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     Zoey sorrideva, la sua figura minuta soffocata in mezzo al gruppo di amicizie strambe di cui si circondava. Brie si morse la lingua e si abbassò. Avvicinò la fiamma dell'accendino allo stoppino delle candele, le accese tutte e quattro, una dopo l'altra. Si rialzò in un sospiro.

Ammirò il resto della sala. Quel giorno c'erano poche persone, il risultato di tutti gli avvenimenti che sconvolgevano gli abitanti di Aném. Alcuni allievi l'avevano chiamata nelle ultime ore per avvertirla che non sarebbero tornati finché la questione non fosse sistemata: temevano che qualche folle si facesse esplodere ancora nei luoghi pubblici, perciò preferivano la falsa sicurezza delle mura di casa.

Ma non erano sicuri.

Non lo erano da nessuna parte.

Brie lasciò l'accendino accanto alla finestra. Fili sottili di fumo si sollevavano dalle fiamme delle candele, si arricciavano su loro stesse, smosse appena dall'arietta calda del pomeriggio che entrava dalle vetrate aperte.

Assieme a Zoey e al suo gruppetto di amici di cui non ricordava mai i nomi – sospettava fossero Jonah e Kennedy, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco – c'era anche lui. Wyatt. Il ballerino della festa, quello che, secondo Nicholas, aveva parlato con la donna-condor. Senza l'abbigliamento strambo della festa, aveva l'aspetto di una persona qualunque: alto, dinoccolato, l'espressione rilassata di chi non perdeva molte energie a pensare. Indossava una tuta bianca, con delle bande nere perpendicolari. Il solito omino.

Né lui né Zoey parlavano molto. Li vide scambiarsi uno sguardo; lei sorrise, lui distolse subito l'attenzione, come se non l'avesse nemmeno vista davvero.

Chissà di cosa discutevano. Il tipo troppo magro, Jonah, gesticolava mentre parlava.

Brie raddrizzò le spalle. Doveva avvicinarsi. Intromettersi, scoprirne di più. Sollevò appena la punta del piede che una mano le batté un colpetto sulla schiena. Si voltò, irritata. «Cosa c'è?»

Leean le mostrò il palmo. «Ciao anche a te.» Aveva un'aria più salutare, quel giorno. Niente più occhiaie, la pelle era più lucida. I pantaloni non parevano più strizzarla, le mettevano in risalto un fisico più asciutto.

«Sei dimagrita?» le chiese, senza pensarci.

Abbassato lo sguardo, Leean si tirò giù l'orlo della maglia. «Si vede?» Portò la mano dietro la nuca. «Credo di aver perso un paio di chili a furia di passare le giornate nel pronto soccorso.»

«Però non hai l'aria di una deperita.»

Ed era vero. Avrebbe dato il merito a un effetto ottico dovuto al taglio dei vestiti, tuttavia la schiena più dritta e il collo meno incurvato in avanti raccontavano un'altra storia.

«Ho ricominciato a fare esercizio come si deve,» ammise Leean. Richiuse la bocca di scatto, come per risucchiare indietro delle parole di troppo. Non aggiunse altro, si limitò ad alzare le sopracciglia e scrollarsi la discussione di dosso. «Comunque, ti volevo esporre il mio piano.»

«Un piano?» Brie le si fece più vicina. Le picchiettò il dito contro lo stomaco. «Tu?»

«Sai, potrei prenderlo come un attacco alla mia intelligenza,» Leean le scansò la mano e incrociò le braccia, «se non fossi ancora troppo stordita dal complimento di prima.»

In un battito di palpebre, Brie si afferrò il mento. «Complimento? Quale?»

«Sei stordita, per caso? È successo due secondi fa. Cos'è, sei programmata per scordarti ogni cosa carina che dici?»

«Ma non era un complimento,» ribatté, e Leean serrò le labbra, il capo inclinato, l'aria da cagnolino confuso. «Era solo una constatazione.» Chiunque con degli occhi funzionanti avrebbe notato la differenza della sua forma fisica.

Eppure Leean decise di leggerci qualcosa di diverso dalla semplice e pura verità, perché rise. Infilò le dita nei capelli, lisciandoli all'indietro. «Se non sapessi che non è così, penserei che è il tuo modo di provarci.»

In che senso?

Un bollore improvviso le attaccò le guance. «Guarda che non ho detto niente di strano,» insisté. L'unico effetto che ottenne fu una nuova risatina; con il capo chino e il viso nascosto dalla cascata di capelli biondi, Brie la spinse. «Smettila di fare la cretina. Si può sapere qual è il piano?»

Questa volta, Leean la accontentò. Diede un colpetto di tosse e tornò a mostrare una parvenza di serietà – un piccolo ghigno le restava appiccicato alle labbra. Sporse il busto verso di lei, portandole il calore del respiro vicino alla guancia. «Pensavo di seguire Zoey e i suoi amici, dopo la lezione,» le mormorò.

Brie le agguantò la manica per impedirle di allontanarsi. «Perché? Non possiamo parlare con quel Wyatt e basta?»

L'ombra del dubbio accompagnò il sopracciglio inarcato di Leean. Si dileguò subito dopo, e Brie si chiese se non lo avesse solo immaginato. «No. No. Cioè, non credo che ci darebbe informazioni utili. Perché dovrebbe?»

«E seguire lui e i suoi amici che fanno un giro fra i negozi secondo te è il modo giusto per coglierlo in castagna?»

Un'alzata di spalle. Denti che affondarono nel labbro. «Non lo so. Forse. Il fatto è che non mi fido, di quei tipi.»

Brie ricordò del discorso che avevano avuto nella zona profana, su Zoey e il suo gruppetto di amici. Secondo qualcuno, si trattava di gente poco raccomandabile o con un qualche segreto oscuro. Non sapeva se fosse vero o meno, ma di una cosa era sicura: i gruppi così nascondevano sempre dei soggetti tossici.

«Se c'è dentro lui, ci sono dentro tutti,» disse.

Leean annuì. «Se è così. Cosa di cui non sono un granché sicura, visto chi mi ha mandato a controllarli.»

«Duke?»

«Duke.»

Un fratello preoccupato per un gruppo di amicizie in apparenza normali.

Jonah gesticolava, ancora intento a discutere di chissà cosa con Kennedy; qualche passo più a destra, Zoey stava inginocchiata sul tappetino. Wyatt invece aveva già le gambe incrociate e gli occhi chiusi, accanto a lei.

Lo capì allora, che Duke sapeva più di quanto volesse ammettere. Era l'unica spiegazione per la sua richiesta.

«Va bene,» concesse alla fine. Lasciò la presa sulla manica di Leean. «Ora però vai al tuo posto e fammi fare la lezione.»

«Ricevuto.»

Poco prima di presentarsi a lezione, Brie era stata bloccata a fissare la statua nel suo soggiorno per una mezz'ora buona, chiedendosi come vestirsi. Non riusciva a smettere di pensare alla maglia nel negozio, quella a cui aveva rinunciato in favore delle scarpe. Avrebbe dovuto prenderla, continuava a dirsi, perché le piaceva molto più di quel paio di calzature scarse che, tanto, non significavano proprio nulla.

La risposta di Nayana non era più arrivata. Non che si aspettasse nulla di diverso.

Per disperazione, alla fine aveva optato per il solito completo lungo e bianco. L'aria che entrava dalle finestre spalancate le solleticava le caviglie. Era piacevole, il fresco contro la pelle. La distraeva dalla consapevolezza di aver lasciato tutte le candele accese per precipitarsi a seguire Zoey e gli amici – «Non esplodono mica, se le lasci una mezz'ora accese,» le aveva detto Leean, e l'aveva strattonata fuori.

Salì sulle scale mobili. Ferma, un gradino più giù di Leean, si appoggiò al corrimano per paura di perdere l'equilibrio. Non le era mai piaciuta la sensazione del pavimento che si muoveva da solo. Tamburellò le dita.

Zoey sparì in cima, risucchiata dalla folla. Intanto, le scale procedevano con una lentezza pachidermica.

«È per questo che ti sei vestita come si deve, oggi?»

Leean si girò di scatto, contratta in una smorfia di dolore per un paio di istanti. Si riprese subito, le dita premute contro la zona bassa della schiena. «Per passare inosservata,» rispose. Subito dopo, aggiunse: «Mi sa che ho esagerato con i lombari, ieri.»

Arrivate a destinazione, lasciarono entrambe cadere l'argomento. Leean si tuffò fra la gente senza esitazione. Sapeva già dove erano diretti o li aveva tenuti d'occhio tutto il tempo?

Li ritrovarono già seduti al tavolo di un bar, su delle poltroncine che si affacciavano sulle vetrate. Zoey spostava il contenitore delle salviettine da una parte all'altra, con l'aria assorta di una bambina persa nel mondo della sua immaginazione. Wyatt la osservava dall'altro lato del tavolo, la sua serietà rotta solo dall'ombra di un sorriso che non venne mai liberato. Accanto a lui, Jonah disegnava ampi cerchi nell'aria mentre parlava e Kennedy tirava la maglia di Zoey per attirarne l'attenzione.

Avevano scelto un angolo meno affollato, ma solo una pianta cespugliosa li separava dai tavoli adiacenti. L'entrata del bar era ad almeno cinque posti più in là.

Confuse nel via vai delle persone che si aggiravano fra le vetrine dei negozi, Leean e Brie si avvicinarono il più possibile. Poi Leean la prese per il polso e la trascinò in ginocchio dietro un enorme vaso di un'appuntita pianta artificiale.

«Cosa diamine...» cominciò a dire Brie.

Leean la zittì portandosi l'indice davanti alle labbra. «Fai piano,» sussurrò. Sporse la testa oltre le foglie finte.

«Non puoi fare sul serio.» Brie la tirò a sé. Le accostò le labbra all'orecchio, dove lo Psych lampeggiava piano. «Non siamo mica in un libro di spionaggio, cosa pensi di fare?»

Forse Zoey e gli altri non potevano vederle, ma gli sguardi del resto della gente di passaggio le bruciava la nuca. Pieni di giudizi. Pieni di domande. Un paio di ragazzini le superarono ridendo. Nemmeno il freddo del pavimento bastava a raffreddare il calore che le risaliva lungo tutto il corpo.

Eppure Leean non ne pareva turbata. «L'hai capito che non dobbiamo farci vedere, vero?» le chiese, come se fosse Brie quella irragionevole.

«Quello che ho capito,» urtò il vaso dietro di sé nel tentativo di sottrarsi all'occhiata di una donna, «è che dobbiamo passare inosservate. E ti assicuro che questo non è il modo giusto.»

L'altra roteò gli occhi. «Hai un'idea migliore?»

«Che ne dici se ci sediamo a un tavolo non troppo lontano e fingiamo di farci gli affari nostri?»

«Così si insospettiranno.»

«Perché invece se ce ne stiamo qui a guardarli da dietro una pianta sembriamo sane di mente.»

Leean tentò un'ultima sbirciatina attraverso le foglie prima di arrendersi. «Va bene, va bene.» Non aggiunse altro, nessuna lamentela, nessun piano alternativo.

A Brie andava benissimo così. Si alzarono insieme. Brie si tolse la polvere dal retro del vestito – era gelido, eppure si sentiva in fiamme. Scelse un posto a un tavolo di distanza da Zoey e diede loro le spalle.

I divanetti non erano comodi come sembravano. Si aspettò di sprofondarci, invece incontrò dei cuscinetti scivolosi. Rischiò di cadere, dovette tenersi al tavolo per mantenere l'equilibrio. Leean non si accorse di niente, fissava il gruppo di amici mentre si accomodava come se nulla fosse.

«Cercare una salvezza nell'elevazione cosa porta, in realtà, se non alla miseria? Alla prigionia. L'anima non è che una componente del corpo. Noi siamo corpo. Eppure lo trattiamo come se fosse la nostra tomba.»

Leean stirò il collo, cercando il gruppo di amici alle spalle di Brie che, invece, premette il tasto sul piccolo schermo al centro del tavolo. La voce di Jonah continuava a esporre un discorso sempre più contorto e frettoloso con una cadenza cantilenante. Non erano parole sue, quelle: stava leggendo.

L'elenco delle bibite si dispiegò sullo schermo, in un'animazione elaborata. Tante qualità di tè, frullati privi di zucchero e un paio di bevande gassate. Non male, per un bar del secondo piano. Di solito a quell'altezza si trovavano solo schifezze poco raccomandabili.

«Potrei prendere un tè verde, magari freddo, non ho molta voglia di roba calda.» Brie fece scivolare il dito sull'icona del tè. «Tu cosa prendi?»

Leean non le diede retta. Mordendosi le pellicine delle dita, fissava davanti a sé, oltre le foglie delle piante che le separavano dal gruppo.

«Cos'era?» chiese una voce maschile. Wyatt, forse.

«Articoli di un vecchio sito. Per la maggior parte sono andati cancellati qualche centinaio di anni fa, ma qualcuno ne ha ritrovati degli estratti,» rispose Jonah. «Non sono affascinanti?»

«Affascinanti?» Questa era Kennedy. «Fanno rabbrividire, semmai. Sembra il diario di un pazzo. Chi li ha scritti?»

Brie scrollò il resto della lista, fino a raggiungere il caffè. Fra i consigliati figurava l'espresso amaro. «Lee?» provò ancora. «Sicura di non volere niente?»

Leean sussultò. Colpì la gamba del tavolo e si portò la mano al ginocchio. «Cazzo!» Sbatté il palmo accanto allo schermo. Brie sentì il cuore salirle su per la gola per la sorpresa. «Puoi smetterla di parlare? Non li sento.»

«Non possiamo starcene qui in silenzio senza ordinare niente, daremo nell'occhio.»

Leean spalancò gli occhi. «Ecco perché non volevo sedermi al cazzo di tavolo.»

«Il lavoro della spia è complicato.» E di sicuro non le si addiceva per niente. Ma alla fine Brie la accontentò e serrò le labbra, mentre pigiava sul tasto "ordina".

La osservò rilassarsi contro lo schienale. Si massaggiava il ginocchio, distratta, e non smetteva un attimo di fissare il gruppo di amici. Se le avessero scoperte, la colpa sarebbe stata la sua.

Quando Brie prestò di nuovo ascolto al discorso, stava parlando Zoey. «Quando ti ci metti, ti fissi più di mio fratello.»

«Non mi sto fissando. È solo che credo ci siano dei ragionamenti interessanti, dietro le cose che dicono,» disse Jonah.

Wyatt sbuffò. «Ti ci stai fissando. E se continui rischi di diventare un Ruggine, quindi vedi di finirla.»

«Voi non siete interessati alla libertà?» A questa domanda, gli altri si zittirono. Brie spinse la sedia indietro e si girò con la scusa di dover controllare lo schienale; Jonah teneva un dito all'orecchio, premuto sullo Psych, gli amici lo osservavano in silenzio. «La vera libertà. Dell'anima. Del corpo. Di tutto.»

Kennedy se ne uscì con una risata amara. «Tu sei uscito di senno. Completamente.»

Avevano ragione loro. Sempre ammesso che Jonah non facesse già parte del gruppo di rivoltosi, continuare a perdersi in quegli articoli lo avrebbe portato su una strada pericolosa.

Leean grattava un taglietto sul tavolo con l'unghia. Non li fissava più. «Somigliano alle cose che dicono anche loro, no?»

In un'alzata di spalle, Brie accavallò le gambe. «Sembra.» Valeva la pena indagare.

Premette il pulsante al centro dello Psych. Ordinò di fare una ricerca su anima, corpo e libertà, e un'intera lista di titoli altisonanti le comparve di fronte. Per la maggior parte, le classiche prediche sull'immortalità dell'anima; dovette aggiungere qualche parola – tomba, prigione – prima di trovare il risultato giusto.

Oltre le parole dell'articolo che le galleggiava davanti agli occhi, Leean avvicinò il busto al bordo del tavolo. Le voci di Zoey e gli amici si fecero più leggere, difficili da carpire, e Brie perse del tutto il senso del discorso.

Sul sito in cui si era imbattuta, avevano riportato degli spezzoni di questi misteriosi articoli antichi per confutarne la logica. Non si preoccupò troppo della critica sporta dal proprietario del sito, continuò a scorrere fino a che una citazione non attirò la sua attenzione. Una parola particolare la chiamò a sé. Un faro nel buio dei ragionamenti fini a loro stessi.

"È normale e inconfutabile che, in questa società, continuiamo a sentire un senso di vuoto incolmabile. Ognuno di noi, senza eccezioni, si sente vuoto. Vuoto, e al contempo troppo pieno. Vuoto di felicità; pieno di pensieri.

Il mondo è diviso in due. C'è chi cerca la felicità nell'intelletto; chi la cerca negli impulsi. Chi cerca l'eternità; chi cerca il singolo momento. Chi cerca gli altri; chi cerca se stesso.

Colui che davvero ha colmato il vuoto, ha accettato il sé nella sua completezza. Ha accettato la propria fine, la propria mente e il proprio corpo. Ha accettato i propri limiti e, poi, se n'è liberato."

Brie afferrò la maglia all'altezza del petto. Ciò che c'era all'interno cresceva senza sosta, la minacciava di rompere la gabbia toracica e spingere ancora, fino a inglobare il mondo intero.

«Lee,» disse in un sussurro. «Leggi questo.»

Ricevette un'occhiata fugace, neanche troppo interessata. Incurante, Brie le inviò il testo dell'articolo in un messaggio della chat; quando l'altra increspò la fronte, concentrata su parole visibili solo a lei, Brie fece scivolare il dito dallo Psych e si appoggiò alla sedia.

Tutti sentivano un vuoto? Nessuno gliene aveva mai parlato. Nessuno le aveva mai detto che fosse normale. Era cresciuta nella solitudine di chi nutriva la convinzione di non essere compreso da nessuno, di essere diverso, sbagliato.

Un bicchiere comparve davanti a lei. Una mano smaltata lo lasciò lì e si ritirò; la proprietaria le sorrise, mostrando una fila di denti storti. Negli occhi le aleggiava una nebbiolina. I colori ne risultavano smorzati, la lucentezza si perdeva nell'opacità di un'anima più tormentata di quanto volesse dare a vedere.

Anche quella cameriera si sentiva vuota?

Leean la ringraziò. La donna le rivolse un cenno del capo, per poi congedarsi.

«Credi che questa roba c'entri qualcosa?» chiese Leean.

L'anima di Brie venne risucchiata all'interno del corpo. Si agitò sulla sedia, per riprendere confidenza con la realtà. «Sì. Sì che c'entra. Spiega benissimo perché si suicidano.» All'improvviso il motivo era lampante.

«Questa roba? Sicura?» Leean portò il dito all'orecchio. Le pupille scattarono da una direzione all'altra mentre rileggeva. «Non siamo nemmeno sicure che sia collegato.»

Brie prese il bicchiere. Le congelò la mano, ma ci si aggrappò con ancora più tenacia. «Sì che lo è. Te l'ho detto, c'è la spiegazione del perché fanno quello che fanno.»

«Per colmare il vuoto?» Si arrotolò una ciocca di capelli intorno all'indice. «Facendosi saltare la testa?» aggiunse, a voce tanto bassa che l'altra la udì appena.

Davvero non ci arrivava? Eppure la risposta ce l'aveva proprio sotto il naso.

«No. Accettando la loro fine. E liberandosene.»

Leean rivolse lo sguardo su un tavolo adiacente. «Quindi,» iniziò, e abbassò le sopracciglia, «è questo che significa la morte? Libertà?»

La qualità del tè era scadente. Sapeva di acqua sporca e fredda. Brie poggiò il bicchiere e allontanò le dita con una smorfia. «No,» rispose. «Non libertà. Superamento.»

«Non mi sembra un gran superamento.»

«Forse no. Però spiegherebbe il perché. Accettare la propria fine, forse si intende proprio questo.»

«Continua a non sembrarmi sensato.»

Brie non poteva darle torto. Se colmare il vuoto significava porre fine alla propria esistenza, allora il vuoto era, di fatto, incolmabile.

Giocò con la cannuccia, la fece scontrare contro i cubetti di ghiaccio. Nayana le avrebbe detto che l'anima non cessava con la morte, che sarebbe tornata, e che niente di quel discorso aveva davvero senso. Le avrebbe anche detto che Brie non possedeva nessun vuoto, che quello che percepiva come vuoto non era altro che il lato più oscuro di sé. Doveva solo imparare ad accettarlo.

Un cubetto di ghiaccio cominciava a sciogliersi. Un buco si fece strada nel suo centro esatto.

Per la prima volta, Brie si chiese se Nayana l'avesse mai davvero capita, se non fosse lei, in realtà, a fuggire dal vuoto nel proprio petto.

«A meno che,» cominciò Leean, e lei alzò la testa di scatto. «Non lo fanno per loro.» Puntava l'indice l'alto. Lo ritirò subito, nascondendolo sotto il tavolo. «Non lo fanno per loro. Lo fanno per noi.»

«Per noi?»

«Per spronarci.»

Toccava a Brie adesso corrugare la fronte. «Spronarci a fare cosa? Ucciderci tutti?»

Leean scosse la testa. «Pensaci. Quella donna mi ha detto che stava combattendo per una causa. La loro morte è un simbolo.» Picchiò il polpastrello sul tavolo. «Ci stanno dicendo di accettare i nostri limiti. È come dice Duke: le domande, la paura, è tutto un modo per farci riflettere.»

Non era stupida come voleva far credere, allora.

Brie si sporse verso di lei. «Vogliono che cerchiamo da noi le risposte. Vogliono che scopriamo questi articoli, che andiamo nella zona profana, che ci abbandoniamo al corpo.»

«Esatto.»

«Vogliono cambiare la società,» concluse. E tutto acquisiva un senso. Brie sollevò il bicchiere, in un sorriso. «Non credevo l'avrei mai detto, ma facciamo una bella coppia.»

Leean si appoggiò contro lo schienale. «Sicura di non essere ubriaca, oggi? Tutti questi complimenti non sono da te.»

«Te l'ho detto, non sono complimenti, solo fatti.» Tolse la cannuccia, la lasciò accanto al bicchiere e prese un altro sorso. Il ghiaccio le scivolò sulle labbra – aveva più sapore del tè.

Negli occhi di Leean lampeggiò una scintilla; subito dopo soffocò una risatina e scosse la testa. «Sicura che non ci stai provando?» Quella stessa conversazione era già avvenuta, se n'era accorta anche lei. Brie sentì le labbra tendersi, senza che riuscisse a fermarle.

Battute di quel tipo Nayana non le faceva mai. Le rare volte in cui le scappava un commento a doppio senso, si nascondeva dietro dorso della mano e si scusava per tutto il pomeriggio. Troppo pudore, aveva creduto Brie, ma forse si era sbagliata: Nayana temeva di offenderla. Camminava in punta di piedi, davanti a lei.

Allontanò le dita dal bicchiere. «Dipende. Vuoi venire a un appuntamento platonico?»

«Cosa diamine sarebbe?»

«Non lo so. Una festa in pigiama a farci le trecce a vicenda. Vedere un film pessimo e prendere in giro il modo in cui gli attori si scordano pure come si cammina, davanti una telecamera? Roba di questo tipo.»

«Perciò, cos'è questa? Una proposta?»

«Non essere ridicola.»

Tutto sommato non le dispiaceva, il modo in cui Leean la stuzzicava. Era divertente. Rilassante, in un certo senso.

Anche troppo, perché si dimenticò dell'obiettivo finché una voce al suo fianco non la fece sobbalzare.

«Ciao, Lee. Ciao, Brie.» Il tavolo sussultò. Leean, all'altro lato, si massaggiò le gambe con aria colpevole. Zoey non parve accorgersene. «Non mi aspettavo di vedervi insieme.»

«Ah, ciao,» borbottò soltanto Leean. Le mancava una gocciolina di sudore sul lato della fronte e poi era pronta per diventare un fumetto.

Zoey annuì. Accanto a lei, Wyatt restava in silenzio, lo sguardo concentrato sul bicchiere ancora pieno di Brie. Il loro tavolo era vuoto: gli altri si erano già allontanati. «Sono felice che abbiate fatto amicizia.»

Leean si grattò la nuca. «Non siamo amiche.» Se sperava di destare meno sospetti così, era più ingenua di quanto sembrasse.

«Le sto spiegando degli esercizi di respirazione. Ha dei problemi a rilassarsi,» intervenne Brie.

Zoey arricciò il naso. «Al bar?»

«Avevo sete.»

Le arrivò un colpo sullo stinco. Leean mantenne un sorriso floscio di circostanza rivolto su Zoey, come se nulla fosse. Come se lei invece fosse brava, a fingersi innocente. Brie le mandò un calcio di risposta, ma la mancò. Dove diamine le teneva le gambe?

Zoey scambiò un'occhiata con Wyatt, poi alzò il pollice a indicare l'entrata del bar. «Ora comunque devo andare. Ci vediamo. Ciao, Lee.» La salutò ancora con un cenno prima di allontanarsi.

Wyatt la osservò senza muoversi. Attese qualche istante, uno spauracchio immobile; poi appoggiò le mani sul tavolo, all'improvviso troppo vicino. «Per favore, state lontane da Zoey.» Non attese una risposta né una reazione, scivolò via, seguendo l'amica ormai scomparsa oltre la porta.

In un battito di ciglia, Brie inspirò a fondo. «Tanto per rendersi meno sospetto,» commentò.

Leean si aggrappò allo schienale della sedia, il busto completamente ruotato nella direzione in cui si erano allontanati i due. «Secondo te ha sentito i nostri discorsi? Sospetta qualcosa?»

«Non so nemmeno che intendeva. Ho capito solo che è un tipo strano.» E questo lo sapeva già.

Leean aprì la bocca per dire qualcos'altro, ma si bloccò. Esitò un paio di istanti. Quando portò il dito allo Psych, sospirò. «Mi ha appena contattato Ben,» spiegò. «Ha bisogno di aiuto.»

Spazio autrice:

Questo capitolo era lunghetto, la bellezza di quasi 4000 parole, ma dividerlo non aveva senso xD

Ho deciso che dalla prossima settimana cercherò di pubblicare di mercoledì e di sabato. Sono quasi alla fine della stesura (be', mi ci avvicino comunque) e ho trecento capitoli arretrati da postare, quindi tanto vale cominciare a pubblicare con una certa costanza.

Bene, detto questo, preparatevi. Il prossimo capitolo è di nuovo un interludio.

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