Vicino, sulla destra, ma quando si voltò fu il proprio riflesso a sbirciarla dalle lenti.
Due Leean, con una divisa che le faceva le spalle troppo larghe e uno sguardo allampanato.
«Fermati!» gli gridò.
E il ragazzo si mescolò ancora fra la folla, prima che lo raggiungesse, prima che potesse fare qualsiasi cosa oltre a urlare come un'idiota.
Fu solo al sospiro inquieto della gente che ricevette un nuovo segnale: lui, in piedi su una pedana dedicata a un piatto di ceramica del grande artista Luis Birthson, una pistola puntata verso il pubblico al di sotto. Ciò che restava dell'opera d'arte giaceva sparpagliato a terra, nulla più che un mucchio di cocci.
Leean estrasse l'arma dalla fondina. Al poligono le era sempre sembrata molto più leggera, maneggevole, eppure adesso le parve di sollevare un intero palazzo. «Abbassa l'arma!» urlò.
La gente le fece spazio, e lei si avvicinò, cauta.
Lui si premette la canna contro la tempia. E mentre gli spettatori trattenevano un sospiro inquieto, la sua mano tremava con la stessa intensità di quelle di Leean. Ci furono parole urlate da ogni dove.
Negli occhi di lui pulsavano vene rosse, in un intricato miscuglio, un'opera d'arte morbosa e labirintica che si rifletteva sulle lenti di un paio di occhiali caduti in equilibrio sulla punta del naso.
«E se non lo fosse?» le urlò, gracchiante. «E se non riuscissi a fermarmi, adesso? A proteggere tutti? Cosa faresti?»
Occhi. Tanti occhi la puntavano adesso. Piccoli. Grandi. Lucidi. Scettici.
Doveva dire qualcosa. Un ragazzino minacciava il suicidio in un luogo pubblico. Un solo passo falso e una vita si sarebbe spenta. E un mucchio di persone sarebbero rimaste scioccate.
Leean raddrizzò la pistola. L'indice le scivolò dal grilletto e si paralizzò. Perché credeva di aver sparato. Ma restava solo l'odore del sudore e dei profumi costosi delle persone che la accerchiavano. E nessun rumore se non i loro respiri sincronizzati.
«Ti sei mai chiesta,» le domandò ancora il ragazzino, «se fossi davvero fatta per proteggere le persone?»
Doveva rispondere? Il pubblico si aspettava che lei gli rispondesse?
Leean scosse appena la testa, e le gocce di sudore le scivolarono oltre le sopracciglia.
Doveva dire qualcosa.
Doveva fare qualcosa.
Ma cosa?
Il ragazzino stirò le labbra in un sorriso. «Vedi? Siamo più che metallo.»
E il sangue schizzò sulle opere d'arte.
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