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Normalità

Capitolo 36 

L’inverno si fece notare con prepotenza verso la fine di ottobre, quando il cielo si fece improvvisamente grigio. Janus, che già di per sé non amava la vita all’aria aperta, si ritrovò dunque a passare quasi tutto il suo tempo al chiuso, cercando riparo dalle intemperie dietro le mura solide della scuola. 

Gli unici momenti in cui metteva il naso fuori dal castello era per andare a far visita a Hagrid o per vedere suo padre, di solito sul tardi, per evitare di incontrare qualche professore desideroso di consumare una buona burrobirra ai Tre Manici di Scopa. Quelle sere si trasformava in corvo e volava giù dalla Torre di Grifondoro fino al villaggio di Hogsmeade. Lì Sirius lo aspettava, delle volte nel famoso pub, altre alla Stamberga Strillante, e di tanto in tanto si offriva di insegnargli qualche incantesimo di livello avanzato. Dopo circa un mese di incontri clandestini, Janus aveva imparato a evocare un patronus corporeo (un bel corvo imperiale, come la sua forma da animagus), a duellare con più efficacia e tantissime fatture che aveva provato di nascosto sul povero Gazza. 

Sirius era una fonte inesauribile di storie, consigli e massime sulla vita, e anche se di tanto in tanto Janus si sentiva ancora triste e un po’ inadatto in sua presenza, si ritrovò un giorno a provare simpatia nei suoi confronti. Insomma, era una persona divertente, doveva dargliene atto, anche se era totalmente diverso da Percy, tanto che Janus che si chiese come fosse stato possibile per sua madre innamorarsi di due persone tante diverse tra loro. 

Ad ogni modo, anche se quegli incontri si stavano facendo man mano sempre più piacevoli, uscire dal castello di nascosto gli procurava ancora tantissima ansia. Aveva così tanta paura di essere scoperto che l’unica persona a cui aveva detto di quelle sue piccole fughe notturne era Molly, ma solo perché l’aveva visto volare giù dalla Torre di Grifondoro dalla finestra del suo dormitorio, nella Torre di Corvonero, ma dopotutto di lei si fidava ciecamente. 

Ad ogni modo sia Klaus che Annie ci avevano messo poco a capire che il loro amico stava combinando qualcosa, sia perché avevano notato spesso le sue assenze in Sala Comune, sia perché la mattina dopo Janus aveva tutta l’aria di uno che non aveva dormito molto.  

- Ammettilo, hai una ragazza e passi tutta la notte appartato con lei in qualche aula vuota. - Disse Klaus, la mattina della prima gita a Hogsmeade, mentre tutti e tre facevano colazione in Sala Grande. - È la Tassorosso che ti gira intorno, vero? -

Janus assunse un’espressione perplessa. - Figurati, non riesco nemmeno a parlarci con quella lì, non so nemmeno il suo nome. - Gli ricordo, e poi spostò lo sguardo verso il tavolo dei Tassorosso, fissando la schiena della diretta interessata. - E comunque se gli interessassi davvero magari sarebbe lei a fare il primo passo, no? - 

- Sei tu il maschio, quindi tocca a te. - Lo corresse Annie, versandosi il succo di zucca. 

- E perché, scusa? Questa cosa che tocca sempre a noi è sessista. - 

Annie alzò gli occhi al cielo. - Senti, io l’ho osservata per bene e mi sono resa conto che non parla quasi mai con nessuno. Lei non si avvicinerà mai, quindi devi farlo tu. Prendi in mano la situazione e vai a parlarci, è facile. - 

- E cosa dovrei fare, andare lì e dirle ciao? - Chiese Janus, sbuffando.

- Potresti invitarla a venire a Hogsmeade con te stamattina. - Suggerì Annie. 

- Secondo me è una pessima idea. - Si mise in mezzo Klaus. - Le gite a Hogsmeade sono poche e uscendo con lei rischi di rovinarti uno dei rari momenti in cui siamo fuori dal castello. E se fosse antipatica o noiosa? - 

Janus assunse un’espressione pensierosa. - Non hai tutti i torti in effetti. Magari dice di sì ma poi rimanere in silenzio per tutto il tempo, sarebbe imbarazzante. Inoltre non voglio lasciarti andare da solo, visto che già Annie ci ha abbandonati per andare a un'uscita a quattro con Faye. - Disse storcendo il naso. - Ah, inoltre mio padre dice che se voglio piacere a qualcuna devo ignorarla e fingermi disinteressato. - 

Annie alzò le sopracciglia con fare sorpreso, mentre Klaus lo fissò come se avesse detto qualcosa di molto strano. - Tu e il signor Black parlate di ragazze? - Le domandò lei. 

- Tu e il signor Black parlate, in generale? - Ribatté Klaus. - Da quando in qua? - 

Janus mosse una mano in aria con nonchalance. - Be’, sapete come vanno certe cose… ad ogni modo, sono certo che prima o poi sarà lei a venire da me se continuo a ignorarla. - 

- Tuo padre si sbaglia sulle ragazze, dammi retta, sono una di loro. - Obiettò Annie.

- Allora dimmi, qual è il giusto metodo? - La spronò Janus.

Annie alzò gli occhi al cielo come se la risposta fosse ovvia. - Dipende, ogni persona è diversa. In questo caso credo che lei abbia bisogno di una spintarella. - Spiegò paziente. 

- Be’, non so come fare. Io… mi vergogno. - Disse Janus arrossendo. 

- Oh… ti vergogni, poverino. Dimmi, quanti anni hai, dodici? Per fino Teddy è più intraprendente di te. - Lo canzonò Annie. - Secondo me tentar non nuoce, con quella lì. Al massimo ti dice di no e tanti saluti. -  

- Gran bella botta per la mia autostima sarebbe. - Borbottò Janus. 

Annie sbuffò. - Janus, caro, so che in America ti bullizzavano e che hai vissuto la finta morte di tuo padre come un abbandono e che tutto questo ti ha portato a sviluppare uno schema di attaccamento evitante, ma devi risolvere la cosa, altrimenti ti rovinerà la vita, non riuscirai mai a stringere relazioni profonde con gli altri e morirai da solo. - 

Lui la guardò male. - Io ho relazioni molto profonde con gli altri. - Controbattè. 

- Mhmh sì, e con chi, sentiamo? - Domandò Annie, incrociando le braccia sul petto. 

- Be’, con voi due, prima di tutto! - Esclamò Janus, indignato. - E anche con Faye e con Molly! E poi… con mia madre! - 

- Tua madre non conta. - Lo ammonì Annie. - Per quanto riguarda gli altri… siamo noi ad avere una relazione profonda con te, non tu con noi. Tu non ci dici mai nulla. - 

- Non è vero. - 

- Allora dove vai di notte? - Lo mise con le spalle al muro Klaus. 

Janus sospirò con aria arresa e poi si guardò intorno per accertarsi di non essere ascoltato. - Vado a Hogsmeade per vedere mio padre. - Rivelò alzando gli occhi al cielo. - Non mi hanno mai beccato perché volo fin lì dalla nostra torre, ma ho comunque molta paura di essere scoperto, per questo non ve l’ho detto. - 

- Ecco, vedi? Non ti fidi di noi, tipico comportamento di chi ha uno schema evitante. - Sbottò Annie. 

- Quindi ci stai dicendo che tu infrangi da settimane decine di regole? - Fece Klaus, sorpreso. 

Janus annuì. - Sì, ma se non ve l’ho detto non è perché non mi fido di voi. Ho solo pensato che sarebbe stato più sicuro tenere la cosa per me. Mi dispiace… - Disse contrariato. - E non ho quella cosa evitante, Annie! Sono una persona equilibrata. - 

Annie gli diede una pacca sulla spalla, come per dire “certo, come no”, e poi si alzò in piedi. - Sei in equilibrio come un troll cieco sul bordo di un cornicione durante una tormenta. - Gli disse dopo un sospiro. - Adesso scusa, ma dobbiamo rimandare la seduta di psicoterapia a un altro momento: Faye, Ikaris e l’amico di lui mi aspettano da Madame Piediburro tra mezz’ora. - 

- Merlino… quel posto è un colpo a un occhio. - Commentò Klaus. 

- Credo che sarai tu ad aver bisogno di una seduta alla fine della gita. - 

Annie alzò gli occhi al cielo, ma si tradì col piccolo sorrisetto che le piegò le labbra. - Ci vediamo a Hogsmeade, ragazzi. - Disse, prima di allontanarsi verso l’uscita della Sala. 

Poco dopo anche Janus e Klaus lasciarono il castello. La passeggiata verso il villaggio non fu però molto piacevole: faceva freddo, il viale alberato che collegava la scuola a Hogsmeade era fangoso, tirava un forte vento e il cielo sopra le loro teste era grigio come poco prima di una forte tempesta. 

Erano tante le cose che Janus detestava del Regno Unito e tra queste, subito dopo la cucina e l’accento dei suoi abitanti, c’era di sicuro il tempo; per questo se ne lamentò un po’ giusto per rompere quello strano silenzio che si era venuto a creare. Non sapeva per quale motivo, ma da qualche mese aveva l’impressione che Klaus avesse qualcosa che non andasse. Di solito era un ragazzo felice e spensierato, talmente allegro da sfociare nel grottesco, eppure da qualche tempo sembrava un po’... spento. Aveva abbandonato le sue sgargianti vesti da mago in cambio di un abbigliamento più sobrio e scuro, e spesso lo aveva visto chiudersi in sé stesso come se fosse diventato d’un tratto introverso. Come se questo non bastasse, il suo rendimento scolastico dall’inizio dell’anno era calato in modo vertiginoso. Janus aveva pensato spesso di chiedergli se ci fosse qualcosa che non andasse, ma aveva sempre rinunciato fermato da chissà quali timori. Forse Annie aveva ragione su di lui: era pessimo con i rapporti umani, e cercava in tutti i modi di mantenerli solo su un piano di superficialità. 

Quando arrivarono al villaggio tutto attorno a loro si percepiva un forte odore di pioggia, ma le strade erano comunque piene di studenti. Camminarono lungo High Street per molto tempo e poi, quando le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere, Klaus indicò i Tre Manici di Scopa e Janus lo seguì all’interno, dove occuparono uno dei pochissimi tavoli liberi. Il locale era affollato di facce conosciute: Janus vide Talitha la cameriera accennare un saluto nella loro direzione dal bancone e, lì vicino, notò anche la figura minuscola della Tassorosso senza nome, che stava facendo la fila per ordinare. 

- Vado a prendere qualcosa da bere. - Annunciò Janus, alzandosi. 

Attraversò il locale facendosi faticosamente spazio tra la calca, e la testa gli si affollò immediatamente di pensieri. Era davvero una buona idea farsi avanti così, senza un piano? Cosa doveva dire? Ma soprattutto perché aveva l’impressione di essersi appena dimenticato come si camminasse? 

A pochi passi dal bancone ebbe un ripensamento ma nello stesso istante la Tassorosso senza nome si voltò nella sua direzione. Si guardarono senza dire nulla per qualche imbarazzante secondo e Janus si rese conto che non erano mai stati così vicini prima d’ora. Era davvero piccola di statura e se ne stava tutta infagottata in un largo maglione di lana indossato sopra un paio di jeans, aveva i capelli scompigliati come se si fosse appena tolta un cappello e tra le mani teneva due bicchieri ricolmi di burrobirra. 

- Ehm… ciao. - Fece Janus, accennando un sorriso timido. 

Lei spalancò gli occhi color ossidiana e rispose: - Ciao. - E la sua voce arrivò alle orecchie del ragazzo come una canzone che aveva già sentito ma di cui non ricordava il titolo. 

- Scusa… cioè, piacere. Sono Janus. - 

- Sì, lo so chi sei. - Rispose lei. - Lo sanno tutti ormai. - 

Janus si sentì avvampare ma fece del suo meglio per mantenere un’espressione rilassata e neutra. - E tu come ti chiami? - Le domandò. 

La ragazza esitò a lungo prima di rispondere: - Pilar. - Disse. 

E poi, senza nemmeno curarsi della reazione del Grifondoro, si mosse facendosi spazio tra gli altri clienti, ben attenta a non rovesciare la burrobirra. 

Lui, dopo un attimo di interdizione, la seguì, fermandola. - Senti, tu per caso giochi a League of Legends ogni tanto? - Chiese con una forte urgenza. - Sei tu, vero? - 

Pilar si voltò di nuovo verso di lui, lo guardò e aggrottò le sopracciglia, cosa che le diede un’aria da cucciolo smarrito, poi annuì senza proferire parola. 

- Ah. - Si limitò a dire invece Janus, confuso e sorpreso insieme.

C’era solo una parola per descrivere quella situazione: surreale. 

Era stato così facile parlare con lei quando non poteva guardarla negli occhi, mentre ora si sentiva… paralizzato. Eppure aveva così tante domande da farle. 

- Ora penserai che sono una mezza specie di stalker. - Disse la ragazza, abbassando lo sguardo sui due bicchieri pieni di burrobirra che teneva in mano. - Ho capito che tu eri tu lo scorso anno, solo che… non… - 

- Non fa niente! - Si affrettò a dire lui. - Io sono qui con un mio amico, ti va di sederti con noi? - 

Lei fece un piccolo sorriso di scuse, poi lanciò un’occhiata di tralice verso un tavolo poco più a destra, dove sedeva un’altra ragazza che le somigliava parecchio. - Sono qui con mia sorella, scusa. - Spiegò spiacente. - Però domani pomeriggio se ti va potremmo andare a fare una passeggiata a lago. -

Janus considerò l’idea di fare un po’ il sostenuto, ma un sì gli sgorgò fuori dalle labbra prima che potesse fermarlo. 

- Allora a domani. - Fece lei. 

Gli sorrise per l’ultima volta e poi si allontanò zoppicando, lasciandolo lì.

°°°°°°

La vita stava lentamente tornando alla normalità. Per quanto normale potesse essere il fatto che Sirius Black fosse tornato dalla morte solo qualche mese prima, scombinando di nuovo la sua esistenza. 

Dopo la sera del primo settembre, dopo quel bacio, Hazel aveva fatto finta di niente: era tornata a casa, si era messa il pigiama e poi era caduta in un sonno agitato non appena aveva toccato il letto. Quando poi Percy era tornato dal suo viaggio di lavoro, qualche giorno più tardi, l’idea di informarlo di ciò che era accaduto in sua assenza non la sfiorò nemmeno per un istante. Per Hazel non aveva senso farlo, quel bacio era stato uno stupido errore che non si sarebbe mai più ripetuto, eppure la punta incandescente del senso di colpa sembrava non volerle dare tregua. Fu così che. per distrarsi, Hazel si buttò a capofitto sui preparativi per il matrimonio. 

Si sarebbe celebrato in estate, con il ritorno dei ragazzi da scuola e il bel tempo, ma se scegliere una data era stato facile, scegliere una location si stava rivelando un’impresa ardua. Lei e Percy non potevano di certo sposarsi alla Tana, come tutti gli altri Weasley, c’erano troppi invitati babbani e quella casa… be’, quella casa era una casa magica e questo lo si poteva notare lontano un miglio. Alla fine, con grande tristezza di Molly, i due scelsero un luogo adatto anche ai babbani che sarebbero stati invitati quel giorno. 

E poi fu la volta del vestito. Hazel provò in tutti i modi a convincere la signora Weasley, Ginny, Tonks e Fleur che gli atelier babbani fossero all’altezza dell’occasione, ma non ci fu verso. Un ventoso pomeriggio di fine settembre Hazel fece nuovamente il suo ingresso a Diagon Alley, dopo parecchi mesi in cui aveva evitato come la peste i luoghi in cui c’era quel brulicare di streghe e maghi. 

La gente si chiedeva ancora chi fosse Hazel Rains, come avesse conosciuto Sirius, che vita avesse avuto fino a quel momento, e più lei cercava di tenere un profilo basso per passare inosservata, più qualche giornalista andava ad indagare nel suo passato tirando fuori cose che lei avrebbe preferito di gran lunga far tornare sotto il tappeto. Come se questo non bastasse, la notizia del matrimonio tra la sconosciuta babbana e la noiosa pecora nera dei Weasley era venuta alla luce, puntando i riflettori perfino su Percy che probabilmente avrebbe adorato leggere il suo nome su un giornale in altre circostanze, ma che in quel momento trovava quelle attenzioni non adatte alla sua posizione. 

- Questo vestito ti sta d’inconto, chérie. - Cinguettò Fleur quel pomeriggio, sistemando con entusiasmo la gonna dell’abito che Hazel stava provando in quel momento.

Si trovavano da madama McClan e il vestito che a detta di Fleur le stava un incanto era color perla e in tulle, troppo voluminoso per i suoi gusti. - Sembro una meringa. - Disse infatti Hazel, guardandosi allo specchio.

Alle sue spalle arrivò un basso e scontento lamento da parte di Ginny, che alzò gli occhi al cielo sconsolata, mentre Tonks si lasciò affondare ancora un po’ nello schienale imbottito. 

- Sul serio, non sembro una meringa? - Chiese Hazel, voltandosi verso le due. 

- Sembri sull’orlo di un esaurimento nervoso, ecco cosa sembri. - Ribatté Ginny. - Siamo qui da almeno tre ore e non sei riuscita a fartene piacere nemmeno uno. - 

Hazel piegò le labbra verso il basso e sospirò, tornando a guardarsi nello specchio con occhio molto critico. 

Pessima idea. Era davvero una pessima, pessima idea guardarsi allo specchio quando Fleur Weasley era al tuo fianco, pensò lanciando uno sguardo di sfuggita alla donna stupenda in piedi vicino a lei. 

- Forse mi starebbe meglio una linea più semplice… qualcosa di più babbano. O almeno qualcosa che non mi faccia sentire enorme e goffa. - 

Dal retrobottega, una sconsolata Madama McClan si avvicinò a lei con l’ennesimo abito tra le mani. - Prova questo, mia cara. - Disse, porgendogli un vestito color champagne. 

Hazel lo afferrò e scese goffamente dallo sgabello su cui si trovava, trascinandosi verso il camerino, seguita subito da Dora che esclamò: - Vengo con te! - Prima che Fleur potesse fare lo stesso. 

Entrarono alla svelta e una volta che Tonks chiuse la porta alle loro spalle, Hazel gli diede la schiena e la strega iniziò ad aprire l’abito, tirando fuori ogni bottone dall’asola. Il viso di Hazel, rivolto verso lo specchio, sembrava cupo e stanco.  

- Sembravi per davvero una meringa con quest’abito. - Disse la strega, sorridendole attraverso lo specchio. - Probabilmente Fleur pensa che anche a noi comuni mortali possa star bene qualsiasi cosa, proprio come a lei. - 

Hazel si sfilò l’abito, ben attenta a non inciampare in tutto quel tulle. - Hai visto Sirius, ultimamente? - Domandò all’amica dopo qualche attimo di silenzio. 

Tonks si sentì presa alla sprovvista da quella domanda, ma fece del suo meglio per non farlo trasparire. Hazel non nominava mai Sirius, a contrario di Sirius, che invece non faceva altro che chiederle di Hazel. - Sì. - Rispose. - Se la passa discretamente e si sta riprendendo a poco a poco. Di tanto in tanto va anche a trovare Janus, sai? -  

Hazel aggrottò la fronte, sorpresa. - No, Jan non mi ha detto niente. - Rispose. 

- Pare che le cose tra loro vadano meglio. Ovviamente Janus è ancora un po’ diffidente, ma Sirius si sta impegnando parecchio. - Spiegò Tonks gioviale, aiutandola ad abbottonarsi il vestito. - Ha comprato un sacco di quei fumetti che si leggono al contrario e sta guardando un sacco di musical solo per avere qualcosa di cui parlare con lui, ma credo che si stia addirittura appassionando ad entrambe le cose. - 

Hazel non poté fare a meno che sorridere. - Si sta appassionando? - Fece, divertita. 

- Sì, dico davvero! - Esclamò Tonks ridendo. - Ad esempio da quando ha visto Mamma Mia non fa altro che cantare gli Abba. - 

- Sono felice che stia bene, davvero. - Si limitò a rispondere Hazel, accennando un sorriso incerto.

Tonks esitò, osservandola attentamente. - Ti va di dirmi cosa è successo tra voi? - Chiese. 

Lei si irrigidì e subito la sua espressione mutò. - Lui cosa ti ha detto? - Domandò a sua volta, tesa e sulla difensiva.  

- Mi ha detto che ha fatto uno sbaglio, nulla di più. - Disse Tonks, facendola voltare per sistemare meglio il vestito. - Che è successo? Vi siete baciati… o peggio? - 

Hazel arrossì. - Ci siamo baciati, sì. Solo baciati. - Ammise, liberandosi da quel peso che si portava dietro da un bel po’ di settimane. - Però, Dora… promettimi che questa cosa rimarrà tra noi. Non ho detto niente a Percy e non deve assolutamente venirlo a sapere. - 

- Ho la bocca cucita, figurati. - Le assicurò Tonks. 

- Davvero Sirius ha detto davvero che ha fatto uno sbaglio? - Si accertò Hazel. 

Dora gli rivolse uno sguardo apprensivo, annuì e tacque, con l’impressione che l’amica avesse altro da dirle. 

- Ci ho provato a essere amica sua, ma non ci riesco, non posso. - Tornò infatti a parlare Hazel, abbassando gli occhi. - Lui è come una calamita, ma non ne vale la pena. Non posso rovinare tutto, anche perché non tornerei mai con lui, non voglio farlo. - 

Dora assunse un’aria scettica. - Non ci torneresti mai, eh? - 

- Non è la persona adatta a me. - 

- Ma lo ami ancora? - 

Hazel alzò le sopracciglia e serrò le labbra. - Amo quello che saremmo potuti essere in un mondo ideale, questo sì. Ma tornare da lui, avere a che fare con quel suo carattere di  merda di nuovo… questa è tutt’altra storia. Inoltre non riesco a perdonarlo, quindi non avrebbe senso. - Tentò di spiegare. - E poi c’è Percy. Insomma, Dora, guardami, sto indossando un vestito da sposa. Non posso cedere all’impulsività. - 

- E di Percy sei innamorata? - Domandò Tonks. 

- Certo che sono innamorata di lui. - Si affrettò a dire Hazel. - Magari non sarà un sentimento travolgente come con Sirius, ma a quei tempi avevo vent’anni, ero giovane, idealista e grande lettrice di Jane Austen. Con Percy è diverso… è una cosa più adulta, ecco. E poi non riesco a dormire senza di lui, figurati se riesco a lasciarlo. - 

- Credo che spezzeresti il cuore della sua intera famiglia, in caso contrario. - Convenne Tonks. - Molly e Arthur ti adorano. - 

- Per Arthur mi adora solo per il fatto di essere babbana, Molly invece ce l’ha con me perché le ho detto che non avrà altri nipoti grazie al mio utero. -

- Se io avessi una relazione stabile come la vostra, non ci penserei due volte a farne un altro. - Rivelò Dora. - Sarebbe tutto diverso, siamo in tempo di pace, ecco. - 

Hazel assunse sospirò e il suo sguardo si perse. Tonks non lo sapeva, nessuno lo sapeva, ma in realtà lei ci aveva pensato parecchio all’eventualità di avere un altro figlio, durante quegli ultimi anni. Era vero, se fosse rimasta incinta sarebbe stato tutto diverso, perché in tal caso non se la sarebbe dovuta cavare da sola e ci sarebbe stato qualcuno a tenerle la mano e ad aiutarla. Inoltre Percy era un padre fantastico. 

Per un attimo, nella mente di Hazel passò l’immagine di una bambina dai capelli rossi e gli occhi scuri come i suoi incorniciati da un paio di occhiali come quelli di Percy. Le sarebbe piaciuto chiamarla Daisy, come sua madre, ma se invece fosse stato un maschio l’avrebbe chiamato Arthur, come il signor Weasley… 

- Sono troppo vecchia. - Disse di botto, tirandosi fuori da quei pensieri dissennati. 

- Be’, comunque vedrai che prima o poi Molly accetterà la cosa. - Rispose Tonks. - Almeno non ce l’ha con te perché non hai nessuna intenzione di metterti con uno dei suoi figli. Non fa altro che tessere le lodi di Charlie quando la vedo. - Aggiunse. 

- Però sarebbe davvero bellissimo se tu e Charlie vi metteste insieme. - Sospirò Hazel.

- A Charlie non piacciono le persone e io d'altra parte preferisco di gran lunga avere relazioni poco impegnative con i babbani che incontro su Tinder. - Spiegò Dora con nonchalance. - Sai, ho consigliato a Sirius di scaricare l’app. - 

- Oh. - Si limitò a dire Hazel, improvvisamente a disagio. - Oh... bene. - 

- Peccato per la sua strana avversione per la tecnologia. Eppure gli piaceva, una volt… - 

- È uscito con qualcuna, che tu sappia? - La interruppe Hazel, parlandole sopra. 

- No, te l’ho detto, è totalmente incapace, non lo sa usare il telefono. Mi scrive ancora tramite gufo. Però so che esce molto spesso e che non è mai in casa. - 

Hazel sentì una strana sensazione. Era come se una mano invisibile le fosse entrata dentro, stritolando dolorosamente il suo stomaco. - Spero che un giorno possa trovare anche lui qualcuno di cui innamorarsi. - Disse, senza preoccuparsi nemmeno di sembrare credibile.  

Tonks la scrutò da capo a piedi e poi le mise una mano sulla spalla, come a confortarla, poi la fece voltare verso lo specchio. - Stai benissimo. - Sorrise. 

Anche Hazel si guardò attraverso l’immagine riflessa nello specchio, notando con piacere che non somigliava per niente a una meringa. Il vestito le scivolava addosso con grazia, come se fosse stato cucito per lei e il colore della stoffa le donava al punto da far risaltare il suo incarnato. 

- Anzi, se vogliamo dirla alla Fleur… lo sai che questo vestito ti sta proprio d’inconto, chéri? - Aggiunse, facendo l’accento francese e accennando le movenze di Fleur. 

Hazel scoppiò a ridere e ringraziò di avere un'amica come lei. 

I mesi si susseguirono in una incessante danza di giorni, che si facevano via via sempre più freddi e bui. Ogni mattina, Hazel si alzava presto e per mezz’ora andava a correre nel parco sotto casa, come aveva l’abitudine di fare molti anni prima in Scozia, poi tornava a casa, si lavava e si vestiva con cura, salutava Percy alla svelta e usciva di casa per andare a lavoro, dove passava gran parte del resto del tempo. Le sue giornate erano scandite da una comoda routine capace di rassicurarla sul fatto che nulla era realmente cambiato nonostante il ritorno di Sirius. Lei era ancora lei e la sua vita era ancora la sua vita, si sarebbe sposata con l’uomo che amava da cinque lunghissimi anni, eppure non si sentiva felice. 

Si sentiva vuota. Il dolore per la morte di Sirius era scomparso, ma al suo posto era rimasto solo un buco oscuro, inoltre aveva ricominciato a provare di nuovo quella strana sensazione di non essere del tutto presente a sé stessa. Il suo terapeuta parlava di disturbo d’ansia generalizzato, di depersonalizzazione o derealizzazione, di episodi depressivi e farmaci, e più il tempo passava, più Hazel si convinceva che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in lei. Forse i geni di sua madre avevano avuto la meglio alla fine, sarebbe diventata pazza anche lei, certo, magari non sarebbe morta con un ago in un braccio, ma avrebbe dato di matto, ne era certa, e lei non poteva permetterselo. 

Ma mentre Hazel affogava in quella che all’apparenza poteva sembrare una vita perfetta, Sirius stava pian piano tornando a vivere. Gli piaceva dare una mano a Harry e Ginny con i bambini e ogni tanto si concedeva qualche uscita serale con Tonks, che lo portava in pub babbani in cui nessuno conosceva le loro storie, dove erano solo due persone qualunque. Per quanto sua cugina fingesse di aver superato la morte del marito, Sirius vedeva in lei ancora tanto dolore. A volte parlavano di Remus per ore; Sirius gli raccontava qualche aneddoto sulla loro amicizia, mentre Tonks raccontava del loro breve matrimonio e della nascita di Ted. Ninfadora era l’unica amica che gli era rimasta e lui era davvero grato per questo, anche perché era proprio lei che spesso lo tirava fuori da quegli attacchi di broncio in cui purtroppo cadeva ancora. Certo, nella sua vita c’era anche Harry, ma più passava del tempo insieme a lui, più Sirius si rendeva conto di quanto fosse diverso da James, inoltre non voleva essergli di peso, adesso che finalmente anche lui era felice. 

Verso la fine di ottobre la noia iniziò a farsi sentire. Doveva trovarsi un’occupazione, magari un lavoro, peccato che nessuno nel mondo dei maghi avesse intenzione di assumere una persona che, come lui, attirava tutte quelle attenzioni. Tra i babbani invece era proprio impossibile trovare un impiego: prima di tutto non aveva alcun tipo di documento, non aveva la patente, non aveva nessuna esperienza in nessun campo, inoltre il mondo era cambiato un bel po’ e ormai qualsiasi impiego o quasi necessitava l’uso di qualche affare tecnologico. 

- Puoi trovarti un hobby, una passione. - Gli disse Ninfadora la sera del 31 ottobre, seduta al tavolo di legno di un pub del centro di Londra. - Cosa ti piaceva fare prima di essere arrestato? - 

Sirius ci pensò su. Non era mai stato appassionato di nulla in particolare. Da giovane, quando non era occupato con gli affari dell’Ordine, gli piaceva uscire, andare al cinema e occuparsi della sua moto, ma non era abbastanza. Lui aveva bisogno di un vero e proprio impegno. - Non lo so, Dora. - Rispose di cattivo umore. - Perché non posso fare l’auror? Ho esperienza nella lotta contro la magia oscura dopotutto. - 

- Sei troppo vecchio per fare l’auror, Sirius. L’accesso al corso è consentito solo fino ai venticinque anni, te l’ho già detto. Però potresti aiutare mia madre con la gestione di Grimmauld Place. - Propose Tonks. 

Sirius spalancò gli occhi e scosse la testa in fretta. - Non metterei di nuovo piede lì dentro nemmeno se farlo rappresentasse l’unica speranza per salvare l’umanità! - Esclamò. 

Dora alzò gli occhi al cielo. - Non è più come una volta. - Rispose. - Adesso è più come un albergo, ma se proprio non te la senti… c’è sempre il Ministero. Magari se chiedi a Kingsley riesce a trovarti un posto in qualche ufficio. - 

Sirius la guardò male. - Preferisco continuare a guardare anime tutto il giorno pensando a quanto l’universo sia stato crudele con me piuttosto che diventare un Percy. - 

- Ma non diventerai per forza un Percy. - Lo rassicurò Dora, ridendo. 

Lui sospirò, improvvisamente si sentiva un po’ svuotato e triste. Forse non era stata un’ottima idea uscire la sera di Halloween, visto ciò che rappresentava per lui, pensò guardandosi intorno. Il pub in cui si trovavano era pieno di babbani e babbane in maschera, che bevevano e si divertivano, felici e spensierati. 

Quando si trovava in luoghi affollati, Sirius finiva sempre per osservare con curiosità le persone che aveva attorno. La moda era cambiata, il modo di interagire era cambiato, e lui si sentiva come una sorta di viaggiatore nel tempo che, nonostante avesse tantissima voglia di integrarsi, non ci riusciva.  

- Hai bisogno di uscire dal torpore, cugino. - Proseguì Tonks. - E non per forza trovando un lavoro, dato che non ne hai particolare necessità. Potresti, che so, trovarti un passatempo… magari uscire con qualche mia collega, oppure seguire il mio consiglio e scaricare quell’app. -  

- Per quanto mi piacerebbe toccare di nuovo un paio di tette, non credo che una donna sia ciò di cui ho bisogno adesso. E poi non necessito di quei mezzucci per scopare, io. - Si indignò Sirius. - Ci metto un’ora solo per scrivere una frase, figuriamoci sostenere un'intera conversazione. - 

- Meglio se ci metti tanto a rispondere, sembrerai un tipo occupato, adesso dammi il telefono, forza. - Ordinò Tonks, allungando la mano verso di lui. 

Sirius scosse la testa. - Ti dimostrerò che il mio caro vecchio e normale metodo di rimorchio funziona ancora, Dora, e lo farò qui e ora. - Decise. 

- Va bene, vediamo se ciò che Remus diceva su di te era vero. - Sogghignò Tonks. 

- E cosa diceva Lunastorta? - 

Lei scrollò le spalle. - Parlava di tantissimi cuori infranti. Era perfino convinto che mi piacessi tu, all’inizio. - Spiegò divertita. - Diceva “Sirius piace sempre alle donne”. - 

- Perché è vero, io piaccio sempre alle donne, sempre. - Ghignò Sirius. - E ora, cara cugina, te lo dimostrerò. Guarda e impara come si fa. - 

- Accomodati. - Lo spronò Tonks. - Ti consiglio di puntare quella lì, dietro di te, vestita da… cos’è, un’infermiera zombie? -  

Sirius si voltò nella direzione indicata dalla strega, puntando gli occhi su una ragazza dai capelli biondi con indosso, per l’appunto, una divisa striminzita da infermiera, sporca di sangue finto. - Quando ero giovane io, le donne non erano mai così svestite. - Osservò con un tono compiaciuto. - Adoro il ventunesimo secolo. Se avessi l’età di Jan sai cosa farei? Cambierei una ragazza a settimana. Invece indovina cosa vuole fare lui con quella che gli piace? Lui vuole tenerla per mano. - 

- Cammina, idiota, vai a parlare con la zombie-infermiera, prima che lo faccia qualcun altro. - Lo spronò Dora, alzando gli occhi al cielo. 

Sirius annuì. - Va bene, vado. - Disse deciso, alzandosi in piedi.

- Vai, vai, io starò qui a godermi lo spettacolo del tuo fallimento. - 

Lui la guardò di sottecchi, ma poi si voltò e si incamminò verso il bancone, dove la zombie-infermiera era seduta da sola. Sirius si domandò se lei stesse aspettando qualcuno, magari un qualche fidanzato o fidanzata, o se magari fosse lì con quello sguardo perso nel bicchiere vuoto che teneva in mano tanto per passare il tempo. Ad ogni modo non aveva senso prepararsi in anticipo un approccio, non l’aveva mai fatto dunque, anche quella volta, avrebbe improvvisato. 

- Ciao. - Esordì, quando si sedette sullo sgabello accanto a quello di lei. 

La ragazza alzò gli occhi dal bicchiere e indugiò per qualche secondo prima di rispondere: - Che strano costume. - Osservando per bene la sua veste da mago.  

- Sono vestito da mago. - Spiegò Sirius. - Ho anche la bacchetta. La vuoi vedere? - 

La ragazza aggrottò la fronte. - Che schifo. - Rispose, lasciandolo di stucco. 

- C… cosa? Perché? - 

- Non voglio vedere la tua “bacchetta”. - Sibilò la ragazza con rabbia, disegnando due virgolette in aria con le dita. - Depravato! - 

Sirius dovette trattenere una risata. - Intendevo una bacchetta da mago. - Chiarì, tirandola fuori. - Ecco, vedi? Legno di truciolo, piuma di fenice, dodici pollici, elastica. - 

La zombie-infermiera non disse una parola, ma si alzò abbandonando il bicchiere lì sul bancone e se ne andò senza nemmeno dargli il tempo di dire altro. Poi, alle sue spalle, Sirius sentì una risata molto divertita. Quando si voltò, notò che alla sua sinistra era seduta un’altra ragazza, più grande di quella precedente, che indossava un vestito da strega veramente molto credibile. 

- Non ci posso credere. Sirius Black che tenta di rimorchiare una ragazza babbana in un pub chiedendole se vuole vedere la sua “bacchetta”. - Disse la sconosciuta, continuando a ridere. - Rita Skeeter ci potrebbe scrivere sopra davvero un bell’articolo. - 

- Vuoi dirmi che sei una vera strega? - Domandò Sirius, scrutandola dalla testa ai piedi. 

Aveva lunghi capelli neri e lisci sciolti sulle spalle, occhi scuri che brillavano su due zigomi alti e affilati. Era molto bella, ma non aveva l’aspetto di una persona accogliente e gentile come Hazel. 

- Eh sì, sono una strega. Una Serpeverde, per esattezza. - Rispose la donna. 

Sirius si accigliò teatralmente. - Quando racconterai questa storia a Rita Skeeter puoi dire almeno che sono riuscito a rimorchiarla, la ragazza zombie-infermiera? - Chiese in finto tono di supplica. 

Lei rise. - Non dirò niente, tranquillo. Però tu in cambio potresti… sdebitarti con uno di questi strani drink babbani dai nomi altisonanti. - Disse.

- Sì, perché no. - Approvò Sirius. - Come ti chiami? - 

- Kamilah. Ma puoi chiamarmi solo Kami, se vuoi. - 

- Hai uno strano nome. Molto particolare. - Commentò Sirius. 

Lei alzò un sopracciglio con sorpresa. - Senti chi parla. - Ribatté facendo un sorriso beffardo. - L’ha scelto mia madre, ha un’origine araba, significa perfetta, ma nulla a che vedere con il nome della stella più luminosa del cielo. - 

- A essere sincero avrei preferito di gran lunga un nome normale. - Rispose lui. - E come fai di cognome, Kamilah? - Domandò poi interessato. 

- Burke. - 

- Come il proprietario di Magie Sinister. - Osservò Sirius stringendo le labbra. 

Kamilah sogghignò. - Hai paura di offrire da bere ad una qualche ex mangiamorte? Sì, io e il proprietario di Magie Sinister siamo imparentati, ma non vedo mio zio da molti anni ormai. - Spiegò tranquillamente. - Comunque è davvero strano che uno come te abbia pregiudizi su un cognome: i Black sono conosciuti per essere ricchi, molto belli e molto vicini a pratiche molto oscure e moralmente discutibili. Non eravate voi quelli che decapitavano gli elfi domestici quando diventavano troppo vecchi? - 

Sirius rimase in silenzio per un po’, guardandola di sottecchi. - Vuoi questo drink babbano o no? - Chiese poi, burbero. 

Quell’incontro segnò una bella svolta nella vita di Sirius, che adesso aveva finalmente qualcosa di non troppo deprimente a cui pensare durante le sue giornate vuote. Dopo circa un mese di appuntamenti, di Kamilah Burke aveva capito molte cose: prima di tutto, era diversa da Hazel almeno quanto lui era diverso da Percy. 

Se da una parte Hazel viveva di idee e di strampalate teorie sulla vita, Kamilah era una grande amante delle cose pratiche, proprio come lui; Kamilah non sapeva niente di letteratura e tantomeno di arte o filosofia, ma amava il quidditch, ed era una grandissima fan dei Puddlemere United. 

Ma Sirius riscontrò la differenza più sostanziale quando, circa una settimana dopo averla conosciuta in quel pub, non finirono finalmente nello stesso letto. Mentre Hazel era sempre stata un po’ timida, restia dal lasciarsi andare del tutto, e le cose tra loro si fossero raffreddate con la nascita di Janus, Kamilah era un’esplosione di audacia e di lussuria che, a dir la verità, le prime volte lo aveva messo un po’ in soggezione. Durante le loro notti di passione, Sirius rinchiudeva il pensiero di Hazel e la nostalgia che sentiva di lei in un angolo della sua mente e si concentrava solo sul corpo dell’altra, apprezzandolo in ogni dettaglio. Era bella, davvero bellissima, ma quando poi quel loro amplesso perfetto terminava, il mago si ritrovava puntualmente a fissare il soffitto con aria assente e turbata, e la realtà gli crollava addosso nuovamente: Hazel di non voleva saperne un bel niente di lui, si sarebbe sposata e non poteva far altro che farsene una ragione. Ma faceva male, troppo male. 

- Hai sempre un’espressione strana, dopo. - Disse lei quella sera, sdraiata al suo fianco. 

Si trovavano nella disordinata camera da letto di lui, rimasta tale e quale al 1981, tanto da sembrare quasi la stanza di un adolescente. Sulle pareti erano appesi poster vintage di band babbane e vecchie fotografie ingiallite, una collezione di vinili impolverati era in bella mostra su una mensola e sul comodino di sinistra c’era l’unico oggetto che sembrava provenire dal ventunesimo secolo. Si trattava di un libro che si intitolava “l’arte contemporanea spiegata a un mago” e Kamilah non capiva per quale motivo Sirius Black leggesse quello che sembrava una sorta di strano saggio su dei quadri babbani che sembravano essere stati dipinti da un bambino con pochissimo talento, ma poi una sera notò sulla copertina il nome dell’autore, anzi, dell’autrice: Hazel Rains. 

Sirius non parlava spesso di quella donna babbana, eppure aveva quel libro poggiato sul comodino, come una sorta di strana reliquia.

Il mago staccò gli occhi dal soffitto per posarli su di Kamilah. Era ancora nuda e non se ne vergognava affatto ma, anzi, sembrava quasi compiacersi di essere guardata da lui. - Di che espressione parli? - Le domandò. 

Kamilah lo indicò con eloquenza. - Sei tutto pensieroso. - 

- Sì, stavo pensando al Natale. Qualche giorno fa mio figlio mi ha detto che vuole passare le feste con la madre a casa dei Weasley. Devo ammettere che speravo di passare qualche giorno con lui, ma pazienza. - Spiegò Sirius, e poi sospirò. - Delle volte ho l’impressione che mi odi ancora, spesso si comporta come se volesse punirmi. - 

- Perché lo pensi? - Gli chiese Kamilah. 

Sirius alzò le spalle e non parlò. 

- Non puoi stare anche tu dai Weasley? - Domandò dunque la strega.

Lui scosse la testa e riprese a fissare il soffitto. - Harry me lo ha proposto, ma non muoio dalla voglia di vedere Hazel. - Sospirò. - Tu cosa farai a Natale? - 

- Sono musulmana, quindi niente. - Rispose Kamilah. - Ma dato che avrò le ferie, forse andrò a trovare mia madre a York. Se non sai dove andare puoi venire anche tu. -

Sirius alzò le sopracciglia. - Vuoi farmi conoscere tua madre? - Domandò perplesso. 

- Solo perché mi sembri un’anima in pena. - Si affrettò a chiarire lei. 

Sirius sospirò, e di nuovo non proferì parola. Certo, passare il Natale in compagnia del pensiero di Hazel e Janus che si divertivano con la loro nuova famiglia non lo faceva scoppiare di gioia, ma andare a York e conoscere la madre della donna con cui si limitava ad avere dei rapporti sessuali sorprendentemente appaganti lo faceva sentire un po’ a disagio. In quel momento, Sirius si rese conto di non sapere quasi niente di Kamilah, nonostante uscisse con lei da ormai più di un mese. 

- Che lavoro fai esattamente al Ministero? - Le chiese quindi, voltandosi a guardandola. 

- Sono all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. - Affermò Kamilah. - In sostanza faccio un lavoro di diplomazia. -  

- Qual è il tuo colore preferito? - La interrogò ancora Sirius. 

- Il nero. - 

Il mago le lanciò un’occhiata di traverso e sogghignò. - Film preferito? - Proseguì. 

- Mai visto un film in vita mia, ma sono curiosa. - Ammise Kamilah. - A mia discolpa posso dire che sono cresciuta in una famiglia purosangue, con amici purosangue e che non ho mai parlato con un babbano in trent’anni di esistenza. - 

Sirius trasalì, sconvolto. - Io adoro il cinema, è una delle mie cose babbane preferite! - Esclamò. - Ti presterò la lista di film da vedere assolutamente che mi ha fatto mio figlio, lui ha ottimi gusti, ha ripreso da sua madre. - 

Kamilah sentì una punta di fastidio in fondo allo stomaco. Quella babbana, almeno da ciò che diceva Sirius di lei, sembrava perfetta. Era intelligente e acculturata ma da quel che aveva visto sul giornale, e una volta di sfuggita a Diagon Alley, non era bella, anche se probabilmente lui la considerava tale. Certo doveva ammettere che avesse un certo fascino, un certo… carisma. Si muoveva con sicurezza, ma allo stesso tempo sembrava orribilmente gentile con tutti. Sì, lei era una di quelle persone che sorrideva agli sconosciuti e Kamilah la trovava semplicemente irritante. 

- La ami ancora molto? - Domandò a Sirius.

Lui indugiò a lungo prima di rispondere: - Sì, ma non come prima. - Disse. - Lei mi odia e non posso darle torto. Quando sono uscito dal velo ero sicuro che sarebbe tornata da me prima o poi, mi dicevo che Percy non era la persona adatta a lei, che lo avrebbe lasciato per stare con me, ne ero certo. Poi Hazel mi ha detto espressamente che dovevo starle lontano e a quel punto ho capito che era veramente finita. -  

- Ma se tornasse? - Chiese Kamilah, stendendosi su un lato per poterlo guardare meglio.

- Non lo so. - Disse lui. - Non so quasi più niente della sua vita, non so più cosa le piace, non so come passa le sue giornate. Forse ci uscirei insieme per fare tutte quelle cose che non abbiamo mai potuto fare, come andare a cena fuori o in vacanza. Chissà, magari poi scoprirei che ha ragione lei, che è passato troppo tempo. - 

Kamilah non disse niente, ma si limitò a osservarlo. Non capiva se fosse effettivamente bello o se fosse il suo atteggiamento a renderlo tale. Ad ogni modo, Kamilah sapeva che si stava infatuando e questo non le piaceva affatto, soprattutto perché il cuore del mago era occupato da una presenza molto ingombrante. Certo, Hazel Rains si stava per sposare, inoltre era una babbana e, dal punto di vista dell’educazione da purosangue che Kamilah aveva ricevuto, Hazel era di gran lunga inferiore rispetto a lei, che invece aveva un sangue puro quasi quanto quello dei Black. 

- Vado a casa, si sta facendo tardi. - Disse Kamilah, rompendo il silenzio che si era venuto a creare tutto attorno a loro. 

- Puoi dormire qui, se vuoi. - Rispose Sirius.  

Kamilah sembrò piacevolmente sorpresa. - Davvero? - Domandò speranzosa. 

- Certo, fa freddo fuori, è buio. Resta. - Annuì lui. - Io dormirò nella stanza qui accanto. - 

- Oh. - L’espressione sul volto di lei cambiò radicalmente. - Certo, d’accordo… - 

- Bene. Domani quando ti svegli fai pure colazione, non fare complimenti. - Disse Sirius alzandosi in piedi. - Buonanotte. - 

Non attese nemmeno una risposta, ma uscì da quella camera da letto chiudendosi la porta alle spalle e lasciando la donna da sola e nuda su quel letto vuoto. 

Non so come definire questo capitolo. È da ritenersi un capitolo di passaggio? Non lo so, alla fine qualcosa succede, quindi magari diciamo che è un capitolo di preparazione? Comunque io soffro di scarsa autostima cronica quindi per me fa solo schifo. 

Adesso vi saluto, ma grazie per aver letto fin qui e naturalmente buon anno!

J. 

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