Ammissioni
Ballarono un po', entrando nel vivo della festa.
Piroette delicate, lenti sinuosi e poco altro. Jackie era aggraziata e poco aveva a che fare con la propria maschera, era una leggiadria che le apparteneva a prescindere dal suo essere divina.
«Penso che Ermes ti si addica», le sfuggì durante una giravolta che la portò tra le braccia del dio messaggero.
«Perché?» Mercer non si aspettava una tale esternazione, frutto più del pensiero di Jackie rivolto a uno sconosciuto piuttosto che quello di Afrodite rivolto a Ermes.
«Perché Ermes è il dio dei ladri, l'hai detto tu stesso, e tu sei un ladro di cuori», rispose lei avvicinandosi al suo, finendo tra le sue braccia, un vago rossore che spuntava dalla maschera preziosa.
E non solo, concluse lui nella propria mente.
«Ho rubato il tuo?» sfoggiò la faccia del baro, la sua vera maschera. Quella sfrontata e sicura, che lo rappresentava nonostante la usasse per scopi che odiava sempre più, di giorno in giorno.
«Non appena ho capito di essere la tua Afrodite, mio Ermes.» Si allontanò un poco, per riprendere a ballare come se niente fosse.
Difficile però, dato che la confessione aveva scosso entrambi, perché sapevano di essere incappati in qualcosa di totalmente inaspettato e travolgente. Una situazione difficile a cui era impossibile sottrarsi in un momento simile, a cui non volevano sottrarsi: scappare da emozioni così forti da stordire non era affatto facile, perché quando si era schiavi di qualcosa, diventava maledettamente difficile liberarsi.
Entrambi lo sapevano bene, essendo succubi di maschere che pensavano non li rappresentassero a dovere.
E dopotutto cos'è una bugia? Solo la verità in maschera.
Mercer era lì per tutt'altri motivi ma la sua umanità ebbe il sopravvento, facendogli rischiare molto, se non addirittura troppo.
«Come ti chiami davvero?»
«Jackie», rispose, dopo un'iniziale incertezza. Fu il suo momento di raccontare una bugia dal sapore di verità. Un ruolo che, inconsciamente, era sempre toccato a Mercer.
Jackie non era Jacqueline. Non del tutto. Era solo una parte. Se si fosse presentata come Jacqueline avrebbe corso il pericolo di farsi riconoscere, mandando in fumo ciò che aveva cercato di ostentare con la maschera: la vera se stessa, quella non così lontana da quel mondo, ma abbastanza da non voler essere ricordata soltanto per il cognome che portava.
«Perché?»
«Perché devo sapere a chi ho rubato il cuore.» A parlare fu ancora Mercer, non Ermes. L'uomo che si nascondeva dietro un costume che urlava tutta la realtà che lo riguardava.
«Qual è il tuo vero nome?» fu il turno di Jackie di sondare un po' più a fondo dietro il travestimento. Perché era facile mettere un viso qualsiasi dietro una maschera, ma ci si dimenticava di dover fare attenzione, perché ognuno poteva pretendere di fare la stessa cosa, lo sapeva bene. Però per lei era troppo tardi per commettere un simile errore. Doveva sapere con esattezza a cosa stava andando incontro, soprattutto con chi.
*
Mai rivelare il vero nome. La prima regola di Mercer.
Era lì come Josh Reed e tale doveva restare.
Mai rivelare il vero nome. Mai rivelare il vero nome.
«Perché lo vuoi sapere?» domanda che serviva a temporeggiare. L'avrebbe fatto sembrare una donnetta in cerca di attenzioni, probabilmente, ma non era riuscito a inventarsi di meglio. Jackie era diversa dalle altre. Umanamente divina nel suo essere divinamente fragile. Questi suoi aspetti lo avevano colpito nel profondo, crepando la facciata da baro che ostentava sempre e andando oltre essa.
«Devo sapere a chi l'ho dato», rispose lei sempre più libera da imposizioni, così simile alla sua maschera da non percepirne più la differenza.
Mai rivelare il vero nome. Un po' come le reali intenzioni.
«Mercer, mi chiamo Mercer», ammise sconfitto, dovendo combattere contro se stesso, continuando a incrinare la facciata, tanto la sua quanto quella del dio Ermes.
Ma non prestò reale attenzione alle parole di Jacqueline. Non avrebbe colto la differenza tra dato e rubato, il dono del primo gesto contro l'aggressione del secondo. Sarebbe successo dopo, quando un processo ben più ampio e sconosciuto l'avrebbe fatto scivolare in un oblio inesplorato.
Sentiva il bisogno di cambiare discorso. Si sentiva esposto e nudo davanti a lei, nonostante l'abile e accurato travestimento.
«Quale canzone vorresti ascoltare, Jackie?»
Si era ricordato il vero motivo per cui era lì, ed era subito tornato ad agire per il proprio tornaconto.
L'interessata ci pensò qualche istante, circondata dalle braccia del suo dio. Nemmeno si erano accorti di essere al centro del trambusto e fissati da mille occhi, sconosciuti e non.
«Enjoy the silence. La conosci?» era stato strano per lei pronunciare parole simili, le era sembrato di spezzare una magia.
Aveva detto una cosa talmente moderna da stridere con l'antico splendore che li circondava e che si era impossessato del loro stesso animo, rendendoli davvero quegli dei che una volta popolavano il monte greco con i loro sotterfugi e le loro tresche. Sembrava tutto lontano anni luce, ormai.
Mercer annuì e sfoderò un sorriso accattivante «Vado a prendere da bere. Aspettami qui, torno il prima possibile».
Non si era nemmeno accorta di come fossero finiti ai piedi della scalinata centrale, accanto all'elegante corrimano in marmo. Un buon posto dove ritrovarsi e sorseggiare qualcosa da bere, vista la gola secca. L'emozione giocava brutti scherzi.
Si appoggiò alla massiccia balaustra, facendogli capire che l'avrebbe aspettato.
Mercer si congedò, scomparendo subito dopo inghiottito dalla folla festante; facendosi perdere completamente di vista.
Una volta al sicuro, in mezzo a facce ignote di cui non avrebbe saputo dire quanti volti e quante maschere, estrasse dalla piccola sacca appesa alla cintura il proprio cellulare.
"Un mimosa. Enjoy the silence, chiedila all'orchestra. Tocca a te, sai cosa devi fare". Non digitò altro, ma con lo sguardo percorse l'immensa sala scrutandone i punti d'ombra, trovando chi stava cercando. Quell'immagine, così uguale alla sua, l'avrebbe riconosciuta ovunque. Il riflesso peggiore che la vita potesse offrigli, il riverbero della sua faccia da baro che poco aveva a che fare con un dio, ma tutto con Ermes.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro