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Accoglienza scozzese

Capitolo 2

Passò un’intera settimana senza che Sirius Black si azzardasse ad avvicinarsi di nuovo a quella casa, rimanendo ben nascosto in una grotta non troppo lontana da lì, cercando di riprendersi almeno un po’ prima di affrontare quel lungo viaggio. Mangiava quel che trovava nei cassonetti e, ogni tanto, sotto forma di cane, raggiungeva il paese, dove si lasciava accarezzare e spesso beccava anche qualche prelibato avanzo, prima di tornare indietro. Spesso, quando ci passava davanti, lanciava occhiate furtive al basso cancelletto sgangherato che delimitava il giardino attorno al cottage in cui viveva quella strana ragazzina. La osservò da lontano per sette giorni e ci mise pochissimo ad imparare la sua routine: la mattina, Hazel si alzava presto, andava a correre sulla spiaggia poco distante e poi usciva di nuovo di casa, raggiungendo il centro abitato a circa due o tre chilometri da casa sua con la bicicletta. Lavorava nell’unica libreria del circondario e Sirius aveva l’impressione che le piacesse ma che non fosse il suo sogno. 

Come sospettava, infatti, Hazel era una artista: spesso, nel fine settimana, dipingeva in giardino, altre volte, invece, la vedeva disegnare sulla spiaggia o sul bordo di altissime scogliere scoscese. 

Non sembrava avere molti amici ma, ogni tanto, soprattutto di sera, un ragazzo la andava a trovare. Si chiamava Derek, capelli biondi che gli arrivavano alle spalle, si trascinava dietro un’aria irritante da bello e  dannato. Hazel ci passava una o due ore alla settimana, una sorta di appuntamento fisso nel quale si dimenticava di se stessa, per poi rimanere a fissare il cielo dalla finestra di camera sua con una sigaretta accesa tra le labbra, per quasi tutta la notte. 

Quella sera, quando ormai Derek se ne era andato da un po’, Felpato la stava spiando fumare come al solito, questa volta sotto il portico, con un grosso libro aperto sulle ginocchia. Lo stava leggendo piena di concentrazione, indossando una maglietta a maniche corte più grande rispetto alla sua taglia, infilata dentro a dei cortissimi pantaloncini che probabilmente aveva ricavato da un paio di vecchi jeans. Sirius tornò se stesso e la osservò, al di là del cancello, come in attesa che lei lo notasse. Ma non accadde. Rimase dunque immobile a fissarla per almeno altri cinque minuti, finché la ragazza non alzò lo sguardo dal libro, sussultando alla sua vista. 

- Sei così inquietante! - Esclamò, per poi scoppiare a ridere, chiudendo il tomo. - Puoi entrare. - 

Come era possibile che lei non lo avesse riconosciuto? Sirius se lo chiese, pronto a lanciarle un incantesimo di memoria con la bacchetta che aveva rubato ad un mago solo qualche giorno prima, ma poi però aprì il cancello, che cigolò, ritrovandosi nel giardino piuttosto trascurato. Attraversò il vialetto, raggiungendola sotto il portico. - Ciao. - Le disse. 

Hazel sorrise, spense la sigaretta premendola su un posacenere e poi si alzò in piedi. - Pensavo che non saresti più tornato, ti immaginavo già nelle Highlands a vivere a stretto contatto con la natura, cacciando cervi o cose così. - Disse, aprendo la porta di casa. 

Sirius non sapeva perché fosse di nuovo lì, ma la seguì dentro, fino alla cucina dove, sul tavolo ancora apparecchiato, c’erano i resti di quella che sembrava una torta di compleanno con tanto di candeline che segnavano il numero venti. - Hai compiuto vent’anni? - Le chiese. 

Lei annuì, sedendosi su una delle sedie. - Fare il compleanno in estate è uno schifo totale. Quando ero piccola nessuno veniva alle mie feste. - Raccontò, afferrando una forchetta e infilzando la torta, portandosela poi alla bocca. - Mangia, è buona, l’ha portata uno che conosco; i suoi genitori hanno una pasticceria, ci lavora anche lui, anche se vorrebbe fare il musicista. Suona la batteria. - 

- È il tuo fidanzato? - Domandò Sirius.

Hazel lo guardò scandalizzata. - No, è solo una sorta di passatempo, non ho tempo per le relazioni vere e proprie. - Rispose, facendo un gesto sconclusionato. 

Sirius, con una forchetta in mano, aveva intanto assaggiato la torta, sentenziando che davvero era buona, forse la cosa migliore che avesse mai mangiato, o magari lo era perché aveva passato l’ultima settimana a mangiare topi e gabbiani. Tornò a guardarla, pensando che anche lui, alla sua età, avrebbe risposto in quel modo alle domande sulla sua vita sentimentale. 

- E i tuoi genitori dove sono? - Le chiese poi, continuando a mangiare la torta. 

Sul viso di lei apparve una piega. - Mia madre è morta molti anni fa, avevo sette anni, mio padre, invece, non l’ho mai conosciuto. - Disse, alla svelta. - E tu, hai una famiglia? Sei sposato? - 

Sirius scosse la testa. - Credo che anche mia madre sia morta, ormai. - Disse, senza inflessione. 

- Mi dispiace. - Rispose Hazel, alzandosi in piedi e raggiungendo i fornelli. - Tea? - 

Sirius annuì. - A me non dispiace affatto, in realtà. - Ribatté, a costo di sembrare senza cuore. 

- Era una stronza? - Domandò la ragazza, riempiendo la teiera e mettendola sul fuoco. 

- Stronza è un eufemismo, ma sì. Lo era. - Rispose l’uomo. - E la tua, com’era? - 

Hazel si sedette di nuovo di fronte a lui, le mani incastrate una nell’altra. - Anche la mia era stronza. Era una tossica, quindi non lo faceva apposta, ma la odiavo. - Raccontò. 

- Una tossica? - Chiese lui, che non aveva idea di cosa volesse dire. 

- Sì, una drogata. È morta qui, con un ago nel braccio, una scena piuttosto pietosa. - Spiegò, come se nulla fosse, scrollando le spalle e con il viso rilassato. - Ma dimmi della tua famiglia. - 

Sirius ci pensò su, cercando di tradurre la storia della famiglia Black in termini babbani. - La mia famiglia era una banda di fanatici fascisti che si accoppiavano tra di loro per mantenere una qualche purezza. Mio padre è morto quando ero un adolescente, mio fratello è stato ucciso da uno come lui e mia madre, come ti ho detto, credo che abbia tirato le cuoia. - Raccontò. 

Lei alzò un sopracciglio, piuttosto sorpresa dal suo racconto. - Wow, fascisti che si accoppiano tra di loro, ora capisco perché sei ridotto così, senza offesa, eh, ma credo solo che tu abbia bisogno di una ripulita. - Disse, prima che la teiera sul fuoco fischiasse. Hazel si alzò da tavola, versando il tea in due tazze, per poi tornare indietro, mettendone una davanti all’uomo. - Puoi usare il mio bagno, se vuoi. Ho anche dei vestiti da uomo da qualche parte, erano di uno dei fidanzati di mia madre. Non saranno alla moda, ma sempre meglio di quella cosa che hai addosso. - 

Lui aggrottò la fronte, le mani ben strette attorno alla tazza bollente. Sapeva di non essere al massimo dello splendore ma, almeno fino a quel momento, avere un bell’aspetto e un buon odore non era stato tra le sue priorità. - Ma perché sei così gentile con me? - Domandò, quasi rimproverandola. 

Hazel trasalì. - Mi sembri in difficoltà, ecco perché. Penso che sia il minimo. - Rispose. 

- Sì, ma… perché? Non ci conosciamo nemmeno e io potrei essere una persona pericolosa e farti del male, ma mi stai offrendo massima ospitalità. - Ribatté lui. 

Lei alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. - Se fosse così lo avresti già fatto. - Disse. 

Sirius sbuffò. - È una cosa che fai con tutti quelli che bussano alla tua porta? - Chiese. 

- In realtà è la prima volta che mi capita una cosa del genere, ma sì, è ovvio che lo farei per chiunque. - Rispose Hazel. - Non so cosa ti sia successo, ma puoi fidarti, qui sei al sicuro. Puoi rimanere quanto vuoi, riprenderti e poi partire per andare dove devi andare. Tanto io non sto quasi mai in casa e, quando ci sto, mi sento un sacco sola. Mi fa piacere avere un po’ di compagnia. -  

Lui esitò. Non poteva crederci di aver trovato una persona così, dopo tutti quegli anni di abusi e tristezza. Sentì i suoi occhi pizzicare, ma si trattenne; non aveva mai pianto davanti a nessuno, anzi, forse non aveva mai pianto in vita sua, nemmeno quando James era morto, non poteva farlo davanti ad una sconosciuta. - G… grazie. - Fu tutto ciò che riuscì a dire, nascondendo il viso tra le mani. - Sul serio, non so come ringraziarti. - 

Lei si allungò nella sua direzione, mettendogli una mano su una spalla e lui sussultò, come se non fosse abituato ad essere toccato. - Lo so, l’accoglienza scozzese fa sempre commuovere voi inglesi. - Disse Hazel, smorzando un po’ la tensione e sorridendo. 

Fu quella la sera in cui Sirius Black tornò a sentirsi un essere umano. 



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