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Fuga

Capitolo 15


I giorni dopo il verdetto positivo del processo di Harry furono caratterizzati da un improvviso malumore generale, che sembrò dilatarsi come un nube tossica in tutto il numero dodici di Grimmauld Place, infilandosi anche negli angoli più insospettabili della casa. Con l’avvicinarsi della partenza per Hogwarts, inoltre, l’umore di Sirius calò bruscamente, facendolo cadere sempre più spesso in quelli che la signora Weasley chiamava attacchi di broncio, durante i quali l’uomo si rintanava nella stanza di Fierobecco, parlando sempre meno spesso con tutti, Harry compreso. 

Settembre arrivò portando con sé la pioggia e un brusco calo delle temperature, mentre Grimmauld Place si svuotò nel giro di qualche giorno dopo la partenza dei ragazzi per Hogwarts, finendo in uno strano stato di surreale silenzio.  

Nonostante quell’estate non fosse stata di certo la più spensierata della sua vita, e il numero dodici non fosse esattamente un luogo accogliente, durante quei mesi Hazel aveva sempre avuto qualcuno con cui poter scambiare qualche parola durante i tantissimi momenti morti delle sue giornate interminabili. Alla fine di quelle vacanze, invece, cominciò a sentire all’improvviso un forte senso di solitudine e di abbandono. 

Lupin, che in teoria viveva lì con loro, era quasi sempre in missione per conto dell’Ordine, tornando di tanto in tanto più acciaccato e segnato che mai; Tonks passava a trovarli ogni giovedì sera per aggiornarli sui passi avanti (o indietro) che aveva fatto quella settimana con Remus, mentre Molly si presentava alla loro porta la domenica mattina, portando montagne di cibo e preoccupandosi che il bambino mangiasse sano e abbastanza. 

I mesi che seguirono furono scanditi da una routine fatta di piccole cose semplici e sempre uguali. Hazel non si sarebbe mai aspettata che vivere nel quartier generale di una associazione segreta di maghi potesse essere così noioso e a tratti deprimente. Ogni mattina si svegliava alla stessa ora con la consapevolezza di dover sopportare l’ennesima  giornata rinchiusa tra quelle quattro mura, con la sola speranza di vedere entrare da quella porta Tonks o Remus, giusto per parlare un po’ con qualcuno che non fosse Sirius o per fare una semplice passeggiata. In compenso, Hazel aveva scoperto che Londra le piaceva: adorava visitare le mostre di tutti quegli artisti emergenti che riempivano le piccole gallerie, amava rilassarsi al sole, sdraiata su uno dei tanti prati di Hyde Park ma, ogni volta che faceva ritorno a Grimmauld Place dopo qualche ora fuori, Sirius era più scontroso e imbronciato che mai. 

Si sentiva solo, inutile, un limite per Hazel e una zavorra per l’Ordine della Fenice. Non gli piaceva quella vita e nonostante lei facesse di tutto per tirarlo su di morale, non riusciva a fare a meno di sentirsi arrabbiato ogni volta che lo lasciava da solo. Poi si dava dell’egoista e finiva per tornare da lei, pieno di sensi di colpa. 

Mentre Hazel cercava di spendere le sue giornate tentando di mantenere una parvenza di produttività e normalità, magari dipingendo o leggendo o occupandosi del bambino per tutto il tempo, Sirius se ne stava immobile davanti alla finestra chiusa della stanza di Fierobecco, a guardare il tempo scorrere dietro quel vetro. Era chiuso in sé stesso, circondato da un altissimo e invalicabile muro fatto di silenzio davanti a cui Hazel si sentiva minuscola e inutile.

Con la fine di settembre le prime foglie cominciarono a cadere, invadendo i tombini della strada sottostante, poi arrivò ottobre e con esso il giorno di Halloween: Sirius detestava tutti quei gruppetti di bambini intenti a fare dolcetto o scherzetto sotto alla sua finestra, odiava il fatto che la gente osasse ancora divertirsi quel giorno che per lui aveva rappresentato la perdita della vita come la conosceva. 

Quel 31 ottobre, Tonks accompagnò Hazel e Janus (vestito da piccola zucca) a fare dolcetto o scherzetto in giro per la città, mentre lui e Remus rimasero a casa a scolarsi una bottiglia di whisky incendiario davanti al camino tra una storia deprimente e l’altra. 

- Allora, tu e Ninfadora, eh… - Farneticò ad un certo punto Sirius con voce strascicata, guardando il bicchiere vuoto che aveva in mano. 

Remus mugugnò stancamente, versando da bere all’amico, ma senza rispondere. 

- Guarda che lo so che scopate. - Insistette allora l’altro. 

Il lupo mannaro scosse la testa. Se ne stava seduto composto sul divano, le mani giunte in grembo e, se non fosse stato per le guance un po’ più rosse del solito, poteva quasi sembrare sobrio. - Io e Dora non scopiamo. - Disse, serio e solenne, ma biascicando un po’ le parole. - Facciamo l’amore, casomai, Felpato. - 

Sirius si lasciò andare in una risata simile ad un latrato. - E come se la cava la mia cara cuginetta a fare l’amore? - Gli domandò, portandosi il bicchiere alle labbra. 

- Divinamente, non ho nient’altro da aggiungere. - Rispose Remus.

- Ha davvero quel culo pazzesco o è la divisa da auror che le sta bene? - Domandò Sirius. 

Il lupo mannaro gli lanciò uno sguardo torvo. - Ha un culo pazzesco per davvero, ma tu non dovresti guardarlo. - Borbottò, muovendogli un dito contro.  

Sirius scrollò le spalle. - Lunastorta, lo sai che sono del team tette. - Gli ricordò. - Ad ogni modo è la mia Hazel ad essere quella più carina tre le due. - 

L’amico fece un verso pieno di scetticismo. - Ti piacerebbe, Felpato. - Commentò, con un sorrisetto pigro. - Ma, invece, voi due come ve la cavate con quelle cose lì? - 

Sirius fece un gesto sconclusionato con la mano, con cui afferrò poi la bottiglia ormai mezza vuota. - Lei se la cava sempre molto bene. - Raccontò. - Io… be’, delle volte è ancora un po’ strano per me. - 

- Che cosa intendi? - Chiese Remus ponendosi verso di lui con fare interessato. 

Sirius esitò e poi fece un lungo e sonoro sospiro. - Ad Azkaban il contatto fisico non è concesso in nessuna circostanza, per dodici anni infatti nessuno mi ha mai nemmeno sfiorato. - Spiegò con uno sguardo vuoto dipinto in volto. - Due giorni dopo che sono fuggito di lì ho incontrato Hazel e ci ho messo settimane per abituarmi di nuovo a cose normali come una pacca sulla spalla o un abbraccio. Quando poi l’abbiamo fatto per la prima volta io non sapevo davvero dove mettere le mani, Remus. - 

Lupin inarcò le sopracciglia e fece un piccolo sorriso intenerito. - Però poi le cose sono migliorate, o no? - Chiese all’amico. 

- Sì ma… non è come prima. E comunque non lo facciamo quasi mai, sai il bambino… - Rispose amaramente Sirius, e poi sospirò. - In realtà stare rinchiuso in questa casa mi sta togliendo qualsiasi voglia. Mi sento così stanco, Remus. -

Era durante quelle notti difficili che il mago si metteva a parlare con James nella sua testa, proprio come per anni aveva fatto ad Azkaban, illudendosi di poter sentire la sua voce ancora una volta, e raccontandogli di Janus e di Hazel, di Harry e di quanto fosse coraggioso nonostante avesse solo quindici anni. 

Qualche giorno prima di Natale, Hazel si svegliò trovando il letto già vuoto, cosa piuttosto strana dato che Sirius, che di notte faticava a prendere sonno, di solito si svegliava sempre molto dopo di lei. Si stiracchiò, passandosi le mani sugli occhi, prima di alzarsi faticosamente dal letto, buttando uno sguardo fuori dalla finestra.

Aveva nevicato per tutta la notte e adesso i tetti delle case attorno al numero dodici si erano ricoperti di neve, proprio come le strade, gli alberi e le aiuole. Si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, lasciandosi sfiorare dall’idea di portare Janus a fare un bel pupazzo di neve, adesso che era abbastanza grande da saper camminare e stare in piedi da solo. 

Poi Hazel diede un’occhiata all’orologio: erano le undici in punto e nonostante ciò in casa regnava silenzio e calma. Nessun bambino che piangeva o la chiamava a gran voce, non c’erano le urla di Walburga Black e nemmeno quelle di Sirius che litigava con Kreacher.   

Insospettita, la ragazza si precipitò fuori dalla stanza, ritrovandosi in un altrettanto silenzioso corridoio e poi giù per le scale, che scese due a due fino a raggiungere il salotto, fermandosi sulla soglia. Lì, seduti uno accanto all’altro su uno dei due divani, Sirius e suo figlio ricambiarono il suo sguardo. 

- Buongiorno! - Esclamò allegramente l’uomo, alzandosi in piedi. 

Hazel sorrise. - Sei di buon umore, oggi. - Osservò sorpresa e felice insieme.

Sirius ricambiò quel sorriso, poi alzò le spalle, la baciò, e il bambino dietro di loro protestò scontento, cercando di richiamare l’attenzione della madre, che ovviamente non si fece attendere. 

- Ha nevicato tanto stanotte, hai visto? - Disse Hazel, una volta seduta sul divano con il figlio tra le braccia. - Quando arriva Tonks mi piacerebbe portare Janus a giocare fuori. - 

- Oppure potrebbe venire Felpato con voi. - Buttò lì Sirius. 

Hazel lo guardò storto. - L’ultima volta che sei uscito ti hanno riconosciuto. - Gli ricordò. 

- Certo che mi hanno riconosciuto; ero al binario 9 e 3/4 insieme a uno come Malocchio, i Weasley, Harry e gli altri, Malfoy si sarà fatto due conti. - Spiegò Sirius. - Ma chi mai sospetterebbe di una ragazza, un bambino e un cane che passeggiano nella Londra dei babbani? Dai, Hazel, torniamo prima di pranzo! Facciamo una brevissima passeggiata e poi torniamo a seppellirci qui dentro. - 

Hazel sospirò, alzando gli occhi al cielo. - Lo sai che è pericoloso e non solo per te. - Gli disse. - Se succedesse qualcosa? Se ci attaccassero per usarti come esca per Harry? - 

- Pensi che non sarei capace di proteggere te e Janus? - Chiese lui, risentito. - Guarda che ero molto bravo nei duelli, anzi lo sono ancora. - 

- Lo so che lo sei, ma non riuscirei a stare tranquilla. - Rispose Hazel. 

Sirius gli scoccò uno sguardo gelido, poi si lasciò affondare contro lo schienale del divano, senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto. 

Hazel lo guardò. Detestava quei suoi repentini cambi d’umore e, per un attimo si lasciò così sfiorare dal  pensiero che, magari, quella di Sirius non era proprio una pessima idea.  

- Ma possiamo trovare un compromesso. - Asserì, dopo un lungo attimo di esitazione e silenzio. - Possiamo uscire, ma non dobbiamo allontanarci da qui, e staremo fuori solo un’ora, non un minuto di più. - 

- Tre ore e andiamo a Covent Garden per vedere i mercatini di Natale. - Contrattò lui.  

- Non pensarci nemmeno, è troppo lontano. - Ribatté Hazel. - Facciamo due ore, ma rimaniamo nei dintorni e ti compro un guinzaglio. - 

- Da te non me le aspettavo queste perversioni, Hazel. - Scherzò lui. - Due ore e andiamo a Primrose Hill, qui vicino. - 

Hazel sospirò. - Se qualcuno ci scoprisse… - 

- Non succederà. - La interruppe lui, fissandola con uno sguardo piano di supplica. - Ho bisogno di prendere aria e anche tu. In Scozia uscivamo sempre, perché qui no? -

- In Scozia eravamo nel bel mezzo del nulla, lo sai. - Gli ricordò lei. 

Sirius sbuffò. - Lascia stare, Hazel. Come non detto. - Bofonchiò scontento, affondando mollemente nello schienale del divano. - Qui dentro finirò per impazzire. Non ne posso più. - Aggiunse poi, mormorando. 

Hazel si angustiò. Posò una mano su quella di lui e poi abbassò gli occhi su Janus che, a sua volta, fissava intensamente il padre. Quel bambino aveva un anno e pochi mesi, ma anche lui conduceva una vita da recluso. Non aveva mai giocato con gli altri bambini ed era costretto a passare tutto il suo tempo in quella casa oscura, con un padre che rasentava quasi l’essere assente ed una madre che, per quanto si sforzasse per rendere l’esistenza del figlio più o meno normale, si ritrovava a fallire il più delle volte. 

Hazel si chiedeva spesso se tutto questo avrebbe potuto creare dei problemi a Janus un giorno; magari sarebbe cresciuto vendicativo, pieno di rabbia e rancore come Sirius, magari li avrebbe detestati entrambi senza sosta perché gli avevano strappato via tutta la prima infanzia. 

La ragazza alzò di nuovo gli occhi sul volto di Sirius, che stava fissando il camino spento con uno sguardo vacuo, e poi sospirò. - Dai, andiamo. - Gli disse, alzandosi in piedi. 

- Dove? - Chiese lui, voltando la testa nella sua direzione. 

- A prepararci. - Rispose Hazel abbozzando un sorriso. - Facciamo una passeggiata. - 

E fu così che Sirius Black scappò da Grimmauld Place per la seconda volta.

Rimasero fuori di casa quasi per tutto il giorno e si spinsero ben oltre Primrose Hill, prendendo addirittura la metropolitana per raggiungere i posti più centrali della città. In quel periodo dell’anno Londra brillava di addobbi e luci natalizie, le strade erano piene di persone intente a fare shopping e questo, insieme al manto bianco che aveva ricoperto tutta la città la notte prima, contribuiva a rendere tutto tremendamente festoso e allegro. 

Quando tornarono a casa, poco dopo l’ora di cena, Janus crollò quasi nello stesso istante in cui la sua testolina toccò il cuscino, lì in quella che non sembrava più nemmeno lontanamente la camera una volta era appartenuta a Regulus Black.

Hazel rimase ad osservarlo per qualche minuto nella penombra di quella stanza e, al suo fianco, Sirius faceva lo stesso, però guardando il bambino come se non riuscisse davvero a vederlo. 

- È così bello. - Mormorò ad un certo punto, senza distogliere lo sguardo. 

Hazel si voltò nella sua direzione e sorrise. - Vi somigliate. - Gli disse, parlando piano. 

Sirius scosse la testa, ma anche lui si lasciò scappare un piccolo sorriso. - Ha la forma dei tuoi occhi però. - Osservò, e solo allora si girò a guardarla. - Anche se il colore è come il mio, lui ha i tuoi bellissimi occhi e il tuo stesso sguardo malinconico. E sinceramente spero che, almeno nel carattere, lui possa essere più come te e che come me. - 

- Perché? - Domandò Hazel. 

- Perché sono egoista e immaturo. - Rispose Sirius, sorpreso di doverlo spiegare. - Anche oggi lo sono stato, potevo mettervi in pericolo, poteva succedere qualcosa… - 

- Ma non è successo. - Lo fermò lei, accarezzandogli il viso. - È stato davvero bello avere una parvenza di normalità per una volta. Anche se sono certa che, agli occhi degli altri, sembravamo tutto fuorché normali. Non sei affatto capace di fare il cane, è inutile che ti sforzi tanto! - Esclamò, sorridendo. 

- Be’, allora tu, che mi parlavi? - Rise Sirius. - Per non sottolineare quel muffin al cioccolato che mi hai fatto mangiare. Saresti una pessima padrona. - 

- Peccato. Stava iniziando a piacermi l’avere il controllo. Di solito hai un carattere così dominante. - Affermò Hazel salace. - Insomma sarebbe bello se tu ti lasciassi comandare un po’ anche in forma umana, non credi? - 

Sirius assunse un’espressione sorpresa e divertita insieme, e poi si mosse nella sua direzione, sogghignando beffardo. - Non sapresti tenermi testa, ragazzina. - Mormorò vicino al suo orecchio. 

Le sopracciglia di Hazel si sollevarono e lei ridacchiò sommessamente, portandosi una mano alla bocca, così da non svegliare Janus. - Se lo dici tu. - Stabilì lei, in tono canzonatorio.

Sirius la fissò per un secondo senza dire niente, prima di farsi avanti ancora di un passo, posando finalmente le labbra su quelle di lei. La baciò a lungo, stringendola a sé come se la salvezza del mondo dipendesse solo dalla vicinanza dei loro corpi, passò le dita tra i suoi capelli in disordine, finendo poi per guardarla di nuovo negli occhi, da vicino. 

- Grazie per oggi. - Mormorò sulle sue labbra. - Grazie per tutto quanto, in realtà. Di essere ancora qui nonostante ultimamente io sia un po’... be’, lo sai. - 

Hazel sorrise e annuì. - Lo so. Va bene così. - Lo rassicurò, accarezzandogli il volto segnato da tutti quegli anni di sofferenze. - Le cose si sistemeranno e torneremo a casa. Avremo una vita meravigliosa, faremo tantissime cose come… andare in vacanza. - 

- E dove vorresti andare? - Le chiese lui. 

- Oh, io ho una lunghissima lista di luoghi che voglio assolutamente visitare prima di lasciare questo mondo. - Annuì Hazel. - Al primo posto credo che ci sia l’Alaska. - 

Sirius alzò un sopracciglio, sorpreso. - E perché vuoi andare in mezzo al ghiaccio? - 

- Per l'aurora boreale. - Spiegò lei. - Immagina una casa calda e accogliente, con il tetto fatto di travi di legno e con una grandissima vetrata davanti al divano su cui stiamo seduti a bere della cioccolata calda. Fuori c’è tantissima neve e, nel cielo, tutte quelle luci danzano incessantemente sopra le nostre teste. In tutto questo, ovviamente, Janus è rimasto a casa con Remus e Dora, che nel frattempo si saranno sposati e avranno fatto un paio di bambini con cui nostro figlio potrà giocare. - 

Sul viso di lui, per un attimo, parve apparire una piega. Le parole di lei avevano formato nella sua testa un’immagine bellissima e dolorosa allo stesso tempo, un’illusione in cui gli sarebbe piaciuto sprofondare per sempre. Era quella la vita che Hazel si meritava, non essere rinchiusa insieme a lui in quel posto tremendo. 

Fermo davanti a lei, Sirius si ripeté per l’ennesima volta che le aveva rovinato la vita per sempre, che se solo fosse stato meno egoista avrebbe avuto almeno la decenza di farla allontanare da quell’inferno. 

- Sirius. - Lo chiamò lei, facendolo uscire con un sussulto da quei pensieri che lo avevano rapito. - Che c’è? Stai bene? - 

Lui annuì. - Sì, pensavo. - Disse piano, facendo scivolare la mano nella sua. - Andremo a vedere l’aurora boreale in Alaska. Sarà la prima cosa che faremo quando sarò libero. - 

- Vuoi cominciare alla grande. - Sorrise Hazel. 

Sirius annuì. - Ho tante cose da recuperare, lo sai. - Le ricordò in tono amaro. 

- Lo so. E le recupererai, solo che lo faremo insieme. - Disse Hazel. - Andiamo di là? - 

- Andiamo. -

Hazel si lasciò cadere nuovamente sul letto, guardando verso il soffitto, e con un piccolo sorriso pigro in volto. Accanto a lei, Sirius se ne stava disteso nella stessa posizione, il petto che gli si alzava e abbassava velocemente, come se avesse appena corso. 

- Perché non lo facciamo più tutti i giorni come all’inizio? - Chiese la ragazza, girandosi verso di lui e sistemandosi tra le sue braccia. 

- Fammi pensare… - Mormorò Sirius, con fare falsamente meditabondo. - Probabile che sia perché tu sei troppo occupata a fare la mamma e che finisci sempre per dire di no ogni volta che mi avvicino. -

Hazel lo guardò storto tirandosi su e appoggiandosi sui gomiti per poterlo guardare. - Se è per questo tu sei troppo occupato a piangerti addosso e a lamentarti di quanto la vita sia triste e ingiusta per farmi venire voglia di andare a letto con te. - 

Sirius annuì. - Touché. - 

- E comunque non è vero che ti dico sempre di no. - Obiettò Hazel, alzandosi da letto e cominciando a rivestirsi svogliatamente. 

- Invece è vero. - Ribatté Sirius, che intanto scrutava attento tutti i movimenti di lei. 

Era così bella, illuminata dalla luce fioca e rossastra che arrivava dal camino acceso davanti al loro letto, i capelli che le arrivavano a metà schiena, mossi e vaporosi come sempre, di quel caldo colore castano. Amava ogni parte di quel corpo, ogni singolo centimetro, ma più di qualsiasi altra cosa amava la spontaneità con la quale lei si muoveva davanti a lui anche quando era nuda, come in quel momento. 

- Vuoi rifarlo? - Le chiese sogghignando. 

Hazel sgranò gli occhi e scoppiò a ridere. - No, pietà. - Disse, prima di dare un’occhiata all’orologio. - È tardissimo. Devo dormire, altrimenti domani non mi reggerò in piedi. - 

- Vedi che dici sempre di no? - Confutò Sirius. - E non dicevo sul serio, non ho mica vent’anni, io. Purtroppo ti sei persa il tempo in cui ero un ragazzino arzillo come te. - 

- Nemmeno io ho più vent’anni, ma ben due in più. - Rispose Hazel, tornando a sdraiarsi sul letto. - E, in tutta sincerità, non mi sento arzilla, né tanto meno giovane. Non dopo la gravidanza… insomma, guardami. - 

- Ti guardo. Mi sembri esattamente come due anni fa. - Osservò lui. 

Lei lo guardò scettica, ma non ribatté. Le palpebre le si erano fatte improvvisamente pesanti, e probabilmente si sarebbe addormentata nel giro di poco se solo uno dei quadri al piano di sotto non si fosse messo ad urlare il nome di Sirius a gran voce, facendoli sobbalzare entrambi. 

- Dannato Phineas. - Borbottò Sirius, alzandosi dal letto e rivestendosi con calma. 

Hazel si portò le mani agli occhi, sbuffando. - Non mi abituerò mai a cose così. - 

- Non ti preoccupare, a casa nostra non ci saranno cose del genere. Sarà una casa babbanissima, con l’elettricità, elettrodomestiti e assolutamente nessun quadro dei miei antenati attaccato alle pareti. - Le disse lui, prima di uscire dalla stanza, mentre il quadro ancora urlava il suo nome. - Arrivo, arrivo! - 

Scese svogliatamente le scale, ritrovandosi subito dopo davanti al ritratto del suo bis-bisnonno che, non appena lo vide, si zittì. Aveva l’aria assonnata e un po’ scocciata, una lunga barba a punta, e indossava i colori verde e argento di Serpeverde. 

- Cos’hai tanto da urlare? - Sbottò Sirius, incrociando le braccia sul petto.

- Eccoti qui, indegno pronipote. - Borbottò il quadro. - Silente mi ha detto di avvisarti che Arthur Weasley è gravemente ferito e che dunque i suoi figli, sua moglie e Harry Potter arriveranno a momenti. - 

Sirius inarcò le sopracciglia, sorpreso. - Arthur è ferito? Cosa è successo? - Chiese. 

- Che vuoi che ne sappia. - Sbottò Phineas, con una scrollata di spalle, prima di sparire da quadro, lasciando solo lo sfondo color fango. 

Sirius rimase interdetto e immobile per qualche attimo. Ovviamente gli dispiaceva per Arthur, ma nella sua testa c’era solo un pensiero: presto la casa si sarebbe nuovamente riempita di gente, si sarebbe sentito di nuovo più o meno utile a qualcuno e, soprattutto, avrebbe rivisto Harry. 

Si lasciò sfuggire un piccolo sorrisetto, e quando si voltò si ritrovò di fronte a Hazel, che lo guardava, ferma sull’ultimo gradino. 

- Cosa è successo ad Arthur? - Chiese spaventata, avvicinandosi a lui.

Sirius esitò. Aveva sempre evitato di scendere in dettagli o di parlare troppo con lei di tutto quello che stava succedendo fuori dalle mura sicure di Grimmauld Place, preferiva di gran lunga che lei si focalizzasse solo sulla parte bella della magia. - Ha avuto un incidente, nulla di grave. - Le disse, infatti. - Torna a letto, hai l’aria assonnata. - 

Hazel incrociò le braccia sul petto e sbuffò. - Guarda che se vuoi tenermi fuori da certe cose basta che me lo dici, non trattarmi come una stupida. - Disse, con l’aria indispettita. 

- Non potrei mai trattarti come una stupida. - La rassicurò lui. - Però sì, vorrei tenerti fuori da certe faccende, per quanto questo sia possibile dato che vivi qui. Mi sentirei più tranquillo nel saperti tranquilla piuttosto che spaventata. - 

Hazel, nonostante sembrasse ancora piuttosto risentita, annuì. - Certo, dopotutto sono solo una comunissima babbana, che ne posso capire. - Disse freddamente, facendo un passo indietro. - Ti lascio alle tue cose da mago. -

Lui aprì la bocca per ribattere, quando dalla cucina arrivarono le voci inconfondibili dei giovani Weasley e di Harry. Guardò per l’ultima volta Hazel, che se ne stava ancora lì, davanti a lui, come se si aspettasse delle scuse. - Ne parliamo più tardi. - Disse, alla svelta, e senza attendere una risposta, corse in cucina. 

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