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Cosa è la verità? Qualcosa da dire a chi si ama

Kisame vedeva le foglie della grande quercia che aveva davanti alle finestra di camera sua, sul lato della casa, proiettare la loro ombra sulle tapparelle bianche mentre si muovevano nel vento. Erano giovani, ancora verde chiaro, appena sbocciate nel sole di quell'aprile. Giovani e appena nate come lo era il sentimento che Kisame si sentiva crescere dentro, era appena sbocciato ma sarebbe diventato grande e forte come quella quercia. Avrebbe dovuto affrontare un sacco di sfide come tutte le piantine appena fanno capolino dal seme, questo lo sapeva, ma sono proprio queste sfide che poi renderanno solide le radici.

Itachi stava ancora dormendo, le ombre delle foglie passavano anche sul suo viso seminascosto da ciocche di capelli corvini, era girato casualmente nella sua direzione, la mano destra posata sul petto. A Kisame venne istintivo tirargli su le coperte che gli erano scese fin sotto lo stomaco, gliele premette piano alla base del collo e poi dovette fare uno sforzo immane per fermala quella mano. Lei avrebbe voluto continuare liberando quel bel volto dai capelli che gli ricadevano sempre davanti, avrebbe voluto sfiorare quelle ciglia e quelle labbra. Avrebbe voluto abbracciarlo forte, tirarlo vesso il corpo di Kisame per iniziare a baciarlo, farcelo rotolare sopra, ma fu costretta ad ubbidire all'ordine di posarsi sotto alla sua testa.

Ma gli occhi... gli occhi non volevano ubbidire a nessun ordine, rimanevano incollati su quel moro addormentato, sulla sua bocca socchiusa. Kisame iniziò a realizzare che se si fosse svegliato adesso lo avrebbe colto in flagrante a fissarlo.

Eppure stanotte l'ho baciato, l'ho fatto, ho attaccato la mie pelle alla sua sentendo il calore che emana. Ho posato la testa sul suo petto, tutto perché lui stava dormendo e non si sarebbe accorto di me. Forse sono un vigliacco o semplicemente rispetto i suoi spazi e i suoi tempi, oppure entrambe le cose.

Kisame sospirò quasi rassegnato, gli occhi non si staccavano, avrebbe passato una vita intera a osservarlo respirare così tranquillo. Quella Itachi notte non aveva non aveva avuto incubi, Kisame avvertì la sensazione di trovarsi sulla giusta strada e questo stirò le sue labbra carnose in un sorriso. Proprio in quel momento Itachi aprì gli occhi, le ciglia erano talmente lunghe da spostare la cortina dei capelli che avevano davanti.

Beccato, con le mani nel sacco!

"Ehi..." sussurrò Kisame sorridendo.

Con tutto quello che aveva in testa, miliardi di parole, domande, sentimenti e speranze, riuscì solo a pronunciare quel piccolo intercalare. Tuttavia era il modo in cui lo aveva fatto a fare la differenza, un'immensa dolcezza scaturiva dai suoi occhi. Itachi gli sorrise e lui ancora dovette frenarsi dalla voglia di baciarlo sulla fronte.

"Che ne dici ci alziamo, o ti sei messo in testa di farmi arrivare al lavoro in ritardo?"

Itachi rimase di stucco, lo aveva lasciato riposare finché non si era svegliato da solo. Non si ricordava neanche da quanto non passava una notte in un letto invece che sul palco del Susanoo in attesa di essere venduto come un pezzo di carne al macello. Il suo ultimo risveglio lo aveva trascorso ricevendo una borsa in faccia. Ricevendo la verità in faccia e lo stesso era successo a Nagato per causa sua.

No, Nagato aveva ricevuto un treno in faccia per colpa sua, e ora avrebbe dovuto stare lì fermo a farsi investire da un secondo treno apprendendo che anche Yahiko lavorava al Susanoo. Itachi sentì l'angoscia scendergli dentro come denso olio nero, decise di non cambiare espressione, non era giusto trasmettere negatività a Kisame che aveva così tanti riguardi nei suoi confronti stando attento ad ogni più piccola minuzia. Tuttavia Nagato ora aveva bisogno delle dovute spiegazioni, Itachi non osava neppure immaginare in che stato aveva trascorso la notte.

"Kisame, mi dispiace ma un ultimo favore bisogna che io te lo chieda, devo assolutamente parlare con Nagato poi penserò io ad organizzarmi per andare da mio fratello. Poi comunque la mia roba è rimasta tutta a casa sua, il cellulare, i documenti, io avevo solo la tuta con cui mi hai visto ieri."

Itachi si era messo a sedere sul letto e ora stava osservando Kisame attraversare la stanza per venire nella sua direzione.

"Ti metto le tue cose nell'asciugatrice, allora. D'accordo che su di te sembra bello anche quel vecchio pigiama ma non posso certo farti uscire così."

Era perfetto, un sogno, Itachi aveva sempre sentito di non meritare le attenzioni degli altri ma con Kisame era tutto diverso. Per la prima volta in vita sua ricevere tutte queste piccole cure non gli causava imbarazzo, si sentiva perfettamente a suo agio. Era incredibile come Kisame riuscisse sempre a toccare le giuste corde della sua anima facendole vibrare in un modo così perfetto non conoscendolo praticamente per niente. Itachi non aveva mai udito quella musica e non sapeva di averla dentro. Con Kisame quella fortezza che aveva costruito per tenere le sue emozioni separate dal resto del mondo diventava trasparente, era successo sin dai primi istanti un cui lo aveva visto al Susanoo. Kisame non conosceva né il suo viso né il suo nome, eppure aveva notato che non usava la sua mano dominante. Era straordinario, Kisame.

Straordinario...

E poi anche la spalla non gli aveva fatto male per l'intera notte dopo un solo giorno di allenamento.

Kisame...

Tuttavia la mente di Itachi scacciava tutti questi pensieri con prepotenza, il senso di colpa nei confronti di Nagato per il momento occupava tutto il suo mondo come lo aveva fatto quello nei confronti di Sasuke.

So solo fare danni e ferire in modo irreparabile le persone. Kisame, non voglio che il prossimo sia tu, non lo meriti. Forse l'unico modo per salvarti dalla mia distruttività e tenerti lontano da me.

"So che hai tante cose importanti in sospeso da mettere a posto, Itachi, e che probabilmente le ritieni più importanti di mangiare, ma fare colazione è fondamentale soprattutto per chi ha qualche problema come te."

Kisame aveva già preparato la tavola, Itachi si sedette non potendo fare a meno di accettare la ciotola di frutta e cereali che l'altro gli aveva offerto. Aveva di nuovo perso le parole ma stavolta non era perché si stava sforzando di tenere imprigionate le sue emozioni, ma piuttosto perché era piacevolmente e amabilmente sbalordito.

Sì, sono sbalordito. Sia da te e da come riesci a darmi tanto riguardo, sia da me stesso per il fatto di riuscirlo ad accettare.

Le parole non tornarono più, per tutto il tempo che occorse loro per prepararsi, uscire di casa e raggiungere la trafficatissima e chiassosa via dove abitava Nagato e dove era stato anche Itachi fino al giorno prima. Kisame sapeva perché le parole andarono via, aveva capito in poche ore quando fosse profondamente buono e altruista Itachi. Non aveva fatto altro che pensare a suo fratello, a quella persona che sognava sempre, e ora di sicuro si stava attribuendo la colpa di quello che era successo con Nagato, qualunque cosa fosse. Cercava di nasconderlo ma si vedeva.

Io lo vedo.

Itachi era preoccupato e pensava a qualcosa di grave. Kisame non lo perdeva mai di vista, le code dei suoi occhi erano sempre fisse su di lui.

E tu sai che io ti guardo, sai tutto ciò che ti accade intorno, sempre.

"Grazie Kisame, siamo arrivati, il palazzo è quello. Appena ho sistemato tutto tornerò da te ad allenarmi, già mi sono accorto che la spalla sta molto meglio" Itachi aveva fatto un piccolo sorriso avvilito prima di scendere dalla macchina, il suo viso era di nuovo di un pallore mortale.

Beh, e mi lasci così?

"Vuoi che ti aspetti?" Kisame era di nuovo in apprensione, l'ultima volta che lo aveva visto con una cera del genere era svenuto nello spogliatoio della palestra. Stava per essere chiuso dentro e trascorrere tutta la notte stramazzato sul pavimento se a lui non fosse venuto in mente di andare a controllare dopo aver notato che non era uscito.

Idiota! Proprio qui ti dovevi fermare?

Ma non lo vedi che sei su un semaforo?

Fai lo sbruffone solo perché hai il fuoristrada, vai a quel paese!

Una serie di insulti e di strombazzate li investirono, quella strada era stretta e molto trafficata; Kisame si era accostato non appena Itachi aveva parlato dopo circa un'ora e mezzo di silenzio ininterrotto.

"No, grazie, non è necessario, hai fatto anche troppo, Kisame. Appena recupero il mio telefono ti chiarisco ogni cosa."

Itachi attraversò quella via infernale con la sua solita grazia flemmatica, si vedeva che non faceva alcuno sforzo per muoversi così, era nato con la finezza scritta direttamente nei geni.

Ciao, bellezza, che fai stasera?

Kisame deglutì per ricacciare la voglia di reagire in fondo allo stomaco. Osservò Itachi raggiungere il portone e suonare il campanello, aveva deciso inconsapevolmente di attenderlo finché non fosse entrato.

O anche di più? Sei sicuro che vuoi rimanere in questa casa?

Itachi, non avendo ottenuto risposta, spinse il pulsante una seconda volta; a Kisame venne in mente la volta in cui successe la stessa cosa anche a lui mentre Obito lo osservava da dietro la tenda decidendo di proposito di non farlo entrare.

Sta succedendo anche a te lo stesso? Aspetto qui non posso mica lasciarti a piedi.

Decise nel frattempo di mandare un messaggio a Tsunade e Karin per avvertire che sarebbe arrivato in ritardo, il chiasso che c'era in quella strada avrebbe reso impossibile una telefonata. Mentre scriveva, Itachi si era voltato in attimo a guardarlo prima di fare l'ennesimo tentativo andato a vuoto, si riavviò i capelli tornando a fissare il portone. Il moro tornò verso di lui attraversando di nuovo la via. Kisame colse il viso che avrebbe voluto gridare tutta la sua immensa preoccupazione ma il cervello lo impediva.

Certo, anche questa è un'emozione, non sia mai che tu non l'analizzi a fondo prima di lasciarla uscire.

Itachi aprì di nuovo la portiera dalla quale era uscito poco prima per sedersi accanto a lui come se nulla fosse.

"Kisame, mi presteresti il tuo telefono? Dovrei chiamare mio cugino Obito, la macchina è nel parcheggio per cui suppongo che Nagato sia in casa e non voglia aprirmi."

Come faceva a essere così calmo nonostante la situazione? Scese di nuovo sul marciapiede senza tuttavia allontanarsi, nonostante il rumore, una volta che Kisame gli ebbe dato il telefono.

Vuoi che io senta la conversazione, non è vero? Lo vedo che questa è una richiesta d'aiuto, sono pronto a offrirtelo.

Itachi si sentiva girare la testa, comporre il numero di Obito gli risultava difficile con le mani che tremavano in quel modo, sbagliò tre volte prima di scrivere quello giusto.

"Accidenti Itachi, ma che fine hai fatto? Io, Rin, Shisui, Yahiko e persino Kakuzu siamo stati in ansia da morire vedendo che non sei venuto ieri sera, il tuo telefono risulta staccato. Shisui è letteralmente impazzito mettendosi a chiamare tutti gli ospedali della zona, per fortuna sono riuscito a farlo ragionare in tempo prima che chiamasse anche Sasuke, sai che baraonda sarebbe successa!"

"Vi prego di perdonarmi tutti ma io non ce l'ho il telefono. Io e Nagato ci siamo lasciati e tutta la mia roba è a casa sua. È venuta fuori la verità sul mio lavoro e lui mi ha buttato fuori. Per carità, ha tutto il diritto di farlo e non lo biasimo affatto, ma ora... io sono sotto casa sua e lui non risponde al citofono. Obito vieni, venite tutti. Io sono preoccupato e penso che gli sia successo qualcosa di grave, lo sai anche tu che problemi ha. È stata colpa mia e ora... non posso perdonarmelo."

Sentendo la voce di Itachi che tremava soffocando dei singhiozzi, Obito intuì al volo che qualcosa di serio era successo veramente. In quella telefonata c'era qualcosa di tristemente simile a quella che aveva ricevuto tanti anni prima da parte di Sasuke.

"Va bene arriviamo subito, stai tranquillo e conta su di noi" non c'era nessun rimprovero nella sua voce, nessuna ombra di qualche te l'avevo detto di dire la verità mal celato tra le altre parole.

Grazie, Obito. Per la seconda volta.

Kisame aveva fatto come Itachi auspicava, quel desiderio che non era stato espresso, quella richiesta d'aiuto gridata solo con i gesti. Aveva aguzzato l'udito nel baccano della strada per ascoltare le sue parole al telefono. Dunque era successo tutto perché lui non aveva detto la verità a Nagato. Da quello che Kisame aveva intuito, il rosso aveva scoperto nel modo peggiore il fatto che Itachi fosse la donnola.

"Kisame, se vuoi andare non c'è problema, stanno arrivando i miei cugini, il fratello di Nagato e un amico. Grazie ancora di tutto."

Il moro aveva sorriso malinconicamente chinandosi per guardare il suo amico attraverso il finestrino. Sembrava un angelo, Kisame aveva sentito gli occhi diventare lucidi.

"Non se ne parla nemmeno io rimango con te almeno fino a che non sono arrivati. Sali che andiamo a mettere la macchina in un punto un pochino più decente."

Itachi non sapeva niente. Kisame non gli aveva mai detto della sua storia con Madara e che conosceva Obito. Sicuramente Itachi non era a conoscenza di tutta la verità sull'allontanamento di Madara e che quella fatidica sera era presente anche lui.

Kisame trovò posto in un grande parcheggio un isolato più avanti, visto che c'era un po' di strada da percorrere a piedi decise di parlare. Forse non era il momento migliore, forse Itachi era talmente sconvolto che metà delle sue parole sarebbero cadute nel vuoto. Ma certi discorsi vanno affrontati al momento più opportuno affinché colpiscano il bersaglio in modo efficace, e quello che aveva da dirgli era troppo importante.

Il momento è ora.

"Itachi, perdonami ma non ho potuto fare a meno di sentire quello che stavi dicendo al telefono. Sì è vero, quella strada è rumorosa ma io l'udito ce l'ho buono" cercò di stemperare la situazione con un sorriso, Itachi gli camminava a fianco sulla destra con lo sguardo impassibile dritto davanti a sé "dalle tue parole ho capito che tu e Nagato vi siete lasciati in un modo così burrascoso per una verità che tu hai taciuto. Sai, io ho sempre pensato che la verità sia come un pallone trattenuto a forza sott'acqua, prima o poi viene a galla e, quando decide di farlo, lo fa con tanta veemenza che chi lo prende sul viso inevitabilmente si fa male."

Kisame si fermò afferrandogli delicatamente le mani, le iniziò a massaggiare lievemente sul dorso con i pollici guardandolo intensamente negli occhi. Itachi riconobbe quel gesto, la prima volta che Kisame lo aveva fatto, circa tre anni prima, lui indossava una maschera.

"So che ora sei divorato dai sensi di colpa e dalla preoccupazione nei confronti di Nagato. Sono consapevole anche che ti addossi sempre tutte le colpe del mondo essendo convinto che le persone soffrano per colpa tua, anche io sono un po' così per questo non posso che comprenderti. Ecco perché anche ho deciso di dirti la verità, perché ti voglio bene ed è giusto che tu quel pallone non lo prenda sulla faccia."

Ripresero a camminare, tuttavia Kisame non riusciva a lasciare andare la sua mano sinistra.

Iniziò da quando era un ragazzino quindicenne e discriminato che si era innamorato del suo rappresentate d'istituto. Raccontò tutta la storia arrivando persino al momento in cui suo padre lo buttò fuori di casa avendo appreso la sua relazione con un ragazzo e lui si era rifugiato a casa di Obito. Alcuni particolari furono volutamente tralasciati: Obito adesso era cambiato per cui trovò del tutto inutile considerare cose importanti i suoi comportamenti sbagliati di allora, erano dettati dal dolore e non era corretto giudicarli. Non scese dei dettagli dell'ultima discussione prima che Madara scomparisse e non era stato necessario nemmeno rivelare quel ti amo, non ora almeno. Rivelò tuttavia quanto fossero stati intensi i suoi sentimenti nei confronti di Madara e quanto avesse desiderato una storia soddisfacente con lui e avesse sofferto per non avere avuto quelle piccole cose che fatto tutte le coppie. Siccome Madara era sparito in quel modo non aveva ancora elaborato fino in fondo la cosa e desiderava sapere, come tutti loro, cosa gli fosse successo.

"Ho capito che tu e tuo fratello siete quei cugini vittime di una disgrazia, ma questo se non vuoi raccontarmelo non importa; lo so che rievocare ricordi dolorosi equivale a viverli una seconda volta. Tre anni fa quando ti parlai al Susanoo, ti dissi che là fuori c'era qualcuno che ti voleva bene perché avevo visto tuo fratello seduto a quel tavolo. Fu Rin a dirmi di chi si trattava. Era giusto che io ti dicessi tutto questo Itachi, perché io sono sincero quando voglio bene a qualcuno."

Itachi aveva camminato impassibile tutto il tempo, in silenzio, sembrava assente ma Kisame lo sapeva che aveva ascoltato ogni cosa. Ancora una volta si era costruito intorno quella barricata per proteggersi dal dolore. Kisame non si aspettava che parlasse. Spesso non era nemmeno necessario, Itachi comunicava con gli occhi, per lui le parole parevano essere un'invenzione inutile. Si esprimeva con i piccoli gesti, le posture, e ormai Kisame aveva imparato quella lingua unica al mondo sapendo cogliere ogni leggera variazione del luccichio degli occhi, ogni più lieve fremito delle ciglia e delle labbra.

Tu parli tantissimo, lo fai con gli occhi.

"Sono riprovevole. Io la verità a mio fratello ancora non l'ho detta, sono anni che si siede a quel tavolo, sempre lo stesso, e mi punta quegli occhi colmi di dolore addosso. Addirittura mi sono sempre coperto il tatuaggio affinché non mi riconoscesse."

Itachi si era fermato abbassando il capo, il fatto che ora le ciocche dei capelli gli avessero coperto interamente il viso non impedì a Kisame di scorgere le lacrime che gli solcavano le guance brillando come diamanti alla luce di quella bella giornata, prima di cadere a terra. Non c'era bisogno di parole adesso, Kisame sapeva che Itachi stava soffrendo terribilmente per esporsi in quel modo. Kisame intuì al volo che Itachi nella vita aveva sempre incontrato persone incapaci di mettere le mani nei posti giusti ogni volta che lui si azzardava a cedere al dolore, non per cattiveria, ma perché era stato il suo immenso altruismo ad averli abituati in quel modo. Probabilmente Itachi era sempre dovuto essere forte per tutti quanti anche a scapito di se stesso ed è questo che inconsapevolmente tutti si aspettavano sempre da lui.

Un cristallo mascherato da granito.

Ma Kisame voleva fargli capire che le sue fragilità non erano difetti ma, come accade per i cristalli, erano proprio queste a renderlo unico e prezioso semplicemente per il fatto di fare parte di lui. Non gli aveva ancora detto come avesse fatto a finire a lavorare al Susanoo nonostante le sue indubbie abilità da acrobata e come si fosse fratturato la spalla, tuttavia già era abbastanza provato per indurre Kisame a scavare ancora. Ogni cosa a suo tempo.

Kisame lo abbracciò con delicatezza e decisione al tempo stesso, lasciando che il moro affondasse il viso nel suo petto. Circondò le sue esili spalle scosse dai singhiozzi, avvertiva le lacrime trapassargli la maglietta bagnandogli la pelle, Itachi si aggrappava al suo corpo come se stesse per essere trascinato via dalla corrente di un fiume in pena. Le parole non servivano, Kisame aveva già imparato quella bellissima lingua fatta di sguardi, gesti impercettibili e luccichii degli occhi che Itachi era solito usare. Ecco perché gli posò le labbra carnose e calde delicatamente sulla testa tenendolo così finché non si fu calmato.

"Dai andiamo, Kisame, gli altri staranno per arrivare, devo sapere se Nagato sta bene. Sasuke saprà tutto oggi stesso."

Ecco chi è Sasuke, non è solo tuo fratello è la tua vita.

"Aspetta solo un secondo" Kisame continuava a tenerlo tra le braccia "guarda, non è bellissima?"

Con un gesto del capo aveva indicato una robinia che stava proprio accanto a loro, ci erano finiti sotto senza rendersene nemmeno conto, il sole scintillava tra le fronde mentre grappoli di fiori candidi lasciavano andare il loro profumo dolce come miele. Sono piccoli i fiori della robinia, ma il fatto che fossero riuniti in gruppi e che quella pianta ne avesse emessi così tanti faceva apparire il bianco in quel momento come se fosse il colore più bello del mondo assorbendo e annullando tutti gli altri con la sua semplicità e luminosità.

Tu sei così Itachi, straordinario senza sapere di esserlo.

Dei piccoli petali, di tanto in tanto, iniziavano a cadere a terra. Tra qualche giorno la robinia li avrebbe lasciati andare con un lento ma inesorabile rilascio in una pioggia leggera e candida.

Tu sei così, ti consideri banale nella tua unicità.

"La primavera è una stagione che nessuno apprezza, quando lei arriva tutti già pensano all'estate. Si tende a fare caso e a ricordarci con più facilità gli estremi, come anche l'inverno, e per questo finisce che la maggior parte delle persone non si godono quello che sembra insignificante solo perché non fa parte dell'estremo. Solo perché non è chiassoso e vistoso ma che in realtà, proprio per la sua discrezione, è ancora più affascinante da scoprire."

Kisame fu certo che Itachi avesse intuito che stesse parlando di lui, e fu immensamente felice quando, riprendendo a camminare, non avvertì i muscoli delle sue spalle irrigidirsi sotto il braccio destro.

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