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La mattina più buia

Capitolo 17


Con il passare dei mesi, quel dolore lancinante che la attanagliava sembrò mollare di poco la stretta attorno al suo cuore, diventando un fastidio quasi cronico, un punto nero su quella serenità che Hazel stava cercando in tutti i modi di riconquistare e fare sua. 

Aveva trovato un asilo nido per Janus e un lavoro in una caffetteria del centro di Aberdeen per lei, cosa che la portava a rimanere fuori casa così tante ore al giorno da non avere il tempo materiale per deprimersi o fermarsi a pensare a tutto quello che aveva lasciato a Londra. 

Solo la sera, di tanto in tanto e soprattutto durante le prime settimane, le era capitato di cadere in qualche momento di forte angoscia. Allora si infilava nel letto, seppellita da diversi strati di coperte pesanti, e si lasciava andare in un pianto disperato contro il cuscino, prima di tornare in sé, mettendosi a fumare un pacchetto intero di sigarette guardando la brughiera ricoperta di ghiaccio e neve che si estendeva fuori dalla finestra di casa sua. 

Durante il mese di gennaio, la nostalgia di Grimmauld Place e della vita che lei e Janu avevano lì, per quanto strana e triste essa fosse, fu pungente, quasi insopportabile, tanto che più di una volta aveva pensato di partire di nuovo per Londra. Ogni volta che però ci pensava, la sua testa sembrava quasi allontanarla da quel pensiero: non riusciva a visualizzare nella sua mente Grimmauld Place, non si ricordava dove fosse, come ci si arrivasse, come se qualcosa fosse stato cancellato anche dalla sua memoria e questo, un po’, la terrorizzava.

Poi, con lo scorrere inevitabile del tempo, Hazel si adattò di nuovo alla solitudine. L’inverno passò con una lentezza disarmante, i prati tornarono di un verde rigoglioso verso marzo, mentre i primi fiori facevano capolino tra i fili d’erba fitti solo alla fine dello stesso mese. I giorni passavano tutti uguali, in una incessante danza che la rendeva sempre più apatica e stanca: la mattina si svegliava alla solita ora, faceva la solita colazione, preparava il bambino e, insieme, prendevano il treno per Aberdeen, dove lei andava a lavorare e lui frequentava l’asilo nido. 

Il fatto che Janus non fosse mai stato troppo a contatto con gli altri bambini si notava e, più di una volta, qualche maestra l’aveva convocata a scuola dicendole che intorno a lui succedevano cose strane e inspiegabili, come oggetti che volavano o cose che prendevano fuoco. Alcuni bambini, anche più grandi, avevano paura di lui, e perfino gli insegnanti erano un po’ intimoriti da quella strana aura che Janus si trascinava dietro.

“Il bambino ha qualcosa che non va”, le continuano a ripetere, ogni volta che la incrociavano durante l’orario d’uscita, e Hazel, anche se con fatica, dovette ammettere che, almeno in parte, avevano ragione. Era intelligente e sembrava in salute ma, da quando avevano lasciato Grimmauld Place mesi prima, qualcosa in lui era cambiato: Janus sembrava sempre arrabbiato, scontroso, agitato, e questo suo stato d’animo trovava sfogo solo nella magia, procurando non pochi incidenti.  

Spesso lui le chiedeva dove fosse finito Sirius, e Hazel, con il cuore che ancora le faceva male per come le cose tra loro erano finite, si limitava a rimanere sul vago dicendogli che magari prima o poi l’avrebbero rivisto, ma che non li aveva dimenticati, che continuava ad amarli anche se era lontano.  

Una o due volte a settimana, soprattutto di sera, Remus Lupin si presentava sulla sua porta, con del cibo da asporto al seguito. Mangiavano insieme, guardavano un film e poi lui tornava a Grimmauld Place, ma non parlavano mai di Sirius e nemmeno di quello che era successo. Si limitavano a parlare dell’Ordine della Fenice, di Tonks e dei progressi del bambino con la magia. 

- All’asilo non fanno altro che ripetermi quanto Janus sia diverso dagli altri bambini della sua età. - Disse Hazel una sera, il tono esasperato. - Il problema è che nemmeno io so cosa sia normale per un mago di quasi due anni. - 

- Fammi qualche esempio. - La spronò Remus, che se ne stava seduto al suo fianco sul divano del soggiorno, un bottiglia di birra babbana in mano e lo sguardo su Janus che giocava sul tappeto davanti a loro.  

- Quando vuole afferrare qualcosa che si trova a qualche metro di distanza da lui la fa volare fino a sé. - Iniziò la ragazza, sospirando. - Quando si arrabbia le luci fanno cose strane e poi credo che parli con gli animali, è possibile? - 

Remus alzò un sopracciglio. - In che senso parla con gli animali? - Domandò. 

- Ci parla. Ci parla come una sorta di… principessa Disney. - Spiegò Hazel, consapevole di quanto le sue parole potessero sembrare strane. - Soprattutto con i rettili. Giorni fa l’ho trovato a giocare con un serpente schifoso, non ti dico che colpo che mi è preso. - 

Remus per poco non si strozzò con la birra. - Stai scherzando? - Le chiese senza voce, guardandola con gli occhi sgranati. 

Hazel esitò per un istante. - Hem no, era proprio un serpente. Una biscia credo, quindi almeno non era uno di quelli velenosi. Solo che si faceva trattare come una sorta di gattino affettuoso, è stato strano da vedere, un po’ inquietante. Poi, quando l’ho uccisa lui si è messo a piangere e ad urlare come un disperato. - Raccontò. - È una cosa normale per quelli come voi? - 

Questa volta fu il turno di Remus per esitare. - Be’... per alcuni sì, è normale. - Rispose poi, fissando intensamente Janus. -  È una cosa rara, molto rara. -

- Se è una cosa rara allora è una cosa bella, no? - Fece la ragazza, preoccupata dal tono dell’uomo. - Si tratta di una sorta di talento che hanno in pochi? -  

Remus sospirò. - Più o meno… di solito è una cosa ereditaria, ma non credo che Sirius sia un rettilofono, ma sicuramente qualcun altro della famiglia Black lo era. Mi informerò. - 

- Ma perché stai usando questo tono? - 

- Che tono? - 

- Come se fosse una cosa molto brutta. - 

Remus indugiò ancora. - Di solito non è un buon segno avere una capacità del genere,  una sorta di maledizione. - Rivelò. 

- E perché mai? - Chiese Hazel, senza capire. 

Il mago alzò le spalle. - Sono solo dicerie, lascia stare. Jan è un bravo bambino e tu stai facendo un ottimo lavoro con lui. - Disse. 

Hazel sospirò, mettendo gli occhi su suo figlio. - Non lo so, Remus… spesso mi sembra di star sbagliando tutto. - Rivelò stancamente. - Forse non dovrei mandarlo all’asilo… ma poi non saprei a chi lasciarlo mentre lavoro. - 

Remus avrebbe voluto sottolineare che lei non aveva nessuna reale necessità di spaccarsi la schiena in quella caffetteria tutti i giorni, ma conosceva benissimo la posizione di Hazel riguardo a certe faccende, dunque decise di sorvolare: - Credo che lui abbia bisogno di stare con gli altri bambini, in fondo. - Disse invece. - Ho avuto un’infanzia da recluso, lo sai, e so che andare a scuola mi avrebbe aiutato molto. - 

- È una situazione diversa, Remus. Lui detesta gli altri bambini. - Ribatté Hazel. - Mi sembra assurdo che fosse più felice a Grimmauld Place. - 

- Si abituerà, vedrai. I bambini sono molto resilienti, Janus non farà eccezione. - Disse, prima di alzarsi in piedi. - Ora è meglio che vada, si sta facendo tardi e non voglio far preoccupare nessuno. -  

Hazel si limitò ad annuire. Sapeva che per nessuno Remus intendesse Sirius. 

Prese in braccio suo figlio e insieme accompagnarono il lupo mannaro alla porta. - Fai ciao a zio Remus. - Suggerì al bambino, una volta davanti alla soglia spalancata 

- Ciao, zio. - Mormorò Janus, muovendo la sua piccola mano. 

Remus sorrise verso di lui. - Fai il bravo, non far impazzire la mamma. - Disse, prima di alzare gli occhi su Hazel. - Ci vediamo tra qualche giorno, ma se hai bisogno di me prima stringi forte la moneta incantata che ti ho dato. - 

Hazel annuì, guardandolo tristemente. Remus era il suo unico appiglio al mondo magico e detestava vederlo andare via. - Sì, ma non ti preoccupare. - Lo rassicurò. - Comunque ottima trovata quella della moneta, Hermione è un vero genio. - 

- È pur sempre la strega più brillante della sua età. - Disse Remus, prima di muoversi lungo il vialetto. - Ciao, Hazel. -

- Remus, aspetta... - Lo chiamò la ragazza con urgenza, poco prima che lui uscisse dal cancelletto di ferro. - Come sta Sirius? - 

Le sopracciglia dell’uomo si inarcarono e sul suo volto comparve un’espressione di sincera sorpresa. Negli ultimi tre mesi Hazel non aveva chiesto nemmeno una volto di Sirius ma, anzi, si era comportata proprio come se lui non fosse mai esistito. 

- Lui sta… bene. - Rispose dunque il lupo mannaro, dopo qualche attimo di indugio. - Sì, sta bene, se la cava. Vuoi che gli dica qualcosa da parte tua? - 

Hazel scosse la testa. - Buonanotte, Remus. - Si limitò a dire, prima di tornare in casa, chiudendosi la porta alle spalle. 

Remus, davanti a quella soglia chiusa, sospirò. In quegli ultimi anni, Hazel era diventata per lui come una sorella. Sentiva l’istinto e il bisogno di proteggerla da tutti i mali del mondo e detestava vederla soffrire, esattamente come detestava veder soffrire Sirius. 

Quando si smaterializzò nuovamente a Grimmauld Place, trovò la casa più tetra e silenziosa che mai. Lungo il corridoio stretto dell’ingresso, le ombre inquietanti dei mobili e delle teste degli elfi domestici che negli anni avevano servito la famiglia Black si proiettavano sugli alti soffitti, alla luce della sua bacchetta illuminata. 

L’unica altra fonte luminosa veniva dalla porta del salotto ed era gialla, traballante, e veniva dall’imponente camino di marmo che Sirius aveva acceso quella fredda notte di fine inverno. L’uomo infatti era lì, seduto su una delle poltrone polverose e con lo sguardo vacuo e rivolto al fuoco che scoppiettava di fronte a lui. 

Remus si fermò ad osservare l’amico per un po’, immobile sulla soglia della porta del salotto, gli occhi che si stavano abituando pian piano alla penombra di tutto l’ambiente. Nonostante fosse ormai notte fonda, Sirius era ancora vestito da giorno e aveva l’aspetto di uno che non si guardava allo specchio da un po’. 

Lo sentì sospirare sonoramente, per poi voltarsi nella sua direzione. - Remus, se rimani lì fermo a fissarmi mi metti l’ansia. - Sbottò, infastidito.  

- Sapessi tu, sei inguardabile. - Ribatté il lupo mannaro, facendosi avanti fino a sedersi sulla poltrona accanto a quella dell’amico. - Indossi gli stessi vestiti da tre giorni. - 

Sirius alzò un sopracciglio, guardandolo risentito. - Stai per caso cercando di dirmi che puzzo, Lunastorta? - Sbottò piccato. 

Remus esitò. - Be’... di sicuro non profumi. - Iniziò, titubante.

Sirius scrollò le spalle. - Tanto nessuno deve annusarmi. - Si giustificò.

- Io sì, dato che vivo con te. E anche Dora. - Obiettò Remus. 

- Siete così carini, voi due. - Sospirò Sirius, sistemandosi meglio sulla poltrona, rivolto verso l’amico. - Come va con lei? Hai ancora quei ridicoli sensi di colpa? - 

- Lo sai. - Burrò lì il lupo mannaro, prima di tentare di cambiare discorso: - Oggi Hazel ha chiesto di te. - Lo informò. 

- E tu cosa le hai detto? - Domandò Sirius, tornando a guardare il fuoco. 

Remus si strinse nelle spalle. - Che le dovevo dire? Che ormai ti nutri esclusivamente di whisky incendiario? Le ho detto che stai bene, che te la cavi. - Rispose. 

- Bravo. Anche perché non mi nutro solo di whisky incendiario. - Replicò Sirius. 

Remus si lasciò scappare un verso denso di scetticismo. - Certo, come no. Comunque non sono qui per farti la paternale, sta’ tranquillo. - 

- Che strano. - Borbottò Sirius sottovoce. - Lei come sta? E Jan? La scorsa settimana aveva problemi con la scuola babbana ricordo. - 

Remus annuì. - Sì, ne ha ancora in realtà. - Disse. - E… credo che sia un rettilofono. - 

Sirius, contro ogni aspettativa, sospirò ma non disse niente, cosa che sorprese molto l’altro: 

- Tutto qui? Perché non sembri per niente sorpreso? - Gli domandò, con la fronte aggrottata. - Non mi dire che anche tu… - 

Sirius si affrettò a scuotere la testa. - No, io no, ma Regulus sì. Lo ha ereditato da mio padre. - Spiegò con un certo distacco. - Non sapevo che si potesse trasmettere anche tra nonno e nipote o tra zio e nipote, ma comunque la cosa non mi sorprende infatti: i Black sono legati alle arti oscure da secoli. Insomma, guarda questa casa… -  

- Non ne sapevo niente. - 

- Non è una cosa che si va a dire in giro, lo sai che un rettilofono è sempre malvisto, perfino tra i purosangue. - Replicò Sirius. - I miei genitori però ne erano molto entusiasti, mentre io l’ho sempre trovato un po’ inquietante. Dovrai spiegare a Hazel come comportarsi con questa cosa. - 

- O lo farai tu quando tutto questo sarà finito. - Tentò di dire Remus. 

Sirius si voltò verso di lui. - Prima dovrò riconquistarla. - Disse in tono amaro. 

- Conoscendola ti terrà il muso per cinque minuti e poi per lei sarà tutto dimenticato. - 

- Non lo so, Remus. Stavolta è diverso. - 

Remus sospirò. - Lo so. -

Ci fu un attimo di silenzio triste e malinconico, interrotto solo dallo scoppiettio della legna nel camino, poi anche Sirius sospirò: - Mi manca. - Disse a bassa voce. 

°°°°°°

L’alba del 19 giugno 1996 stava sorgendo sopra il piccolo villaggio di Downies, in Scozia, fresca e nebbiosa come ogni giorno. Hazel, sdraiata nell’enorme letto vuoto della camera che un tempo era appartenuta a sua madre, si voltò per l’ennesima volta, il cuscino stretto tra le braccia e lo sguardo rivolto verso la finestra. I primi raggi del sole stavano iniziando a far sparire la nebbia che avvolgeva il cottage, mentre alcuni uccellini, appena svegli, avevano già iniziato a cantare sugli alti rami degli alberi. La profumata brezza e lontana brezza marina arrivava alle sue narici, riempiendola e disetandola come una bibita, un odore così diverso da quello che si era abituata a respirare a Grimmauld Place parecchi mesi prima. Nonostante attorno a lei regnasse sempre la pace più assoluta, non riusciva più a riposare bene da quando a gennaio era tornata in quella casa. Detestava dormire da sola, non ne era più abituata e le mancava così tanto la presenza del corpo di Sirius al suo fianco che spesso, mentre era nel dormiveglia, si ritrovava a cercarlo con la mano dall’altro lato del letto. 

Hazel si stiracchiò con un lamento, tirandosi su per poi guardarsi intorno. La stanza in cui una volta dormiva di sua madre era disordinata e caotica come sempre: alcuni vestiti erano stati abbandonati sul pavimento, a terra c’era una bottiglia d’acqua mezza vuota e sul comodino, accanto ad un posacenere stracolmo, una tazza di té ancora piena e con la bustina ancora all’interno. 

La ragazza si passò le mani e, nello stesso istante, il trillo del campanello al piano di sotto la fece sobbalzare. Hazel diede un’occhiata alla sveglia appoggiata sul comodino di sinistra: erano le sei in punto del mattino, un orario strano per andare a trovare qualcuno, pensò. Nonostante questo, sbuffando un po’ scocciata, si alzò dal letto, uscì dalla stanza dando una rapida occhiata in quella di Janus, in cui il bambino dormiva ancora, e raggiunse la porta. 

Dallo spioncino Remus Lupin ricambiò il suo sguardo. Aveva l’aspetto di chi forse non aveva passato una bella nottata, gli occhi rossi e lucidi che sormontavano due profonde occhiaie viola, il suo solito completo rattoppato indossato stranamente in disordine, la cravatta allargata attorno al collo, i primi due bottoni della camicia aperti, i capelli ingrigiti e spettinati. Teneva tra le mani una grossa scatola di cartone chiusa.

Hazel spalancò la porta in fretta, guardandolo perplessa, cercando di capire qualcosa dalla sua espressione illeggibile. 

- Ciao, Hazel. - La salutò lui.

- Remus, vieni, entra. - Fece lei, facendosi di lato per farlo passare, ma senza smettere di scrutarlo attentamente. - Stai bene? Lo sai che sono le sei del mattino, vero? - 

L’uomo si limitò ad annuire. - Sì. - Disse poi semplicemente, ma con una strana voce, mentre la seguiva verso la cucina. - Janus sta dormendo? - Domandò. 

- Certo. - Disse Hazel una volta varcata la soglia. - Siediti pure. Ti va un tè? - 

- Sì, magari, grazie. - Rispose Remus, lasciandosi cadere su una delle sedie attorno al vecchio tavolo della cucina e appoggiando la grossa scatola che si era portato dietro sulla superficie legnosa. 

Hazel mise il bollitore sul fuoco, preparò due tazze con due bustine di té nero e anche un pacco di biscotti, sistemando tutto sul tavolo per poi sedersi di fronte all’uomo. Lo guardò per qualche secondo, come in attesa che dicesse qualcosa, finché il suo sguardo non cadde sulla scatola che Remus aveva portato con sé. - Che cos’è? - Domandò indicandola con un cenno del capo.

- Alcune cose di Sirius. - Rispose Remus asciutto. - Vorrei che le tenessi tu. - 

Hazel alzò un sopracciglio, sorpresa. - Cose che a lui adesso non servono? - Chiese, cauta. 

C’era qualcosa che non andava, lo poteva percepire nell’aria densa e pesante che li aveva avvolti, solo che Hazel non riusciva a capire cosa fosse. 

- No, non gli servono più. - Mormorò il lupo mannaro, alzando i suoi due occhi ambrati e lucidi nella sua direzione. - Hazel… io non so come dirtelo, davvero, non lo so. - 

Hazel sentì il suo cuore cigolare come un vecchio mobile tarlato e poi, alle sue spalle, il bollitore fischiò, avvertendola che l’acqua era pronta. Non si mosse, rimase immobile in attesa che Remus continuasse a parlare, ma l’uomo tacque. 

- Remus, che è successo? - Domandò dunque, tremante e pallida. 

Remus ingoiò come se la sua gola fosse ricoperta da tantissimi spilli incandescenti. Tentò di rispondere a quella domanda, ma dalla sua bocca non uscì una sola parola. Aveva trattenuto quel dolore per tutta la notte e proprio in quel momento, quando sarebbe dovuto essere forte per lei, si sentì crollare sotto il peso dell'intero universo. 

- Remus… - Lo chiamò appena Hazel, sussurrando talmente lievemente da risultare quasi impercettibile, appoggiando la mano sulla sua. - No… ti prego, non dirlo. -  

Il mago strinse le labbra e sul suo viso prematuramente segnato calò la disperazione più selvaggia che Hazel avesse mai visto. - C’è stata una battaglia al Ministero della Magia. - Disse con la voce soffocata di chi stava tentando di trattenere le lacrime. - Se n’è andato… Sirius è morto. -

Hazel si portò una mano alla bocca e singhiozzò, stringendo forte il braccio di Lupin con l’altra, quasi come se avesse paura di vederlo sparire davanti ai suoi occhi. Aveva così tante domande, eppure sembrava essersi dimenticata come si usasse la voce per parlare, e quei dubbi rimbombarono quindi nella sua testa, incessanti, come proiettili impazziti: Sirius era morto soffrendo? Chi lo aveva ucciso? Perché si trovava in mezzo a quella battaglia? 

Sentiva la presenza di una mano artigliata infilata nelle sue viscere; il dolore sembrava così reale, così insopportabile e destabilizzante che per un attimo si dimenticò di sé stessa. Pianse come non aveva mai pianto in vita sua, ritrovandosi il petto vuoto e un cuore ormai ridotto in cocci dolorosi. Avrebbe dato qualsiasi cosa per far cessare quell’agonia all’istante. Quando poi alzò finalmente lo sguardo sull’uomo di fronte a lei, Hazel notò che anche Lupin stava piangendo e che il suo dolore non sembrava poi tanto diverso dal suo. 

- Dov’è il suo corpo? - Gli domandò, tra un singhiozzo e l’altro. - Voglio vederlo, portami da lui, non mi importa se qualcuno mi vedrà. - 

- Non c’è più nessun corpo, Hazel. - Rispose stancamente Remus. - È sparito oltre un velo, una cosa molto misteriosa che si trova nell’Ufficio Misteri. Ci è caduto dentro, infatti non sono neppure del tutto sicuro che la maledizione di Bellatrix l’abbia effettivamente colpito. - 

Hazel trasalì. - Allora come fai a dire che è morto? Come puoi dire che è morto se non l’hai visto morire, se non hai visto il suo cadavere, me lo spieghi? - Sbottò tremante e accesa dall’ultima vana speranza. - Magari è solo prigioniero di questo velo, Remus, qualsiasi cosa sia, e tu devi tirarlo fuori! - 

L’uomo scosse la testa. - Non posso… - 

- Invece puoi farlo, tu sai tutto di queste cose. - Lo interruppe gelidamente lei. - Lui non è morto, non può essere morto, va bene? Quindi lo devi tirare fuori! - 

- Non posso tirarlo fuori, Hazel! Non c’è nessun rimedio alla morte. - Urlò Lupin con rabbia, alzandosi in piedi. - Se potessi farlo pensi davvero che starei ancora qui? Pensi che non mi sarei precipitato oltre quel velo per riportarlo indietro? Se ne è andato! È morto! -  

Hazel si ammutolì, guardandolo quasi impaurita. Poi si portò entrambe le mani al viso, scoppiando nuovamente in lacrime, questa volta con furia, con autentica disperazione. Non poteva essere successo, si ripeteva incessantemente. Non poteva averla lasciata, non mentre non parlavano da mesi, lasciandola piena di dubbi. Sirius l’aveva mai amata per davvero oppure tutta la loro storia era stata solo una conseguenza di tutti quegli anni di solitudine ad Azkaban? 

- Non ce la faccio. - Mormorò lei, senza fiato, tornando a guardare Remus. - Tutto questo è troppo da sopportare. - 

- Lo so. - Annuì il lupo mannaro. 

Fece il giro del tavolo, si fermò davanti alla giovane e, semplicemente, la abbracciò come se potesse in quel modo arginare il dolore straziante che li attanagliava. La accarezzò come un padre avrebbe potuto fare con la propria figlia o un fratello con la propria sorellina; lei sembrava indifesa, fragile, spezzata a metà. La lasciò piangere per ore finché, sopra di loro, il sole non spuntò del tutto, illuminando ogni angolo di quel cottage che un tempo aveva ospitato delle persone felici.  

Fu in quel momento, mentre Remus la teneva stretta a sé, che Hazel ebbe l’impressione di non essere più del tutto presente a sé stessa. Intorno a lei, la realtà sembrava essersi improvvisamente sbiadita e allontanata, i suoni le risultavano ovattati, i colori diversi. Aveva l’impressione di aver appena inserito il pilota automatico, e questo portava con sé la strana sensazione di essere rinchiusa in una teca di vetro che, seppur trasparente, era pur sempre abbastanza spessa da tenerla separata dalla realtà.

Fece un passo indietro, guardò Remus negli occhi, con la consapevolezza di non riuscire a provare niente ma, poco prima di poter aprire bocca, Janus apparve sulla soglia della cucina, assonnato e in pigiama. 

- Zio! - Esclamò il bambino, correndo verso il mago

Remus si asciugò gli occhi e lo prese in braccio, sforzandosi di sorridere.

- C’hai fatto, zio? Piangi? - Domandò Janus, guardandolo con sospetto. - Triste? - 

Remus guardò Hazel di sfuggita e anche lei, a sua volta, ricambiò l’occhiata, senza però dire niente. - No, non sono triste. - Rispose in fine l’uomo. 

Hazel sospirò. Si fece avanti, nella loro direzione, prendendo il bambino tra le braccia. Lo guardo negli occhi e il dolore ricomparve, ma meno intenso di quanto si aspettasse che fosse. Come avrebbe potuto spiegare a suo figlio quello che era accaduto? Come avrebbe fatto a tirare su quel bambino da sola, nel bel mezzo di un mondo in guerra, costretta a nascondersi dalla donna che aveva ucciso l’amore della sua vita? 

Hazel strinse forte Janus a sé, tentando disperatamente di non piangere, di essere forte per lui, fallendo miseramente. Il bambino la guardò senza capire, e confuso si voltò verso Remus, alla ricerca di una risposta. 

Ma non ne ricevette nessuna. 

Ciao a tutt*,
vedo che qualche anima che vota questa mia storia c'è, ma che ne dite di farmi sapere cosa ne pensate? Insomma io sto continuando a pubblicare, ma mi piacerebbe sapere se ne vale o meno la pena. I commenti sono ben accetti, ecco tutto.
Alla prossima!
J.

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