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Leean detestava l'odore dello zenzero: le entrava fin nella gola e le pizzicava senza sosta. Per questo respirava il meno possibile, mentre lo tagliava a listarelle. Il vero problema sarebbe stato togliersi l'aroma dalle dita.
«La tua lucertola sembra morta.» Benjamin varcò la soglia della cucina e indicò dietro di sé. Di poco più spettinato del solito, quel giorno presentava un taglio sul mento rasato e un colorito più pallido, che gli faceva spiccare quella spruzzata di lentiggini che si ritrovava sul naso.
«Non è una lucertola.» Leean mise da parte lo zenzero e cercò una padella. «È una pogona, e non è morto. È solo pigro.» Lasciò l'olio a scaldare sul fuoco e recuperò il peperoncino per mescolarlo con lo zenzero. Qualsiasi cosa stesse preparando, lo stomaco si lamentava già.
«Mi sono sempre chiesto, come fai a sapere che è un maschio?»
«Me l'ha detto il tipo che me lo ha venduto.»
«Ma le lucertole non erano tutte femmine?»
Leean fece rosolare le spezie sulla padella. «Spuntone non è una lucertola. Dovrei farmelo stampare su una maglietta, così forse te lo imprimi nella testa.»
La risata di Benjamin era cristallina e pacata, quel genere di suono in grado di suscitare un sorriso solo a sentirlo. Lui si accomodò sulla sedia davanti al bancone su cui ancora sostava la buccia dello zenzero. Arricciò il naso un attimo, ma si riprese subito. «Cos'è che cucini di buono? Si sente un profumino.»
«Germogli di soia saltati,» rispose lei. «Buonissimi, se ti piacciono le cose che sanno di poco.» Buttò la pietanza principale nella padella e raccattò una paletta di legno dal cassetto per girarli. «Perché sei venuto a trovarmi? Vuoi deprimerti con la dieta insieme a me?»
Benjamin si rigirava il coltello sporco fra le dita. Fissava la lama, gli occhi ridotti a due fessure, come se sperasse di trovarci il senso della vita; solo quando si sistemò i capelli, Leean capì che stava solo guardando il suo stesso riflesso. «Non dovrei dirti il vero motivo,» cominciò lui, «però non troverei giusto mentirti.» Poggiò il coltello sul bancone per concentrarsi su di lei. «Mi manda tua zia, mi ha chiesto di farti ragionare.»
Se lo sarebbe dovuto immaginare.
Leean prese il contenitore della salsa di soia e batté la mano sul fondo. Ci impiegò più forza del necessario; una quantità eccessiva di salsa ricopriva i germogli. Se già non la attiravano prima, con il loro nuovo colorito marroncino adesso sentiva lo stomaco contrarsi.
«Dovresti accettare il lavoro.»
Le parole di Benjamin le rimbalzarono addosso. Si scontrarono con una barriera che lasciava trasparire solo il suono, e non il significato. Con ancora il contenitore della salsa di soia in una mano, Leean mosse la padella sul fuoco, lo sguardo fisso sul suo contenuto. Lo sfrigolio le raggiunse il cervello, si sintonizzò con i suoi pensieri finché nella sua testa non rimase altro che quel rumore.
Scoppiettante e rassicurante.
«Lee? Mi hai sentito?»
«Sì,» rispose, in automatico.
Mancava un passaggio ancora, prima che il contorno di quella sera fosse pronto. Un solo, semplice passaggio. Qual era? Perché non le tornava in mente?
La sedia di Benjamin scricchiolò alle sue spalle. «È una grande opportunità. Se questo ti andrà bene, poi al museo ti riprenderanno a occhi chiusi. È quello che hai sempre voluto, no?»
«Secondo te quanto vale questo vaso?» Leean lasciò la paletta per accarezzare la superficie di vetro del vaso in questione, sistemato sul mobile accanto ai fornelli. Un regalo di buon auspicio per il suo trasferimento, arrivato assieme a una piantina di menta che tuttavia era deceduta dopo poco. Restava solo il vaso, dalla forma irregolare e un colore bianco sporco.
«Non credo un granché,» rispose Benjamin, serio. «Sei a corto di soldi?»
«Non direi a corto.» Sollevò le spalle. «Ma pensavo di vendermi qualcosa, sai, per alleggerire l'ambiente?» Le uscì come una domanda, come per chiedergli se lui trovasse un senso in ciò che diceva. Peccato che lui fosse Benjamin e capisse sempre quello che lei cercava di nascondere dietro parole senza senso.
Ben si alzò. «Ascoltami, capisco che hai paura, però hai bisogno di quel lavoro. E hai bisogno di quei soldi. O preferisci davvero venderti mezza casa per una manciata di banconote?»
La salsa di soia era evaporata. Leean fissò il risultato di quel piatto tanto insulso e una realizzazione improvvisa la attraversò: l'acqua. Doveva bagnarli, ecco cosa stava dimenticando. Mentre versava meno di mezzo bicchiere nella padella, sospirò. «Non posso,» rispose soltanto.
«Vuoi davvero farti scappare l'occasione di una vita perché hai paura? La paura è solo un mezzo dell'anima per dirti che ha a cuore qualcosa. Devi superarla per trovare la felicità.»
Spento il fuoco, Leean raggiunse il banco. Prese il coltello sporco di zenzero per rigirarselo fra le mani. «Stronzate,» disse, secca. «Tu hai mai visto qualcuno farsi saltare la testa?» L'altro serrò la mascella e restò in silenzio, perciò lei aggiunse: «Non è una domanda retorica.»
«No. No, non l'ho mai visto.»
«Bene. Quindi non hai idea di cosa si provi, a ritrovarsi schizzi di cervello sulle scarpe. A osservarli, mentre intorno a te succede di tutto, ma tu non registri nulla se non il sangue e i piccoli pezzettini di una mente che non ragionerà mai più. Non lo sai, come ti tormentano ogni notte, ogni giorno. Non lo sai, cosa si prova a sapere che se solo avessi trovato il coraggio di fare qualcosa, se solo fossi stata competente, forse tutta questa merda non l'avresti vissuta nemmeno.»
Il silenzio che seguì le calmò la tempesta che le si era scatenata nel petto. Eppure, la scuoteva il desiderio di rimangiarsi tutto, di rimandare giù le parole sputate e tenerle rinchiuse all'interno del petto, a premere ancora e ancora pur di uscire.
Benjamin le si avvicinò per posarle una mano sulla spalla. Un altro peso, il suo, che Leean non riuscì a sopportare; scivolò via, il coltello stretto lungo il fianco. «Non importa quello che ti dicono gli altri, Lee. Quello che è successo non è colpa tua.»
«Forse no.» Abbassò gli occhi. Delle gocce di salsa di soia erano finite chissà come sul pavimento. «Ma che differenza fa? La testa gli è esplosa comunque.»
«Non ti concentrare sulla vita che se n'è andata,» azzardò lui, e lei lo guardò, battendo le palpebre. «La sua anima ormai sarà già tornata in un altro corpo, magari vive un'esistenza migliore adesso.»
Quante altre anime aveva scosso, però? E lui, che le aveva posto tutte quelle domande su come si sentisse a vivere come Argento, sarebbe stato davvero meglio? Si era mai sentito adatto al ruolo che la sua stessa anima aveva scelto? Rinascere non avrebbe cambiato niente, dopotutto, o sì?
Queste domande però Leean le tenne per sé. «Non ce la faccio. Voglio un posto pacifico e un lavoro facile. Salvare vite non è una cosa che fa per me.»
Benjamin mosse un passo verso di lei. Uno solo, ma si bloccò vedendola indietreggiare. «Tu sei un'Argento, Lee. La tua anima ha scelto di proteggere le persone.»
«E questo chi lo dice?» sbottò lei. «Un test che si fa a quindici anni? La mia anima lo sapeva davvero, cosa voleva fare, a quell'età?» Gesticolava troppo per una che teneva un coltello in mano. Avrebbe dovuto fermarsi, se solo avesse capito come riacquistare il controllo di se stessa. «Porca puttana, avevo appena smesso di giocare con le bambole!»
Lui non si scompose nemmeno davanti alla minaccia di una lama che gli si agitava di fronte. «L'età è una pura formalità, e lo sai benissimo. L'anima ha già scelto il suo ruolo molto prima che questa tua vita iniziasse.»
«Allora forse poi ha cambiato idea.» Ripose il coltello nel lavandino, assieme a un paio di bicchieri rimasti lì dalla mattina.
«Ti sembra così perché quello che è successo ti ha sconvolta.» Benjamin la trovò ancora e questa volta la tenne saldamente per le spalle. Il rossiccio dei suoi capelli appariva quasi biondo, sotto la luce del lampadario.
Di un'altezza e una corporatura che rispecchiavano la media, Benjamin era sempre stato del tutto diverso da suo padre: poco più giovane, con un'espressione che irradiava calore, un'eleganza rilassata. La invitava a poggiargli la testa contro il petto e a lasciarsi cullare avvolta nel suo profumo. La sua sola vicinanza le rendeva difficile pensare a qualsiasi altra cosa se non di abbandonarsi al suo calore, magari addormentarsi e sperare che lui si occupasse di tutti i problemi mentre lei sognava.
«Quello che è successo quel giorno non significa che sei sbagliata,» continuò lui. «Non significa che non puoi sperare di diventare qualcosa di più, o che non te lo meriti. La paura è normale. Il dubbio è normale. Ma puoi vincerli. Ti assicuro che puoi.»
Leean sgusciò lontano da lui, di nuovo. Urtò il lavandino dietro di sé e si morse l'interno del labbro per il dolore alla schiena, tuttavia mantenne il sorriso. Il suo solito, finto sorriso. «Sì,» borbottò. «Hai ragione. Ci proverò.»
La verità era che non aveva scelta. Accettare risultava l'unica soluzione. Anche se no, non era affatto pronta.
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Spazio autrice:
Capitolo di passaggio, ma mi serviva. Nel prossimo inizia finalmente la festa, sì. Si è fatta aspettare, ma arriva xD
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