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Capitolo 12 "Peggiori Ricordi"

Passarono altri due giorni alla Banca di Spagna.

L'oro era perfettamente pronto per essere portato via, e i saldatori davano una mano con la supervisione degli ostaggi, che dopo ciò che aveva fatto Arturito, venivano sorvegliati giorno e notte; e a proposito di lui, l'ex direttore della Zecca di stato era stato legato con il nastro adesivo ad una sedia e tenuto al centro dell'entrata della banca. Purtroppo Nairobi aveva impedito a Shangai e Palermo di mettere in atto le loro idee, che implicavano quasi tutte la morte dell'ostaggio.

I due rapinatori, avevano iniziato ad andare più d'accordo, non migliori amici, ovvio... ma almeno non si volevano più sparare a vista. Palermo però aveva omesso di dire al ragazzo (come al resto della banda d'altronde) che si era rimesso con Firenze, e ciò lo rendeva abbastanza teso, non gli piaceva avere segreti dentro di sé; quello dell'amore per Andres era bastato e avanzato. Ciò che però Palermo ignorava era che tutta la banda, compreso Shangai, avessero già capito tutto; il fratello di Firenze, quando capì cosa stesse accadendo, all'inizio non fu molto contento, ma anche grazie ad Azzurra, alla fine accettò, almeno nella sua testa, il nuovo fidanzamento.

Firenze si era ripresa ad una velocità sorprendete, e quel giorno fu il primo che passò in piedi, ovviamente senza stressarsi o stancarsi; finalmente poteva andare a baciare il suo amato senza problemi. In più la prospettiva della morte, le aveva fatto venire in mente una cosa: doveva scoprire cosa fosse successo a Shangai. All'inizio pensava che sarebbe stato lui ad andare a confidarsi con lei, come facevano da piccoli; ma ciò non era ancora accaduto, e la ragazza si era ripromessa di avere vendetta su chi gli avesse fatto del male in tutti quegli anni.

Quella mattina sembrava abbastanza tranquilla, senza nessun problema, quando "Ha chiamato il Professore, vuole che anticipiamo tutto di un giorno, visto che abbiamo finito di fondere l'oro" spiegò Tokyo, dopo aver radunato tutta la banda nell'ufficio del governatore.

"E perché il Professore l'avrebbe detto a te, e non a me che sono il capo? Cos'è mi vuoi fottere saputella?" chiese Palermo perfido, innervosendosi, "Forse te eri troppo occupato a prendere per il culo le persone, che a fare il tuo lavoro..." lo derise Firenze; anche se stavano di nuovo insieme, ciò non significava che avessero smesso di punzecchiarsi; se no dove stava il divertimento? 

"Comunque, visto che siamo tutti qui riuniti, direi che è il momento giusto per fare una piccola confessione..." continuò la ragazza, guardando poi per un attimo Palermo, come a volergli chiedere il permesso. L'Argentino, seppur abbastanza preoccupato, acconsentì, e proprio quando Firenze stava per parlare, Nairobi la precedette con "Volete dirci che ristate insieme, e che ad ogni momento libero vi sbaciucchiate come due adolescenti in preda agli ormoni?" chiese guardandosi le unghie della mano. "Voi... lo sapevate?" chiese Palermo abbastanza sorpreso, "Anche un cieco se ne sarebbe accorto" rispose tranquillo Bogotà, "E poi a tutti quanti noi va bene la vostra storia, per cui non vedo il motivo di ostacolarvi..." concluse con un tono tranquillo Shangai, come a voler dimostrare alla sorella, che acconsentiva alla sua decisione.

"Ok, lo spettacolo è finito, tutti fuori abbiamo un lavoro da fare", urlò Palermo riprendendo il suo ruolo di capo, "Prima ci fate vedere un bacio?" chiese Nairobi piangendo dalle risate. "SILENZIO!" risposero all'unisono i due fidanzati.

Mentre tutta la banda usciva, Firenze si girò verso Shangai, "Ehi, posso parlarti un attimo?" chiese cauta la ragazza; il fratello la guardò stranito, "Certo...", Palermo che era l'ultimo membro della banda rimasto nella stanza, guardò la sua fidanzata, come a chiedergli che cosa volesse che lui facesse, "Vai, ti raggiungo dopo" gli disse lei. L'Argentino seppur controvoglia li lasciò soli; non gli piaceva questa cosa, voleva essere parte della vita della ragazza, non essere tagliato fuori. Per ora però doveva stringere i denti e mandare giù il boccone, si erano appena rimessi insieme, non poteva mica rovinare tutto.

Intanto i due fratelli, "Volevo chiederti... Cosa è successo in questi otto anni?" chiese di gettò Firenze; non gli era mai piaciuto girare intorno alle questioni. Il ragazzo si scurì in volto, "Non è una bella storia..." rispose cupo, "Se non l'avessi notato, tutta la nostra vita non è una bella storia..." lo incalzò la ragazza. Shangai si sedette su una delle sedie lì presenti, ed iniziò a raccontare; non si fermò mai, perché aveva paura che se si fosse fermato, sarebbe crollato, e non poteva crollare, non davanti a sua sorella.

"Quella sera che sparii... Sono stato rapito, mentre ti aspettavo su quella panchina... Ero intento ad ammirare l'orizzonte, con le ultime luci di un sole ormai tramontato, e mi si avvicinarono tre uomini, in tuta nera, inizialmente non mi preoccupai, pensavo volessero derubarmi, e tu mi avevi insegnato a combattere, al massimo ne sarei uscito con un paio di costole rotte. Invece mi accerchiarono, uno mi spruzzò uno spray sul volto, e svenni. Mi svegliai in una stanza buia, non c'era nessun tipo di luce, infatti per un po' ho pensato anche di essere diventato cieco. Restai fermo, finchè non fosse accaduto qualcosa, se ero ancora vivo, ci doveva essere un motivo. Dopo credo qualche ora, si aprì una botola sopra di me, saranno stati almeno quattro metri, impossibile arrivarci con un salto. Dalla luce proveniente dalla botola, potei vedere dove mi trovavo: sarà stato uno spazio un metro e mezzo per un metro e mezzo, non c'era nulla, e quando ti dico nulla, intendo nulla; solo un buco in un angolo, che proseguiva qualche centimetro sottoterra.

Dalla botola mi gridarono di mettermi col viso contro il muro, attaccato ad una parete, e che se non lo avessi fatto mi avrebbero lasciato morire di fame. Lo feci e sentì che veniva calato qualcosa, ma poi scoprì che in realtà era qualcuno, un uomo, uno di quelli che mi aveva stordito nel parco; aveva in mano una spranga di ferro. Mi massacrò, quando ebbe finito non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti dal dolore. Ma prima che la botola si chiudesse, potei vedere, con qualche difficoltà, che c'era un vassoio con un bicchiere d'acqua e una ciotola di patate.

Questi furono i miei quasi otto anni: tre volte al giorno entravano, mi picchiavano, mi lasciavano da mangiare e andavano via, lasciandomi al buio. In più una volta ogni dieci giorni mi portavano, una saponetta, uno straccio e un secchio d'acqua perché mi lavassi. Ogni tanto riempivano la stanza di fumo, quando il "buco dei bisogni" era pieno, ed io svenivo; quando mi svegliavo il fumo era sparito, e il buco vuoto."

Shangai finì il racconto con senso di vuoto, di malinconia. La sorella dal canto suo era sconvolta, si sentiva in colpa, se lei quella sera non si fosse allontanata, non sarebbe accaduto nulla, poteva essere evitato tutto...

-"Sicuro che posso lasciarti qui?" "Devi prendere il latte per domattina, non svaligiare una banca... Guarda ti aspetto buono buono su quella panchina" disse Victor, indicando alla sorella una panchina a qualche metro da loro. La ragazza disse semplicemente "Ci metto un attimo" prima di correre a perdi fiato verso il negozio. Dentro non c'era nessuno se non il cassiere, così la giovane prese al volo una confezione di latte, pagò ed uscì; era abbastanza tranquilla, in fondo ci aveva messo si e no un minuto. Ma quando raggiunse la panchina, "Victor..." nessuna risposta, "Victor?!" ancora silenzio, "VICTOR, VICTOR DOVE SEI?!?" la ragazza stava urlando disperatamente, mentre la sua paura più grande diventava realtà-

"E come sei scappato?", tanto valeva prendere tutto il male, tutto il dolore, in una volta sola. "Mi organizzai, studiai chi veniva da me, e le varie abitudini di ognuno... Così al momento giusto, misi fuori gioco colui che era venuta per farmi lavare, gli presi l'arma, e con tanta fatica e un pizzico di fortuna sono riuscito ad evadere. Sono stato latitante per un paio di giorni, quando ad un certo punto nel bar in cui mi stavo nascondendo, da cui tra l'altro stavo per andare via, arrivarono quei tre uomini, così scappai... Stavo correndo lungo la strada, quando mi si accostò una Stasion Weagon Grigia" "Il Professore" lo interruppe Firenze, "Esatto, mi disse di salire, e vedendo che quei tre si avvicinavano, sono salito e siamo partiti a tutta velocità. Non li ho più rivisti da allora; il Professore, mi parlò del piano, che mi voleva far entrare nella banda, e che ti conosceva bene, come prova mi ha detto il tuo nome... Così il tempo di un paio di giorni d'addestramento, ed eccomi qui" finì Shangai, "Questi sono i miei ricordi peggiori" commentò alla fine, riferendosi agli anni di carcerazione.

Firenze si sentiva veramente uno schifo dopo ciò che gli aveva rivelato il fratello, e la domanda di quest'ultimo la fece crollare, "E i tuoi ricordi peggiori quali sono?". La ragazza non ce la fece più, si alzò velocemente, e dopo aver sussurrato un "devo andare" uscì a grandi passi dalla stanza. Non fece nemmeno caso a Palermo che era all'altra estremità del corridoio.

"Ma che è successo?!?" chiese preoccupato l'argentino, "Non ne sono sicuro..." rispose Shangai, teso quanto lui.

Firenze stava letteralmente scappando, ma si sa, dai ricordi non si può scappare, "Questi sono i miei ricordi peggiori", ciò che il ragazzo non sapeva, era che queste parole avevano fatto tornare alla sorella, brutti ricordi in mente. Brutti ricordi che lei pensava ormai dimenticati.

Firenze, 20 giorni fa

Incredibile quanto una persona potesse contribuire alla felicità di un'altra. Palermo e Firenze erano più uniti ed innamorati che mai, non come il Professore e Lisbona, non un amore sdolcinato e romantico, quello dei due italiani era un amore fatto di complicità, di passione, di chimica e sintonia; insomma una storia intrigante ed affascinante.

Quel pomeriggio Firenze stava passeggiando tranquillamente con Marsiglia, parlando del più o meno, quando ad un certo punto si accorse di aver lasciato l'orologio con il video di Victor, in camera. Dopo che l'aveva mostrato a Palermo, quest'ultimo l'aveva convinta, con un po' di persuasione, a lasciarlo più spesso in camera. Non serviva a nulla, secondo lui, rimanere troppo ancorati ai ricordi.

*Ora che ci penso, non ho più visto il mio argentino da dopo pranzo*

E con questi pensieri la ragazza, dopo essersi scusata con Marsiglia, andò dritta in camera sua; anche se lasciava più spesso il suo portafortuna in camera, alcune volte aveva bisogno di sentirlo con sé.

Arrivata davanti alla porta della sua camera, abbassò la maniglia, e la scena che si trovò davanti la fece gelare: Palermo stava avendo un rapporto con Helsinki sul loro letto, lo stesso letto sul quale ogni notte, lui le diceva che l'amava. "Figli di puttana!" esclamò la giovane.

Quando i due si accorsero della presenza della ragazza, smisero la loro attività, ma nessuno dei due si rivestì o si mosse dal letto, "Come hai potuto?" chiese la ragazza con la voce leggermente tremante, rivolta al suo fidanzato, mentre sulla porta apparivano le figure di Marsiglia e Nairobi. "Come ho potuto io?! Parli te, che mi hai messo le corna con Marsiglia!" esclamò Palermo, indicando il sicario. "Io?!? Ma che dici! Non c'è assolutamente nulla con Marsiglia, lo sai..." "Sì come no, che stronza...", "Veramente..." intervenne Marsiglia facendo un passo avanti, "Lei ha ragione, non c'è niente... Anche perché, io sono gay" disse l'uomo in tono neutro, anche se da dietro si poteva sentire benissimo lo stupore da parte di Nairobi.

Palermo a questa rivelazione, ricompose in un secondo tutti i pezzi, e si sentì uno schifo: era stato Helsinki a dirgli che Marsiglia e Firenze stavano avendo una storia, lui era sempre stato geloso della loro amicizia, e quando gli era stata data la falsa notizia, aveva dato per scontato che fosse vera, senza pensare al fatto che Helsinki era sempre stato invidioso della loro storia, e che non era la prima volta che cercava di mettere zizzania tra i due. Stavolta però era diverso, perché nessuno aveva obbligato Palermo a fare sesso con Helsinki; la paura di essere di nuovo ingannato, abbandonato, stavolta gli si era ritorta contro.

"Sei una merda" disse semplicemente Firenze uscendo a grandi falcate dalla stanza. Palermo, come fulminato, si precipitò giù da letto (così come la natura l'aveva fatto), prese al volo un asciugamano che era appoggiato su una sedia lì, e corse dietro alla ragazza. "Palermo, tesoro, sei nudo..." gli gridò dietro Nairobi, "Non me ne fotte un cazzo!" rispose urlando l'Argentino.

Girare per un monastero, in pieno giorno, con solo un asciugamano in vita, nemmeno messo bene. Palermo poteva dire di aver fatto anche questa.

*Che idiota che sono* l'Argentino si dannava, e pregava tutti i santi che conosceva, che la sua fidanzata capisse e lo perdonasse. Dopo svariati minuti di ricerca, in cui tra l'altro bagnava dappertutto, Palermo trovò Firenze ad uno dei piani superiori, intenta a guardare il panorama sottostante da una delle finestre. 

"Ragazzina..." tentò di dire l'uomo, chiamandola col soprannome che piaceva tanto a lei. "Perché l'hai fatto? Cosa ho sbagliato?" chiese Firenze, senza voltarsi. Palermo non sapeva cosa fare, alla fine optò per la verità, pregando che la ragazza ci credesse, "Helsinki è venuto da me, mi ha detto che ti aveva visto baciare appassionatamente Marsiglia, lo sai che io di lui sono sempre stato geloso... in principio non ci ho creduto, ma quando dopo pranzo vi ho visto passeggiare insieme, sono stato accecato dalla gelosia, aveva paura di essere di nuovo abbandonato, come in passato... Perdonami" finì l'Argentino, "E te, hai preferito credere ad uno che ha sempre cercato di farci lasciare, invece che a me, a me che cazzo, ti ho sempre difeso a spada tratta da tutti, che ti ho sostenuto ed incoraggiato in ogni momento?! Eh?!?" chiese la ragazza girandosi, e fulminandolo con lo sguardo.

"Ti prego, perdonami... so di aver sbagliato, farò ciò che vuoi per farmi perdonare" disse Palermo con tono di supplica. "Non è una questione di perdono, il punto è che adesso io non mi fido più di te; tu lo sai ciò che mi è successo in passato, il dolore che ho dovuto subire, quanto raramente mi fidi delle persone, e nonostante tutto te hai tradito ugualmente la mia fiducia..." l'Argentino ascoltava tutto trattenendo il respiro, mentre sentiva che gli occhi iniziavano a bruciargli, e che la vista iniziava ad offuscarsi.

"Voglio che ci lasciamo, non riesco ad andare avanti con questo. Tra due settimane ci sarà la rapina, prendiamoci questo tempo per cercare di cicatrizzare le ferite. Voglio che per stasera tu mi faccia trovare le mie cose fuori dalla camera, così posso tornare in quella in cui stavo prima." Detto questo Firenze si avviò verso le camere, "Ti amo" disse in un ultimo disperato tentativo Palermo, con le lacrime che ormai solcavano il suo volto.

La ragazza si fermò un istante sulla porta, e poi in silenzio se ne andò.

Per l'Argentino, quel silenzio fu il colpo finale, peggio di una pugnalata.

Quella notte Firenze non riuscì a dormire, aveva il cuore infranto, si sentiva una stupida, ma non versò nemmeno una lacrima; Palermo al contrario passò tutto il tempo a bere alcool, a piangere, ad urlare, come a voler annegare le brutte emozioni; il dolore che aveva sentito dopo l'abbandono di Andres, non era nemmeno paragonabile a quello che sentiva in quel momento. Helsinki gli aveva anche proposto di consolarlo un po', e per poco non si era beccato una martellata in testa. L'Argentino pregò anche, per riavere la sua amata; lui che non aveva mai creduto in queste cose, pregò. Pregò i suoi genitori ormai defunti, pregò Andres, pregò chiunque gli venisse in mente.

Ma per quella sera, nessuno esaudì le sue preghiere.

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