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Sono io


Il motore ruggiva con la quantità di gas che lui gli aveva imposto, era molto sensibile quella levetta bastava sfiorarla un poco verso il basso per infondere il massimo dell'energia. Le altre invece, quelle importarti erano tremendamente tenaci.

È così che dovrai affrontare la vita. Guardami ora, senza paura.

Quei due sorrisi ancora non sapevano che tra pochi secondi sarebbero stato spenti.

Spenti ...

Insieme a quei due sguardi che nel mondo nessuno avrebbe più incrociato, non avrebbero più potuto materializzarsi nella realtà. Era concitato uno di quei due sguardi, attento.

Non abbastanza nei tuoi confronti.

Fissava le sue mani, ora, fino a pochi secondi fa era pieno di orgoglio guardandolo in faccia. L'altro era curioso, dolce, identico a quello che lo osservava dal basso.

Va bene, basta così, non avvicinarti troppo al muro.

Io li ho spenti, i loro occhi, io ho spento il sorriso del mio fratellino e anche il mio. Io.

Nii-san!

Tira la leva!

Era troppo dura quella leva, solo pochi secondi prima l'aveva spinta con tutta la fiducia del mondo, ma ora si faceva pregare per lasciarsi tirare. Lo sguardo che prima era dolce si era trasformato in terrorizzato. Lo aveva visto mutare sotto i suoi occhi, all'improvviso, come se due fotografie ritraenti la stessa persona con due espressioni diverse, fossero caduta una sull'altra in rapida successione e senza avvertire.

Una giornata primaverile piena di sole non ti prepara mai a dovere, ti fa lasciare a casa le armi che avresti dovuto usare.

Fermati, tira la leva!

Nii – San!

Lo sguardo alla sua sinistra, si era fatto più torvo e severo, le mani cercavano di sostituirsi alle sue sulla frizione. Non capivano che le loro grida lo stavano mandando ancora più in confusione, forse se avessero preso tutto con più calma avrebbe almeno pensato ad affondare il gas al minimo. Perdere la calma equivale a perdere la ragione, ecco perché nella vita è una cosa da evitare assolutamente.

Non potrò più permettermi questo lusso. Mai più.

Il muro bianco si sgretolava sull'arancione, ora le grida erano cessate.

Non finiranno mai.

Il pianto continuava, doveva pensare a lui. I cingoli slittavano sul terreno, non poteva certo metterci il piede sopra, avrebbe dovuto superarli con un balzo. Avrebbe fatto anche questo, avrebbe fatto tutto. Era necessaria tutta la forza del mondo da ora in poi, persino quella che non aveva mai conosciuto e che non sapeva di avere.

Sasuke, perdonami.

"Sasuke..."

Aveva sempre quella parola sulle labbra quando ansimava sudato nel sonno. Di solito riceveva abbracci, sussurri e lievi carezze, ma stavolta qualcosa che atterrava violentemente sulla sua faccia lo fece sussultare facendogli battere il cuore ancora più forte. Dovette spostare delle palpebre che sembravano di pietra per uscire dall'incubo, il dolore alla spalla riapparve prepotente, aveva dormito lì anche quel giorno, sui piumini di Nagato.

La borsa in cui teneva i suoi oggetti di scena stava sul suo petto ansimante. La maschera da roditore faceva capolino dalla lampo aperta, intrigata nel sistema di cinture di pelle con cui si fasciava il corpo. Un décolleté nero lucido col tacco a spillo era rotolato sulle mattonelle bianche. Alzò lo sguardo cercando di ignorare quell'incontro di boxe che aveva dietro lo sterno.

"Io pensavo che questa borsa contenesse una pistola difettosa, Itachi, eri stato tu stesso a dirmelo" la voce graffiante di Nagato non aveva inflessioni. Era calma come sempre, il suo viso impassibile cose se stesse raccontando quello che aveva mangiato la sera prima a cena.

Itachi si mise a sedere, i loro sguardi si incontrarono, il moro non era da meno in quanto a calma distaccata. Erano lì, a fronteggiarsi a vicenda. Tuttavia gli occhi dai riflessi viola di Nagato non riuscirono a reggere lo sguardo intenso dell'altro crollando sul pavimento.

"Ho pensato che era un po' strano che tu ti recassi a fare il guardiamo con le unghie pitturate di viola sia sulle mani che sui piedi. Fai la sgualdrina, Itachi? Lavori in strada o al chiuso?"

Aveva dimenticato di ripulirsi le unghie la notte prima, ma d'altronde era più esausto del solito. Le parole di Obito gli tornarono alla mente, il cugino maggiore gli aveva consigliato di dire la verità sia a Nagato che a Sasuke con il massimo della comprensione, ma ora nella sua testa il tutto suonava come un tremendo rimprovero.

Dì la verità o dovrò trovare io una soluzione.

Obito, se fossi intervenuto tu sul serio forse sarebbe stato meglio.

E ora la verità era venuta a galla nel peggiore dei modi, proprio come il maggiore aveva previsto. Itachi non ebbe la minima reazione davanti alle parole di Nagato, non c'era più niente che si potesse fare ormai, spiegazioni e scenate sarebbero state superflue aggiungendo altro dolore inutile. Il suo respiro si era calmato, continuava a guardare il rosso come un alunno che segue attentamente una lezione, il suo autocontrollo non aveva mai avuto una crepa da quel maledetto giorno.

"Fuori da casa mia, Itachi. All'istante."

Si alzò quasi senza emettere rumori, con tranquillità. Visto che indossava la tuta di cotone nera che usava per stare comodo in casa, si diresse in camera da letto per indossare un paio di scarpe da ginnastica. Senza pensare ne prese un altro paio dall'armadio nuove per...

Per venire subito da te, Kisame.

Non c'erano lacrime, non esisteva nessun tremolio delle mani, Nagato lo aveva incolpato di essere una prostituta ma lui non aveva smentito questa accusa, non aveva detto una parola.

È già la seconda volta nella mia vita che mi prendo questa parola da persone diverse, forse è vero.

"Io l'ho sempre saputo che non t'importava niente di me, Itachi!" Nagato sbottò, era forse la prima volta che il moro lo sentiva alzare la voce : "ti sto sbattendo fuori di casa e non ti interessa, non reagisci. Se raccontassi ogni cosa a Sasuke oggi stesso come la vedi? Non credi che anche lui abbia il diritto di sapere quello che fai?"

Nagato si era fermato sulla soglia della camera mentre lui si stava infilando le scarpe. Itachi si sentì bruciare gli occhi da quelle lacrime che avrebbero voluto uscire ma erano frenate dalla paura di sbagliare, dal timore che una sua distrazione avrebbe potuto provocare un disastro. Di nuovo. Iniziò a colargli il naso, quando il dolore non riesce ad avere uno sfogo sincero e naturale come desidererebbe attraverso gli occhi, si trasforma un qualcosa di pessimo quasi come se mettesse in atto una vendetta contro chi ha voluto imprigionarlo. Comunque si fa beffe di lui riuscendo ad uscire comunque da qualche parte.

Itachi era stato profondamente umiliato da quella frase, durante tutti gli anni trascorsi insieme era evidente che Nagato non lo aveva minimamente imparato a conoscere, non aveva compreso che lui le emozioni, anche se non poteva permettersi più il lusso di esternarle, le provava eccome. Un rapporto all'insegna dell'incomprensione, ecco cos'era stato, continuarlo avrebbe solo provocato altro dolore e il mondo ne è già abbastanza saturo.

Nagato, ti sarò apparso sicuramente freddo, volevo solo evitarti ulteriore pena con parole superflue e esternandoti i miei di problemi. Le parole possono fare male, tu non sai quanto, nessuno se ne rende mai conto, purtroppo. Io le emozioni le ho tutte dentro solo che forse, quasi mai è necessario esternarle, sia perché possono danneggiare gli altri, sia perché molto spesso finiscono incomprese.

Tuttavia questi concetti non uscirono mai dalla sua testa, passò davanti a Nagato con gli occhi neri fissi davanti a sé, la postura composta, calma. Inforcò la porta, scese le scale senza mai voltarsi indietro. Non aveva preso niente, né documenti, né cellulare, si sentiva ormai come in caduta libera, some se dovesse sfondare un muro che aveva davanti solo con il corpo. Il fatto di non avere nessuna meta, nessun obiettivo e nessun futuro certo per la prima volta in vita sua lo fece sentire inaspettatamente sollevato come se una imminente morte fosse stata lì a tendergli la mano per alleviarlo da ogni difficoltà. A pensarci bene una meta l'aveva e le sue gambe avevano iniziato a portarcelo dritto in maniera inconsapevole.

Itachi abitava in una trafficatissima e rumorosa strada in pieno centro mentre il posto dov'era diretto si trovava in una stradina polverosa, quelle nuvolette fini e bianche che la pioggia riesce a fermare solo per poche ore e che poi ritornano a turbinare sospinte da un minimo di vento. Kisame...

Era abbastanza distante da raggiungere, anche in macchina, tuttavia lui ormai era partito e voltarsi indietro anche solo per un secondo avrebbe significato crollare. Non poteva permetterselo, non se lo era mai potuto permettere, abbassare la guardia ora avrebbe significato incollarsi sul selciato come una pelle di leone piena di mastice. E poi comunque non c'era niente da vedere dietro, aveva l'impressione che voltandosi avrebbe visto solo una vuota distesa bianca, come un foglio in attesa delle sue parole.

Le minacce di Nagato di raccontare tutto a Sasuke era certo che non avrebbero avuto un seguito, il rosso per sua natura era pauroso. La sua ricerca spasmodica della perfezione gli faceva avere timore di parlare con la gente, di dire qualche parola fuori posto che potesse non farlo accettare e il broncio di Sasuke aveva il potere di mettere in soggezione chiunque. Era il suo modo di affrontare il dolore, quello, sfidare la vita che ti mette davanti le peggiori prove; il carattere che Itachi avrebbe desiderato per se sesso anche quel maledetto giorno di primavera. Anche il suo fratellino, come Nagato e come lui stesso, faceva parte della lunga schiera degli incompresi. Avrebbe saputo presto la verità sul suo lavoro, forse in giornata, ma sarebbe stato lui a dirglielo.

Ehi tesoro, ti serve un passaggio?

Itachi era abituato a frasi di questo genere, non gli costò assolutamente nessuna fatica ignorare. Marciava dritto come un robot, dopo diverse ore che non mangiava niente era consapevole che il suo corpo ne avrebbe risentito presto tuttavia aveva bisogno di arrivare. Non aveva niente dietro se non le sue scarpe da ginnastica che gli ciondolavano dalle mani tenute dai lacci. Non aveva il telefono con cui poter chiamare qualcuno che lo andasse a prendere, era senza i soldi necessari per un bus o un taxi o per pagarsi l'iscrizione alla palestra.

Kisame... forse ho solo bisogno di vederti.

Arrivò dopo circa un'ora di camminata veloce e senza pausa, aveva proceduto come se si trovasse in una sorta di trance; era caldissima quella giornata. Mancava circa un quarto d'ora all'apertura pomeridiana, Itachi si sedette vicino all'ingresso a vetri appoggiando la schiena contro il muro, chiuse gli occhi godendosi il tepore del sole sulla pelle bianca. Sperò che il primo ad arrivare fosse proprio Kisame, se fosse giunta per prima la segretaria o la dottoressa forse non avrebbe fatto la migliore delle figure. Le gambe gli dolevano per la lunga camminata, i muscoli gli tremavano leggermente. Appoggiò la testa al muro cercando di ignorare i battiti che si facevano un poco irregolari.

Kisame... spero che tu abbia qualche bibita miracolosa... ne avrei bisogno ora... il motore grida, il muro si sgretola... bianco sull'arancione...

Nii – San!

Itachi, fermati, tira la leva! Itachi!

"Itachi?"

"Sasuke..."

"No, sono Kisame. Non è ancora trascorso un mese intero da quando ho aperto questo posto e già ho visto succederci di tutto, ma non avrei mai pensato di vedere qualcuno dormirci addirittura."

Il moro alzò gli occhi abbagliati da sole, Kisame gli sorrideva immerso nella luce. Aveva avuto sempre bisogno di quel sorriso, per tutta la vita.

"Scusami, sono un po' stanco" Itachi si alzò troppo in fretta sentendosi girare la testa.

Kisame lo afferrò in secondo per le spalle vedendolo ondeggiare. Trovò che fosse più pallido del solito e gli occhi più infossati di come fossero stati la volta precedente. Certamente il lavoro notturno iniziava ad andargli stretto: "allora, sei pronto a iniziare? Durante la pausa ho appunto elaborato il tuo programma di allenamento."

Lo accompagnò dentro circondandogli le spalle con un braccio come se fossero vecchi amici, Itachi si stupì della delicatezza del suo tocco nonostante la mole.

"Kisame, mi dispiace ma io ho dimenticato tutto a casa, ho solo queste scarpe dietro. Non posso pagarti l'iscrizione adesso."

"Accidenti che allievo impaziente! Qui ci vorrebbe un premio altro che, ovvio che sei perdonato." Kisame rafforzò le parole appena dette aumentando per un secondo la sua stretta.

"Ti ho fatto una cosina proprio personalizzata. Naturalmente già che sei qui non ti farò concentrare solo sul problema alla spalla, il corpo è tutto un insieme non c'è una cosa sola."

E il tuo è stupendo di corpo nonostante sia esile.

Nelle poche parole di Kisame, Itachi aveva captato quella premura che nessuno gli aveva mai dedicato in tutta la vita. Kisame lo aveva fatto in un attimo, lì, senza avvertire e senza quasi conoscerlo. Nei suoi occhi neri scintillò un ringraziamento silenzioso. Aveva fatto bene a non voltarsi mai indietro arrivando lì a piedi, si sentiva sciogliere il cuore.

Itachi continuava a sciogliersi mentre Kisame, nonostante i clienti e amici fossero arrivati uno dopo l'altro, stava sempre dietro a lui a spiegargli come fare gli esercizi.

Ce la fai? Senti dolore? Hai bisogno di partire con più calma?

Alcuni di quei clienti erano nuovi, Itachi se ne era accorto. Il neo sindaco e il suo amico castano, per esempio, li aveva già visti tuttavia iniziavano i loro allenamenti quel giorno. Anche quel rosso piccolo e minuto. Kisame si era assentato solo brevemente per dare spiegazioni a loro poi era ritornato lì accanto a lui.

Se qualcosa non vi è chiaro chiamatemi pure.

Nessuno lo fece, esisteva come un tacito accordo.

Quando era arrivato il momento di lavorare sulla spalla dolorante, Kisame aveva infilato la mano sotto la maglia nera smanicata e aderente di Itachi. Gli era bastato poco per farla entrare dalla spallina, premeva con decisione e delicatezza mente gli diceva di correggere alcuni movimenti. La pelle di Kisame era liscia, calda, talmente levigata da avere qualcosa di gommoso, Itachi sentiva il calore invaderlo e salire dalla base del collo. Un sogno. E stavolta non era squarciato da cingoli, motori ruggenti grida e pianti. Forse stava capendo ora per la prima volta cosa sono i sogni gradevoli. Il sindaco biondino ogni tanto lo guardava di sottecchi sorridendo beato, sembrava che annuisse lievemente ma Itachi non ne fu del tutto sicuro.

Naruto anche io ho votato per te, non avrei potuto fare scelta migliore di questa.

Kisame non si accorgeva di tutto quello che gli accadeva intorno, il mondo era come scomparso. Itachi era il mondo.

"Nagato non è venuto?"

Eccola quella domanda, per Itachi il cingolo che aveva squarciato il sogno, per Kisame l'aspettativa di una conferma o di un grosso capitombolo con la benda sugli occhi. Tuttavia doveva sapere cosa c'era dietro quella porta di cui Naruto gli aveva consegnato le chiavi pregandolo di aprirla senza starci tanto a pensare.

"Oggi non aveva tempo" la voce sempre suadente e rassicurante a Kisame ricordò qualcosa ora che lo stava guardando di spalle.

Due sterili buchi...

Dopo aver tirato in ballo Nagato, Itachi aveva di nuovo rivolto lo sguardo istintivamente in direzione di Naruto, egli lo aveva catturato per un attimo con le sue iridi turchesi per poi tornare ai suoi esercizi. Itachi sentiva le mani di Kisame sempre sfiorarlo premurose, appoggiate delicatamente sulla sua vita o sui suoi fianchi come se avesse paura che potesse cadere dal macchinari. Le pose estremamente aggraziate che il moro riusciva ad assumere anche usando dei normali macchinari da palestra avrebbero incantato chiunque.

"E bravo Kisame! Ti sei accaparrato questa meraviglia e non la spartisci con nessuno" un biondino con una lunga treccia si era chinato per osservare da vicino Itachi alla macchina dei dorsali, aveva praticamente attaccato il suo viso a quello del moro.

"Deidara, quante volte ti ho detto di non fare sport con la gomma in bocca? Fila a buttarla che se ci lasci le penne ci vado di mezzo io."

"Eehhiii, calmo, mica te lo sciupo. Io ho ma mia Karin, vero tesoro?" mandò un bacio con la mano in direzione della rossa che lo salutò con un timido gesto della mano.

Itachi aveva terminato tutto il suo programma in poco meno di un'ora.

" Un ottimo tempo, nessuno ha questi risultati la prima volta che viene."

"Grazie di tutto, Kisame, vado a farmi una doccia."

Il moro aveva fatto un piccolo sorriso che sembrava colmo d'amarezza, Kisame aveva visto morire il sole in quel momento dentro ai suoi occhi.

Perché?

Itachi era ritornato pallido come lo aveva visto all'inizio, seduto appisolato fuori dalla porta. Ovvio che per te questo programma è una passeggiata... sei più bravo di così.

Kisame scosse la testa per cacciare via i suoi soliti frammenti, intanto Itachi era già sparito dietro la porta degli spogliatoi.

Senza mai voltarsi indietro.

Kisame, decise di approfittare per allenarsi lui stesso in vista delle gare di culturismo che aveva in programma per la fine dell'estate.

Ti senti perso senza di lui? Andiamo, è solo andato a farsi una doccia.

Tuttavia Kisame si accorse presto di come stesse usando il suo intenso workout come valvola di sfogo. Erano presenti anche Hidan e Sasori in quel momento, tre persone che adesso avrebbero potuto comprendersi a vicenda, ecco perché non volava una mosca in sala a parte la musica in filodiffusione.

Uno ad uno erano andati tutti via, fuori dalle finestre iniziava a farsi strada la sera. Karin aveva salutato tutti non appena finito il turno, gli ultimi a trattenersi erano stati Hidan e Sasori ma già da dieci minuti se ne erano andati, Tayuya quel giorno non c'era.

"Kisame, allora io andrei, ci vediamo domani."

"Aspetta Tsunade, assicurati che non ci sia più nessuno."

"Ma sì, ci sei solo tu."

Non l'ho visto uscire, né dallo spogliatoio e nemmeno dalla porta.

"Ti dispiacerebbe controllare gli spogliatoi e le docce, per favore?" Kisame si stava allenando imperterrito da un paio d'ore.

"No, non c'è più nessuno. Io mi vesto e vado"

Tsunade era stata via quasi cinque minuti, se ci fosse stato ancora qualcuno lo avrebbe visto, la sua voce arrivava da lontano, Kisame non riusciva a capire se era per l'effettiva distanza o a causa della sua mente annebbiata.

Non l'ho visto uscire. E poi la sua macchina non c'era, come è venuto oggi?

Kisame fu attagliato dall'ansia, la immaginò come una gigantesca chela che gli stritolava lo stomaco. Perse le forze all'istante lasciando andare di botto la sbarra dei dorsali, fece appena in tempo a pensare che se fosse stato alla pressa forse si sarebbe fatto male.

Eh no, Tsunade, non è una giustificazione il fatto che io sia solo.

Kisame si diresse a passo spedito verso gli spogliatoi mentre la dottoressa lo squadrava con un'espressione a metà tra lo sconcertato e il seccato. Spalancò la porta di botto, tanto da mandarla a sbattere violentemente contro il muro.

"Si può sapere che diavolo ti prende stasera, Kisame? Faresti bene a staccare anche tu."

Kisame fissava immobile la stanza rischiarata dalle luci al neon, non appena Tsunade smise di parlare udì chiaramente il loro sommesso ronzio.

"Visto, non c'è nessuno. A parte qualcuno che ha dimenticato il giaccone per terra, non è un po' troppo caldo ormai per girare con questa roba? Secondo me,conoscendolo, è stato Deidara." Tsunade aveva assunto un'espressione lievemente imbronciata mettendosi le mani sui fianchi.

Kisame si avvicinò alla massa scura, inconsciamente rallentava il passo come se avesse paura di rompere qualcosa o di vedere qualcosa. Kisame si coprì la bocca con entrambe le mani. Tsunade, alle sue spalle, aveva incrociato le braccia picchiettando la punta del piede impaziente, la testa piegata di lato con il broncio che andava aumentando. Kisame si inginocchiò a terra, non era un giaccone dimenticato distrattamente da qualcuno.

"Itachi!"

Kisame lo scrollò facendogli perdere quella posizione raggomitolata su se stesso che aveva e per vedere se aveva una qualche reazione, gli toccò un attimo la mano gelata spaventandosi anche lui per quella temperatura estrema, scoprì ben presto che l'intero corpo era così.

"Itachi, dannazione, apri gli occhi!" Kisame stava quasi urlando contro quel viso esangue.

"Tsunade, ho bisogno del tuo aiuto."

Kisame la cercava anche per non farsi prendere troppo dal panico, prese in braccio Itachi andando nella sua direzione.

La dottoressa di sentì quasi svenire, era impressionante. Il moro sembrava una bambola rotta.

E se fosse...?

Deglutì scortando Kisame verso l'infermeria.

Kisame stese Itachi sul lettino, poi cominciò a fare nervosamente avanti e indietro mentre

Tsunade iniziava a visitarlo.

Che cos'ha?

Respira ancora?

Ma tu non ti eri accorta di niente visitandolo la prima volta?

Parlava più che altro per se stesso, per udire un suono qualunque. Quando si è disperati ci si attacca a qualsiasi pretesto pur di non perdere la ragione. Non conta assolutamente niente il rischio di fare una figuraccia davanti agli altri o apparire poco sani di mente.

Lo avevo appena trovato e già devo perderlo? Magari non avrei potuto neanche averlo, ma non voglio che muoia. Io sento di volergli già bene per cui desidero per lui il meglio, voglio che possa essere felice, con o senza di me non importa.

Kisame cambiava direzione talmente velocemente, all'interno della piccola stanzetta, che arrivò sul punto di farsi girare la testa. Tra le maglie della sua angoscia, vide balenare i bellissimi occhi nocciola di Tsunade colmi di rimprovero: "Kisame, se non riesci a calmarti devo chiederti di uscire."

Kisame si sentiva morire, appoggiò la schiena al muro coprendosi la faccia con le mani disperato.

"Kisame" la voce di Tsunade era il suono più desiderato e più temuto al tempo spesso.

Impose a se stesso di guardarla in faccia, essere codardo e procrastinare in quel momento non avrebbe portato a nulla se non a dare altro dolore a tutti. Se doveva iniziare la caduta libera tanto valeva togliersi il pensiero il prima possibile.

"Come sta?" chiese pieno di apprensione, ansimava ma non gli importava nulla di nasconderlo, molto probabilmente era anche impallidito.

Tsunade sospirò guardandolo saldamente: "Sul momento non posso darti risposte certe, sembra un problema cardiaco accentuato da stress e mancanza di cibo. Lui sicuramente ne è al corrente solo che magari fino ad ora era riuscito a tenerlo a bada. Ormai lo hai capito anche tu che potere può avere la mente sul corpo, hai visto Hidan e Sasori, hai visto Nagato. Nel caso di Itachi è più o meno uguale solo molto più drammatico, anni di intenso dolore legato a doppia mandata in fondo all'anima senza avere la possibilità di essere espresso, accolto e compreso, hanno sconvolto il suo fisico già fragile di nascita. Io non so cosa gli sia accaduto nella vita, ma credo che la chiave del suo cuore l'abbia tu, Kisame. Va' da lui, io me ne vado un po' a riposare. Ci vediamo domani e vorrei vedervi sorridere entrambi felici il prima possibile."

Tsunade finì il discorso con un sorriso fiducioso e dandogli una pacca affettuosa.

"Grazie, Tsunade, l'ho sempre saputo che saresti stata indispensabile."

Kisame entrò nella stanza avvicinandosi al lettino Itachi aveva lo sguardo spento e perso sul soffitto ma almeno aveva gli occhi aperti. Kisame gli afferrò delicatamente una mano ben lieto di sentire che, sì, era fredda, ma non più gelida come prima. La massaggiò piano con le dita. Sentì il cuore quasi fermarsi per l'ennesima volta da quando aveva conosciuto quel moro pieno di misteri, le sue unghie erano viola e lui non ci aveva fatto caso tutto il giorno.

Da dove vieni?

Un sacco di posti diversi.

Kisame sentì la bocca spalancarsi mente vedeva Itachi sospirare coprendosi gli occhi con un braccio.

"Cosa c'è che non va? Dovresti dirmelo, io sono responsabile della palestra e anche della salute dei miei clienti."

Itachi si tolse il braccio dagli occhi, lo guardò per qualche secondo senza dire niente. Itachi quando voleva sapeva mancare come ora le sue parole mancavano a Kisame, sapeva far percepire la tensione sia pure con tutta la calma del mondo. Il suo sguardo sapeva essere magnetico, penetrante come un trapano e pensante come una montagna. Si mise a seduto con cautela senza togliere gli occhi da quelli di Kisame.

"Perdonami, mi sono stancato troppo oggi. Ho fatto più di due chilometri a piedi sotto il sole per venire da te."

Kisame sentì qualcosa spezzarglisi dentro.

Per venire da te.

Il suo sguardo diventò malinconico di colpo, afferrò entrambe le mani bianche e affusolate del moro come a dire ti ascolto.

"Purtroppo l'equilibrio della mia salute è sempre stato fragile, il dolore e le difficoltà che ho dovuto mandare giù da quando sono molto giovane fanno traballare il mio cuore. Oggi poi a questo si è aggiunto il fatto che ho mangiato poco. Perdonami, Kisame, sono stato un incosciente, lo so come vanno queste cose ma ci ricasco puntualmente" il moro aveva accennato un sorriso addolcendo lo sguardo per tranquillizzare il suo amico.

Kisame lo abbracciò forte istintivamente, Itachi socchiuse lievemente la bocca in un'espressione stupita. Chiuse gli occhi e ricambiò aggrappandosi con forza alla maglia di Kisame, le sue mani erano quasi spasmodiche.

Itachi aveva appoggiato le sue labbra morbide come velluto e leggermente carnose nell'incavo del collo di Kisame, un gesto rassicurante.

Il moro prese fiato, una pausa che parve interminabile: "Kisame, non ce l'ho fatta a lasciarti da parte dopo che hai aspettato cinque anni solo per parlarmi, dopo che ti sei accorto come io non usassi la destra pur non essendo mancino. Non mi conoscevi, non sapevi il mio nome, non avevi mai visto il mio viso eppure hai capito in pochi secondi che quello non era il mio lavoro, che quelle non erano le mie scarpe... Hai notato il fondotinta rimasto sulla tua mano. Mi lasciasti il tuo numero senza sapere se io lo avrei mai composto, cercavi disperatamente i miei occhi dietro a quella maschera, lo vedevo Ho aspettato un anno per decidermi a chiamarti, ma l'ho fatto. Non ho mai dimenticato il tuo nome. Sono io, la donnola."

Itachi aveva pensato centinaia di volte a come avrebbe potuto reagire Kisame a quelle parole, nella sua immaginazione lo aveva visto sussultare, impallidire, svenire, fuggire, ridergli in faccia. Tutte le reazioni del mondo tranne quella che effettivamente fece. Lo strinse ancora più forte tra le sue braccia come per proteggerlo dal mondo intero. Rimasero così, fermi per diversi minuti, Kisame lo cullò leggermente posandogli un bacio sui capelli, Itachi si arrese a quelle coccole come mai aveva fatto nella sua vita, senza alcun dubbio sul fatto di meritarle.

Si staccarono, Kisame sorrise: "dai alzati donnola, ti accompagno a casa."

"Kisame, io non ce l'ho più una casa."

Che stupido! Perché non l'ho capito? L'ho visto sbiancare quando gli ho chiesto di Nagato.

"Vieni da me, allora. Ti va di mangiare qualcosa insieme?" gli chiese dolcemente, mentre si incamminavano a prendere le cose di Kisame.

Kisame gli circondò la vita con un braccio. Itachi non avrebbe parlato quella sera, gli era occorso un anno per fare una telefonata e sicuramente avrebbe dovuto avere ancora un po' di pazienza. Itachi avrebbe aperto il suo cuore, non subito ma sarebbe accaduto.

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