Capitolo 10 "Equilibrio precario"
Un'altra giornata era passata.
Ormai l'oro era tutto fuso, mancava solo da sistemare tutti quei frammenti nei sacchi; poche cose erano cambiate dai giorni passati. Shangai ed Azzurra mandavano avanti la loro storia, cogliendo ogni occasione buona per stare insieme, e scambiarsi coccole; ovviamente stando attenti a non attirare l'attenzione. Quei due erano felici, stavano imparando a conoscersi, e più passava il tempo più si desideravano... un vero e proprio colpo di fulmine insomma.
Palermo invece era ancora arrabbiato per ciò che era successo nel bagno e, se possibile, evitava ancora di più Firenze, anche se la ragazza aveva cercato più volte di avere un confronto con l'Argentino; gli altri membri della banda avevano persino provato a fare da mediatori, ma non c'era stato verso. Nonostante le tensioni interne però, il colpo proseguiva senza intoppi.
Ma i rapinatori non sapevano che questo sottile equilibro creatosi stava per essere spezzato.
La sera era appena scesa sulla Banca di Spagna. Fuori da essa la situazione era tranquilla, stabile; la polizia non sembrava intenzionata ad attaccare, e la banda non aveva certo intenzione di fare la prima mossa.
Shangai e Matias stavano facendo la guardia agli ostaggi, ed Azzurra era stata già portata in bagno, quindi l'atmosfera era calma e silenziosa; o quasi, "Ascoltate, ho un piano... Vi farò uscire tutti sani e salvi" a parlare era stato Arturito; l'ex direttore della Zecca di stato, era saltato dentro la banca un attimo prima che le porte si chiudessero. Come se non bastasse, da quando era stato messo con gli ostaggi, l'uomo non faceva altro che escogitare piani per fuggire, o per rubare le armi a qualcuno della banda; se fosse riuscito a salvare tutti, sarebbe ridiventato famoso, o almeno così sperava.
"Allora ecco cosa faremo..." iniziò, ma "Oh chiudi la bocca, grandissimo stronzo!" a zittirlo era stata Azzurra; quell'uomo le dava proprio sui nervi, non lo poteva vedere. "Se provi a fare anche solo una mossa, i rapinatori se ne accorgeranno, e se la prenderanno con tutti noi... Non ti permetterò di farci ammazzare tutti", "Ammazzare? Ma zitta che te la fai con un rapinatore!" Arturito aveva sganciato una bomba, un'enorme bomba che fece aprire le fiamme intorno ad Azzurra; purtroppo l'uomo non aveva idea del tipo di ragazza che aveva difronte. "Ma stai zitto, grandissimo pezzo di merda, che l'unica cosa che sai fare è stuprare le donne, ti ficco un ombrello su per il culo se non fai...", "SILENZIO" urlò Matias, interrompendo quella discussione, e riportando la quiete nella stanza.
Nonostante le minacce di Azzurra, Arturito fece di testa sua, e appena Matias gli voltò le spalle per controllare l'altra metà di ostaggi, lo colpì alla schiena; il ragazzo d'istinto lasciò cadere il fucile, che venne subito raccattato dall'uomo. "Fermi tutti" gridò, Matias alzò le mani, tremando leggermente, mentre Shangai puntò la sua arma contro Arturito, "Arturo lascia l'arma, non fare cavolate" gli disse tranquillamente; o almeno all'apparenza. Già, perché il giovane non aveva mai sparato veramente a qualcuno, e l'idea di poter diventare un potenziale assassino, non gli piaceva affatto, "Lasciala te, a me non frega un cazzo di uccidere tutti voi stronzi con la maschera" rispose lui agitato; i due stettero alcuni minuti a puntarsi le armi a vicenda.
"Certo che sei proprio incapace in tutto" disse ad un certo punto una voce alle spalle di Shangai: Palermo era appena entrato dalla porta, ed ora stava affiancando Shangai, "Ascolta moccioso, lascia ai grandi le armi, tu torna a succhiarti il pollice" lo derise l'Argentino. "Di certo sono più uomo di te, emigrato orbo" rispose il ragazzo abbassando il fucile, e guardando minaccioso Palermo, il quale sostenne e ricambiò lo sguardo, con odio. "Risolviamola una volta per tutte, frocio" gli scandì a denti stretti Shangai, che stringeva forte il suo fucile, facendosi venire le nocche bianche. La scena era alquanto surreale: Arturito aveva un fucile puntato contro i rapinatori, e questi invece di cercare di fermalo, pensavano a litigare tra di loro.
Dopo un attimo di insicurezza, Palermo rispose "Con piacere...", così dicendo si girò verso Arturito, guardandolo come se fosse uno scarafaggio gigante, "Dai Artuto dammi quel fucile, così posso sparare a questo moccioso insolente...", l'Argentino fece qualche passo con la mano tesa verso l'ex Direttore della Zecca, ma l'uomo reagì d'istinto e fece una cosa del tutto inaspettata: fece partire un colpo.
Per alcuni istanti il tempo si fermò, tutti erano paralizzati. Palermo e Shangai si guardarono, come a volersi assicurare che fossero entrambi vivi e senza ferite, ed è in quel momento che realizzarono una cosa: prima dovevano sistemare quel pazzo ribelle, e poi avrebbero ripreso a farsi la guerra, altrimenti sarebbe finita male per tutti; così seppellirono mentalmente l'ascia di guerra, e tornarono a concentrarsi sull'ostaggio.
Arturito, eccitato dalla reazione suscitata dal suo sparo, disse sorridendo, "Ora non fate più i duri eh? Non ridete più.. ora sono io a ridere, sono io a prendermi gioco di voi!"; la situazione sembrava critica, a quel pazzo era piaciuto sparare, e sicuramente lo avrebbe fatto di nuovo. Dopo minuti interminabili però, successe una cosa che ribaltò il tutto: in una frazione di secondo, Arturo si ritrovò steso a terra, con la testa dolorante, e dietro di lui Azzurra con un pezzo di legno ancora sollevato in aria, "Ti avevo detto che non ti avrei permesso di farci ammazzare, grandissima testa di cazzo" gli disse con disprezzo la ragazza; Shangai si affrettò a raccogliere il fucile caduto ad Arturo, ringraziando con lo sguardo la giovane.
Anche Palermo avrebbe voluto ringraziarla, ma visto il legame della nuova coppietta e dopo la scena del bagno, non gli sembrava il caso in quel momento; magari se in futuro si fossero tutti chiariti...
"Visto... sta con loro... Oddio sto morendo..." iniziò a dire Arturito, facendo una scena degna di un Oscar. "Ti ha colpito alla nuca, è normale tu sia caduto, ma non è niente di grave, se no a quest'ora saresti già svenuto" iniziò a spiegare il direttore della Banca, che aveva fatto qualche anno di medicina, "E comunque, lei ha solo fatto ciò che avremmo voluto fare tutti" concluse poi lui.
Quando tutto sembrava ormai risolto, ci fu la doccia fredda: si sentì un tonfo sulla porta, così tutti si girarono verso di essa, e i due rapinatori videro Firenze accasciata a terra che si teneva il fianco sinistro; sul pavimento si stava iniziando ad aprire pian piano, una pozza di sangue.
Palermo d'istinto e senza pensarci, corse da lei, cercando di capire il problema, "Arturo mi ha... colpito, ma... c'è il foro d'uscita" disse con fatica la ragazza, mostrando il bossolo del proiettile che teneva nella mano libera; Firenze levò un attimo la mano del fianco, mostrandola all'Argentino completamente piena di sangue.
Palermo si caricò un braccio della giovane sulle spalle, e cercò di aiutarla a camminare fino alla stanza più vicina, almeno per toglierla agli occhi curiosi degli ostaggi; gridò intanto a Shangai, "Chiama Nairobi e Bogotà!"; il giovane lì per lì avrebbe voluto andare con la sorella, ma capì che non era il momento di litigare, così fece quanto gli era stato detto, *Mi devo fidare di lui... Che brutta cosa...*.
Arrivati, non con poca fatica, nella stanza, che si era rivelata un normalissimo ufficio, Palermo fece stendere Firenze sulla scrivania presente lì, e iniziò a slacciarle la tuta per vedere le ferite, anche se con un leggero imbarazzo. Intanto arrivarono anche Nairobi e Shangai; quest'ultimo vedendo cosa stesse facendo l'Argentino, lo aggredì accecato dalla rabbia, "Lo sapevo... Che cazzo stai facendo a mia sorella?!?" Palermo si girò a metà tra lo spazientito e lo sconvolto, "Cosa credi che stia facendo? Cerco di salvarle la vita!" "Raccontalo a qualcun altro, non mi freghi a me... Te ne volevi approfittare!" lo accusò il ragazzo, *Non ci credi nemmeno te a ciò che hai appena detto, avresti fatto la stessa cosa al suo posto... la verità è che sei solo geloso che un altro uomo giri intorno a tua sorella* coscienza inopportuna.
I due rapinatori stavano per mettersi di nuovo a litigare, ed erano anche sulla giusta via per farla finire in una rissa, quando Nairobi risolse tutto in un minuto, "Smettetela! Se le hanno sparato è solo colpa vostra, se voi non foste stati impegnati a litigare, quell'idiota non avrebbe sparato, e Firenze ora starebbe bene... quindi, il minimo che adesso potete fare è andare via" concluse la donna, continuando ciò che aveva iniziato Palermo, e finendo di sfilare la tuta dal busto di Firenze; la maglia sotto da grigia era diventata per metà rossa.
"Lui va via, ma io sono suo fratello, per cui resto..." cercò di dire Shangai avvicinandosi alla sorella, ma questa lo fermò con un gesto della mano, e con fatica disse, "Andata via... tutti e due..."; i due rapinatori se ne andarono, entrambi mortificati, lasciando Nairobi e un Bogotà appena arrivato, a curare meglio possibile le ferite di Firenze.
Mentre camminavano in silenzio per i corridoi, "Ora parliamo moccioso" disse Palermo d'un tratto, trascinandosi Shangai in un angolo; non seppero dire perché, ma prima di quell'affermazione, camminarono uno affianco all'altro per molto tempo.
"Non me ne fotte un cazzo se hai problemi con me, o se non credi a ciò che dico..." iniziò l'Argentino, "Ma io amo tua sorella, e questo non cambierà, ficcatelo in quella testa vuota che ti ritrovi", "Se la ami così tanto, perché vi siete lasciati? Sentiamo" chiese Shangai incrociando le braccia; aveva sentito tutta la storia dal resto della banda, ed ora voleva sentirla anche dal diretto interessato. "Siamo stati ingannati, a me hanno fatto credere una cosa su tua sorella, una cosa per cui ero molto arrabbiato, così mi sono vendicato mettendo le corna a Firenze; quando ho scoperto che era tutto falso, era troppo tardi... Ho cercato di scusarmi in tutti i modi, ma tua sorella non ha voluto perdonarmi, e ha preferito mettere fine a tutto." Spiegò l'uomo, con la voce tremante di rabbia, "Per questo mi comporto sempre così con lei, è più facile odiarla che ammettere che mi manca" concluse lui, fissando il giovane, con occhi lucenti e sinceri.
Shangai lo guardò intensamente, allo stesso modo che faceva spesso la sorella, "Guardami negli occhi, e dimmi cosa provi per lei", si diceva che gli occhi fossero lo specchio dell'anima, ed era su questo che puntava il ragazzo; aveva sempre avuto un dono per capire se una persona mentiva o no. "Io amo tua sorella, la amo come non ho mai amato nessun'altro... e ti strangolo con le mie mani, se ti azzardi a dirlo ad anima viva", il giovane potè scorgere la sincerità negli occhi di Palermo, (anche sull'ultima parte); la pura e semplice sincerità.
"Io... mi scuso per come mi sono comportato, non avevo mai visto mia sorella innamorata così di qualcuno, per questo quando vedevo come ti comportavi, reagivo male... Che dici, facciamo una tregua?" propose con un certo imbarazzo Shangai, tendendo la mano; Palermo dal canto suo, guardò titubante per qualche secondo la mano tesa del giovane, e poi, "Tregua, ma non ti aspettare che ora sarò baci e abbracci, moccioso" concluse l'Argentino accennando un sorriso provocatorio, ricambiando poi la stretta di mano.
Fu in quel momento che i due videro correre verso di loro Nairobi, "Vi ho cercato dappertutto!" esclamò dopo averli raggiunti; "Firenze aveva ragione, c'è il foro d'uscita... Il proiettile ha mancato di poco il polmone, ma ha incrinato due costole, per questo faceva così fatica a parlare..." "Come sta?" la interruppe Palermo, forse con fin troppa preoccupazione nella voce, "è cosciente, però ogni volta che respira a parecchio dolore, gli ho dato un paio di antidolorifici, e ora aspettiamo che facciano effetto..." continuò la donna; "Possiamo vederla?" chiese speranzoso il fratello, "Meglio di no, con la sua situazione, deve riposare il più possibile..." concluse Nairobi, andandosene, lasciando i due soli.
"è colpa mia, mia sorella mi ha protetto per anni, e io l'unica volta che avrei dovuto proteggerla, non l'ho fatto..." disse amaramente il giovane, chiudendo gli occhi e lasciando cadere poche lacrime silenziose; non gli interessava essere visto da Palermo, il dolore, il senso di colpa che sentiva dentro di sé era troppo grande. L'Argentino stava guardando tutta la scena, impassibile: in passato ci avrebbe pensato lui a consolare il ragazzo, ma ora le cose erano diverse, ora il suo cuore portava un nome inciso sopra; così disse a Shangai, "Resta qui", poi andò nella stanza degli ostaggi dove Matias ed Helsinki facevano da guardia, "Vieni con me" ordinò secco ad Azzurra, la quale lo seguì con una certa preoccupazione.
"Dove mi stai portando?" chiese lei a metà strada; che avesse deciso di farla fuori per vendicarsi su Shangai? No dai non può farlo, *è Palermo...* giusto anche quello; come se l'Argentino l'avesse letta nel pensiero, "Non voglio ne ucciderti ne farti alcun male, è per questo che ti ho portata qui..." concluse lui, svoltando un angolo; entrambi si ritrovarono davanti a Shangai, che seduto in terra si teneva il viso tra le mani.
Non appena sentì la loro presenza, il ragazzo alzò lo sguardo, e sul suo volto si dipinse un'espressione sorpresa, "Cosa..." provò a dire, ma Palermo lo interruppe, "Avete quindici minuti, fatteli bastare, poi devi riportala di sotto... e occhio perché saprò se sarai puntuale o no" così dicendo l'Argentino fece per andarsene, ma venne interrotto un istante da un "Grazie" sussurrato da un riconoscente Shangai.
Palermo si avviò per il corridoio, *Ok, ho quindici minuti per andare da Firenze*.
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