23
Uccisero tutti i Gestori.
Nicholas li portava da loro, uno dopo l'altro; e, uno dopo l'altro, facevano saltar loro la testa. Leean partecipò a ogni esecuzione. Fece fuoco tante di quelle volte da smettere di sussultare al suono dello sparo. Rimase solo il nulla, un senso di vuoto, una mancanza di emozioni.
Se solo fosse stata consapevole del gelo che le intorpidiva il cuore, si sarebbe terrorizzata. Il panico, però, la disperazione, il terrore, la preoccupazione, l'angoscia... tutto era sparito.
Celes non proferì parola fino a che anche l'ultimo Gestore non fu abbattuto. Allora scambiò un gesto d'intesa con Nicholas. Lui disse qualcosa – Leean non lo sentì, nelle orecchie aveva ancora il rumore dei fucili – annuì e le lasciò sole. La porta scorrevole gli si chiuse alle spalle.
«Come ti senti?»
Alla domanda di Celes, Leean si riscosse dal suo torpore. Mosse le dita dei piedi nelle scarpe, con un disperato bisogno di aggrapparsi al suolo. «Non lo so.»
Non sentiva niente. Il nulla assoluto.
Era quello, il vuoto di cui le parlava Brie?
Una mano metallica le si poggiò sulla testa, le scompigliò i capelli. Quando alzò la testa, Leean indugiò di fronte al sorriso di Celes. «Lo so che la libertà ti fa paura.»
«Davvero?» Lo stupore non proveniva tanto dal fatto che lei sapesse, quanto dal fatto che Leean stessa non aveva idea di cosa stesse provando. La paura creava il nulla, quindi?
Celes piegò le ginocchia in una posa disumana, fino a portarsi alla sua stessa altezza. Nei suoi occhi si rifletteva tutta la luce delle anime che aveva divorato. Lì dentro, da qualche parte, c'era anche Erin. Lì dentro, da qualche parte, c'era un pezzo di Leean. «Tu sei importante per me, Lee.» Le scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Se sono qui adesso è solo perché tu mi hai ridato la fiducia nelle mie idee.»
Che fortuna. Era una vera eroina allora.
Leean si acciaccò la lingua piuttosto che sputarle addosso quelle risposte. La puzza della plastica squagliata e dei circuiti andati a fuoco le si infiltrava nel naso. «Cosa vuoi da me?»
Un altro sorriso. Di una gentilezza estrema, e al contempo così sbagliato sulla faccia di Celes. Un sorriso del genere stava bene addosso a zia Ebony, non certo a lei. «Voglio che tu mi accompagni.»
«Dove?»
«Nella mia impresa. Libererò il mondo, e ti voglio al mio fianco.»
Che strano. Un briciolo di emozione tornò all'improvviso. Le sbocciò sulla bocca dello stomaco. Allo stesso tempo, una pianta di angoscia le germogliò nella gola. «Non sono sicura di volerla, la libertà.»
«Sì che la vuoi. Non brami nient'altro.» Celes accostò il viso più vicino, troppo. Non emetteva odori. Non spargeva il calore del proprio fiato, perché non respirava. «E ora che sai di non essere una Argento...»
«Non sono una Argento?» la interruppe. Il fucile le pesava fra le braccia; provò il desiderio di lanciarlo contro il muro e fuggire, fuggire in casa sua, da Spuntone e il suo musetto serio, dalle verdure insapori di sua zia e dalle prediche di Benjamin.
Ma resistette. Rispose allo sguardo di Celes. Cercò se stessa nei suoi occhi freddi.
«No, non lo sei,» le rispose. «Nessuno lo è. Non esiste niente del genere. Siamo più che metallo.» Le picchiettò il dito contro il petto.
La bocca le divenne arida. Leean staccò la lingua dal palato, cauta; ne udì il rumore e pensò alle ali di una farfalla che si strappavano. «Se non sono una Argento, allora cosa sono?»
«Tutto quello che vuoi. Sarai tu a scegliere cosa essere. Chi essere.»
Un briciolo di calore guizzò negli occhi di Celes. Durò appena un istante, in cui le pupille si dilatarono, e qualcosa si rifletté nelle sue iridi. Leean si chiese se fosse la sua stessa anima che la richiamava, o se fosse quella di Erin, nel tentativo di comunicarle qualcosa. Eppure fu a Brie che pensò. A lei, al peso della sua confessione, e ricordò che anche lei era una parte di Celes ormai.
«Non posso,» borbottò. La pianta nel suo stomaco allungava i rami, si espandeva.
Celes le accarezzò una guancia. Il suo tocco freddo la pietrificò. «Sì che puoi. Senza la libertà non puoi trovare te stessa. Puoi solo essere chi gli altri vogliono che tu sia. Ma tu sei molto più di un misero burattino, non ci riesci a vivere una vita che non hai deciso per te.»
Non ci riusciva, no, così come non riusciva a scegliersene una da sola. Viveva un'esistenza bloccata tra l'incapacità di amalgamarsi al ruolo che le avevano affibbiato e l'incapacità di trovarsene un altro.
Abbassò lo sguardo, perché si rese conto che in realtà aveva già scelto, nel momento esatto in cui il dito le era scivolato sul grilletto. «Cosa devo fare?» chiese.
«Niente, per ora. Nicholas e gli altri stanno per evacuare l'edificio. Segui i tuoi compagni, vivi come vuoi le prossime giornate. Ti farò sapere io quando avrò bisogno di te.»
«Cosa succederà adesso?»
Le carcasse dei Gestori infestavano l'angolo della stanza, con i loro corpi di latta bruciata. La testa di uno era rotolata lontana dal cumulo, gli occhi spenti si perdevano nel nulla. Un tempo quegli stessi pezzi di vetro emanavano la luce che condannava i ragazzini a un'esistenza prefissata.
Non sarebbe accaduto mai più.
Nessuno sarebbe entrato ancora in quelle stanze a farsi riempire di domande senza senso, con il cuore che scalpitava nel petto e il terrore del risultato.
Celes non sbagliava, dopotutto. Stava liberando davvero Aném.
«Niente. Cercheranno di sbatterci fuori,» rispose Celes. «Per questo ci terremo i Guardiani come ostaggi.»
Leean si voltò di scatto nella sua direzione. «Mia zia,» cominciò. «E Quinn...»
«Staranno bene. Non vogliamo far loro del male. È solo per precauzione.»
Poteva fidarsi?
Di Celes probabilmente no. Della parte di sé che lei custodiva, però, forse di quella sì.
Così annuì, perché non c'era molto altro che potesse fare. Dopotutto, se i Gestori non esistevano più era anche a causa sua.
Si fece accompagnare fuori come uno zombie. Oltre la porta scorrevole, Benjamin urlava contro Nicholas; rosso in faccia come non era mai stato, i capelli un cumulo di ciocche appiccicate dal sudore e le mani che strofinavano di continuo la barba. Jonah e altre due persone armate lo circondavano, eppure lui non se ne preoccupava.
Wyatt aspettava seduto allo stesso posto di prima. Questa volta però Zoey non lo affiancava, e accanto a sé aveva solo il fantasma di una ragazza che credeva di conoscere. Di una ragazza che Leean aveva creduto di conoscere.
Che stupidaggine. Proprio lei la giudicava.
Né zia Ebony né Quinn erano presenti. Nel suo stomaco, la pianta appena nata fece sbocciare un paio di fiori, già appassiti. Fu contenta che almeno loro due non fossero lì per vederli. Non avrebbe sopportato ancora lo sguardo deluso di Ebony.
«Vuoi distruggere un'intera società solo perché così puoi fare il cazzo di cantante?» gridava Benjamin. Agguantò Nicholas per i baveri e lo tirò a sé. «Ti rendi conto di quanto sei egoista? Oltre che stupido.»
L'altro sbuffò un sorriso ferito. «Egoista?» Si liberò dalla sua presa con uno strattone. «Certo, ora sono io l'egoista. Solo perché voglio vivere la vita che voglio, anziché servire una società di merda che ci tiene come cani addestrati.»
«No, imbecille. Sei un egoista perché la tua musica fa schifo e lo sai. Ecco perché non sei un Oro, coglione.»
Leean nascose una risatina dietro la mano. La visione di un Benjamin in grado di sputargli in faccia tutte le verità, di un Benjamin con gli occhi finalmente spalancati, ridiede vita ai suoi fiori appassiti. Durò poco, però, perché l'istante successivo Nicholas gli sferrò un colpo sulla tempia con il manico del fucile.
Ben crollò a terra. Leean gli corse incontro. Si inginocchiò accanto a lui. Gli infilò la mano sotto l'ascella e lo aiutò a tirarsi su.
Nicholas raddrizzò la schiena. «Potrò anche non essere adatto a fare il cantante, ma devo avere il diritto di provarci.»
A questo, Benjamin non rispose. Si tenne a Leean con tutto il suo peso, mentre gli altri puntavano i fucili contro Wyatt e lo costringevano ad alzarsi.
«Stiamo evacuando il palazzo,» disse Jonah. «Potete uscire dalle scale antincendio.»
Wyatt teneva i palmi in bella vista. «Posso riavere il mio Psych?»
«No. Adesso muovetevi.»
«Zoey dov'è?»
«Ho detto muovetevi.»
Wyatt non si ribellò oltre. Leean e Benjamin si unirono a lui. Raggiunsero le scale all'altro lato del corridoio, in una fila scomposta. Jonah si assicurò che uscissero dalla porta antincendio, poi smise di seguirli.
Il cielo li accolse con le sue nuvole grigie e un sottile sentore di pioggia. Se solo il tempo avesse potuto fermarsi a quel punto, congelarsi così, prima che Leean dovesse affrontare le conseguenze della sua scelta. Se solo il mondo non fosse stato tanto complicato. Se solo fosse nata in mezzo a uno stormo di uccelli migratori, librarsi nel cielo sarebbe stato il suo unico scopo, il suo unico desiderio.
Wyatt si incamminò per primo sui gradini di ferro cigolante. Guardò oltre la ringhiera, spalancò gli occhi, scosse il capo e continuò a camminare.
Leean non lo imitò. Preferiva perdersi nell'immensità del cielo piuttosto che preoccuparsi di quanto lontana fosse la terra.
«Lee?» Il fiato di Benjamin le scaldò la guancia.
«Sto bene. Andiamo,» rispose.
«Mi dispiace. Se non mi fossi comportato come uno stupido a quest'ora te ne staresti a casa a dare da mangiare alla tua lucertola.»
Uno dei fiori si staccò dalla pianta. Ondeggiò lento verso il basso. «Non è una lucertola,» replicò. Chiuse gli occhi, e le lacrime le spinsero contro le palpebre. «E poi è colpa mia.»
Ottenne il silenzio, ma ne fu felice. Non ce la faceva a sopportare l'idea di parlarne, non con lui, non adesso.
Seguirono Wyatt, l'uno accanto all'altra, rampa dopo rampa. Finché Benjamin non si fermò, tre piani più giù, e si infilò le dita nei capelli. Se prima erano scompigliati, ormai l'aspetto era quello di uno scienziato pazzo che non dormiva da un secolo.
«Perché non me l'hai mai detto?» le disse.
Leean si appoggiò alla ringhiera. «Cosa?»
«Lo sai. Che sei all'ultimo respiro.»
«Te l'ha raccontato mia zia?» Gli diede le spalle. Non sopportava la sua vista.
Benjamin fece un passo avanti. L'intera scalinata traballò sotto il suo peso. «Era sconvolta,» rispose, come se fosse una giustificazione. Scusa, Lee, se sputtaniamo tutti i tuoi segreti in giro, è per il tuo bene.
Già. La trattavano come una bambina, ma non era colpa loro. Leean si era comportata da tale per tutta la propria vita, sempre a lasciare che fossero gli altri a decidere cosa dovesse fare. Sempre ad aspettare che fosse qualcun altro a rimediare ai suoi casini. «Perché avrei dovuto dirtelo?»
«Che senso ha chiedermi aiuto se poi non ti fidi di me?»
«Non lo so.» Osò abbassare gli occhi, verso un terreno che nemmeno vedeva. «Che senso ha divorziare se poi non fai che scodinzolare a ogni sua richiesta?»
Si detestò per averlo detto. Si odiò per non avere il coraggio di voltarsi ad affrontare la ferita di Benjamin, quella pulsante che lei gli aveva appena inflitto. Ormai però era troppo tardi per rimangiarselo. Sostenne il peso di tutti i petali che dentro di lei si spezzavano e si accumulavano sul fondo dello stomaco; formarono una pila altissima.
La pianta stessa avvizzì.
«Lo so che è difficile da accettare,» cominciò Ben. «Ti senti in colpa, lo capisco. Scusami. Certe cose non sono facili da ammettere...»
«Smettila.» La voce le tremolò. Le dita strinsero il ferro della ringhiera. Le lacrime le sfuggirono, le rotolarono giù dalle guance. «Smettila, ti prego. Non farlo.»
«Non fare cosa?»
«Non...» Afferrò il labbro fra gli incisivi. Non tentare di capirmi. Non giustificarmi. Questo pensò, ma le parole le si bloccarono sul fondo della gola. «Non dirmi come mi sento,» disse alla fine.
Lui la prese per la spalla, la costrinse a voltarsi. Leean tenne gli occhi bassi. «Non voglio dirti come ti senti, sto solo cercando di aiutarti. Sei in un momento difficile, e non la stai passando bene. Mi dispiace, perché so come l'ha presa tua zia e...»
«Per favore, Ben, basta. Non ne voglio parlare.»
«Allora non parlare, ascoltami soltanto.» La scuoteva con gentilezza, ma Leean dovette combattere contro l'istinto di allontanarlo da sé con un calcio. «Non stare ad ascoltare le cose che ti dice quel Divora Anima. Hai sbagliato, è vero, ma è umano. E tutto quello che sta succedendo, è colpa sua, non tua. Sei sempre una Argento, Lee, tu proteggi le persone. È quello che hai sempre fatto.»
Ecco dove voleva arrivare.
Leean gli sferrò un colpo con i polsi sulle braccia; lui sciolse la presa, e lei scivolò un paio di gradini più in basso. «Non sono una Argento. Nessuno lo è.»
Lo lasciò lì a rimuginare su quella verità mentre lei si allontanava da sola.
✺
Spazio autrice:
Torno dopo un breve periodo di pausa. Chiedo scusa, ma ho avuto un periodo parecchio stressante e non ho mai avuto la forza di revisionare il capitolo. In ogni caso, adesso ho una pausa forzata, quindi cercherò di recuperare un po'. Grazie a quei pochi che sono arrivati fin qui.
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