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17

     Benjamin attendeva nel suo studio. Uno spirito silenzioso, un fuoco fatuo la cui lucentezza si perdeva nei raggi di sole che penetravano dal lucernario. Lui sedeva proprio al di sotto, sulla sua solita sedia, il tablet ancora acceso posato sulle gambe.

Sulla soglia, Leean bussò alla porta; Ben sollevò la testa di scatto, sobbalzando sul posto. Passò entrambe le mani fra i capelli. Li scompigliò in maniera definitiva, li trasformò in un cumulo di ciuffi rossi sparati in aria. La mise a fuoco soltanto dopo, ed espirò in un soffio solo, accartocciandosi su se stesso.

«Ah, Lee. Sei tu.» Se fosse stata un'emozione, la sua voce avrebbe rappresentato l'esasperazione. Non quel genere di esasperazione che rende isterici, ma quella che riempie di stanchezza, quella capace di assorbire tutte le energie di qualcuno. «Entra.»

Al suo cenno, Leean scivolò all'interno. Raggiunse la sedia che conosceva fin troppo bene e si accomodò. Il calore del cliente precedente ancora scaldava la plastica. Si agitò sul posto, incrociando le gambe e sciogliendole di continuo. «Cos'è successo?»

«Brie?» chiese invece lui. Si era alzato, per mettersi a camminare sotto il flusso di luce del lucernario.

«Ha detto che preferiva fare ricerche.» Leean aveva cercato di convincerla ad accompagnarla – non era sicura fosse il caso di lasciarla sola – senza risultati. Brie era troppo preoccupata per quelle stupide candele rimaste accese, aveva detto.

Benjamin armeggiò con il colletto del maglione. Lo tirava, come se gli mancasse l'aria. «Avete scoperto nuove informazioni?»

«Una specie.» Leean distolse lo sguardo. «Ma, Ben, non sono venuta qui per fare una seduta. Cos'è successo?»

La causa gliela leggeva negli occhi allampanati. Un animaletto spaventato le batté delle testate dall'interno dello stomaco, nella speranza di aprirsi una via di fuga. Invece restò intrappolato, e le viscere gli si attorcigliarono addosso.

Pensò di abbracciarlo, ma poi Benjamin ricadde sulla sedia, pesante, e lei perse il momento. «Mi hanno convocato per un interrogatorio con i Gestori.»

Se non fosse stata tanto concentrata sulle mani di lui, su come le unghie affondassero nei polpastrelli, forse il significato delle sue parole sarebbe arrivato prima. Invece impiegò diversi secondi e, quando comprese, l'incapacità di aprire bocca la avvolse.

Congelata nel tempo e nello spazio, lo fissò e basta.

«Mi hanno dato la colpa dei libri rubati,» continuò lui. Tirò su col naso. Mostrò i denti in un sorriso stanco, che cancellava l'allegria. «In biblioteca.»

«Perché solo te? Eravamo in quattro.»

«Non lo so. Non lo so, Lee, io...» Si morse il labbro, poi sorrise ancora. «Qualcuno ha fatto il mio nome, qualcuna delle persone che erano lì quel giorno, immagino. Forse la donna che innaffiava le piante.»

Leean prese una pellicina sul pollice e la tirò. Una goccia di sangue le zampillò sulla pelle. Una punta di dolore le fece stringere i denti. «Non aveva più senso usare le telecamere? E vedere che c'eravamo anche noi?»

A questa domanda, Benjamin rise. Una risata roca, graffiante. «Non ci riesco proprio a fregarti, eh?» ammise alla fine. Strusciava il palmo contro la coscia in un movimento circolare, ipnotico. «Dovresti fare l'investigatrice, Lee, dico davvero.»

«Ti sei preso tutta la colpa apposta,» rispose solo lei.

«Dovevo. Vi avrebbero mandati tutti dai Gestori. E ora come ora, non sono sicuro al cento per cento che tutti quanti voi superereste l'interrogatorio.»

Una bruta verità, quella. Benjamin si rese conto dell'errore solo dopo; si coprì la bocca e scosse la testa, frenetico. Borbottò delle scuse biascicate.

Leean annuì soltanto. «Secondo te saremmo etichettati come Ruggine.» Credeva che avrebbe inserito una punta di risentimento nel proprio tono, invece lei stessa si stupì della piattezza con cui lo disse.

«Non è quello che intendevo. Volevo solo dire che siete nei vostri momenti peggiori, tutti e tre. Be', tu e Nick comunque, non posso parlare per Brie.» Si massaggiò il mento barbuto. «Dopo un furto dalla biblioteca partireste con un punteggio già troppo basso, e lo sai quanto poco ci vuole, per venire esiliati.»

L'uccellino nel suo stomaco tornò ad agitarsi, con più furia di prima. A ogni testata, le saliva un senso di nausea. «Sono io l'Argento,» disse dopo alcuni istanti, «se qualcuno deve sacrificarsi per proteggere gli altri, sono io, non tu.»

Ma era proprio questo che intendeva Benjamin, per questo avrebbe rischiato che i Gestori la definissero una Ruggine: Leean non sapeva proteggere proprio nessuno. La più fallita degli Argento, ecco cos'era. Ancora una volta, gente innocente ci rimetteva perché lei era troppo incompetente per fare alcunché.

La mano di Ben si poggiò sulla sua, ruvida e gentile. «Va tutto bene. Se riporto i libri indietro partirò con meno svantaggio. Superare l'interrogatorio sarà un gioco da ragazzi.»

«I libri da riportare non ce li hai,» gli fece notare.

«No.» Lui scivolò via, di nuovo composto sulla propria sedia. «No, è vero. Ma sono sicuro che se ne parlerò a Nick me li restituirà. Non è cattivo, è solo una testa di rapa.»

Tante erano le verità che avrebbe voluto sputargli in faccia. Tante le realtà che lui fingeva di non vedere. Se qualcuno doveva rischiare di finire di fronte a un Gestore, allora spettava a Nicholas. Nicholas, la stessa persona "buona" che cacciava Ben nei guai anche dopo il divorzio.

Davanti al viso emaciato e pallido di Benjamin però, Leean non riuscì a far altro che annuire. Non lo trovava, il coraggio di fargli crollare l'illusione di un amore per una persona che non lo meritava. Perché forse non spettava a lei. Perché poi si sarebbe dovuta prendere la responsabilità di un dolore in più.

Desiderò che Brie fosse stata lì. Lei non si sarebbe fatta problemi a dirgli le cose come stavano, nel bene o nel male.

«E se non collabora?» chiese invece Leean.

«Potrei ripagarli.»

Lei alzò il sopracciglio. «E hai abbastanza soldi?»

Un sospiro. «No. Valgono più del mio appartamento. Ma non ti preoccupare, Nick non mi farà rischiare così tanto...»

«Nella migliore delle ipotesi, perderai il lavoro e dovrai farti un paio di mesi in cella,» lo interruppe. Lui aprì la bocca per replicare, ma Leean sollevò il palmo per zittirlo. «Nella peggiore, finirai nella zona profana per sempre. E, senza offesa, non ti ci vedo bene in quell'ambiente. Si approfitterebbero di te, perché non sei capace di dire di no. Non finirebbe bene.»

«E qual è l'alternativa migliore? Farci finire te e Brie?» Si strofinò una mano contro la guancia, tirandosi la pelle. L'alberello dietro di lui dormiva placido, le foglie immobili.

Le tornò in mente la richiesta mossa da Brie a Celes. Con la strana ossessione che si ritrovava, davanti alle domande di un Gestore avrebbe ricevuto un punteggio tanto basso che avrebbe potuto competere con i peggiori soggetti della zona profana.

Benjamin non attese a lungo una risposta. Si sollevò in piedi, ripose il tablet sulla sedia e si aggiustò le maniche. «Ascoltami. Sono stato io a chiedervi di accompagnarmi. Vi ho ficcate io in questo casino, perciò mi merito di prendermi tutta la colpa. Se proprio vuoi aiutarmi, ti chiedo solo di venire un'altra volta con me a incontrare Nick per mettere le cose a posto. Non gli permetterò di fare altre cazzate, te lo prometto.»

Non fare promesse che non puoi mantenere, voleva gridargli. Le lacrime le premevano per uscire, le offuscavano la visuale. Abbassò lo sguardo nella speranza che lui non le notasse.

Forse quello era il momento giusto per abbracciarlo. Forse quello era il momento giusto per rassicurarlo che tutto sarebbe andato bene, anche se non era vero.

Forse. Ma Leean non fece nessuna delle due cose.

Si aggrappò ai braccioli della sedia. «Non è colpa tua.»

Lui si raddolcì. Aprì le braccia, un sorriso appena accennato sulle labbra e una strana luce negli occhi. «Fa differenza?» chiese, piano, come se non desiderasse che lo sentisse.

Una risposta Leean non ce l'aveva.

Brie soffiò sulla candela. La fiamma tremolò, ma non si spense. La fissava di rimando, beffarda, e danzava come se non avesse una singola preoccupazione al mondo.

L'anima della candela non voleva smettere di esistere. Mostrava forza, avrebbe detto forse Ebony. E per la prima volta da quel giorno all'apparenza tanto lontano, Brie ripensò al suo discorso. Si chiese se la sua, di anima, possedesse la stessa voglia di combattere di quella fiamma, o se si sarebbe spenta con la rapidità di un battito di ciglia al primo soffio.

Un piccione tubò dall'altro lato del vetro. Brie si riscosse dai propri pensieri e poggiò la candela al posto, accanto alle altre già spente, sul parquet. L'odore di bruciato degli stoppini si mescolava all'aroma di arancia che si era sparso nella stanza.

Percepì subito i passi. Emettevano delle vibrazioni caute, calcolate, sul pavimento.

«Posso?» chiese una voce femminile.

Brie si prese tutto il tempo per alzarsi e togliersi la polvere dalle gambe prima di voltarsi. Poi, spalancò gli occhi. Il cuore le salì in gola.

Jane le rivolse un sorriso incerto. Girò il capo da una parte all'altra, ispezionò la stanza in ogni suo angolo, senza mai cambiare espressione. Era sola, con una busta della spesa in una mano che la tirava verso il basso.

«Cosa vuoi?» scattò Brie.

L'altra si appiattì i capelli sulla nuca. «La lezione è finita?»

«Sì. E comunque non accetto nuovi iscritti, il corso è al completo.» Una bugia, ma lei di certo non poteva saperlo.

«Non sono qui per questo,» ammise Jane. Bastarono queste semplici parole per riportare il vuoto nel petto di Brie al suo status quo: grande quanto un pugno, proprio all'altezza del cuore, a volteggiare sul posto come un rapace predatore. E proprio come un rapace, le affondava gli artigli nella carne, quasi volesse dilaniarla dall'interno.

Chissà se anche Jane si sentiva mai così. Se sentiva mai il bisogno di premersi una mano contro il torace, nella speranza che il dolore cessasse.

Sperò di sì. Ma credeva di no.

«Allora che vuoi?» ripeté.

Jane si passò la lingua fra le labbra. Un movimento rapido, involontario, che le diede i nervi. «So che hai scritto a Nayana, l'altro giorno.»

Il vetro della finestra sussultò. Jane sobbalzò allo stesso tempo, le dita spiaccicate contro la guancia. Un sorriso di sollievo si fece strada fra le sue labbra quando si accorse che era solo il piccione che sbatteva contro il vetro.

Brie, al contrario, non si mosse. Il cuore continuava a premerle nella gola. Per quanto deglutisse, rimaneva lì, un blocco inamovibile. «Ti manda lei?»

Ottenne un'occhiata confusa in risposta. Un paio di secondi dopo, Jane tornò nel presente e scosse la testa. «No. No, lei mi ha solo detto che le hai scritto. Sono qui per mia... per una mia... decisione.» L'ultima parola la pronunciò in un sussurro.

I suoi colori, così spenti e acerbi, si mescolavano fin troppo bene con il marroncino delle pareti. I capelli anonimi, il sorriso di circostanza che scricchiolava ogni secondo di più, le fecero pensare a quanto una come Jane sarebbe stata fuori posto nel mondo corrotto di Celes.

Brie incrociò le braccia. «Quindi?»

«Mi ha parlato tanto di te, di come ti comportavi, di tutto quello che le hai fatto.»

«Io non le ho fatto proprio niente.»

Jane arricciò il naso. Un attimo, poi tornò con la sua espressione viscida e priva di consistenza. «Il fatto è che dovresti lasciarla stare. Smettila con i tuoi giochetti manipolatori, le stai solo facendo male.»

Questa era bella. Se solo non avesse avuto una spirale di nero che le riempiva il petto, Brie sarebbe scoppiata a ridere. Invece alzò le sopracciglia ed esibì solo un sorriso, tanto affilato quanto gli artigli che la laceravano da dentro. «Io sto facendo male a lei? È lei che mi ignora!»

«Sei tu quella che cerca di passare per vittima solo per attirare l'attenzione.» Arrivò come una stilettata, diretta come il dito che Jane le puntava contro.

«Questa è una stronzata, io non ho...»

«Stammi a sentire,» la interruppe, le dita premute contro la radice del naso. «Nayana è troppo gentile per dirtelo. Lei ti vuole bene, ancora. Purtroppo, aggiungerei. Per questo le fa male ignorarti, anche se non vuole ammetterlo. Vorrebbe aiutarti, capisci? Si sente in colpa. E tu te ne stai approfittando.»

Di cosa stava parlando? Brie non si approfittava proprio di un bel niente. Tutto quello che cercava di fare era convincere una vecchia amica a non lasciarla svanire da sola in un angolo. Era così sbagliato?

Allungò la mano verso la finestra. La superficie del vetro la sostenne. Dall'altro lato, il piccione sbatté le ali, frenetico, e volò via, in picchiata verso chissà dove.

Jane congiunse le mani. Si grattava una nocca, distratta, mentre gli occhi si perdevano a fissare qualcosa per terra, alle spalle di Brie. La fiamma della candela. «Mi dispiace. Lo so che questa situazione fa male a entrambe. Lo so che è difficile anche... anche per te.» Deglutì. «E mi dispiace, credimi. Però li riconosco, certi comportamenti, e...» Affondò i denti nel labbro, lasciando morire lì il discorso.

Ma certo. Brie se l'era dimenticato, che quella che aveva davanti era una psicologa. Infuse il proprio sguardo di tutto il gelo di cui era capace. Provò un brivido piacevole, nel vederla trasalire. «Sei venuta qui per psicanalizzarmi?»

«Cosa? No...» Indietreggiò. Indossava le scarpe, e una scia di impronte e sporco segnava il tragitto dall'entrata a dove si trovava. «Niente del genere. Voglio solo chiederti... voglio solo chiederti di darle la possibilità di andare avanti.»

Ridicolo, pensò, perché Nayana non faceva altro che dimostrarle che ci era riuscita, ad andare avanti. Brie, al contrario, lei sì che restava bloccata. Bloccata a sopportare il vuoto, la solitudine.

«Non la cercherò più,» disse. E si stupì nel rendersi conto di quanto ci credesse.

Jane rilassò le spalle e tirò un sospiro. «Menomale. Grazie. Sono contenta che tu abbia capito.»

La osservò uscire, mentre l'eco della voce di Celes le ricordava che esisteva un'altra possibilità. Una nuova strada. Una vendetta.

Spazio autrice:

Lo squilibrio mentale di Brie torna all'attacco... Non pensavate davvero che fosse diventata sana di mente così, di punto in bianco?

No, ok, scherzi a parte. Da qui in poi non so nemmeno io cosa ho scritto. Avrà un senso? Non ce l'avrà? Boh, lo scopriremo. Intanto grazie a tutti per aver letto fin qui!

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