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18. RITORNO A CASA

 Romeo

A casa. Dovevo riportare Juliette a casa. Sbattei le palpebre, scintille di dolore che mi partivano dallo zigomo e s'irradiavano fino alla mascella.

Maledetto Peter.

Strinsi i denti tanto forte da far aumentare il dolore.

Manca poco, puoi resistere.

L'occhio mi cadde sullo specchietto centrale. Seppi subito che era un errore. Qualcosa mi si contorse nello  stomaco. Il cuore fece le capriole.

Juliette aveva la guancia contro il poggiatesta, gli occhi chiusi, la bocca aperta quel tanto che bastava da farmi desiderare di baciarla. Maledetta bocca carnosa. Mi costrinsi a ignorare il fuoco dentro il mio petto. Avrei dovuto odiarla e invece la volevo. Immaginai di fermare la macchina, di avventarmi su di lei, di baciarla fino a farla tremare.

Mi morsi la guancia tanto forte da sentire il sapore metallico del sangue. Perlomeno il pensiero di baciare di Juliette era scomparso.

Se Peter avesse saputo che ci frequentavamo sarebbe stata la fine. Le avrebbe fatto del male. L'immagine di Juliette trascinata fuori dalla barca, buttata sulla sabbia, colpita, mi fece venire la nausea.

Devi portarla a casa. Manca pochissimo. Ce la puoi fare. È solo desiderio, qualcosa di fisico. Lo puoi controllare.

Strinsi le mani con tanta forza che le nocche divennero bianche. Dovevo rimanere concentrato.

Mi fermai all'angolo della via. Okay, ora dovevo solo svegliarla e...

-Romeo- il nome le sfuggì dalle labbra. Aveva un sapore dolce. Miele. Non avevo mai pensato che potesse suonare così bene.

-Non ci possiamo più vedere- e già sapevo che era una bugia. Non potevo starle lontano.

Vuoi vendicarti. È per questo che vuoi starle vicino.

Sì, doveva essere per questo.

-Ma io voglio vederti

La schiettezza di quella richiesta mi tolse ogni pensiero. -Vuoi vedermi?

-Sì, voglio vederti... è strano?- si morse il labbro inferiore. Sembrava una bambina.

-Non lo so... siamo rivali

-Non m'importa... io non sono tua nemica e tu non sei mio nemico- trattenne il respiro, le guance che le diventavano rosate. -So cosa vuol dire far parte di una famiglia mostruosa

-Non come me

-Oh, perché essere un Capulet è una gran cosa- storse le labbra in un'espressione buffa che mi fece sentire un fiotto di calda tenerezza.

-Blake ti protegge, nel suo mondo folle, ma tiene a te, Peter invece... - la guancia mi bruciava. Era un'umiliazione. Mi lasciava un sapore amaro.

-Perché non ti difendi?

-Non è così semplice

-Potresti difenderti, potresti...

-Peter me la farebbe pagare, è lui che gestisce ogni cosa in famiglia

-Dovresti ribellarti

-Non è così semplice- perché non capiva?

-Peter non deve permettersi di trattarti in quel modo- c'era qualcosa di ruvido nella sua voce. -Non deve essere così crudele

-E cosa dovrei fare? Andarmene? Lasciare ogni cosa?

-Sogni di fare l'astrofisico

-Un sogno, ecco cos'è

-Ai sogni bisogna credere... sai, c'è un negozio lungo la strada principale- si passò una mano tra i capelli. -Ogni tanto mi fermo a guardare la vetrina, dove c'è sempre un ciondolo a forma di croce gotica, con un nastrino di velluto nero... è uno dei miei sogni

-Vuoi quel ciondolo?

-Mi piacerebbe

-Non è un sogno esagerato- al contrario. I sogni esagerati erano altri. Era il sogno di Ellen di lasciare la famiglia. Di abbandonarmi. Di seguire l'amore. -Perché non te lo prendi?

-A Blake non piace- fece spallucce.

-Piace a te, questo basta

Juliette spostò lo sguardo. Mi rendevo conto più che mai di quanto fosse fragile. Un sogno. Una bambola. Un'illusione. Un soffio di vento poteva portarla via.

-Il ragionamento che fai vale an...

La portiera si spalancò. Juliette sussultò, le braccia a ripararsi la faccia.

-July

Una ragazza con gli occhi blu truccati pesantemente ci fissava. Un forte profumo invase l'abitacolo. Era Chanel numero 5?

-Cloe?- Juliette lasciò ricadere le braccia. -Pensavo fosse Blake

-Menomale che sono io... lo sai cosa sarebbe successo se ti avesse trovato così? Con lui!- m'indicò.

-Mmm, non ti piaccio?

-Sei un Montayne- si passò una mano tra i capelli biondi. Indossava un abito glitterato che sembrava fuori luogo.

-Di solito siamo definiti affascinanti

-Nel paese degli stolti

-Cloe- Juliette era rossa.

-Dobbiamo andare- Cloe l'afferrò per il braccio e la trascinò fuori dell'automobile. -Blake tornerà a breve, dobbiamo inventare una storia credibile

-Che storia?

-Che sei stata da Margaret, la nostra compagna del liceo

-Margaret è a Londra- si aggrappò alla portiera.

-Speriamo che Blake non lo sappia, ma ora andiamo

Juliette si voltò a guardarmi, i capelli che le rigavano il viso, il mascara sciolto. -Ci vediamo ancora, giusto?- una supplica a fior di labbra.

-Okay- una promessa strappata.

Juliette sospirò, come se le avessero tolto un peso dalle spalle. -Ci conto- e si lasciò trascinare via dalla cugina.

Restai a fissare la luce del lampione laddove Juliette era ferma fino a un respiro prima. Avevo la sensazione che le cose mi stessero sfuggendo di mano. Se avessi avuto più buon senso avrei lasciato perdere. Juliette non era per me. Era una nemica, non una persona da rivedere. Era una persona di cui vendicarmi. Era parte della sparizione di Ellen.

Sbuffai. Per quella sera non volevo più pensarci. Misi in moto l'auto e ripartii, la luce della luna che rifletteva sul parabrezza e mi faceva lacrimare gli occhi.

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