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Torneo Tremaghi e altre disgrazie

Capitolo 11


Sirius Black, con un occhio nell'obiettivo della videocamera che Hazel gli aveva regalato per il compleanno, riprendeva suo figlio che dormiva beato nella sua carrozzina, durante un freddo e rigido pomeriggio di fine novembre. 

Il terzo mese più duro della sua vita stava giungendo al termine, ma questo non voleva dire che la fatica sarebbe di colpo sparita: essere un genitore era terribilmente stancante, la cosa più difficile che avesse mai fatto, e questo era tutto dire, se a pensarlo era uno che aveva passato dodici anni in una cella lunga solo pochi metri, mangiando brodo di ossa.  

Janus, che si svegliava ogni due o tre ore, piangendo affamato, era una sorta di dissennatore che, invece dei pensieri positivi, risucchiava senza sosta l'energia della mamma e del papà, che ormai avevano rinunciato alla speranza di tornare ad avere una vita che appartenesse solo a loro. 

Mentre per Sirius occuparsi del bambino era un ottimo modo per impiegare il suo inesauribile tempo libero, e  per non pensare per tutto il giorno al nome di Harry che usciva dal Calice di Fuoco, per Hazel la situazione era quasi al limite del sopportabile. La ragazza si divideva tra la casa, il lavoro e lo studio, senza mai fermarsi, in una incessabile vita da eterna pendolare. Le capitava ogni tanto di addormentarsi nei posti più impensabili, come in classe o nel magazzino della libreria. Una volta era così stremata che si addormentò sul treno che la portava al college, finendo ad Edimburgo.  

Spesso Sirius si sentiva un po’ frustrato dal fatto di non potergli essere più utile di così, e più la guardava, più aveva l’impressione che Hazel fosse ad un passo dall’andare in pezzi.  

Il bambino si mosse nel sonno e poi aprì gli occhietti, che erano grigi e taglienti, come quelli del padre. Sirius sorrise, e continuò a riprenderlo.

- Ciao, Jan. - Disse, a bassa voce, avvicinandosi. - Tua madre ha letto su un libro che è importante parlarti, anche se non capisci niente, senza offesa, eh, alla fine hai solo pochi mesi… il fatto è che non so cosa dirti. Insomma, devo raccontarti delle storie? - La porta d’ingresso alle spalle dell’uomo si aprì e Sirius si voltò, continuando a riprendere. - Ecco, Jan, lei è tua madre. Ciao, Hazel, sei così bella. - 

Lei sbuffò, si tolse la giacca, appendendola all'appendiabiti. - Ti piace davvero tanto quella videocamera. - Disse, sedendosi sul divano con aria esausta. 

- Lo sai che adoro le cose babbane. - Rispose spegnendola e mettendosi al suo fianco. 

Hazel si appoggiò a lui, lasciando che la abbracciasse e abbandonando tutta la tensione accumulata durante quell’ennesima giornata interminabile. - Che avete fatto oggi? - Gli chiese. - Janus ha fatto il bravo? - 

Sirius annuì. - Lui ha fatto le sue solite cose da neonato, tipo mangiare e dormire e piangere come se non ci fosse un domani. - Raccontò sorridendo. - Ah, la padrona della libreria… come si chiama… Gwen. Sì, Gwen è venuta a trovarci. Ho dovuto confonderla e farle un incantesimo di memoria per sicurezza, è il caso che tu le parli. -   

Hazel si lamentò sommessamente. - La inviterò a cena un giorno di questi, ma Remus dovrà fingere di essere te, dato vuole assolutamente conoscerti. - Disse, mentre Sirius aveva preso a baciarla sul collo, facendo scorrere le mani sul suo corpo. - Che fai? - Gli chiese, tirandosi indietro.  

Lui la guardò aggrottando la fronte. - Non posso neanche più baciarti, adesso? - Sbuffò, un po’ risentito. 

Hazel aprì la bocca per ribattere, cercando una risposta soddisfacente, quando il pianto del bambino attirò la sua attenzione. Si alzò, ringraziandolo silenziosamente per averla tirata fuori dall’ennesima conversazione di quel tipo. 

Da quando il bambino era venuto al mondo, si erano allontanati: ogni tanto, Hazel dormiva addirittura nella sua vecchia stanza insieme a Janus, mentre Sirius rimaneva da solo nella loro camera da letto. Spesso capitava che lei non gli parlasse per giorni, confidandosi solo con Remus che, di tanto in tanto, la accompagnava alle mostre o al cinema, rendendolo vagamente geloso. Quei due, insieme, sembravano una vera coppia affiatata. Leggevano gli stessi enormi e noiosissimi libri, parlavano di strani registi polacchi di cui Sirius non sapeva nemmeno pronunciare il nome o, semplicemente, parlavano di arte e, di tanto in tanto, guardavano a ripetizione “io e Annie” mangiando cibo cinese che lui andava a raccattare fino ad Aberdeen.  

Sirius si sentiva uno stupido eppure, ogni volta che li vedeva uscire di casa, sentiva una dolorosa stretta al cuore. Doveva essere lui quello che spingeva la carrozzina di suo figlio, doveva essere lui ad accompagnare Hazel in tutti quei musei che amava tanto visitare. 

Sospirò, tentando di dissimulare in tutti i modi il suo fastidio e tenendo gli occhi fissi su Hazel, che cullava Janus, parlandogli dolcemente.

Gli mancava così tanto avere un’intimità con lei, poterle stare accanto e basta, senza che lei si ritraesse sempre come se la vicinanza dei loro corpi la infastidisse. 

- È ancora quella storia che pensi di essere brutta, vero? - Le chiese, sbuffando. 

Hazel alzò lo sguardo verso di lui; per un attimo apparve quasi sorpresa da quella domanda, ma poi scrollò le spalle e scosse la testa, senza proferire parola. 

Sirius aveva ragione, si sentiva orrenda. Era sempre così indaffarata da non avere neppure il tempo di pettinarsi, inoltre il suo corpo era cambiato, diventando talmente diverso da impedirle quasi di guardarsi allo specchio senza sentire l’impulso di sciogliersi in un mare di lacrime. Ma non lo avrebbe mai ammesso, non davanti a lui. 

- Hazel, ascolta… - Esordì Sirius, dopo qualche attimo di silenzio. - Tra qualche giorno dovrò andare a Hogwarts. Stanno succedendo tante cose strane e Harry ha bisogno di me. -

Hazel sospirò, mettendo di nuovo il bambino nella carrozzina. - Quando avresti intenzione di tornare? - Gli chiese distaccata, senza neppure girarsi nella sua direzione.

- Non lo so. Pensavo di iniziare a fare avanti e indietro come lo scorso anno, così da poter stare vicino a Harry durante tutta la durata del Torneo. - Rispose Sirius. 

Hazel si voltò finalmente verso di lui, guardandolo come se avesse appena detto qualcosa di molto stupido o molto offensivo. - L’anno scorso non avevamo un bambino. - Disse  

- Quest’anno sì, ma ciò non toglie che Harry abbia bisogno di me. - Ribatté lui, freddo. 

- Anche io e Janus abbiamo bisogno di te. - Obiettò Hazel, con la strana sensazione di avere un nodo in gola. - Tu ci pensi mai a come mi sono sentita tutte le volte che sei sparito nel nulla? A quanto io mi preoccupi continuamente per te? Janus è tuo figlio, Harry invece non lo è, mettitelo in testa! Se devi andare e venire di continuo allora preferisco di gran lunga che tu rimanga lì. Rimani a Hogwarts, vai all’avventura insieme a Harry, fa quello che ti pare, ma non aspettarti che io stia sempre qui ad aspettarti. -   

Davanti alle parole di lei, Sirius impallidì. - Mi stai forse chiedendo di scegliere tra voi e lui? - Domandò gelidamente. 

Hazel scosse la testa. - Tanto sceglieresti lui, non è forse così? - Chiese a sua volta. 

Sirius si alzò dal divano su cui era seduto, l’aria furente di chi stava tentando in tutti i modi di mantenere la calma. Prese un paio di respiri profondi, camminando avanti e indietro e poi si fermò, rivolto verso di lei. - Janus è troppo piccolo anche solo per riconoscere la mia faccia e tu a stento mi parli! - Abbaiò furibondo. - Harry ha bisogno del mio aiuto e lo avrà: non stavo chiedendo il tuo permesso, quindi finiamola qui! -   

Janus scoppiò a piangere, forse spaventato dal tono di voce del padre. Le labbra di Hazel tremarono, mentre gli occhi le diventarono molto umidi. Singhiozzando, prese in braccio il bambino e si voltò nuovamente verso di lui, guardandolo con rabbia. - Bene. - Sibilò tremante. - Allora vattene via. - 

- Hazel… -

- Vattene via. - Ripeté lei e, senza indugiare oltre, raggiunse le scale e sparì al piano di sopra insieme al bambino. 

Quando arrivò nella cameretta di Janus, chiudendosi la porta alle spalle, Hazel si lasciò trapassare quasi all’istante dalla lama del senso di colpa. Sospirando, mise il bambino nel suo lettino, prendendosi qualche istante per osservarlo. Aveva ormai più di tre mesi e in quel momento, sdraiato nel suo piccolo letto e con gli occhi chiari spalancati e luminosi come due fari, sembrava quasi giudicarla. Hazel non solo si sentiva una pessima madre per il fatto che lo lasciasse da solo per quasi tutto il giorno, ma aveva appena cominciato a sentirsi anche una pessima persona. Per quanto Harry non le piacesse (o forse non le piaceva il fatto che Sirius si sarebbe fatto anche uccidere per lui) era consapevole che quel litigio era stato una vera caduta di stile da parte sua.  

Sospirò, accarezzando piano la testa piena di capelli di Janus. - Tu pensi che abbia ragione tuo padre, vero? - Disse, come se il bambino potesse capirla. - Il fatto è che forse hai ragione… Harry è solo un ragazzo, un orfano, ha bisogno di Sirius almeno quanto ne abbiamo bisogno noi, se non di più. Insomma, con noi rimarrebbe lo zio Remus. - 

Il bambino sbadigliò e poi fece un piccolo sorriso. 

- Facciamo così… - Continuò Hazel. - Adesso ti addormenti per bene, così io e il tuo papà possiamo parlare con calma di questa faccenda. Sai… di solito sono molto più paziente di così, solo che ultimamente mi sento come sull’orlo di un precipizio. Poco più di un anno fa vivevo solo per me stessa, avevo dei sogni molto ambiziosi, mentre adesso… - Hazel fece un sonoro sospiro. - Adesso sono quasi sicura che, dopo la mia laurea, finirò per fare l’insegnante in qualche orribile liceo di provincia e la cosa mi deprime. - 

Sirius non rimise piede in quella casa per almeno una settimana, fino all’arrivo del freddo dicembre, che portò con sé un drastico calo delle temperature, una montagna di neve e la comparsa dei primi addobbi natalizi. L’inverno sulla costa del Mare del Nord era duro e tagliente come una lama affilata, il vento sferzava forte, sbattendo sulla scogliera su cui sorgeva Downies e, quel giorno, il cielo si presentava come un denso manto opalino e opprimente.

Sirius apparve all’improvviso nel salotto del cottage di Hazel, facendo sobbalzare Remus, che teneva in braccio il bambino, seduto sul divano. 

- Felpato, che ci fai qui? - Chiese il lupo mannaro, alzandosi appena lo vide. 

- Io vivo qui, Remus. - Rispose, con un tono piuttosto raggelante. - Piuttosto tu, cosa fai qui a quest’ora del mattino? Hazel dov’è?- 

- Aveva bisogno di qualcuno che le tenesse il bambino mentre lei è al college, aveva un esonero. Non so cosa voglia dire ma sembrava qualcosa di importante. - Spiegò Remus. 

Sirius annuì e poi prese Janus dalle braccia dell’amico. Non lo vedeva da giorni e gli sembrava quasi cresciuto e decisamente molto più vispo del solito. Avrebbe compiuto quattro mesi il 20 dicembre e aveva iniziato a riconoscere i visi a lui familiari. 

Sirius prese a cullarlo piano, guardandolo quegli occhi tanto simili ai suoi e lui gli sorrise contento.  

- Felpato, vuoi dirmi cosa è successo con Hazel? - Chiese all’improvviso Remus. 

Sirius alzò lo sguardo su di lui. - Non te lo ha detto? Lei ti dice tutto, di solito. - Disse, come una velata frecciatina. - Abbiamo litigato per Harry, mi ha praticamente chiesto di scegliere tra lui e loro e poi mi ha detto di andarmene. Una cosa del genere da lei non me l'aspettavo proprio, si è comportata da stronza. -   

Remus sospirò. - Guarda che non voleva sul serio che tu te ne andassi. - Lo informò, scuotendo la testa. - E non ti ha chiesto davvero di scegliere tra loro e Harry. - 

- Dipende da quale versione della storia ti ha raccontato. - Borbottò Sirius. 

- Tu non riesci proprio a capire cosa sta passando. - Replicò Remus, a costo di sembrare saccente. - Lei è praticamente una ragazzina che fino a un anno fa conduceva una vita normale e che ora si ritrova ad avere a che fare con un mago ricercato da mezzo mondo e con un bambino di pochi mesi. Tutto questo mentre provvede a guadagnare a sufficienza per farvi sopravvivere e, come se non bastasse, sta cercando di prendersi una laurea. Non è mai in casa e si sente una pessima madre per questo. - 

- Tu la difendi troppo, Remus. - Disse Sirius, infastidito. 

- E tu invece non la difendi per niente. - Ribatté il lupo mannaro. - Harry per lei è solo uno sconosciuto, mi sembra normale che per Hazel prima di tutto ci sia suo figlio, no? - 

- Il problema non è solo Harry. - Chiarì Sirius. - Lei non vuole nemmeno dormire con me. Non vuole che la tocchi o che le stia anche solo vicino. Non mi ama più, mi detesta! - 

Remus guardò l’amico e sospirò, lasciandosi però scappare un piccolo sorriso. - Felpato, non pensavo che avrei mai potuto dirti una cosa del genere ma… tu non le capisci proprio le donne. - Sogghignò, con una punta di tenerezza nella voce.  

Sirius gli lanciò uno sguardo torvo e, dopo un attimo di pausa, Lupin continuò:

- Hazel dice di non sentirsi molto a suo agio con sé stessa, ultimamente. - Spiegò. 

- Ma non mi dire. - Sbuffò Sirius, alzando gli occhi al cielo, prima di sistemare Janus nella sua carrozzina. - Comunque io non so cosa posso farci. -

- Potresti dirle che la trovi ancora bella e attraente. - Tentò Remus. 

- Ma lo faccio già! - Esclamò Sirius, indignato dal doverlo sottolineare. 

Remus alzò gli occhi al cielo. - Senti, Felpato, non so cos’altro dirti, dopotutto sei tu quello bravo con le donne qui, quindi sfodera le tue armi. - Esclamò. - Devi dirle che la desideri ancora e, per favore, abbandona questo tuo ridicolo orgoglio e se la ami diglielo chiaramente. Sono solo due parole, Sirius, puoi pronunciarle. - 

- La fai facile tu… - Borbottò Sirius, lasciandosi cadere sul divano.  

- Certo, perché lo è. - Rispose Remus, seduto accanto a lui, dandogli una pacca sulla spalla. - Comunque da te non mi aspettavo niente di diverso: ti conosco da tutta la vita e so che non sei il tipo di persona che dice chiaramente quello che prova. Probabilmente non hai mai detto ti voglio bene nemmeno a James. - 

Sirius si pensò su. Effettivamente era vero, non era mai stato abituato ad aprire il suo cuore ad un’altra persona, era sempre stata una cosa vietata in casa sua. E in effetti, a parte i suoi amici e poi in seguito Hazel, nessuno gli aveva mai detto a parole di amarlo, nemmeno sua madre, nemmeno quando era solo un bambino. Sirius si voltò verso la carrozzina in cui giaceva suo figlio, chiedendosi come fosse possibile che Walburga Black non l’avesse mai amato, e proprio in quel momento la porta d’ingresso si spalancò alle loro spalle.  

Hazel varcò la soglia e la chiuse senza guardarsi intorno, uno zaino dall’aria pesante sulle spalle e un grosso libro in mano. Quando si voltò verso i due, incontrando lo sguardo di Sirius dopo più di una settimana, rimase per qualche secondo impietrita. - Sei tornato. - Gli disse poi, ostentando disinteresse e lasciando cadere lo zaino e il libro a terra. 

Lui annuì. - Sì. Ti dispiace? - Le chiese, alzandosi dal divano. 

Hazel scosse la testa e attraversò la stanza, raggiungendo la carrozzina in cui Janus dormiva beato nel suo piccolo pigiamino di cotone rosso; detestava passare così tanto tempo lontano da lui. 

- Come è andato l’esonero, Hazel? - Domandò Remus, alle sue spalle. 

Lei sospirò e si voltò con un sorriso amaro in volto. - Non sapevo un bel niente. - Rispose tranquilla, scrollando le spalle. - Così sono uscita dall’aula, sono andata in segreteria e ho congelato gli studi. Riprenderò quando le cose si saranno sistemate. - 

Ci fu un attimo di silenzio nel quale Sirius e Remus si scambiarono uno sguardo fugace e poi il primo parlò: - Vuoi smettere davvero di studiare? - Le chiese. 

Hazel scosse la testa. - Mi sono solo presa una pausa. - Spiegò, con voce inclinata. - Ma non sto abbandonando il mio sogno, sarò un’artista, solo che non ora. Ora voglio solo stare a casa più tempo possibile insieme al mio bambino. E a te. -  

Remus guardò Hazel, il suo volto da ragazzina segnato dalla tristezza, e si alzò dal divano, avvicinandosi. - Porto Janus a prendere un po’ d’aria, va bene? - Disse. - Così voi due potete parlare un po’. - 

Hazel annuì e poi alzò i lati della bocca, abbozzando un sorriso. - Coprilo bene, fuori fa freddo. - Si raccomandò. 

- Fate i bravi, ci vediamo tra qualche ora. - Disse Remus, prima di raggiungere la soglia. 

Quando la porta si chiuse, Hazel si ritrovò sola in casa con Sirius per la prima volta da mesi. Si guardarono, immobili uno davanti all'altra, talmente intensamente che quasi avrebbero potuto far nascere un altro universo dalla collisione dei loro sguardi. Lui si mosse, camminando nella sua direzione e fermandosi a pochi centimetri di distanza. La abbracciò, respirando forte quel profumo che lo faceva sempre impazzire, ad occhi chiusi, beandosi di nuovo di quel contatto. 

- Scusa se ho detto quelle cose. - Disse Hazel, staccandosi da lui. - Lo so che per te Harry è molto importante, l’ho sempre saputo. Solo che odio vederti andare via, mi spaventa. - 

- Non ti preoccupare. - La rassicurò lui, lasciando un tenero bacio sulla sua fronte. - Non sa ancora niente di voi, in realtà sono un po’ combattuto se dirglielo o meno. - 

- Perché? - Chiese lei, un po’ indignata. - Ci stai tenendo nascosti? - 

Lui sospirò. - Lo sai che la mia è una situazione complessa… inoltre stanno succedendo tante cose strane, come tanti anni fa. - Cominciò a dire. - Ho l’impressione che succederà qualcosa e per questo, per ora, meno persone sanno di voi e meglio è. -

Hazel annuì, un po’ contrariata. - Ma lui come sta? - Chiese, andandosi a sedere sul divano. - Come vive tutta questa faccenda? - 

- Harry sta bene, ha superato la prima prova e adesso la sua unica preoccupazione è trovare una ragazza da invitare al Ballo del Ceppo. - Rispose Sirius, sorridendo. 

- Potresti dargli qualche consiglio, Remus dice che piacevi sempre alle donne. - Disse Hazel. 

Sirius la guardò di sottecchi, sedendosi al suo fianco. - Che altro ti ha detto Lunastorta? - Chiese divertito. 

- Tantissime cose. - Rispose Hazel. - Ma i suoi racconti possono essere riassunti tutti con te nel ripostiglio delle scope con la ragazza di turno. - 

Sirius arrossì leggermente, ma dissimulò. - Nel ripostiglio è successo solo una volta e sono anche stato beccato dalla McGranitt; è stato il giorno più imbarazzante della mia vita. - Obiettò, divertito e imbarazzato insieme. - Lo sai che per certe cose preferisco i posti comodi, come i letti. - 

Hazel annuì e sorrise. - Certo che lo so, sei noioso, infatti. - Ribatté. 

Lui spalancò gli occhi, cercando di capire se dicesse sul serio. - Ah, è così? Fare sesso con me ti annoia? - Chiese, avvicinandosi a lei con fare suadente. 

Hazel alzò le spalle, facendo un piccolo sorriso innocente e sfuggendo al tentativo dell’uomo di afferrarla. Si alzò ed aggirò il divano, ritrovandosi dalla parte opposta rispetto a lui. Fuggì con estrema facilità dai suoi tentativi di acciuffarla, ma all'ultimo inciampò e finì stesa ai piedi del camino, trascinandosi dietro anche Sirius. 

- Presa. - Disse lui, vittorioso. 

- Io realtà direi che sono io che ho preso te. - Ribatté, Hazel. 

Sirius la baciò sulle labbra, esultando nella sua testa quando anche lei rispose al quel contatto. Si staccò da lei quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi e sorrise. 

- Non siamo obbligati a fare qualcosa solo perché siamo soli, lo sai? - Le disse.  

Hazel annuì. - Potremmo guardare Twin Peaks sul divano, tenendoci per mano come se avessimo dodici anni. - Propose. 

- Mi sembra perfetto. - 

°°°°°°


Lo scorrere lento dei mesi, e l’arrivo della primavera, contribuì a rendere le cose sempre meno faticose. La vita stava andando avanti, muovendosi con grazia tra gli impegni della vita di Hazel, caotica come al solito, e il Torneo Tremaghi, che portava Sirius lontano da casa anche per intere settimane. Lei cercava di non prendersela, ma detestava vederlo andare via, anche se odiava ancora di più vederlo tornare malridotto come era all’inizio di tutto. Inoltre, durante quei giorni di assenza, capitava che l’uomo si perdesse tappe importanti della crescita del bambino, che Hazel poteva solo limitarsi a riprendere con la videocamera. Janus aveva imparato a gattonare e a tirarsi in piedi appoggiandosi al divano, si cimentava nei suoi primi esperimenti linguistici facendo emozionare la madre e, soprattutto, aveva cominciato a dare i primi segni di magia. 

Una mattina, durante la prima settimana di giugno, Hazel lo aveva visto animare uno dei suoi pupazzetti a forma di drago, che aveva preso a svolazzare per la casa e, spaventata, era corsa da Sirius chiedendogli se fosse una cosa comune nei piccoli maghi. 

- È normale. Anzi, mi chiedevo quando sarebbe successo. - Disse Sirius sorridendo, guardando suo figlio, pieno di orgoglio. - Sarà un mago eccezionale, io già lo so. - 

La temperatura si fece sempre più estiva e, spesso, Hazel, Janus e Felpato, facevano lunghe passeggiate sulla spiaggia, camminando sul bagnasciuga. A Janus piaceva il mare, ma adorava ancora di più quando Felpato, uscendo dall’acqua, si scrollava bagnandolo tutto. Proprio come James, anche suo figlio lo preferiva in forma canina. Quando poi in spiaggia non c’era nessuno, Sirius si prendeva il rischio di tornare se stesso, per camminare al fianco di Hazel, tenendola per mano. Ci fu un pomeriggio in particolare che rimase impresso nella mente di lei: Hazel se ne stava seduta sulla sabbia a gambe incrociate, con la videocamera accesa puntata su Sirius che teneva in braccio il bambino mezzo addormentato. Guardava verso l’orizzonte con lo sguardo pensieroso, mentre il sole stava tramontando, riempiendo il cielo di colori caldi; sospirò e poi si voltò verso di lei. - Che fai? - Le chiese sorpreso, quando vide che lo stava riprendendo.

- C’è una luce stupenda e io sto documentando. - Rispose Hazel, zoomando sul viso di lui. - Così, tra vent’anni, potrò riguardare questo video in cui sei perfetto. Vuoi dire qualcosa? - 

Lui ci pensò su, stringendo un po’ gli occhi, e poi sorrise. - Solo che sono felice. Tanto felice. - Rispose. - Qui, adesso, davanti a questo tramonto e con nostro figlio in braccio. Io guardo il mondo che ci circonda, poi guardo te e non riesco a smettere di pensare al fatto che ti amo. - 

Hazel mise giù la videocamera, sgranando gli occhi, piena di sorpresa. - Non me l’hai mai detto prima. - Mormorò, portandosi una mano alla bocca, gli occhi lucidi.  

Tendeva a commuoversi con poco, ma quella volta sentì qualcosa che non aveva mai provato prima. Essere amati era la sensazione migliore del mondo: si sentiva come se avesse passato più di vent’anni a vedere le cose senza riuscire a guardarle davvero, senza riuscire a metterle a fuoco, almeno finché non era arrivato Sirius, che le aveva donato occhi nuovi con cui osservare il mondo e meravigliarsi di esso. 

Si avvicinò a lui e lo baciò, desiderando quasi di fermare il tempo e cercando di imprimere quel momento nella sua mente per sempre.  

Con l’avvicinarsi della terza e ultima prova del Torneo Tremaghi, l’umore di Sirius divenne man mano sempre più teso, ma Hazel non se ne rese conto, troppo occupata a dividersi tra il lavoro e il bambino. Così, il 24 giugno, Sirius li salutò e partì per Hogwarts, lasciandola sola per quella che doveva essere l’ultima volta. Finalmente quel torneo stava per terminare; magari quell’estate Harry sarebbe stato un po’ con loro e Hazel l’avrebbe finalmente conosciuto. La cosa la caricava di ansia: e se a lui non fosse piaciuta? Se fossero finiti per odiarsi? Sirius sarebbe finito in una posizione molto scomoda, era essenziale piacergli ad ogni costo e doveva essere brava a fargli capire che non aveva niente da temere, che le cose tra lui e Sirius non sarebbero cambiate.

Hazel passò tutta la notte sveglia davanti ad una tela vuota, attanagliata da una strana sensazione di angoscia che la paralizzava. Non sapeva perché ma, se avesse avuto dei poteri magici, si sarebbe precipitata a Hogwarts, per accertarsi che tutti stessero bene. 

Seduta sotto il portico di casa sua, Hazel accese la sua prima sigaretta dopo più di un anno dall’ultima volta e attese, scrutando l'oscurità davanti a lei. Nell’aria c’era qualcosa di terribilmente sbagliato, come il sentore di una catastrofe che si stava per abbattere su tutti loro. Aveva come l’impressione che l'idillio delle ultime settimane fosse inevitabilmente destinato a finire e che sarebbe terminato proprio quella notte. Verso le quattro, Hazel tornò dentro e raggiunse la cameretta di Janus. Si fermò sulla soglia, guardandosi intorno: non c’erano più quadri inquietanti attaccati alle pareti, a terra non c’erano pennelli né fogli stropicciati, ma il letto era sempre lo stesso e, sopra di esso, Janus giaceva addormentato e ignaro delle ansie di sua madre. Aveva compiuto dieci mesi solo qualche giorno prima e somigliava tantissimo a Sirius, ma solo nell’aspetto. Era un bambino calmo, silenzioso e intelligente, adorava giocare da solo ed era fortunatamente molto ubbidiente. 

Spesso Hazel si fermava a pensare a quando, a undici anni, Janus sarebbe dovuto partire per Hogwarts e l’idea non le piaceva affatto. Quello era il suo bambino, l’aveva sentito crescere e muoversi dentro di lei e sapeva che undici anni erano troppo pochi per andare a vivere così lontano da casa. Inoltre, dai racconti di Sirius, Hogwarts le era sempre sembrato un posto molto pericoloso. 

Hazel raggiunse il letto e si sdraiò, accarezzandogli la testa piena di capelli neri di suo figlio, scuri proprio come quelli del padre; lo guardò estasiata. Quando poi il bambino aprì gli occhietti assonnati, non poté fare a meno di sorridere. - Di’ mamma. - Sussurrò Hazel. - Dai, ma-ma.  - 

Il bambino rise come se la madre le avesse detto qualcosa di molto divertente.  - Pa pa. - 

- No, di’ mamma. Ma-ma. - Ripeté Hazel. - Dai, Jan. Se tuo padre venisse a sapere che dici papà e non mamma non smetterà mai di pavoneggiarsi. Lo sai come è fatto. -  

Janus rise ancora. - Pa pa! - Strillò.  

Hazel sospirò, sdraiandosi più comodamente. - Va bene, ho capito che è chiaramente lui il tuo preferito, non c’è bisogno di agitarsi tanto. - Disse, divertita come se lui potesse capirla. 

In quello stesso istante, il suono della materializzazione la fece tirare su di scatto. Dopo tutto quel tempo non era ancora riuscita ad abituarsi al fatto che Sirius poteva apparire all’improvviso in giro per casa, ma mai come in quel momento fu felice di vederlo. 

- Allora, com'è andata? - Gli chiese. 

Sirius si mosse nella penombra, raggiungendoli sul letto. - Harry ha vinto. - Rispose cupamente, dopo aver lasciato un bacio sulla testa del figlio.  

- E lo dici con questo tono? - Ribatté Hazel, con il cuore gonfio di angoscia. - Che è successo? - 

Sirius non rispose, ma si sdraiò, stringendo il bambino tra le sue braccia, cosa che insospettì ancora di più la donna, che si allungò verso il comodino per accendere la luce. 

Hazel lo guardò, cercando una risposta alla sua domanda nell’espressione illeggibile sul volto di lui. Sembrava aver perso qualche anno di vita in poche ore e se ne stava lì, immobile, guardava il bambino come se ne valesse la sua stessa esistenza, come se avesse paura di vederlo sparire. 

- Che è successo? - Chiese di nuovo, sempre più in ansia. - Harry sta bene? - 

- Sta bene. - Tagliò corto lui, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo. Quando li spalancò di nuovo, Hazel notò che il suo sguardo era cambiato; non era più perso e impaurito, ma vuoto, come se avesse eliminato tutto ciò che lo rendeva umano. 

- Devo parlarti di una cosa. - Sospirò.

- Allora dimmi. - Lo incitò lei, sulle spine. 

Ma Sirius scosse la testa. - Non davanti a lui. - Disse, guardando il bambino, dopo un lungo sospiro. - Aspettiamo che si addormenti e poi andiamo di là. - 

- Ma dai, ha solo dieci mesi. - Rispose Hazel, perdendo la pazienza. - Cosa vuoi che capisca? - 

Sirius sospirò. - Ti prego, Hazel, dammi un attimo e poi ti dico tutto. - Mormorò, con una voce che lei non aveva mai sentito. - Sono stanco, tantissimo… - 

Lei rimase in silenzio, si allungò per spegnere di nuovo la luce e poi si sdraiò insieme a loro, stretti in quel minuscolo letto singolo. Rimasero in quella posizione per quelle che sembrarono ore, e ben preso Hazel cominciò a sentire gli occhi farsi pesanti, ma lottò per non addormentarsi. 

Quando poi la ragazza notò che le prime luci dell’alba stavano illuminando il cielo notturno facendo scomparire le stelle, Sirius si mise a sedere, finalmente pronto per parlare. - Ti ho messa proprio in un bel guaio, Hazel. - Disse, con voce triste e tremante. 

Anche lei si tirò su, guardandolo nella semioscurità. - Perché dici così? - Gli chiese. 

- Non è questa la vita che ti meriti; non è questa la vita che si merita Janus. Se solo non fossi un dannato egoista avrei almeno la decenza di andarmene. - Rispose lui, cupo. 

Hazel percepì il suo cuore saltare un battito. - Non mi piace questo discorso. Se tu te ne andassi saresti solo uno stronzo. - Disse, gelida. - Mi dici cosa è successo? -  

Sirius si voltò verso il bambino. Dormiva beato con la bocca semi aperta, rivolto nella sua direzione. - Voldemort è tornato. - Disse solamente, senza alcuna inflessione nella voce. 

Hazel guardò Sirius come se l’uomo avesse pronunciato parole a lei sconosciute. Che voleva dire tornato? Come era accaduto? Ma, soprattutto, cosa sarebbe succeso ora? 

- Silente mi ha chiesto di riunire i pochi membri rimasti del vecchio Ordine della Fenice, così da combattere fin da subito. Stavo pensando di usare la casa dei miei genitori, a Londra, come Quartier Generale, dato che è molto grande. - Disse Sirius, come se avesse sentito le domande che Hazel si era posta. - Dovrò trasferirmi lì, ma non voglio che Janus cresca in quella casa infernale, quindi forse è meglio se voi due… - 

- No. - Lo interruppe prontamente lei. - Non ci pensare nemmeno. - 

- Hazel, quel posto sarà pieno di mollicci e altre cose spaventose. Non c’è l’elettricità, funziona tutto con la magia, per te sarebbe troppo difficile vivere lì. - Insistette lui. - E poi i quadri dei miei parenti che non faranno altro che insultarvi perché tu sei una babbana e lui un mezzosangue… per non parlare del pericolo che vi farei correre. - 

Hazel prese un respiro profondo e scosse la testa. - Noi veniamo con te. - Ribatté, con un tono che non ammetteva regole. - Non ti lascerò tornare in quel posto che odi da solo. E poi mi mancheresti troppo. -  

- Non posso chiederti di lasciare tutto per una guerra che non ti riguarda. - Disse lui. 

- Mi riguarda eccome, dato che mio figlio è un mago. - Rispose Hazel. - Inoltre non me lo stai chiedendo, è una mia scelta. E io scelgo di venire con te; ovunque. -  

Lo so scusate, questo è praticamente il riassunto di un lasso temporale di quasi un anno e sono consapevole del fatto che è una schifezza ma non ho potuto fare meglio di così. Purtroppo il mio odio per i capitoli di passaggio colpisce ancora e io incasso il colpo postando questo abominevole capitolo e sperando che i prossimi siano più o meno meglio. 

Saluti

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