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22

     Brie passava fin troppo tempo nella zona profana, nell'ultimo periodo. Per la terza volta nel giro di pochi giorni, si ritrovò a sgomitare nella calca del casinò dove aveva incontrato Celes. Scivolava fra le sedie delle persone in attesa alla roulette, quando una di loro saltò in piedi, agitando le braccia in aria. Al suono della sua voce roca e gioiosa, Brie sussultò; si portò le dita al cuore. Lo sentiva palpitarle sotto i polpastrelli.

La donna in questione continuò a urlare. Spinse la sedia indietro con un colpetto, e Brie si ritrovò schiacciata contro il muro, con lo schienale conficcato nella milza. Le sfuggì un gemito di dolore.

«Oh, scusa,» borbottò la tipa. Si voltò, con il suo ciuffo rosa e due gettoni rossi fra le mani.

La riconobbe. Purtroppo la riconobbe. Brie voltò il capo, accompagnò i capelli davanti alla faccia nel tentativo di nascondersi, ma ormai era già troppo tardi.

Monia ritirò la sedia e sollevò il mento nella sua direzione. «Guarda un po', l'amica di Lee. Com'è, sei sola questa volta?»

Brie affondò i denti nel labbro. «Tu invece vivi qui dentro?»

Una scrollata di spalle. «Quasi. Diciamo che sono nel pieno dei miei giorni fortunati,» indicò un cumulo di gettoni, «e vorrei approfittarne.»

«Stai aspettando di perdere tutto con una puntata sfigata?»

La risata di Monia uscì fuori in un suono tanto graffiante quanto spiacevole. «Può darsi. Tu invece che combini qui? Vuoi imparare a goderti la vita?»

Godersi la vita, uno strano modo di definire l'esistenza nella zona profana. Ubriacarsi del piacere estremo del momento, tralasciando il buco nero nell'anima che inghiottiva tutti dall'interno, Brie non l'avrebbe definita una pratica molto intelligente. Il piccolo fuocherello nel petto le mandò una fitta improvvisa: si voltò e ingoiò la risposta, perché forse, tutto sommato, lei non era davvero la persona giusta per fare la predica a qualcuno.

«Sto cercando Celes,» disse poi.

Monia portò una mano sul fianco. «Non c'è, se n'è andata poco fa.»

La sua solita fortuna.

Brie pestò un piede per terra. «Merda.» Il fuoco le si spostò lungo le guance, gliele accese di un rosso fiammeggiante. «Sai dove era diretta?»

«No. Ha detto qualcosa, ma sai come parla strano, non ci ho capito niente.»

«Puoi ripetere che cos'ha detto?» Magari lei ne avrebbe compreso il senso. Improbabile, certo, ma valeva la pena tentare. Le si aggrappò alle braccia.

Monia se la scrollò subito di dosso. La allontanò con una gentilezza inaspettata, poi infilò una mano nel solco dei seni e si aggiustò il corpetto. «Borbottava qualcosa sul liberare qualcuno. Aspetta, com'è che ha detto di preciso?» Strinse gli occhi, lo sguardo puntato nei meandri dei propri ricordi. «Buttiamo le anime nel cesso? Be', una cosa simile, l'ho parafrasata.»

In un sospiro, Brie afflosciò le spalle. «Non puoi essere più specifica?»

L'altra alzò i palmi. «Non è colpa mia se quella parla come una pazza appena uscita dal manicomio.» Levò il mento, e un mezzo sorriso le comparve sulle labbra. «Tu che volevi da lei, comunque? Quante volte la vuoi incontrare? Ti piace avere il mal di testa, deduco.»

«Sono affari miei.»

«Certo. Immagino.»

La conversazione morì lì, tuttavia Monia non accennò ad andarsene. La squadrava dall'alto. Si soffermò sulla mantella grigio smorto, ne seguì le frange sfilettate che dondolavano appena a ogni minimo movimento di Brie; scese sui pantaloni, larghi e troppo eleganti per la zona profana, per quanto di un blu notte che ben si mimetizzava nel locale. Ad attirarla più di tutto furono i bracciali d'oro che le ornavano il polso.

Brie li nascose dietro la schiena. Che imbecille. Abituata a sentirli a contatto con la pelle, si era dimenticata di toglierli.

«Ehi, ciuffo rosa, bella faccia tosta a farti rivedere. Sbaglio o mi devi un mucchio di soldi?» La voce le regalò un brivido fin troppo familiare, e per nulla piacevole.

Entrambe si voltarono nello stesso momento, mentre un uomo dalla stazza di un toro si faceva strada verso di loro. Portava una giacca di pelle slacciata; al di sotto, un mare di tatuaggi gli riempiva la pelle nuda. Il naso aquilino spuntava sotto una fratta di capelli scuri e troppo lunghi.

Brie si sentì le gambe tremare, senza sapere bene perché. Controllò la reazione di Monia, che si limitò a sbuffare e a sogghignare, e continuò a non capire.

L'uomo lanciò un calcio allo sgabello che gli tagliava la strada. Quello rotolò fino a un tavolo all'altro capo della stanza, in mezzo a un gruppo di ubriachi ridacchianti. «Almeno due milioni, se non sbaglio.»

Il suo timbro le evocò l'immagine vivida della pioggia, di gocce che cadevano ad attenuare i colori sgargianti della zona profana.

Monia fece ondeggiare i fianchi. «Due milioni, addirittura? È una mia sensazione, o la cifra aumenta ogni volta che ci incontriamo, Dick?» Pronunciò il nome come se fosse una presa in giro; subito dopo, si aprì in un sorriso di scherno.

«È perché mi devi un risarcimento per ogni volta che vedo la tua brutta faccia.» La fronteggiava, adesso, il petto gonfio e i muscoli delle braccia tanto tesi da sembrare in procinto di scoppiare.

«La mia brutta faccia? Ti sei mai visto allo specchio?» Monia incrociò le braccia e voltò solo il busto verso Brie. «Diglielo anche tu.»

Purtroppo però Dick non era brutto, di sicuro non abbastanza da rompere l'equilibrio pubblico con la sua sola presenza. Non che avesse molta importanza. Brie non doveva nessun tipo di supporto nei confronti di una donna che non faceva che importunarla; questo il suo pensiero, eppure lo osservò nel dettaglio alla ricerca di difetti su cui puntare il dito.

La ripugnava, questa era la verità, sebbene non sapesse il perché.

«L'olio sui capelli e il naso gonfio come un cocomero di certo non lo aiutano,» esordì.

Lui si toccò la punta del naso con il pollice. «Una stronza mi ha preso a testate, e la sua amichetta ha pensato bene di aggiungerci un pugno,» ringhiò. «E no, non parlo di questa stronza.» Indicò Monia, che se la rise.

«Poverino. Mi dispiace, a quanto pare la stazza non nasconde il tuo animo da mammone,» gli disse.

Brie invece serrò le labbra. I piedi si mossero da soli, cercarono il pavimento dietro di lei, la portarono qualche passo più lontana. Il motivo di tale ripugnanza arrivò solo più tardi, quando anche Dick aggrottò la fronte e strinse i pugni, fissandola.

La stronza che gli aveva dato un pugno in faccia era Leean.

Quella che lo aveva preso a testate, Brie.

Lui fu più veloce: estrasse un coltello dalla tasca dei pantaloni, scostò Monia dalla sua strada e si lanciò su di lei. Brie indietreggiò; il cuore in agitazione le risalì nelle orecchie. La assordì con i suoi battiti, forti e veloci.

Qualcosa le bloccò la strada. Qualcosa di leggero, che rotolò a terra mentre lei cercava di mantenersi in equilibrio: uno sgabello, il cui rumore fu attutito dalle urla delle persone ai tavoli.

Dick le fu subito addosso. Le agguantò la mantella e la tirò a sé. Il calore del suo respiro le solleticò la punta del naso; puzzava di birra scadente. «Tu. Tu sei quella troia bastarda che mi ha rotto il naso.»

Brie mise le proprie mani su quella di lui. Provò ad aprirgli le dita per liberarsi. Il sangue le pompava nelle tempie. «Tu mi puntavi un coltello alla gola.»

Lui mostrò i denti: giallognoli, un difetto che avrebbe potuto fargli notare, prima. «E questa volta puoi star sicura che ti ci apro lo stomaco.» La punta del coltello le premeva contro la pancia. I vestiti la proteggevano dal freddo della lama.

Sarebbe morta. Sarebbe morta, e la sua anima avrebbe cessato di esistere per sempre.

Chiuse gli occhi. Immagini fugaci le attraversarono la mente, a una velocità troppo elevata perché potesse cogliere più di qualche lampo qui e lì.

La stretta sulla mantella si allentò. Il coltello si scostò un poco, quel tanto che bastava perché potesse respirare di nuovo senza il terrore di finire infilzata. Così lo fece, inspirò, e cercò il volto di Dick, ma incontrò solo la sua chioma unticcia e il profilo del naso. Monia gli batteva un dito sulla spalla.

«Non ero io la protagonista della rissa? Che è successo, perché mi ha rubato il ruolo?»

Dick sputò ai suoi piedi. «Se ci tieni così tanto alla rissa, ti accontento.» Rivolse un cenno del capo a qualcuno, verso la roulette. «Lo sapete che questa stronza sta barando da giorni, vero?»

Monia scoppiò a ridere. «Cosa? E come?»

Agli altri della sua replica non interessò. Si alzarono, uno dopo l'altro – uno con la faccia più incazzata dell'altro – e iniziarono a urlarle offese addosso. Per la maggior parte, insulti misogini superati da secoli. Poi si lanciarono alla carica, una mandria di bufali incazzati; Monia, il mantello rosso che li accecava di rabbia, sventolò via verso il bancone della roulette. Ci saltò sopra e calciò un cumulo di gettoni, lanciandoli sui volti degli uomini più vicini.

Ci fu un rumore di vetri infranti. Un tizio le comparve davanti, una bottiglia rotta stretta nelle dita. Monia gli sferrò un colpo di tacco sulle nocche e uno sul mento.

Brie ne approfittò per divincolarsi dalla presa di Dick. Lui però tornò a concentrarsi su di lei. Le premette di nuovo la lama sullo stomaco.

Le accostò le labbra all'orecchio. Le solleticò la pelle. «Dove credi di andare?»

Attenta. Zoey.

La voce di Leean arrivò forte e improvvisa. Quelle due uniche parole le lampeggiarono nell'angolo della visuale, coprivano una parte del ghigno di Dick.

«Che cazzo?» esclamò lei. Che significava? Lasciò scivolare le dita via da quelle di lui, per cercare lo Psych. Lee, che vuol dire? È successo qualcosa?

Il peso della lama sullo stomaco scomparve. Dick le tirò via il polso. «Chiami aiuto, stronza? Be', non ci provare nemmeno.»

Con il palmo di lui che le premeva contro il polso, i bracciali le si conficcarono nella carne. Però aveva un'apertura. Si riempì il palato di saliva e gli sputò in un occhio. Bestemmiando, Dick la lasciò andare per pulirsi.

Brie colse subito l'occasione, gli calciò il ginocchio. Non abbastanza forte da rompergli la rotula, purtroppo; abbastanza da piegarsi le punte delle dita e farsi male da sola. Zoppicò via, con un branco di formiche che le risalivano lungo il piede, sottopelle.

Un uomo volò sopra un tavolo, poco lontano. Atterrò di schiena in un ululato che le fece stringere i denti. Monia si destreggiava fra gli uomini imbestialiti, tutt'altro che leggiadra con le sue gomitate e le ginocchiate sotto la cintura. Un'espressione stranamente seria le storpiava i lineamenti, di solito tirati in un sorriso sbilenco.

«Brutta troia.» Dick sferzò l'aria di fronte a sé con il coltello.

Brie spalancò gli occhi. Poggiò il piede a terra, solo perché una fitta lancinante le attraversasse l'intera gamba. Stupida. A dare quel calcio si era fatta più male lei di lui.

Una figura si fece largo fra la folla imbufalita e si frappose fra i due. La giacca lo avvolgeva come un mantello. Una nuvola di fumo gli aleggiava attorno ai capelli biondi; fra le dita reggeva una sigaretta elettrica, e un odore aranciato lo seguiva.

Batté un paio di colpetti sul petto di Dick, con fare amichevole. «Ehi, amico, bella la festa, eh? Che ne dici però se evitiamo di ammazzare gente nel locale, lo sai che Celes...»

Dick lo spinse via. «Duke, togliti dai coglioni. Non me ne frega un cazzo, questa stronza mi deve un naso.» La lama rimandava le luci stroboscopiche della sala.

«Capisco che sia una questione personale, davvero,» gli rispose Duke, entrambe le braccia sollevate in segno di pace, «però quando Celes tornerà non sarà felice di questo casino.»

La risata dell'altro uscì in un suono gracchiante e sgraziato. «A Celes non fotte un cazzo, e lo sai. Lei adora vederci combattere come polli in gabbia o sbaglio?»

«Forse. Forse no. So per certo che preferisce ricevere un'anima, piuttosto che buttare soldi per ricostruire il locale.»

Vero o meno che fosse, Dick non perse altro tempo ad ascoltarlo. Gli sferrò un manrovescio sulla guancia. Lo mandò con il sedere per terra.

Mentre Duke si massaggiava il punto colpito, Brie si chinò ad afferrare lo sgabello su cui aveva inciampato poco prima. «Non ci penso nemmeno a fare la damigella in pericolo,» esclamò. Schiantò lo sgabello sulla schiena di Dick.

Il contraccolpo scosse l'intero corpo di Brie, che si sentì vibrare dalla testa ai piedi e batté i denti con troppa forza. Pezzi di legno e plastica schizzarono ovunque. Uno le volò sul sopracciglio; non lo percepì nemmeno, si accorse solo del sangue che le usciva dal taglio e le colava sull'occhio.

Dick fu più fortunato, i pezzi di legno gli rimbalzarono sulla giacca. Tuttavia ruzzolò a terra. Il coltello gli volò via di mano; Brie corse a raccoglierlo.

Duke intanto si era rialzato. Rivolse un cenno con le dita in direzione di Monia, poi afferrò la mano di Brie e la trascinò con sé verso l'uscita. Una sensazione di pienezza le attraversava il petto, assieme al battito impazzito del cuore; un'emozione nuova, estranea, capace di inghiottire dentro di sé perfino il buco nero.

Adrenalina, si rese conto. E non le piaceva, nemmeno un po'.

Seguì Duke fra i gruppi di persone impegnate a prendersi a pugni. L'intero locale si era trasformato in una rissa gigantesca. Procedettero indisturbati fra i tavoli. Nella folla impazzita, una sagoma scura colse la sua attenzione; alta, tanto da sfiorare il soffitto, nascosta sotto un cappuccio, si osservava attorno senza muovere altro che la testa. La sua sola presenza la chiamò a sé. Un magnete, che calamitava lo sguardo perso di Brie.

Un Divora Anima. Celes?

Brie allungò una mano per afferrare il mantello di Duke, ma quello si arrestò all'improvviso. Lei gli finì addosso, la faccia spiaccicata contro la sua schiena. La stoffa della giacca di lui era ruvida, e le graffiò la guancia.

«Il Visionario,» disse qualcuno. Brie staccò il volto dalla schiena di Duke e sporse appena la testa per vedere il tipo in questione: un mingherlino dall'aria malaticcia, i capelli biondo cenere rasati e un paio di occhi rossi. Un albino. Era la prima volta che ne vedeva uno.

Sentì i muscoli di Duke irrigidirsi. «Vince.»

«Scommetto che ci sei tu dietro questo casino.» Vince si portò una mano all'orecchio. Lo ripiegò su se stesso, una, due, tre volte. Brie arricciò il naso.

«Non sono certo io l'attaccabrighe più famoso del locale.»

«Strano. Ricordavo fosse proprio il tuo, il pugno che mi ha tolto via questo.» Spalancò la bocca e indicò un molare mancante.

Un bicchiere andò in frantumi, non molto distante; il rumore di vetri infranti sovrastò la musica per un paio di istanti.

Brie cercò il Divora Anima. Dileguato nel nulla, come se non fosse stato altro che un'allucinazione.

«Ah, già.» Duke passò una mano fra i capelli. «Be', non è colpa mia, continuavi a darmi del coglione. Perfino la mia sopportazione ha un limite, sai.»

«Perché sei un coglione. Lo sei sempre stato, dai tempi dell'università. Ti fissi sui concetti più stupidi, continui a ripetere le stesse stronzate.»

«Non sono un fissato. Sei tu che ti perdi in un bicchiere d'acqua con la tua concezione dell'infinito. Non esiste l'infinito, rassegnati.»

«'Fanculo.» Vince avanzò, i pugni sollevati. «Ti faccio sputare almeno il doppio dei denti che mi hai cacciato.»

Duke allungò un braccio per tenere Brie al sicuro. Lei alzò gli occhi al soffitto. «Lo sai perché ti mancano così tanto i tuoi denti? Perché ne hai un numero finito

«Sai cos'è infinito però? Il dolore che stai per provare.»

Vince mandò a segno il primo pugno. Duke tossì alcune gocce di sangue; l'altro si preparò a colpire ancora, quando Brie uscì allo scoperto con il coltello sollevato.

Alla vista della lama scintillante, Vince mostrò subito i palmi. Indietreggiò, un sorriso nervoso sulle labbra. «Andiamo, ora cerchiamo di non esagerare.»

«Tu vedi di toglierti dai piedi,» sibilò Brie. «Per un lasso di tempo infinito, possibilmente.» Dietro di lei, Duke fece una risatina.

Vince dischiuse appena le labbra. Le serrò il secondo dopo, gli occhi concentrati su un qualche punto dietro di loro. Monia li raggiunse, le gocce di sudore le colavano dalla fronte; nello stesso momento, Vince se la diede a gambe.

«Fai attenzione a sventolare quell'affare, o ti ammazzi da sola.» Monia abbassò il braccio armato di Brie. Il suo tocco era gentile, ma la sua presenza tanto calda da toglierle la capacità di respirare.

«Andiamocene, prima che quella testa di rapa ci ritrovi,» disse Duke. L'altra annuì.

Brie invece si voltò a controllare dove fosse Dick: impegnato a scrollarsi di dosso altri strani soggetti incazzati per chissà quale motivo. Del Divora Anima non trovò nemmeno le tracce.

Due braccia la spinsero e, confusa, Brie tornò a concentrarsi su quello che succedeva attorno a lei. Duke si era già allontanato verso l'uscita e si sbracciava per indicare alle altre la strada; Monia invece era quella che la trainava di forza. Lasciò che la conducesse da Duke, poi fuori sulla strada piena di luci e colori.

I rumori della rissa arrivavano ovattati: urla, per lo più, mescolate a occasionali vetri rotti o altri disastri di sorta.

Tirava un'arietta fresca. Brie strinse le dita attorno all'elsa del coltello, gli occhi socchiusi e il naso sollevato a cercare la brezza e la sua leggerezza, tanto diversa dall'atmosfera oppressiva all'interno del locale che per un paio di secondi credette di trasformarsi in un palloncino e prendere il volo. Attese che le suole le si staccassero dal suolo e che la testa le volteggiasse fra le nuvole.

«Ti sei preso una bella mazzata, eh?»

«Cosa dovevo fare? Lasciargli uccidere Brie?»

«Non sei proprio tagliato per fare il principe azzurro.»

Monia e Duke la riportarono nel presente. Lei tamponava la guancia di lui; il rossore del punto in cui aveva ricevuto il manrovescio di Dick pulsava sotto il fazzoletto che Monia gli premeva contro.

«Tu invece sei peggio di un carro armato,» le rispose.

Monia rise. «Ero una Argento addestrato. Un prodigio, tra l'altro. Il mio lavoro era l'unica cosa decente che avevo in mezzo a quei damerini.»

Il fisico asciutto e muscoloso dava manforte al suo racconto, così come il modo in cui si era difesa da un intero gruppo di uomini, con poco più di un paio di graffi sulla spalla. Leean avrebbe potuto chiederle ripetizioni, di sicuro...

Il pensiero le morì lì.

Leean!

Spinse il tasto sullo Psych. La chiamò. La tempestò di messaggi, ma dall'altro lato ottenne solo il silenzio.

«Cazzo! Lee?» Lo disse ad alta voce, se ne accorse soltanto perché gli altri due interruppero la conversazione per osservarla.

Duke si appropriò del fazzoletto e si allontanò da Monia. «È successo qualcosa?»

«Non lo so, dimmelo tu.» Brie gli sventolò il coltello sotto al naso; lui si irrigidì. «Mi ha mandato un messaggio per dirmi di stare attenta a Zoey, e il secondo dopo sei sbucato tu dal nulla.»

«Zoey? Sta bene? Dove sono?»

«Ci sei o ci fai? Ti ho appena detto che non lo so!»

Monia appoggiò il gomito sulla spalla di Duke. Accostò il viso al suo. «Fossi in te le risponderei seriamente, questa è capace che ti accoltella.»

Eccome se lo avrebbe accoltellato. Perché nessuno le toglieva dalla testa la convinzione che c'entrasse con tutti i disastri accaduti ad Aném, così come nessuno le toglieva dalla testa la convinzione che la sparizione di Celes e il messaggio criptico di Leean fossero collegati. Le sfuggiva il come, certo. Il suo sesto senso però le gridava a pieni polmoni di aprire gli occhi, perché la risposta ce l'aveva proprio davanti.

E, come se non bastasse, la spirale di vuoto dentro di lei era tornata. Si attorcigliava su se stessa, portando il cuore con sé.

Duke si tastò la contusione sulla guancia. «Ma io non ne so niente.»

«Non ti credo,» sbottò Brie. Dimezzò la distanza che li separava, la lama ancora sollevata. L'avrebbe usata, se fosse stato necessario. Gliel'avrebbe conficcata nello stomaco finché lui non avesse sputato il rospo. «Sei stato tu a mandare Lee al mio corso, le hai chiesto di tenere d'occhio tua sorella. Perché?»

«Uh.» Monia alzò entrambe le braccia, facendosi da parte. «Questo è un bel colpo di scena.»

Duke le lanciò un'occhiata supplicante. «Hai intenzione di startene a guardare mentre mi minaccia?»

«È un problema tuo, amico, mica il mio. E poi ha ragione, al momento sembri alquanto sospetto.» Gli regalò un sorriso strafottente.

Brie sentì le gambe più solide. Avanzò ancora. «Perciò, vuoi rispondere o devo tagliuzzarti la faccia?»

«Va bene, va bene,» esclamò lui. Lei non abbassò l'arma, ma trattenne il fiato, in attesa. «L'ho mandata da te chiedendole di tenere d'occhio gli amici di Zoey. Il punto è che non ero preoccupato dei suoi amici, ma per loro.»

Questo... non aveva alcun senso.

Il braccio cominciava ad affaticarsi. Brie lo calò di poco. «Perché?» chiese ancora.

Duke si grattò la nuca. «Io... La mia scuola di pensiero non è nata dal nulla, sai? Quando andavo ancora all'università, ho scoperto delle opere. Erano incomplete, e la persona che le aveva create era sparita nel nulla da diversi secoli. Quando le ho lette, mi si sono aperti gli occhi.»

Parlava degli stessi scritti che aveva letto anche Brie. Gli spezzoni di articoli pieni di idee controverse.

Distolse lo sguardo, cercò una forma di sicurezza nella figura solida e tranquilla di Monia. Non trovò nulla di rassicurante nel suo ghigno. «Chi le aveva scritte?»

«Una certa Erin Neal. Non era una persona famosa, credo che nel tempo abbiano cercato di nascondere le sue tracce.»

«Come le hai trovate?»

«Celes.» Duke si schiarì la gola. Afferrò la radice del naso fra pollice e indice, e sorrise in modo vago. «Ero finito da lei perché volevo studiare i Divora Anima, capire cosa fossero, come funzionassero.»

Brie alzò il sopracciglio. Monia fece schioccare la lingua. Nessuna delle due commentò oltre.

«Ero in competizione con Vince. Sapete, perché io sostenevo che fosse tutto una finzione e... Lasciamo perdere.» Scacciò l'argomento un gesto secco della mano. «Il fatto è che lei mi disse cose davvero folli. Mi mostrò un sito, vecchio e pieno zeppo di idee rivoluzionare. Pensava che mi sarebbe interessato, visto il mio modo di pensare. Non ero d'accordo con ogni cosa, in molti aspetti tendeva a essere troppo radicale, in altri troppo pragmatica. Ho preso alcune delle sue verità e ho trovato le mie.»

«In tutto questo cosa c'entra Zoey?» scattò Brie.

«Ah. Ecco. Temo che lei sia troppo affascinata dal lato pragmatico delle idee di Erin. Quando ha scoperto i suoi scritti, qualche mese fa, è diventata strana. Ha cominciato a parlare in maniera diversa, a volta la citava.»

Il lato pragmatico. Zoey, la stessa ragazza che faticava a concentrarsi perché i pensieri non facevano che sfrecciarle nella testa; la stessa persona che rifletteva su quanto poco fosse capace di restare ancorata al mondo. Così le aveva detto, il primo giorno in cui si era presentata al corso di meditazione: «Mi sembra sempre di volare, ho la testa da un'altra parte, e vorrei imparare a essere più presente.»

Il lato pragmatico delle idee di Erin dove portava però? A farsi esplodere nel bel mezzo di un edificio.

E Leean ancora non rispondeva.

Brie fece ricadere il braccio lungo il fianco. «Perché non ce l'hai detto subito? Di Erin Neal, delle sue idee, di Celes, di tutto?»

Duke scrollò il capo e voltò il viso. Il profilo non rappresentava il suo lato migliore, il naso era troppo pronunciato. O magari era l'espressione, spenta e vuota, a farlo sembrare così.

«Volevi proteggere Zoey,» disse Brie per lui.

Passandosi la lingua fra le labbra, Duke la osservò. «Non ero sicuro che c'entrassero davvero qualcosa. E poi Zoey non è fatta per stare in un posto come questo. L'avrebbero relegata qui, e con la testa che si ritrova sarebbe impazzita subito.»

Cosa la differenziava da Zoey? Quel giorno, davanti al negozio di vestiti, Brie l'aveva compreso solo a livello teorico. Adesso invece la risposta le si stagliava davanti, tanto lampante da accecarla. Un fratello. Un fratello, una famiglia, qualcuno che tenesse a lei al punto da mentire per proteggerla. Qualcuno capace di accettarla nonostante i suoi difetti. Qualcuno capace di amarla nonostante le idee diverse, nonostante i comportamenti sbagliati.

La spirale dentro di lei prese a pulsare con più ferocia del solito. Brie afferrò la maglia all'altezza del petto, la strinse fra le dita fino a sbiancarsi la pelle; e anche allora, strinse di più, perché per quanto minimo, il dolore fisico la aiutò a restare a galla e a non sprofondare nel mare di vuoto della sua anima.

«Lee è in pericolo, vero?» gli chiese. Se la rivide davanti, con il suo sorriso incerto e il sopracciglio sollevato. Sentiva ancora il calore del suo corpo accanto a lei, mentre chiacchieravano vicine nel fortino fatto di cuscini.

Duke le cercò la spalla. Lei si scansò. Non lo voleva, il suo conforto. Non voleva aver bisogno di conforto. «Non lo so.»

Brie lo superò, dandogli un colpo con la spalla. Perse l'equilibrio lei per prima, e Monia la aiutò a restare in piedi. Non la ringraziò, la allontanò scocciata.

«Che hai intenzione di fare adesso?» le urlò dietro Monia.

Brie interruppe la sua avanzata. Accarezzò la lama del coltello, distratta. Una goccia di sangue le zampillò sull'indice, poi cadde al suolo. «Vado a salvare Lee.»

Spazio autrice:

Un pizzico di azione mi serviva. Mi mancava scrivere di risse, devo essere sincera. E occhio, perché qui c'è un piccolo indizio importante che tornerà...

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