28
«Tu sei quell'amico di mia sorella. Quel tipo dall'aria inquietante. Che rapporto avete?»
«Siamo amici, l'hai appena detto tu.»
«Solo amici?»
«Non lo so. Lei è la mia migliore amica.»
«Allora perché non le hai impedito di indossare una bomba?»
Brie scambiò un'occhiata veloce con Benjamin, accanto a lei. Lui scrollò le spalle, come a dire "io non so nemmeno chi sono questi", e abbozzò un sorriso che, forse, sperava di essere incoraggiante. I capelli in disordine, gli occhi cerchiati di nero, il livido violaceo che gli decorava la tempia e la camicia spiegazzata fecero però l'effetto opposto. Dietro di lui, Monia sghignazzò.
Wyatt e Duke si fronteggiavano. Naso a naso, si fissavano negli occhi con l'intensità di due pronti a uccidersi – o a baciarsi, una delle due, Brie non riconosceva mai la differenza fra tensione sessuale e tensione in generale.
«Parla suo fratello,» sibilò Wyatt. «Potevi farla ragionare tu, non sei l'oratore migliore della zona profana?»
Duke sollevò il mento. Era più basso di un paio di centimetri, ma i capelli gli regalavano un vantaggio. «Non ero io a starle sempre appiccicato. Si può sapere come hai fatto a non accorgerti di niente?» Gonfiò il petto, in un fallimentare tentativo di sembrare più grosso. Lui però era un damerino, non certo un campione di risse, e sembrò solo stupido.
«Non sono stato di certo io a farle incontrare un Divora Anima e a metterle in testa un sacco di stronzate,» replicò Wyatt, altrettanto mingherlino.
Se si fossero presi a pugni, perfino Brie avrebbe potuto separarli senza troppe difficoltà.
Benjamin si intromise prima che si finisse a scazzottate. Mise una mano sul petto di entrambi e li spinse, gentile. «Ragazzi, non siamo qui per litigare, siamo tutti dalla stessa parte. Se collaboriamo sono sicuro che la riporteremo indietro sana e salva.»
Sia Duke che Wyatt emisero un verso sprezzante, poco convinti.
Monia avvicinò le labbra all'orecchio di Brie. «Qui c'è un po' troppo testosterone.»
«E dire che almeno uno dei due dovrebbe essere quello più intelligente del gruppo,» rispose lei. L'altra rise e le sferrò un colpo amichevole sulla spalla.
Brie irrigidì i muscoli in un riflesso involontario. La cercò con la coda dell'occhio, lei e il suo ciuffo rosa, lei e il suo tatuaggio inquietante. Monia apparteneva alla classica categoria di persone che, in circostanze normali, non avrebbe nemmeno guardato in faccia. Tuttavia, lo stesso valeva per Leean, eppure eccola lì, a chiedersi se stesse bene, con lo stomaco contratto al pensiero che se ne stesse rinchiusa a casa, da sola, a combinare chissà cosa.
Si scrollò di dosso le preoccupazioni con un sospiro. Si frappose fra Wyatt e Duke, ancora intenti a guardarsi in cagnesco, ignorando del tutto le suppliche di Benjamin. «Se avete finito a fare a gara a chi piscia più lontano,» sbottò, «direi che abbiamo una cosa da fare.»
Questo fu sufficiente a far abbassare la cresta a entrambi. Duke si schiarì la gola in maniera isterica, la bocca nascosta dietro la manica; Wyatt si massaggiò il retro della nuca.
«Ecco a voi, signori, l'unica con un minimo di palle del gruppo.» Monia spalancò le braccia.
In un sorrisetto soddisfatto, Brie si avvicinò alla vetrata sulla sua destra. Al di là, si scorgevano le finestre del grattacielo adiacente e la bianca stanza speculare alla loro: solo la glaciale immobilità delle statue infestava il corridoio. Statue di ogni tipo, dotate di ali, senza gambe e nient'altro che un ammasso di vesti prive di forma. Alcuni avevano le corna, altri non erano nemmeno umani, ma creature animalesche con corpi umanoidi.
Brie appoggiò una mano sul vetro. Dall'altra parte, nessun'anima si aggirava con un gruppo raffazzonato di gente dalla dubbia utilità nella speranza di affrontare un Divora Anima. Forse stava sbagliando anche lei. Dopotutto, che motivo aveva di rischiare la vita in mezzo a gente armata di fucile?
Trovare Jane, ricordò a se stessa.
Le dita premute contro il vetro lasciavano un alone di condensa sudaticcia. Le premette con più forza, quasi come se sperasse che la finestra si trasformasse in un portale per una dimensione alternativa, dove tutto andava bene, dove i Gestori garantivano ancora l'ordine in città e i Divora Anima restavano confinati nella zona profana.
Doveva trovare Jane. Non per Nayana e, forse, nemmeno per Jane stessa, ma solo per porre rimedio alla propria stupidità.
«Quindi, il piano qual è? Andiamo a caso e spariamo a tutti quelli che ci si presentano davanti?» La voce di Monia la convinse a tornare nel presente.
Brie incrociò i piedi, cambiò direzione e si ritrovò davanti il gruppo più assurdo che avesse mai visto, in attesa dei suoi ordini. «Non abbiamo pistole,» le fece notare.
«E comunque siamo pochi e non addestrati,» annuì Duke.
Wyatt si grattò la punta del naso. «Non siamo mica qui per fermarli. Dobbiamo solo parlarci.»
«Immagino non spetti a noi fermarli, no,» disse Benjamin. «Anche se qualcuno dovrebbe provarci.»
«Be', quel qualcuno non siamo noi.» Brie diede le spalle al vetro –e alla stanza identica nell'altro edificio. «Per il momento accontentiamoci di cercare delle informazioni.»
Gli altri non risposero. Soltanto Monia sollevò il pollice e le mostrò i denti in quello che, forse, doveva essere un sorriso incoraggiante e che, in realtà, ricordava il ghigno di un bullo. Brie alzò le sopracciglia, ma l'altra aggiunse un occhiolino, così distolse lo sguardo.
Nello stesso momento, giunsero dei passi.
I piedi si mossero da soli, la portarono più vicina al resto del gruppo. Accerchiati dalle statue che decoravano il corridoio, attesero, i nervi saldi, l'avvicinarsi di una sola persona. Un ragazzo dai capelli scuri e tanto pallido da confondersi con i muri comparve da dietro l'angolo. Puntò subito il fucile nella loro direzione.
Teneva le gambe troppo ravvicinate, le ginocchia incurvate verso l'interno si sfioravano. Brie non possedeva una grande conoscenza in quanto ad armi da fuoco, ma perfino lei capiva che nessuna persona addestrata avrebbe mai assunto una posizione del genere.
«Cosa fate qui?» chiese, avvicinandosi. L'ombra di una spada di pietra gli scivolò dallo zigomo, e con la luce che gli baciava un lato del volto Brie lo riconobbe: Jonah.
Wyatt fu il primo ad alzare le mani, ma anche il primo a farsi avanti. «Ehi, amico, te l'avevo detto che quelle cazzate ti avrebbero dato alla testa. Ti sei fatto abbindolare, alla fine.»
Non il modo migliore per farlo calmare.
Jonah strinse il fucile al petto. Lo mantenne puntato sul suo amico. Tremava. «Wyatt, che ci fai qui?»
«Secondo te? Sono venuto a farvi ragionare.»
«Farci? Me e chi? Zoey?» Jonah si esibì in una risata rauca e sgradevole, per quanto contenuta. «Quindi cosa speri di fare, giocare al principe azzurro che salva la principessa dal gruppo di ribelli cattivi? Sveglia, Wyatt: una come lei non potrai mai averla, sei troppo noiosamente ordinario. Un omino qualunque, che segue le regole che gli vengono imposte e non si fa mai due domande.»
Duke curvò il collo, un sopracciglio alzato puntato addosso a Wyatt.
Lui però non gli fece nemmeno caso. Schioccò la lingua, infastidito. «Quante volte te lo devo dire, che non mi interessa in quel senso?»
«E secondo te ci credo? Ti comporti come il suo cagnolino fedele. Le stai sempre appiccicato, ti sei illuso di capirla, di conoscerla, ma guardati. Sei solo patetico.»
«Se io sono patetico, tu allora cosa sei?» Wyatt sporse il mento. «L'hai seguita in una rivoluzione che nemmeno capisci solo perché speri che ti noti.»
«Aspetta, cosa?» Duke fece scorrere lo sguardo dall'uno all'altro. Poi si voltò, rivolse un'occhiata supplicante a Brie, Benjamin e Monia, in cerca di aiuto. Loro scrollarono le spalle. «Da quand'è che mia sorella fa strage di cuori?»
Wyatt sbuffò. «Io non sono innamorato. Lui lo è. Sta solo proiettando la sua ossessione su di me.»
Jonah fece scivolare il dito sul grilletto. Lo lasciò lì, a sfiorare il ferro, a tremolare. «Stronzate.»
«Allora perché non ci dici dov'è e basta? Siamo qui solo parlare, non vogliamo mettervi i bastoni fra le ruote.»
«Perché dovrei credervi?»
Brie roteò gli occhi al soffitto. Cominciava ad averne abbastanza di persone che perdevano la testa per amore. Accostò la testa alla figura accanto a sé, ma si stupì nel vedere il ciuffo rosa di Monia. Per un attimo, aveva dimenticato che Leean non fosse con loro. Perse una manciata di secondi a strabuzzare gli occhi, confusa, mentre l'altra premeva le labbra per nascondere un sorriso divertito.
Quando aprì la bocca, pronta a darle un ordine, Monia gliela chiuse poggiandoci il dito. Annuì e le strizzò l'occhio.
Brie si allontanò un poco. Cos'aveva capito?
«Perché non siamo nemmeno armati,» diceva Wyatt nel frattempo.
Jonah spostò il peso da un piede all'altro. «E siete tutti qui per parlare con Zoey?» Lo scetticismo gli serpeggiava infido nella voce.
Monia allungò una mano e afferrò la manica di Benjamin; gli fece un cenno con la mano che Brie non comprese. Lui invece dovette capire, perché senza esitazioni diede loro le spalle, coprendo la visuale su Jonah.
«Noi due, sì,» rispose Duke.
«Io devo prendere a pugni quel deficiente di Nick,» aggiunse Benjamin.
Monia lo aggirò. Continuò a muoversi verso Jonah, lateralmente, con la tranquillità di chi sapeva per certo di essere nel suo punto cieco. Lo raggiunse proprio quando lui provò ad aprire le labbra per formare una risposta. Gli abbassò l'arma e gli frantumò il naso con una gomitata. Jonah barcollò all'indietro, ma lei lo mantenne per il bavero, impedendogli di cadere. Gli strappò il fucile dalle mani, poi gli infilò il tacco dell'anfibio sul retro del ginocchio.
Jonah crollò a terra, sottomesso, fra un grugnito e l'altro. Il naso gli sanguinava. Monia lo tirava per i capelli; lui mantenne una smorfia costante. «Menomale che eravate qui solo per parlare.»
«Sai com'è, parlare senza un fucile puntato addosso è più comodo,» gli rispose Monia in un sorriso da predatore.
«Cos'è che volete sapere, allora?»
Wyatt e Duke si mossero insieme, procedettero di un passo verso Jonah, ma poi entrambi si bloccarono. Travolti da chissà quali pensieri o dubbi, indietreggiarono. Benjamin fu l'unico a ricordarsi di Brie, le pose una domanda silenziosa con lo sguardo.
Lei incurvò le labbra verso l'alto, una frazione di secondo. «Sai qualcosa di una donna di nome Jane?» chiese. Gli altri si fecero da parte per lasciarla avvicinarsi. Si inginocchiò di fronte a Jonah, rapita dal disegno che le ombre delle statue gli dipingevano sul volto.
Lui rise, e quelle stesse ombre gli si spostarono sul naso e sugli zigomi, in una sorta di disegno mutante, bello e inquietante al tempo stesso. «Jane è un nome abbastanza comune, puoi essere più specifica?»
«Non so il suo cognome. Non molto tempo fa, Celes ha preso un accordo di rapire una ragazza di nome Jane. Da allora, lei è scomparsa nel nulla. Ne sai qualcosa?»
«Ah. Quella Jane.» Non lo trovava più così divertente. La mancanza della sua risata però colpì Brie nel centro esatto del petto, con la potenza di un proiettile; la perforò da parte a parte. «Celes ci ha chiesto di rapirla. Non è stato difficile, mi sono finto un paziente che chiedeva informazioni, e lei mi ha portato nel suo studio. Lì, Nick è entrato in scena: un po' di cloroformio ed era nostra.»
Una credulona, Jane. Si fingeva tanto intelligente, capace di comprendere le intenzioni degli altri a un solo sguardo, invece...
Brie strinse le dita attorno al tessuto dei pantaloni. «E poi? Dov'è ora?»
Jonah scosse la testa. «Non lo so. L'abbiamo portata da Celes e non l'abbiamo più vista.»
Perciò era di nuovo al punto di partenza. Poco male.
«E dov'è adesso Celes?»
«Nella stanza del Gestore numero uno.»
«E come ci entro?»
«È sorvegliata, non ti lasceranno mai entrare.»
Monia gli tirò i capelli fino a fargli reclinare la testa. Accostò il viso al suo, e il disegno d'ombra si proiettò anche su di lei; li teneva uniti in un unico, angosciante quadro fatto d'inchiostro nero. «Tu intanto dicci come ci si entra,» gli sussurrò.
Jonah provò a divincolarsi, inutilmente. «Ci vuole un codice. Siamo riusciti a disabilitare il riconoscimento delle impronte, però il codice è rimasto lo stesso usato dai Guardiani.»
«Sarebbe?» chiese Brie.
«Uno, quattro, due, uno.»
Un codice semplice da memorizzare. Chiunque l'avesse scelto non prevedeva un tentativo dei Divora Anima di riprendersi il ruolo di Gestori, o avrebbe scelto qualcosa di più elaborato.
Brie rilasciò la presa sulla stoffa dei pantaloni. Una ciocca le scivolò davanti all'occhio, dondolante. La riportò dietro l'orecchio mentre si risollevava. «Zoey e Nicholas dove sono?»
Duke, Benjamin e Wyatt le orbitarono attorno, all'improvviso interessati alla discussione.
«Nicholas è qui.»
Eccolo comparire oltre le statue, lento, privato del suo sorriso luminoso. Reggeva un fucile identico a quello di Jonah, ma la sua, di presa, era sicura. Quando sollevò la canna e la puntò addosso a Brie, un colibrì le agitò spaventato le ali nello stomaco, perché lo sapeva, oh, come lo sapeva, che se Nicholas avesse sparato non l'avrebbe mancata. E allora addio speranza di ritrovare Jane. Addio vita. Addio storto gruppetto di compagni. Addio Leean.
Non osò muoversi né respirare. Benjamin, in compenso, lui sì che trovò il coraggio di farsi avanti. A testa alta. Gli andò incontro, e Nicholas spostò il mirino su di lui. Tuttavia, non sparò. Gli permise di raggiungerlo, di premere il proprio petto contro la canna, di sua spontanea volontà, e nemmeno allora fece fuoco.
«Nick, per favore. Smettila di giocare a fare il ribelle rocchettaro.» Benjamin non lo temeva. Non lo temeva, e come facesse a non avere un colibrì impazzito nello stomaco, a rivoltargli le viscere nel tentativo di fuggire, Brie non lo capiva.
«Non sto giocando. Voglio solo portare la libertà in questa società di merda.» Gli rispose con una rabbia ringhiante. «Lo so che non hai mai creduto in me, o nelle mie possibilità, lo so che a te questo schifo va bene così perché, ehi, sei stato più fortunato. Non è così per tutti, però, sai? Cosa vuoi che ti dica? Scusa se non sono mai stato felice di montare palchi o aggiustare le luci come mi dice un qualche stronzo qualsiasi che si sente figo perché ha potuto studiare non so quanti anni, per capire dove puntare due fottuti luci.»
Il fucile premette più a fondo nel petto di Benjamin. «Non c'è niente di male, non devi sentirti inferiore solo perché...»
«Sentirmi inferiore?» La saliva gli uscì in schizzi esagitati dalle labbra. «Non mi sento inferiore, Ben, mi sento infelice. Perché cazzo ti è così difficile da capire?»
Forse Benjamin avrebbe trovato una risposta adatta. Magari avrebbe ammesso di non essere in grado di comprenderlo. O chissà, avrebbe spostato il fucile e scoccato un bacio sulle labbra di Nicholas. In ogni caso, non lo scoprirono mai.
Una voce femminile li interruppe. Proveniva da ovunque e da nessun luogo. Brie sollevò lo sguardo al soffitto, e lì la vide, sospesa sopra la seconda testa di una statua: una cassa. La voce proveniva da lì.
«Cittadini di Aném,» diceva, in un tono concitato e stanco al tempo stesso, «sono Ebony, la vostra Guardiana. Vi prometto che presto troveremo il modo di riprendere il controllo della città, ma nel frattempo devo chiedervi una cosa importante.»
Nicholas rilassò le spalle. Allontanò il fucile da Benjamin, e una bozza del suo sorriso luminoso gli si dipinse sulle labbra. Jonah rideva.
«Non ho tempo di spiegare il perché. Vi prego, spegnete e rimuovete i vostri Psych, immediatamente.»
La risata si interruppe lì. Si trasformò in un accesso di tosse, e Jonah collassò a terra, reggendosi sulle braccia. Nicholas perse di nuovo la sua spensieratezza, si accigliò e alzò il capo verso il soffitto, alla ricerca delle casse. Come se non capisse. Come se ci fosse un errore.
Brie non perse tempo a chiedersi il perché. Vide Wyatt buttare a terra il proprio Psych, come se fosse avvelenato; lei fece altrettanto.
Poi Monia caricò Nick. Gli rifilò una testata sulla schiena, lo circondò con le braccia e gli cadde addosso. «Che aspetti?» gridò, mentre gli torceva il polso. «Vai!»
Brie sbatté le palpebre un paio di volte. Ce l'aveva con lei?
Duke e Wyatt si avventarono su Jonah per impedirgli di riprendere il fucile. Benjamin raccattava quello di Nicholas. Rimaneva soltanto Brie, perciò sì, diceva proprio a lei.
Scattò di corsa lungo il corridoio, sotto gli sguardi severi delle statue. Trovò subito la stanza del Gestore numero uno, e la sua sala d'attesa era vuota. Niente sorveglianza. Forse la sorveglianza era Nicholas, pensò, o magari Jonah mentiva.
Quale che fosse la verità, non importava.
Digitò il codice sul dispositivo sul muro. La porta scorrevole si aprì. Brie si riempì i polmoni e si addentrò.
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