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7. INSEGNAMI A GIOCARE A BILIARDO

Juliette  

Romeo mi afferrò per le spalle e mi voltò, la stretta delicata come se fossi fatta di vetro.

-Fai quello che t'insegno- la sua bocca contro il mio orecchio. Allacciò le mani alla mia vita e mi trovai premuta con il ventre contro il biliardo. L'aria faceva fatica a entrarmi nei polmoni. Il pensiero del mio corpo incastrato tra il bordo e Romeo mi faceva tremare le gambe. Mi trovavo in una prigione di carne e plastica.

Approfitta di questa notte. 

Come se fosse stata l'ultima notte dell'universo. Pregai che Romeo non sentisse il battito del mio cuore.

Dovevo ignorare il suo petto, quella lastra solida contro la mia schiena. Cocci di vetro mi graffiavano la gola. Avevo l'impressione di sentire il suo battito contro la mia schiena. Forte e chiaro.

D'improvviso il locale scomparve. C'eravamo solo noi due, la stecca, il biliardo e le palline. La musica era lontana, attutita. Il tempo si era cristallizzato. Eravamo immobili, immagini fissate in un quadro.

-Si tiene così- la sua mano aderì alla mia. Il palmo che accarezzava il dorso. -La stecca si tiene tra le dita... così- le parole mi sfiorarono l'orecchio. Mi spostò le dita. L'indice e il medio intorno alla stecca. -Bene, inspira e concentrati-

-Qual è l'obiettivo?- e perché l'aria mi mancava?

-Semplice, mandare più palle possibili in buca- tirò indietro la stecca, me con lei. La pressione del suo petto contro la schiena mi fece trasalire. -Tutto bene?- labbra bollenti contro il mio orecchio gelato.

-Devo colpire le palle con la stecca- inspirai. Da così vicino Romeo sapeva di olio per motori. Uno spasmo mi contrasse la pancia. Non avevo mai pensato di poter considerare buono quell'odore. Strinsi con più forza la stecca. Dovevo concentrarmi sulle palline. Ce n'erano mezza dozzina, sparse sul tavolo.

-Così- guidò il mio colpo, il suo petto che mi spingeva avanti. Uno schianto e le palline volteggiarono sul prato verde. Ballerine sul prato. Un paio scivolarono in una buca. -Non male per una principiante- il suo corpo si allontanò. Fu come essere gettata di nuovo nella realtà, il rumore che mi pungevano i timpani.

Il tempo riprese a scorrere come prima. E il mio cuore tornò a battere normalmente. Quasi normalmente. Mi girai. Un dolore sbocciò sul fianco. Avevo sbattuto contro il bordo. Mi morsi l'interno della guancia.

-Comunque non credo che una come te sia adatta a un posto così- allargò le braccia, i bicipiti che si gonfiavano. Ripensai ai pomeriggi in palestra, quando spiavo i ragazzi del football che si allenavano. Quando spiavo Romeo, seduto in panchina, un libro di fisica tra le mani. Già all'epoca avevo pensato che doveva essere diverso dagli altri. Che era speciale. Non solo un giocatore di football, ma anche un lettore.

-E a che posto sarei adatta?-

Romeo si spinse avanti e ridusse la voce in un sussurro. -Non c'è posto qui per una Capulet-

Ebbi l'impressione che il tetto crollasse. Sapeva chi ero. Strinsi i bordi del biliardo e spostai lo sguardo, bisognosa di un diversivo, di parole da dire. Era...

Un chioma rossa tra le luci blu. Lo stomaco mi si contrasse. No, non poteva essere.

-Che c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?-

Brian non si sarebbe mai spinto nel locale dei Montayne. A meno che ci fossero circostanze che non conoscevo. Strizzai gli occhi. Le persone mi passavano davanti e non riuscivo a distinguere...

Brian. Eccolo appoggiato al bancone del bar, le braccia incrociate, il giubbotto di pelle nera e i jeans strappati. Appena uscito da un qualche film sui motociclisti, con quella crudeltà che gli deformava i lineamenti.

Non doveva vedermi. Se Brian mi avesse vista le cose sarebbero andate malissimo. Non era solo il braccio destro di Blake. Era pazzo.

-Ehi! Rag...-

-Portami via- mi aggrappai al braccio di Romeo e mi spostai in modo tale che Brian non potesse vedermi.

Romeo mi squadrò. Dalla testa ai piedi. Sopportai quegli occhi ghiaccio. Sapevo che la mia era una richiesta disperata. Ignorai il bruciore alle guance. Ero a disagio. Nessuno era mai riuscito a farmi sentire così... inadeguata. Nemmeno Blake e lui, quando era di cattivo umore, s'impegnava parecchio.

Sapevo come doveva vedermi. Una ragazzina pallida, con un vestito che non era della sua taglia, il trucco forse sbavato. Una bambola rotta. Avrei voluto che vedesse la vera me. Come avrei voluto apparire al mondo. La ragazza che ballava in camera con la musica a tutto volume. La ragazza che sognava di scrivere storie. La ragazza che avrebbe voluto rivoluzionare il mondo.

-Perché dovrei portarti con me?- c'era un briciolo di curiosità nella sua voce.

-Perché non dovresti?- Cloe avrebbe risposto così. Una domanda a una domanda. Non abbassai lo sguardo. Qualsiasi cosa fosse successa non avrei abbassato lo sguardo.

-E tra tutti i ragazzi che ci sono in questo locale tu ti rivolgi a me?- inclinò di lato la testa, come se volesse studiarmi. I miei polmoni ebbero uno sussulto. Tentai di controllare il respiro. Non andare in iperventilazione. Ci mancava solo che svenissi. Poco ma sicuro che a quel punto Brian si sarebbe accorto di me. -Perché proprio io?- Romeo non sembrava volersi arrendere. -Se me lo dirai ti porterò via-

Come potevo ammettere perché ero andata da lui? Perché dalla mia finestra potevo vedere la sua. Perché avevo fantasticato per anni su noi due. Un amore impossibile. Capulet e Montayne. Nemmeno nei sogni più folli.

Come Nathan ed Ellen. Un sussurro sul fondo della mia mente. Per fortuna il rumore del locale mi permise d'ignorarlo. Non c'era mai stato nulla tra di loro.

-Mi piace come giochi a biliardo- una bugia stupida.

-E fermi tutti i ragazzi che giocano a biliardo?- non nascose il divertimento. -Sul serio?-

Le mani sudavano. Mi sforzai di non passarmele sul vestito.

-Ti do un consiglio, non sono il tipo con cui una ragazza come te vorrebbe fuggire- puntò un gomito sul biliardo, lo sguardo puntato su di me. Un nodo mi strinse la bocca dello stomaco. Ma che cavolo avevano quegli occhi?

-Che tipo di ragazza sarei?- spinsi indietro le spalle e mi costrinsi a sostenere la pressione dei suoi occhi. Una pressione che mi faceva mancare l'aria.

-Una brava ragazza- sollevò l'angolo della bocca. Un attimo solo, poi la bocca tornò ad assumere una linea severa.

-Sarebbe un insulto?-

-No, è un dato di fatto, sei una brava ragazza-

Scossi la testa. Il cuore mi batteva tanto forte che facevo fatica a sentire la musica del locale. –Una brava ragazza si veste così?- mi passai una mano sul vestito, nel tentativo d'imitare Cloe quando voleva sottolineare le forme. Peccato che su di lei quel movimento risultava sexy, su di me sembrava solo infantile. Una bambina che gioca a fare la donna. E il vestito che avevo scelto, con tutto quel taffetà, non aiutava.

-Non si tratta di come ti vesti, ma di cosa sei- si sporse avanti e le ciocche di capelli gli caddero sul viso, disegnando segni neri sulla pelle bianca. Le luci del locale lo facevano sembrare troppo pallido. Un pallore innaturale. –Perché vuoi fuggire?-

-Non sto fuggendo... non davvero, voglio farlo solo per una sera-

Ed ero onesta. Non volevo solo fuggire da Brian.

-Si tratta comunque di una fuga-

-Chiamala come vuoi- feci spallucce.

Mi fissò in silenzio. Perché non parlava? Non sembrava un silenzio dettato dalla mancanza di parole, ma dalla loro eccessiva presenza. Un ingorgo che bloccava l'uscita. Voleva dirmi troppe cose? –Vuoi giocare-

La dichiarazione mi colpì. Uno schiaffo. –Non è un gioco- ansimai.

-Tu vieni qua e mi chiedi di portarti via con me senza conoscermi... come posso pensare che non sia un gioco?- fece schioccare la lingua. -O una trappola, sei una Capulet, no?-

-Perché devo sempre essere una Capulet? Per una sera non posso essere Juliette e basta? Una ragazza senza complicazioni?-

Romeo afferrò una delle cuffie che aveva intorno al collo e ci giocherellò. Sembrò giovane, molto giovane. -Desideri questo?-

-Più di qualsiasi altra cosa, a te non è mai capitato di desiderare di essere normale? Di non appartenere alla famiglia a cui appartieni? Di essere un ragazzo nomale che vuole qualcosa di normale?- ma forse non gli era davvero mai capitato. Magari ero io quella sbagliata. Feci un passo indietro. Avrei potuto uscire dal locale senza che Brian mi vedesse con un pizzico di fortuna. -Non impor... -

-Stai facendo un patto con il diavolo, principessa, potrebbe costarti l'anima- e c'era qualcosa di denigratorio in quel modo di chiamarmi principessa. Qualcosa di sbagliato tra quelle sue labbra rosee, tanto vivide da risultare scandalose. -Lo capisci?-

Aveva davvero qualcosa di diabolico. Lì, avvolto in quella luce bluastra, il biliardo che gli si estendeva dietro a ricordare un prato che avrebbe portato in un luogo dove mi avrebbero fatta a pezzi. Ade che trascina con sé Persefone.

-Ci stai ripensando?- piegò di lato la testa, lo scatto di un serpente che mi ricordò che era in realtà.

-Pagherò quello che vorrai, ma portami via-



NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Che ne dite? Se il capitolo vi è piaciuto ricordate di lasciare un voto e/o un commento.

A presto!

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