Il passaggio
Capitolo 24
Quei primi mesi a Hogwarts non furono per Janus come si era sempre aspettato. Dopo quell’episodio durante la prima lezione di pozioni, Rowle non aveva smesso nemmeno per un secondo di perseguitarlo, anche se quella veramente presa di mira era soprattutto Annie. Come se questo non bastasse, si aggiunse la punizione che si era beccato, che consisteva nel mettere in ordine un polveroso archivio senza l’aiuto della magia, mentre i primi compiti che gli insegnanti assegnavano per dopo le lezioni diventavano sempre più complessi e impegnativi. In compenso andare a scuola gli piaceva e le materie erano talmente interessanti che non gli pesava affatto passare almeno sei ore al giorno in classe, così da dilettarsi nei suoi primissimi incantesimi.
Scoprì di avere una certa predisposizione per la trasfigurazione ma, mentre nelle altre materie se la cavava discretamente, era un vero e proprio disastro in pozioni, anzi, un pericolo per l’intera aula, come aveva detto una volta Lumacorno, seppur con un tono scherzoso. Ad ogni modo, nel cuore del vecchio professore non nacque nessun affetto e tantomeno stima, come invece era capitato con l’ultimo Black che aveva messo piede in quella scuola, suo zio Regulus.
Sicuramente, a contrario di lui, non sarebbe finito nel Lumaclub nemmeno tra un milione di anni e, per quanto facesse finta di niente, la cosa lo infastidiva parecchio: era abituato da sempre ad essere il primo della classe, quello bravo e adorato dagli insegnanti, ma a Hogwarts le cose non gli uscivano facili come durante la scuola babbana. Aveva l’impressione di stare un passo indietro rispetto a tutti i suoi compagni e per questo aveva preso l’abitudine di passare ogni pomeriggio in biblioteca a sgobbare sui libri finché Madama Pince non lo cacciava via.
Una delle poche cose positive fu però sicuramente la scoperta del coro, ma soprattutto della piccola orchestra che accompagnava il coro, entrambi i gruppi diretti dal professor Vitious, che rimase molto colpito dal suo modo di suonare il violino. Il fatto di essere così tanto portato in qualcosa, nonostante facesse schifo in quasi tutti gli altri ambiti della vita, aveva sempre fatto sentire Janus un po’ meglio. Comunque le orchestre dei maghi erano diverse da quelle dei babbani: anche nella musica, i maghi sembravano essere rimasti in epoca medioevale, suonando flauti, arpe e tamburi, inoltre usavano i rospi quasi come delle percussioni e non conoscevano nessun compositore famoso.
C’era solo una nota stonata in mezzo a quel contesto di comfort: Faye Selwyn.
La giovane Serpeverde suonava il violoncello come se fosse stata messa al mondo proprio per quello, facendo sì che, nemmeno lì, Janus riuscisse ad essere il primo in assoluto.
Nonostante si fosse beccato una punizione solo per difenderla, continuava a trovarla irritante e altezzosa, ma più di una volta si ritrovò ad osservarla durante le prove mentre suonava, e anche in Sala Grande o in classe, se proprio doveva essere sincero con sé stesso, ma solo perché era rimasto incuriosito dalle parole che Rowle le aveva rivolto.
“Non vorrai mica fare la fine di mammina”, le aveva detto il Serpeverde, e Janus voleva sapere cosa intendesse, solo che non aveva nessuna intenzione di chiederglielo e, anzi, ogni volta che i due si incontravano nei corridoio, lei cercava di parlargli e lui scappava via come se la ragazzina fosse ricoperta da pustole maleodoranti.
Janus aveva deciso: quella lì portava solo problemi, e lui si era già preso una punizione e una lettera lunghissima da parte di sua madre che lo minacciava di farlo tornare a casa se fosse finito di nuovo in qualche guaio.
Durante il suo ultimo giorno di punizione, che cadde durante un sabato particolarmente assolato ed estivo, Janus si imbatté in un grosso faldone risalente all’anno scolastico 1975-1976 che, secondo i suoi calcoli, doveva essere stato l’anno in cui suo padre aveva dato i G.U.F.O.. Lo lesse tutto, da cima a fondo come un romanzo, seduto sul pavimento polveroso dell’archivio e, quando terminò, desiderò di non averlo mai fatto: da quelle pagine era venuto fuori un Sirius Black completamente diverso da come tutti glielo avevano descritto. Anzi, probabilmente, se l'avesse avuto come compagno di classe, Janus avrebbe fatto di tutto per evitarlo o, forse, lui lo avrebbe preso di mira proprio come aveva preso di mira Piton.
Gli sarebbe piaciuto sapere di più, ma a chi poteva chiedere?
Tutti non facevano che ripetergli che Sirius Black era una brava persona; uno studente brillante, e lui non aveva mai faticato troppo a credere che fosse proprio così. Eppure, nei giorni seguenti, questa sua certezza traballò per la prima volta nella sua vita.
Con l’arrivo dell'autunno, dalla finestra del suo dormitorio, in cima alla torre di Grifondoro, Janus vedeva il paesaggio attorno alla scuola mutare sotto i suoi occhi. I prati, prima brillanti e rigogliosi, avevano cominciato a farsi sempre più secchi, mentre gli alberi si spogliavano man mano di tutte le loro foglie.
Scoprì che sua madre gli aveva mentito una vasta varietà di argomenti: non era vero che era allergico al bacon come lei invece gli aveva fatto credere, Babbo Natale non era un mago della Lapponia infinitamente gentile e, soprattutto, non esisteva affatto. Ma la scoperta più sconcertante il ragazzino la fece quando Hughie gli spiegò che i bambini non li portava veramente un ippogrifo.
- Vorresti dire che mio padre ha fatto quella cosa schifosa a mia madre e che da lì sono nato io? - Domandò, per l’ennesima volta, tra le risatine di Klaus ed Annie, sconvolto e rosso in viso. - E che anche i vostri genitori hanno fatto la stessa cosa? -
Annie annuì, seduta in modo scomposto sul divanetto della Sala Comune, davanti al camino ormai acceso. - Una volta li ho anche visti per sbaglio. - Raccontò con un brivido.
Janus sgranò gli occhi. - Quindi hai dei fratelli? - Chiese curioso.
- Guarda che non si fa mica solo a scopo riproduttivo, ma anche e soprattutto per piacere. - Lo riprese Hughie ridendo divertito.
Lui assunse un’espressione schifata. - Io non lo farò mai. - Promise solenne.
- Prima o poi toccherà anche a te, amico. - Fece Hughie.
- Non mi dire che tu l’hai già fatto! - Esclamò Janus, scandalizzato.
Klaus ed Annie si misero all’ascolto, mentre Hughie si prese del tempo per rispondere, creando un po’ di sana attesa. - No, non l’ho fatto. - Dichiarò. - Però ho toccato le tette di Laura Green, una Corvonero del quinto anno. Da sopra la divisa. -
Klaus sobbalzò. - Ah sì? E com’erano? - Domandò con urgenza.
- Sai… morbide, rotonde. - Buttò lì Hughie.
Annie alzò gli occhi al cielo e Janus sbuffò, ancora colmo di imbarazzo. - Vogliamo smetterla di parlare di queste cose orribili e concentrarci su cose più importanti? - Si lamentò indignato. - Ad esempio, come si passa Halloween, qui a Hogwarts? -
- In Sala Grande c’è il solito banchetto, poi i fantasmi fanno uno spettacolo. - Rispose pigramente Hughie, che aveva passato al castello già tre Halloween. - Ma manca ancora un mese, perché ci pensi adesso?. -
- Manca poco meno di un mese. - Lo corresse Janus. - Io adoro Halloween; mia madre mi permetteva di fare magie davanti ai babbani, dicendo loro che erano dei trucchetti. -
- Possiamo fare una gita terrificante nella Foresta Proibita. - Propose la voce eccitata di Klaus. - Sarebbe molto in linea con la festa. -
- Tu potresti parlare in italiano così da poter entrare tu sai dove. - Disse Hughie, riferendosi alla Camera dei Segreti.
- In che senso in it… - Tentò di dire Annie, ma Janus la interruppe:
- Voi due siete pazzi. Se finisco di nuovo in punizione mia madre mi farà tornare a casa, non posso rischiare. - Rispose nervosamente Janus.
- Sei proprio un bravo bambino, Blackie. Un cocco di mamma. - Lo prese in giro Hughie.
- Io sono d’accordo con Janus. - Si fece avanti Annie. - Insomma, pensateci: Hughie, tuo padre è il Ministro della Magia, quello di Janus è una sorta di eroe di guerra e il tuo, Klaus, conosce personalmente la McGranitt. Voi siete praticamente intoccabili, non vi espellerebbero mai. Ma io sono solo una nata babbana, non posso mettermi nei guai. -
- Guarda che queste cose qui a scuola non contano. - Protestò Hughie piccato.
- Però ci penserebbero due volte prima di espellere il figlio del Ministro. - Insistette la ragazzina. - Per non parlare di Janus: la professoressa McGranitt lo adora. -
- Non è vero. - Obiettò il diretto interessato. - È che io mi impegno. -
- Amico, fidati, se non avesse cent’anni avrei detto che ha una cotta per te, e anche bella grossa! - Esclamò Klaus.
- Mentre Lumacorno è pazzo per Annie. - Sogghignò Hughie. - Parla, Carter, come ci si sente ad essere tra i più giovani partecipanti al Lumaclub della storia? -
- Sì, non ci hai detto come è andata la cena. - Rimarcò Janus.
- È stata la serata più noiosa della mia vita. Del primo anno c’eravamo solo io, un tipo di Corvonero che era stato invitato perché il nonno giocava con Lumacorno a gobbiglie e quella lì che ti sta sempre attorno… Faye Selwyn. -
- Sul serio quella lì è nel Lumaclub? - Domandò Janus, con una punta di fastidio nella voce. - Insomma, è brava in pozioni, ma non così brava. -
- Sembra che sua madre fosse una pozionista piuttosto famosa, il professore le ha infatti chiesto come se la passasse e lei ha risposto in modo un po’ strano. - Raccontò Annie. - Comunque Lumacorno dice che farà una festa prima di Natale e che a quella potremo portare un amico o un’amica. Dato che Hughie è già nel Lumaclub… pensavo di invitare uno di voi due. - Concluse guardando Klaus e Janus. - Cioè in realtà pensavo a te, Jan, però se non vuoi non fa niente. Insomma pensaci, mancano ancora due mesi. - Aggiunse, dopo un attimo di silenzio, arrossendo fino alla punta dei capelli.
Lui assunse un’espressione sorpresa. - Non hai tipo un’amica femmina con cui andarci? -
- No. Mi prendono in giro per l’apparecchio e perché sono brutta. -
- Non sei brutta, io ti trovo carina. - La contestò Klaus.
Annie gli lanciò uno sguardo di puro disinteresse, prima di tornare a fissare l’altro con una certa ansia. - Allora, ci verresti o no? -
- No, è una cosa strana. - Rispose spiacente, scuotendo la testa. - Vacci con Klaus, lui è molto più adatto a questo genere di cose. - Disse, dando una pacca sulla spalla all’amico, che annuì.
La seconda settimana di ottobre si aprì in grande stile, con la prima lezione di difesa contro le Arti Oscure tenuta da Harry, che tentò in tutti i modi di mantenere, almeno in classe, un certo distacco con Janus, fallendo però miseramente.
- Questa lezione è stata una vera e propria rivelazione! - Esclamò Klaus con la sua solita teatralità alla fine dell’ora, mentre riponeva nello zaino la piuma e qualche foglio di pergamena spiegazzato su cui aveva preso appunti. - Jan, non è che il signor Potter può farmi un autografo, eh? Perché non glielo chiedi? Dai, prima che se ne vada! -
- Non credo che Harry faccia degli autografi, non è mica una persona famosa. - Ribatté Janus, lanciando un’occhiata verso la cattedra, dove il giovane auror stava parlando con un gruppetto di studenti di Tassorosso.
- Non è una persona famosa? - Ripeté Klaus sconvolto. - Lo so che per te è più una specie di fratello maggiore, ma ha salvato il mondo. Due volte! E la prima era solo un neonato! -
Janus alzò le spalle e chiuse la sua borsa. - Non credo comunque che faccia degli autografi, però se ci tieni puoi provare a chiederglielo tu stesso, non ti morde mica! - Disse sorridendo.
- Ma è vero che parla ancora il serpentese? - Domandò Annie, ancora seduta nel banco davanti a loro, sussurrando l’ultima parola come se fosse una parolaccia.
- Anche se fosse? Non tutti i rettilofoni sono dei maghi oscuri o persone cattive. - Scattò Janus, sentendosi arrossire. - E comunque non più, lo parlava solo perché aveva quel pezzetto di Voldemort dentro di sé. - Aggiunse in fretta.
Annie inarcò le sopracciglia con fare sorpreso. - Ero solo curiosa. - Disse, alzandosi in piedi e avviandosi con gli altri due verso l’uscita dell’aula.
- Ultimamente sei un po’ nervoso o sbaglio? - Gli domandò Klaus.
Janus sospirò e decise che non avrebbe fornito all’amico nessuna risposta, anche perché neppure lui sapeva con certezza cosa avesse. Certo, frequentare Hogwarts non era tutto rose e fiori come se l’era sempre immaginato, non era il più bravo del suo anno, ogni tanto si beccava ancora qualche presa in giro, inoltre aveva il sospetto che suo padre fosse stato tutt’altro che una brava persona.
Poco prima di varcare la soglia Janus si voltò verso Harry e si fermò a guardarlo. Era stato così disponibile per lui durante quelle settimane prima dell’inizio della scuola e gli aveva scritto spesso anche dopo il primo settembre, ma Janus sentiva di non aver ancora abbastanza confidenza per potersi aprire con lui. Ma a chi poteva chiedere qualcosa di suo padre se non a Harry Potter?
- Ragazzi, vi dispiace se vi raggiungo più tardi in Sala Comune? - Domandò Janus a Klaus ed Annie, dopo qualche attimo di esitazione.
Klaus sgranò gli occhi. - Vuoi fermarti a parlare con il signor Potter? - Sondò pieno di urgenza. - Gli dici dell’autografo? -
Janus alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. - Va bene, avrai questo tuo dannato autografo. - Approvò. - Annie, lo vuoi anche tu? -
- No, non ti preoccupare. - Rispose la giovane.
- Ci vediamo più tardi, Jan. - Disse Klaus dandogli una pacca sulla spalla prima di uscire dall’aula insieme a Annie.
Janus annuì in fretta per poi voltarsi verso Harry, che si era finalmente liberato del gruppetto di studenti di Tassorosso. Indossava la divisa da auror, che consisteva in una giacca da mago color prugna, un paio di pantaloni neri e un mantello, anche quello sul viola. Si avvicinò a lui facendo un sorriso, e Janus ricambiò.
- Allora, ti è piaciuta la lezione? - Gli chiese Harry, mentre insieme uscivano dall’aula.
Janus annuì. - Sei un bravo professore. - Rispose con sincerità.
Intorno a loro, parecchi gruppi di studenti avevano preso a fissarli. Harry, che forse in tutti quegli anni si era abituato a tutte quelle attenzioni indesiderate, procedeva spedito e a testa alta, sembrava a suo agio, e Janus un po’ lo invidiò per questo.
- Harry… tu hai da fare in questo momento? - Chiese poi il ragazzino, dopo qualche attimo di esitazione, necessario per farsi coraggio.
- No, ma pensavo di andare a fare un saluto a Hagrid. Vuoi venire con me? -
Janus annuì. Percorse insieme a Harry il tragitto che divideva l’aula di difesa contro le arti oscure alla sala d’ingresso senza dire una parola, cercando nella sua testa un modo per poter esordire chiedendo di Sirius senza sembrare troppo strano e soprattutto senza far trapelare troppo il fatto che aver letto quelle cose lo aveva reso parecchio triste. Una volta raggiunto il giardino Janus si strinse nella toga per proteggersi dal vento freddo e, semplicemente, decise di andare dritto al punto:
- Harry, non so se la professoressa McGranitt te lo ha detto ma… sono finito in punizione praticamente durante il primo giorno di scuola. - Iniziò, assumendo un’espressione desolata.
- Certo che me lo ha detto. - Disse Harry tranquillo.
- Il punto è che ho dovuto mettere a posto alcuni vecchi faldoni in archivio e lì ho trovato delle cose su mio padre… - Tornò a parlare il ragazzo. - Insomma, il punto è che… perché si comportava sempre un po’ da… cattivo? -
Harry sussultò, voltandosi a guardarlo sorpreso. - Che cosa intendi? -
- Lui e tuo padre si comportavano da bulli. Soprattutto con Piton. - Spiegò Janus, addolorato. - Una volta lui lo ha spinto verso la Stamberga proprio mentre zio Remus si stava trasformando. Piton sarebbe potuto morire; è una cosa orribile da fare e non solo nei confronti di Piton, se ci pensi bene: pensa cosa può aver provato zio Remus nel sapere che uno dei suoi migliori amici era andato a spifferare il suo segreto. -
Harry sembrò interdetto e continuò a camminare verso la capanna di Hagrid come in automatico, il volto concentrato sembrava alla ricerca di una risposta. - Capisco cosa stai provando. - Disse in fine. - Quando avevo quindici anni ho visto per sbaglio un ricordo del professor Piton che riguardava mio padre. Ovviamente c’era anche Sirius. Loro lo avevano appeso per le gambe sulla riva del Lago Nero, lo prendevano in giro. -
- Ma perché? Perché lo facevano? - Ricalcò Janus. - Tutti dicono che mio padre era una brava persona, però tutto quello che ho letto dice praticamente il contrario! -
- Era una brava persona, te lo posso assicurare. - Tentò di tranquillizzarlo Harry. - Quello che hai letto… sono cose che ha fatto quando era solo un ragazzino, poco più grande di te in effetti. Un ragazzino un po’ idiota, te ne do atto, e spesso lui e mio padre finivano per esagerare, ma poi sono cresciuti, sono maturati. -
Janus sembrò ancora piuttosto contrariato, ma non ribatté, dunque Harry continuò:
- Sirius una volta mi disse che il mondo non si divide in persone buone e persone cattive: tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta per davvero è da che parte scegliamo di agire. Come tutti noi anche Sirius aveva dei difetti, ma ha sempre tentato di stare dalla parte della luce. -
Nel frattempo il cielo sembrava quasi aver messo in scena lo stato d’animo del giovano Grifondoro: nuvole grigie che annunciavano tempesta vorticavano sopra le loro teste, da una parte il sole tentava di resistere e, dall’altra, si potevano già osservare i primi fulmini.
Janus sospirò, posando lo sguardo all'orizzonte, dove la capanna di Hagrid era appena apparsa, e poi di nuovo su Harry. - Secondo te io gli piacerei, se fosse ancora vivo? - Gli domandò, con una voce piccola piccola.
Harry sorrise. - Altroché. - Gli assicurò. - Ti amava, amava tanto anche tua mamma,e sarebbe stato un bravo padre, anche se probabilmente un po’ sopra le righe. Ricordo quel Natale che abbiamo passato tutti insieme a Grimmauld Place, Remus ti aveva regalato una scopa giocattolo, ma questo a tratti sembrava divertire più Sirius che te… a proposito, come te la cavi nel volo? -
- In modo discreto, come praticamente tutte le materie. - Borbottò Janus. - Non riesco ad eccellere in nulla, forse sono un pessimo mago… -
La capanna di Hagrid, adesso vicinissima, appariva come una piccola casetta di legno dal tetto scosceso, con alle spalle l’immensa Foresta Proibita. Janus non c’era mai stato ma aveva l’impressione che fosse un posto molto accogliente.
- Hai già conosciuto Fierobecco? - Chiese Harry, continuando a camminare.
Il ragazzo scosse la testa. - Non ho avuto molto tempo e poi… un po’ mi vergognavo ad andare a bussare così alla porta di Hagrid. - Spiegò, accennando un sorrisetto.
Harry assunse l’espressione di chi aveva appena ascoltato qualcuno dire qualcosa di molto stupido. - Ma ad Hagrid piace molto ricevere visite! -
Una volta arrivati davanti alla porta della capanna del guardiacaccia, Harry batté forte, constatando che nessuno era in casa in quel momento. - Probabilmente è nella foresta con Grout, il suo fratellastro gigante. - Spiegò a Janus, aggirando la costruzione.
Janus si chiese se Harry scherzasse, ma lo seguì senza dire niente verso il retro della Capanna dove, su una distesa erbosa, c’era un branco delle creature più strane che avesse mai visto. Sua madre gli aveva raccontato tantissime volte di Fierobecco, del fatto che aveva vissuto nel giardino della loro casa in Scozia per un anno intero e che, di tanto in tanto, suo padre lo portava a fare un giro sopra quell’ippogrifo facendole prendere un colpo, ma mai gli aveva detto che gli animali come lui avessero un aspetto tanto particolare. Gli ippogrifi avevano i corpi, le zampe posteriori e le code da cavallo, le zampe anteriori, le ali e la testa di aquile giganti dai becchi color dell'acciaio e grandi occhi di un arancione acceso. Gli artigli sulle zampe davanti erano lunghi più di quindici centimetri e avevano l'aria letale.
Harry si avvicinò per primo, si inchinò e gli ippogrifi, uno ad uno, fecero lo stesso.
Janus osservò la scena in silenzio, a qualche metro dall’entrata, con l’impressione che Harry fosse solito andare lì molto spesso e ne ebbe la certezza quando una di quelle creature si avvicinò all’auror, sbattendo il muso contro la sua guancia come un gattino.
- Eccolo qui, il nostro Beccuccio. - Disse allegramente Harry, voltandosi verso Janus, che lo guardò terrorizzato. - Avanti, avvicinati, non avere paura. -
Il giovane esitò. Dovette raccogliere ogni singola briciola di coraggio per fare solo un passo in avanti. - Devo… inchinarmi? - Domandò cauto.
- Sì. Avvicinati piano, guardalo negli occhi senza sbattere le palpebre e poi inchinati. Se lo fa anche lui non hai nulla di cui preoccuparti. -
- E se non lo fa? -
Harry alzò le sopracciglia e aprì la bocca senza parlare per una manciata di secondi, prima di dire: - In tal caso si vedrà, ma non ti preoccupare, in tutta probabilità potrebbe riconoscerti. -
Janus prese un respiro profondo, si avvicinò e si inchinò, seguendo le direttive di Harry mentre l’ippogrifo lo guardava altezzoso e minaccioso insieme. Poi emise un piccolo brontolio e piegò le ginocchia in quello che era un chiaro inchino.
- Bene, adesso puoi avvicinarti. - Disse Harry sorridendo.
Non che ci tenesse ma fu esattamente ciò che fece, allungando addirittura una mano per accarezzare il becco dell’ippogrifo che chiuse gli occhi pigramente, soddisfatto.
Una volta superato il primo moto di spavento alla vista di una cosa che era metà cavallo metà uccello, cominciò ad apprezzare i mantelli lucenti degli ippogrifi, che mutavano gradualmente da piuma a pelo, ciascuno di un colore diverso: grigio tempesta, bronzo, fulvo rosato, castagna lucente, nero inchiostro.
Janus si sentì molto felice e poi, improvvisamente, molto triste. Se le cose non fossero state ingiuste probabilmente sarebbe cresciuto insieme a Fierobecco, e lui e sua madre sarebbero stati felici insieme a suo padre e a Harry, che sarebbe andato a vivere con loro in Scozia. Invece aveva passato tutta l’infanzia in esilio, con sua madre che piangeva ogni notte quando pensava di non essere vista, completamente soli al mondo. Se solo suo padre non fosse morto non ci sarebbe stato bisogno di chiedersi che tipo di persona fosse, non avrebbe avuto dubbi su di lui.
Era arrabbiato, così arrabbiato e così triste e così… così… non lo sapeva neppure lui.
- Harry. - Lo chiamò con voce piatta e senza staccare gli occhi da Fierobecco. - Non puoi proprio tirarlo fuori di lì, è vero? - Domandò.
- Chi? - Chiese a sua volta Harry, perplesso.
Janus si voltò finalmente verso di lui, guardandolo con una serietà che non si addiceva per niente ad uno della sua età. - Puoi tirare fuori papà da lì? Dal velo? - Ripeté cercando di essere più chiaro. - Ci hai provato? Qualcuno… qualcuno ci ha mai provato prima di dire che non si può fare? Tante cose sembrano impossibili prima di farle… dopotutto è un passaggio, e da dove si può entrare allora si può anche uscire, no? -
Harry aprì la bocca per dire qualcosa, senza sapere ancora bene cosa, ma Janus lo anticipò:
- Scusa… lo so che se potessi lo faresti tornare subito. - Mormorò con le labbra piegate verso il basso. - Però… se non fosse mai morto? Se lui fosse lì, da qualche parte, in attesa che qualcuno lo salvi? Non è giusto che nessuno ci dica niente, noi siamo la sua famiglia. -
- Lo so, non è giusto. - Disse Harry. - Anche io mi sentivo come te da bambino e tante volte ho pensato che magari, essendo un mago, avrei potuto riportare indietro mia madre e mio padre. Ma questo non è possibile, o almeno non è possibile riportare indietro qualcuno facendolo tornare esattamente come era prima. Sirius non vorrebbe avere una vita a metà, come un fantasma o cose del genere. -
- Ma tu almeno lo sapevi che i tuoi erano morti, loro hanno una tomba. -
- Anche tu lo sai. Sirius è morto. - Gli disse, come per assicurarsi che se lo ricordasse.
Janus si lasciò sfuggire uno sguardo pieno di scetticismo. - Quando sarò grande andrò a lavorare all’Ufficio Misteri. - Decise. - E allora scoprirò se è morto per davvero e se è ancora vivo lo tirerò fuori. -
- È una carriera difficile quella dell’indicibile. - Lo avvertì Harry.
- Non importa. - Asserì seccamente Janus. Diede un altro piccolo buffetto sul muso di Fierobecco e poi si voltò nella direzione dell’auror. - Forse è meglio se adesso torno a scuola. - Disse.
Non aggiunse altro, ma gli passò accanto prima di correre via verso il castello, lasciando Harry solo in mezzo a quel prato, circondato da Ippogrifi e con il cuore che faceva male come durante quella notte all’Ufficio Misteri.
°°°°°°
Se qualcuno le avesse chiesto come stesse, Hazel avrebbe risposto senza esitare, per la prima volta dopo tantissimi anni, dicendo che stava bene.
Negli ultimi due mesi tutto sembrava essersi allineato nel migliore dei modi, rendendo la sua vita, almeno all’apparenza, perfetta sotto ogni punto di vista: aveva un buon lavoro di cui non poteva proprio lamentarsi; Janus era ad Hogwarts e, da ciò che lui raccontava nelle lettere che le spediva, sembrava addirittura essersi fatto degli amici; attorno a lei c’era sempre una rete di persone pronta a sostenerla e a farle compagnia quando si sentiva sola, proprio come una vera famiglia. E poi c’era Percy, che si era insinuato nella sua vita prima che lei se ne rendesse conto, mostrandole un tipo di rapporto diverso da tutti quelli che Hazel aveva vissuto in precedenza: non era lei a doversi prendere cura di lui, lei non era lì per salvarlo ma, anzi, spesso era lui che la sollevava da quei cupi momenti in cui si intristiva.
Le sue giornate scorrevano scandite dai suoi impegni e piccoli attimi di quella serena normalità da lei tanto bramata: ogni mattina si alzava alla stessa ora, beveva del tè nero dalla sua solita tazza, mangiava un muffin al cioccolato acquistato nella solita pasticceria e poi prendeva il treno verso Oxford. Rimaneva lì fino a tardi, anche dopo le lezioni, preparando il materiale per quelle dei giorni successivi e rispondendo a tutte le email arretrate. Spesso, nella pace del suo ufficio, Percy la andava a trovare e, giorno dopo giorno, la sua presenza nella sua vita divenne sempre più normale, quasi scontata. Lui c’era ed era un fatto. Era lì e sembrava non avere nessuna intenzione di andare via, come invece avevano fatto la maggior parte delle persone di cui si era affezionata. Se ne era andata sua madre, se ne era andato suo padre, Sirius l’aveva lasciata da sola un’infinità di volte anche prima di morire, e perfino Ryan, l’uomo di cui si era infatuata a New York, alla fine, l’aveva abbandonata.
Non solo era diventato normale avere Percy intorno, ma anche lasciarsi baciare o sfiorare nel bel mezzo della quotidianità, anche se questo molto spesso le faceva paura. Si sentiva fragile davanti a lui ma, più lei tentava di allontanarlo, più gli mostrava la parte peggiore di sé, e più lui, testardo com’era, rimaneva fermo nella sua posizione.
- Magari un giorno mi innamorerò di te, - gli disse lei una sera, sdraiata e nuda nel letto di casa di lui, - e quando questo accadrà allora arriverà qualcosa che ti porterà via, una catastrofe, ad esempio. Succede sempre così. Chissà, forse ho una maledizione. -
Lui fece un verso denso di scetticismo. - Non voglio indossare le vesti del tuo terapeuta, sarebbe strano e insano, ma hai mai pensato che forse tutti se ne vanno perché non hai mai scelto persone che non volevano o non potevano davvero restare? - Le disse. - Magari hai così tanta paura dell’abbandono che in qualche modo… lo fai capitare scegliendo persone emotivamente non disponibili o piene i guai fino al collo. -
- Come una profezia che si autoavvera. - Osservò Hazel.
- Sì, una cosa del genere. - Annuì Percy, passando pigramente la punta delle dita sulla pelle di lei e osservandola per bene.
Gli piaceva il modo in cui Hazel si mostrava a lui, senza timore e senza alcuna vergogna. Si sentiva attratto dal suo corpo quasi quanto si sentiva attratto dalla sua mente; Hazel non era semplicemente intelligente, lei era creativa, era spiritosa ed era una sognatrice. Era il suo esatto opposto, sotto questo punto di vista, dato che lui tendeva ad avere sempre i piedi ben piantati a terra, ma forse per questo era così interessante parlare con lei. Hazel sembrava guardare il mondo attraverso delle lenti speciali capaci di acchiappare il dettaglio che ai più sfuggiva, era come se guardasse attraverso le cose, oltre ogni sovrastruttura.
Non avevano ancora definito il loro rapporto, non sapeva se lei uscisse o meno con altri uomini, ma a Percy piaceva pensare che non fosse così. Voleva essere l’unico a poter toccare la piccola cicatrice che aveva in basso a destra, sulla pancia, risalente a quando le avevano tolto l’appendice a dieci anni, voleva essere il solo ad avere il permesso di baciarla nei punti più nascosti del suo corpo, ma non aveva il coraggio di diglielo.
- Ginny e Charlie ti hanno fatto conoscere qualcun altro, ultimamente? - Buttò lì, dopo qualche minuto di silenzio contemplativo.
Hazel aggrottò la fronte, come se Percy avesse appena parlato in una lingua arcaica e sconosciuta. - No, loro no. - Rispose. - Ma, qualche giorno fa, una mia collega mi ha proposto di uscire con un suo amico architetto. Ho declinato l’offerta. -
- E perché mai? - Domandò Percy, fingendo nonchalance anche se si sarebbe messo volentieri ad esultare.
- A mio parere gli architetti sono un po’ egocentrici. - Spiegò Hazel. - E poi l’ho visto in foto, aveva pochi capelli e dei brutti denti. -
- Meglio così. -
Hazel si sistemò su un fianco, in modo da poterlo osservare meglio, e lui ricambiò quello sguardo senza aggiungere nulla. - Tu stai uscendo con qualcun’altra ultimamente? - Gli domandò dunque lei.
- Solo con te. - Rispose Percy.
Hazel sorrise. - In effetti non sembri proprio uno di quelli che ha la fila dietro. - Disse in tono canzonatorio, beccandosi un’occhiata torva.
- Tu invece sembri proprio una di quelle. - Ribatté cupamente Percy.
- Magari, Perce, magari, ma purtroppo devo ammettere di non aver mai avuto un gran successo con gli uomini. - Sospirò Hazel. - Dimmi, non vorrai mica l’esclusiva? -
- Perché no. - Fece lui, scrollando le spalle. - Dopotutto usciamo insieme da più di un mese, ci vediamo spesso e le cose vanno bene. Inoltre non sento la necessità di uscire con altre donne a parte te, quindi... -
Lei rimase in silenzio e ferma per una manciata di secondi, poi scrollò le spalle e si mise a sedere, rivolgendo comunque lo sguardo verso di lui. - Va bene.- Approvò.
- Va bene? -
- Sì. Abbiamo un rapporto monogamo adesso. - Spiegò Hazel, prima di alzarsi in piedi.
Si rivestì senza fretta sotto lo sguardo attento di lui, che invece rimase lì, sdraiato sul letto con un’aria soddisfatta. - Mia madre mi ha detto di dirti che sei invitata alla Tana per Halloween. - La informò Percy mentre lei si allacciava i pantaloni. - Si lamenta del fatto che non vai a trovarla da un po’, mentre mio padre freme dalla voglia di mostrarti un vecchio telefono fisso che ha fatto anche allacciare alla linea telefonica. -
- Bene, così adesso puoi chiamarmi, invece di scrivermi quelle lettere prolisse, quando vuoi dirmi qualcosa. - Disse lei.
- Ma a me piace la nostra corrispondenza, dunque continuerò con le lettere. - Ribatté lui.
- Come vuoi, Perce. Resta il fatto che il telefono è più comodo. Magari te ne regalo uno per Natale, così potrai scrivermi dei messaggi, se proprio ti piace la corrispondenza. -
- Non avrebbero lo stesso senso. Sono un romantico, lo sai. -
Lei sorrise. - Lo so. - Disse. - Be’, io me ne vado a casa, si sta facendo tardi e domani devo alzarmi presto per arrivare a Oxford alle otto. -
- Perché non dormi qui? Domani mattina posso portarti lì con la magia in un attimo. -
- È meglio di no. E comunque a me piace prendere il treno. -
- E poi non vuoi dormire con me. - Sottolineò Percy.
Hazel liquidò quella lieve frecciatina rimanendo zitta, e si infilò le scale.
- Cosa dico a mia madre per Halloween? - Chiese dunque Percy, rompendo il silenzio che si era venuto a creare. - Vieni a cena alla Tana? -
Hazel sospirò, lasciandosi cadere nuovamente sul letto. - Cosa sanno da te di noi due? -
- Che usciamo insieme, ma solo perché Charlie se lo è fatto scappare. - Rispose Percy.
- E cosa ne pensano Molly e Arthur? -
- Non credo che abbiano una vera e propria opinione a riguardo. Mio padre pensa che tu sia una fonte inesauribile di informazioni sui babbani quindi ti adora, mentre mia madre è un po’ iperprotettiva, ma paradossalmente più nei tuoi confronti che nei miei. -
- In che senso? -
- Mi ha raccomandato di trattarti con cura. - Spiegò Percy.
Hazel sorrise intenerita. - Molly è sempre così dolce. - Disse sincera. - Ma lo sai che nel ‘95 mi ha dato della poco di buono? -
- Davvero? - Domandò Percy, incredulo. - E perché mai? -
- Perché probabilmente Sirius non le piaceva molto e di riflesso nemmeno io. Inoltre lui era molto più grande di me, avevamo un bambino e non ci eravamo ancora sposati. - Spiegò Hazel. - Molly era un po’... stressata a quei tempi. Sai, con tutto quello che stava capitano nel vostro mondo, il ritorno di Voldemort e poi… be’, sai, la vita a Grimmauld Place non era sempre facile. Era una casa malvagia, quella. -
Percy alzò i lati della bocca in un sorriso amaro. - Apprezzo il fatto che tu abbia sorvolato su ciò che ho combinato a quei tempi con la mia famiglia, davvero. - Disse.
- E io trovo che il tuo continuo bisogno di ricordare a te stesso ciò che hai fatto sia una stupida forma di autolesionismo. - Controbattè Hazel. - Sei stato perdonato da loro fin dal momento in cui sei tornato, te lo assicuro. Adesso sta a te guarire da questa cosa. -
Percy la guardò senza parlare. Non era di certo un uomo silenzioso, ma spesso la capacità che lei aveva di fargli vedere le cose attraverso una prospettiva diversa lo lasciava insolitamente ammutolito. In effetti nessuno gli aveva mai rinfacciato nulla: fin dal giorno in cui era tornato nessun componente della famiglia si era comportato con lui in modo diverso rispetto a quando se ne era andato. Ma forse erano solo tutti troppo tristi per Fred per poter essere arrabbiati con lui.
Percy guardò Hazel negli occhi e desiderò di baciarla, anche se non lo facevano mai o quasi mai all’infuori dei loro amplessi. Fu lei che, quasi come se lo avesse letto nel pensiero, si sporse verso di lui per posare le labbra sulle sue.
- Ci vediamo ad Halloween… o domani, se vuoi. Insomma, decidi tu, tanto sai dove trovarmi ormai. - Disse Hazel, con le labbra segnate da un sorriso un po’ imbarazzato.
La sera di Halloween, dopo due ore di viaggio da Londra a Ottery St Catchpole, Hazel arrivò alla Tana poco prima dell’ora di cena.
Seduta su una delle tante sedie che circondavano il tavolo di legno della cucina, stava ascoltando Ginny che parlava con lei, Hermione e Tonks della gravidanza, e intanto tagliava con cura una montagna di fagiolini per Molly, che alle loro spalle stava cucinando qualcosa che odorava di zucca.
- Il medimago dice che nascerà a febbraio e che è un maschio. - Informò Ginny con aria insolitamente lugubre. - Questo vuol dire solo una cosa. -
- Che cosa? - Chiese Hermione, seduta a suo fianco, incuriosita dal tono usato dall’altra.
Ginny, in tutta risposta, si lasciò andare ad un lungo e sonoro sospiro e poi parlò: - Harry vuole chiamarlo come Piton. - Raccontò, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il suo disappunto. - Io capisco che l’ha protetto per anni, che ha rischiato la vita per lui più volte e tutto il resto, ma non posso chiamare mio figlio Severus. Nessuna madre sana di mente lo farebbe, o sbaglio? -
Tonk annuì senza esitare un momento, Hermione si lasciò sfuggire un’espressione conciliante ma non disse niente, mentre Hazel sorrise, ripensando a quando Sirius voleva chiamare il loro bambino come il cantante dei Black Sabbath. - Magari Severus può essere il secondo nome, sarebbe un bel gesto comunque. - Buttò lì. - Dopotutto bisogna scendere a compromessi su certe cose. -
Ginny sospirò. - Hazel, se riesci a convincerlo, giuro che quando avrò una figlia femmina la chiamerò come te. - Disse solennemente.
Hazel rise e scosse la testa, prima di guardarsi distrattamente intorno. Dall’altra parte della stanza, vicino al camino, Percy e il signor Weasley sedevano sul divano e guardavano Charlie e Ron che, sul tappeto, giocavano a gobiglie insieme a Teddy mentre James tentava di reclamare la loro attenzione producendo diversi lamenti per nulla sommessi. Non c’era però nessuna traccia di Harry, nonostante fossero quasi le otto.
- Dove si è cacciato Harry, a proposito? - Domandò dunque.
- Sì, infatti. Tonks, dove si è cacciato Harry? - Chiese Ginny a sua volta, con voce alterata, guardando nella direzione di Ninfadora.
L’auror aggrottò la fronte, perplessa. - Cosa vuoi che ne sappia? -
A quelle parole, sul viso di Ginny passò un’espressione molto difficile da leggere. - Non hai cambiato tutti i suoi turni qualche settimana fa, aggiungendo delle ore in più? - Chiese, guardando Dora come se temesse di sentire la risposta.
Tonks esitò per qualche istante, le labbra semichiuse e le sopracciglia alzate. - Ora che me lo dici… effettivamente sì. - Disse, annuendo con veemenza. - Sì, sì… molte ore in più, il crimine e i maghi oscuri non dormono mai in fin dei conti, dico bene? Siamo sulle tracce di un fanatico ex mangiamorte molto, molto pericoloso. Pericolosissimo oserei dire. - Tonks rise nervosamente e poi si rivolse a Hazel, con l’aria di una che non vedeva l’ora di cambiare discorso. - Come va tra te e Percy? -
Quella domanda provocò in Hazel un moto di imbarazzo, ma la donna tentò comunque di dissimulare scrollando le spalle e mantenendo un’espressione distaccata. - Be’, sai, niente di che… usciamo insieme da amici... -
- Ma piantala. - La fermò subito Ginny, alzando gli occhi al cielo ma con un sorrisetto canzonatorio sulle labbra. - Guarda che è inutile che fate finta di non avere un inciucio, voi due, anche perché non c’è mica niente di male, anzi! Inoltre ormai passate così tanto tempo insieme che mi sembra irrealistico che tra voi non sia scattato niente. -
- Passiamo del tempo insieme, questo è vero. - Ammise Hazel, cercando di non apparire nervosa. - Ma non vuol dire che abbiamo un inciucio! Siamo solo buoni amici. E poi lui mi accompagna alle mostre, a contrario di voi tre. -
- Ti accompagna solo perché pensa che poi tu gliela darai, non perché gli piace andare a guardare dei quadri immobili e dipinti in modi strani. - Ribatté Tonks.
Hermione assunse un’espressione scandalizzata, mentre Ginny sembrò contrariata.
- A parte che non mi sembra affatto una cosa da lui. Inoltre, se fosse come dici tu, avrebbe smesso di accompagnarmi già da parecchie settimane. - Disse con sicurezza, rendendosi conto solo dopo di aver fatto una grande ammissione.
Tonks, infatti, sgranò gli occhi. - Lo avete già fatto! - Esclamò a voce alta, attirando l’attenzione di tutta la Tana nella loro direzione.
Hazel si sentì avvampare. Lanciò nella direzione di Percy un’occhiata che sembrava quasi urlare di venire a salvarla, sguardo che lui notò ma che probabilmente non capì, dato che non si mosse di un solo centimetro. Quando poi Hazel tornò a guardare nella direzione delle tre streghe, si rese conto che perfino Hermione, che non sembrava mai molto a suo agio quando venivano trattati determinati argomenti, si era messa nelle condizioni di ascolto, fissandola con i suoi due occhi castani sgranati.
- Non ho intenzione di dirvi una sola parola a riguardo, mi dispiace. - Asserì Hazel, lasciandosi sfuggire una risatina molto imbarazzata.
Ginny sogghignò. - Forse hai ragione, non avete un inciucio. - Disse divertita. - Avete una relazione e io sono così felice per voi! Percy era diventato ancor più deprimente del solito dopo Audrey, mentre tu… be’, lo sai. Dopo tutto quello che hai passato ti meriti sul serio di andare avanti con la tua vita anche su quel fronte. -
Il volto di Hazel si incupì. Non le piaceva molto l’espressione “andare avanti”, non le era mai piaciuta. Cosa voleva dire? Si stava forse dimenticando di Sirius?
- Anche lui vorrebbe vederti felice. Sirius, intendo. - Mormorò Hermione, quasi come se avesse letto nella sua espressione i suoi tormenti.
Hazel annuì e abbozzò un sorriso. - Certamente… sì. - Disse, cercando di convincere anche sé stessa.
- E poi così potresti entrare ufficialmente a far parte della famiglia! - Esclamò Ginny, allentando l'improvvisa tensione, per poi alzarsi in piedi. - Charlie, ti devo dieci galeoni. - Annunciò, parlando al fratello, prima di allontanarsi.
Hazel sospirò, sperando che quell’imbarazzante e strano momento fosse finito, quando Tonks andò di nuovo all’attacco: - Ora che non c’è Ginny… - Sogghignò. - Dimmi, come se la cava quel perfettino sotto le lenzuola? -
- Dora, così la metti in imbarazzo! - Rise Hermione, andandole in soccorso.
- Dai, Hazel. - Insistette Tonks. - A Grimmauld Place mi raccontavi tutto su te e Sirius. -
Hazel alzò gli occhi al cielo, le guance accese di rosso. - Sì, be’... non lo facevamo mai, tra Janus che stava sempre tra i piedi e il fatto che lui fosse spesso giù di morale, quindi quando capitava lo vivevo come un evento epocale. - Rispose. - Non eravamo mica come te e Remus, noi. Voi sì che ci davamo dentro. -
Stavolta fu Tonks quella ad arrossire.
- E comunque Percy se la cava meglio di quanto potresti immaginare. - Aggiunse Hazel alla fine, accontentandola.
- Su una scala da uno a dieci? - Indagò ancora Tonks.
- Dora… -
Ninfadora sbuffò. - Va bene, va bene, la smesso. Certo che siete pudiche, voi due. - Si lamentò, e poi alzò le mani in segno di resa. - Volevo solo fare un po’ di sano gossip, discorsi tra donne, sapete… -
- Io vi trovo molto carini insieme. - Intervenne Hermione, rivolgendosi a Hazel. - Non sono stati anni facili nemmeno per Percy, questi, tra la guerra, la perdita di Fred e la separazione da Audrey. -
- Che tipo è lei? - Si informò Hazel, cercando di non mostrare troppo interesse. - L’ho vista una volta a Diagon Alley. È molto bella, oltre a sembrare una a posto. -
- Sì, lei può sembrare praticamente senza difetti, di prima occhiata, perfino Molly la adorava. - Raccontò Hermione. - Comunque nessuno si aspettava che lei lo lasciasse così, portandosi dietro anche Molly e Lucy. -
Hazel lanciò di sfuggita uno sguardo verso Percy. Non parlava mai volentieri di Audrey ed era probabile che per lui, la fine di quel matrimonio, avesse rappresentato un enorme fallimento.
- È ora di mettersi a tavola! - Annunciò Molly, facendo svolazzare sopra le loro teste una tovaglia e un mucchio di stoviglie. - Ginny, cara, pensi che sia il caso di aspettare Harry per la cena? - Domandò poi alla figlia.
Ginny scosse la testa, assumendo un’espressione alterata. - No, mangiamo pure. -
Fu solo verso la fine di quell’abbondante e ottimo pasto pasto che Harry Potter fece il suo ingresso alla Tana. Aveva l’aspetto di chi ultimamente non doveva passarsela bene, con i capelli più spettinati del solito, come se ci avesse passato nervosamente le mani nel mezzo più volte, gli occhi arrossati dietro le lenti degli occhiali, e quando si sedette proprio davanti a lei, Hazel ebbe la sensazione che il giovane volesse dirle qualcosa. Ma non lo fece, anzi in effetti Harry non parlò molto quella sera, rispondendo solo di tanto in tanto alle frecciatine che Ginny gli lanciava contro.
Visti in quel modo, con lei arrabbiata e sospettosa e lui stanco e affranto, i due non sembravano andare molto d’accordo e Hazel non fu l’unica a notarlo.
- Ginny dice che Harry si comporta in modo strano da un paio di settimane a questa parte. - Le confessò Percy a fine cena, mentre se ne stavano seduti vicini sul divano, davanti al camino acceso. - A casa non c’è mai e quando c’è si chiude nello studio, su cui ha perfino gettato un incantesimo di protezione. Se vengo a sapere che la tradisce mentre per giunta è incinta giuro che lo uccido. -
- Se non c’è riuscito Voldemort, suppongo che tu non abbia speranza, Perce. E poi, oltre al fatto che Ginny ha tutta l’aria di una che sa cavarsela molto bene da sola, sono quasi del tutto sicura che Harry non la tradirebbe mai. - Asserì fermamente Hazel. - Magari è solo un po’ stressato per il troppo lavoro. Dopotutto lui è un auror, non è mica il ministro dei trasporti come te... -
- Sono il capo dell’Ufficio del Trasporto Magico. - La corresse Percy, guardandola di sottecchi. - Ed è un lavoro che mette sulle mie spalle tantissime responsabilità. -
Hazel cercò di trattenere un sorriso. - Sì… certo. - Disse divertita. - Chissà come farebbe il mondo dei maghi se non ci fossi tu. Secondo me la regina dovrebbe assumerti come capo del ministro dei trasporti babbani, sai? -
- Sicuramente la metropolitana di Londra funzionerebbe molto meglio. -
- Come al solito ti sopravvaluti. -
Percy sbuffo. - Comunque spero che tu abbia ragione su Harry. - Borbottò pensieroso, tornando al discorso di poco prima. - Inoltre credo sia normale e legittimo che io voglia proteggerla, dato che è mia sorella. A tuo fratello non darebbe fastidio se qualcuno ti facesse soffrire o ti tradisse? -
- Io e Chris non siamo cresciuti insieme, quindi non abbiamo il rapporto che avete voi tra di voi. È probabile che gli darebbe fastidio esattamente come darebbe fastidio a qualsiasi altro mio amico. - Spiegò Hazel, alzando le spalle. - Ad ogni modo… Chris ha detto che gli piacerebbe conoscerti. -
Percy alzò entrambe le sopracciglia assumendo un’espressione sorpresa e poi sorrise con una certa boriosità. - Allora gli hai parlato di me. - Gongolò.
- Tsk… piantala. - Ribatté lei, alzando gli occhi al cielo.
- E, dimmi, cosa gli hai detto? - Insistette lui.
- Non gli ho detto niente, sa solo che esisti. - Bofonchiò lei, in imbarazzo.
Percy si aggiustò gli occhiali sul naso, un gesto che faceva spesso quando si sentiva sicuro di aver ragione. - Dunque quando andiamo in Scozia? -
- Andate in Scozia? - Intervenne Charlie, alle loro spalle, prima che lei potesse rispondere, appoggiandosi allo schienale del divano su cui i due sedevano. - Una fuga romantica, eh? Non ti ci vedo, Perce, in mezzo alla brughiera. -
Hazel si sentì avvampare e quando guardò Percy notò che le sue orecchie erano un po’ più rosse del solito. - Non iniziare, Charlie. - Lo fulminò lui.
Charlie, per tutta risposta, si infilò tra loro, poggiando un braccio sulla spalla del fratello e l’altro su quella di Hazel. - E dai… scioglietevi un po’! - Esclamò allegramente.
- Charlie, ti prego, così la metti in imbarazzo. - Lo implorò Percy.
Hazel si svincolò dal braccio di Charlie e si alzò in piedi. - Charlie, ti lascio prendere in giro Percy anche da parte mia. - Disse con nonchalance. - Vado ad adempiere il mio bisogno di nicotina. -
Una volta fuori dalla porta d’ingresso della Tana, Hazel si rese conto che l’inverno era arrivato per davvero. Faceva freddo e la luna era coperta da un denso strato di nuvole minacciose che la rendevano visibile solo a momenti alterni. Si sedette a terra, sull’erba rinsecchita dalle prime gelate, la schiena contro il muro, accese una sigaretta e poco dopo la porta si spalancò di nuovo, lasciando uscire Harry.
- Ti disturbo? - Le domandò di getto, come se l’avesse seguita per dirle qualcosa.
Hazel scosse la testa, e poi gli fece cenno di sedersi al suo fianco.
Il ragazzo obbedì senza alcuna protesta, sistemandosi accanto a lei, ma con lo sguardo rivolto al cielo. - Ho parlato con Janus, qualche settimana fa. - Esordì dopo poco. - Ero a Hogwarts per una lezione. -
- Come lo hai trovato? Sta bene? - Domandò Hazel.
- Sì… la McGranitt dice che è un bravo studente, che si applica molto in tutte le materie. - Rispose il giovane. - Comunque non volevo parlare di lui. Piuttosto, tu come stai? -
- Sto bene. - Sorrise Hazel, portandosi la cicca alle labbra. - E tu? Che stai combinando? -
- Niente. - Rispose Harry di getto.
Lei lo scrutò, mantenendo il piccolo sorrisetto che gli increspava le labbra. - Harry, lo so che non sono Sirius, va bene? - Disse amaramente. - Però se c’è qualcosa che non va, qualsiasi cosa, sappi che con me puoi parlare. Non potrei mai giudicarti, mai. -
- Lo so. -
- Allora vuoi dirmi cosa ti prende? Sei strano. Ginny dice che sei strano. -
Harry sospirò ed esitò prima di parlare: - Tu… tu sei felice, Hazel? Sei felice in questo momento? - Chiese, lasciandola perplessa. - Insomma tu e Percy… -
Hazel aggrottò la fronte. - Non approvi la cosa? Pensi che io stia facendo un torto a Sirius, che è ancora troppo presto per andare avanti?
- Oh, no no, io approvo eccome! - Si affrettò a dire Harry. - Certo, devo ammettere che la cosa mi ha lasciato un po’ perplesso; non so per quale motivo ma, per quanto io credo sia giusto e normale il fatto che tu voglia rimetterti in gioco, non riesco ad immaginarti con nessun altro che non sia Sirius. - Il giovane fece un lungo sospiro. - Forse non dovevo dirti una cosa del genere. - Aggiunse.
Hazel scosse la testa. - È un pensiero legittimo il tuo, d’altra parte era una mezza specie di padre per te. E anche io faccio fatica a pensarmi insieme ad un uomo che non sia lui, ma lui non c’è più, da molto tempo ormai. - Disse, e la sua voce risuonò triste e tranquilla allo stesso tempo, come se avesse finalmente cominciato a scendere a patti con quel dolore che si portava dietro. - Non tornerà più da me, e l’idea di rimanere sola per sempre stava già iniziando ad attanagliarmi da qualche anno a questa parte ma c’era sempre Janus, lì pronto a distrarmi da quel senso di angoscia. Quando poi lui è partito e mi sono sentita vuota mi sono detta che forse era arrivato il momento di pensare anche un po’ a me. -
- Ma sei ancora innamorata di lui, di Sirius? - Le chiese Harry con ansia.
Hazel batté le palpebre come se così potesse schiarirsi le idee. - Certo che lo amo, ci sarà sempre una parte di me che lo amerà, anche tra cinquant’anni. - Rispose. - Però non è come prima e sicuramente non per colpa di Percy. Sirius mi ha pugnalata alle spalle; mi fidavo di lui ciecamente, l’ho sempre fatto, ma ciò che ho ottenuto in cambio è stata la manipolazione della mia intera esistenza. Non posso dimenticare una cosa così, Harry. -
Harry annuì. - Sai, Janus mi ha detto che da grande andrà a lavorare all’Ufficio Misteri così da poter tirare fuori Sirius dal velo. - Svelò dopo un sospiro.
- Prima o poi capirà anche lui che non è possibile. -
- Ma se invece fosse possibile? - Ribatté Harry. - Ho scoperto che forse ci sono stati dei precedenti secoli fa. Dopotutto perfino Janus lo ha capito: se quell’arco è un passaggio, una porta, allora si può sia entrare che uscire. -
Hazel rimase in silenzio per qualche istante, poi premette con una certa stizza la cicca a terra. - E questi precedenti che forse ci sono stati secoli fa, che esito hanno avuto? -
Harry esitò per qualche attimo. - Non sempre buono, voglio essere completamente sincero con te. Qualcuno ha perso la vita nel tentativo di tirare fuori qualcun altro da lì, mentre altri hanno tirato fuori solo dei cadaveri. - Ammise. - Ma potrebbe non essere questo il caso. Ho scoperto che alcuni indicibili stanno indagando, che hanno bisogno solo di qualcuno che passi attraverso l’arco e… -
Hazel sospirò. - Harry… ti prego. Basta illusioni. Non fare nulla di stupido, non metterti in pericolo per una vana speranza. - Lo interruppe e poi si alzò in piedi. Lanciò un'ultima occhiata all’orizzonte buio, sospirò e aggiunse: - Stai per avere un altro bambino, Ginny e James hanno bisogno di te, ora più che mai, e sono sicura che Sirius non vorrebbe che ti mettessi di nuovo in pericolo per lui. -
- Ma tu dici sempre che vorresti almeno dargli una degna sepoltura. - Ribatté Harry.
- Se per fargli un funerale tu devi rischiare di rimetterci la pelle allora no, non voglio dargli una degna sepoltura. - Sbottò Hazel, più duramente di quanto avesse voluto. - Inoltre, ci ho pensato, e so che non voglio vedere il suo corpo, non voglio che tutto questo mi piombi addosso nuovamente e soprattutto non voglio dover perdere anche te. Quindi, per favore, smettila di fare l’eroe. -
Harry tacque e lei sospirò.
- Promettimi che non farai niente di stupido. - Tornò a parlare poi Hazel, dopo un istante di pesantissimo silenzio.
- Va bene. - Approvò lui. - Te lo prometto. -
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