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Sai cosa desideri?

Sai cosa desideri?

Sapeva cosa desiderava ed era per questo, in fondo, che resistergli era sempre più difficile, complesso, folle, innaturale, persino.

Di più, era ciò che esasperava entrambi, quello che la lasciava sfiancata, esausta, ma viva. E sentirsi viva, lì, dov'era rinchiusa, era un privilegio. Lo sapeva, ne era consapevole in maniera dolorosa. I polsi sottili, lievemente escoriati perché stretti nella morsa dei ceppi, le dolevano. L'ultima volta, lui aveva tentato di aprire le catene e di liberarla, ma lei lo aveva fermato. Perché? Non lo sapeva. Bugia. Deglutì nella penombra, pensando con lucida freddezza alla sua condizione – e un tremito la sconvolse, al pensiero.

Il gioco, pericoloso e terribile, le piaceva.

Loki si era stupito per quell'improvvisa presa di posizione, ma poi le aveva riservato un ghigno compiaciuto, leggendole dentro quella colpa terribile che la scioglieva con implacabile puntualità. Si era avvicinato tanto a lei da posarle le labbra ironiche sull'orecchio per sussurrarle perfido il suo– il loro – segreto, per poi far scorrere la lama del suo pugnale affilato sul suo corpo teso, reattivo, pronto – corpo che l'aveva tradita senza ritegno, desiderando con forza quelle attenzioni, inumidendosi tra le gambe. L'intenzione dell'Ase non era ferirla né spaventarla, ma eccitare i suoi sensi grazie alle lente carezze inflitte col metallo freddo e acuminato sulla pelle. E c'era riuscito, perché era crudele e capace e amava divertirsi con lei, anche se, dietro i suoi occhi verdi, il desiderio era spesso offuscato dal rancore.

Col fiato corto, aveva cercato il suo sguardo tanto chiaro da sembrare trasparente e lo aveva sfidato, perché l'unico modo di vincere una partita col dio degli inganni era stuzzicare la sua intelligenza, incuriosire il suo spirito inquieto, tormentato, tetro.

"Tu cosa vuoi da me, ora?" gli aveva sibilato contro, fiera. Il pugnale era risalito e l'acciaio della lama le premeva contro il collo, ma pur sentendo l'arma su di sé non aveva avuto timore di morire.

Loki non le avrebbe tagliato la gola. Non fin quando le serviva, non se la guardava così. Come fosse qualcosa di raro.

Si era messo a soppesare la sua domanda irriverente e, nel farlo, le aveva ghermito un fianco, in cerca di un lungo strappo che aveva rovinato la sua veste di seta. Si era fatto largo tra la stoffa insinuandosi con la mano libera tra le sue gambe, accarezzandola, tormentandola, esplorandola per compiacersi del languore che l'avvolgeva.

Era riuscito a strapparle un ansito basso, incontrollato. Lui aveva insistito, senza mascherarle il compiacimento per il desiderio inaspettato che gli bagnava le dita ed era il preludio di altro – di qualcosa che ancora non doveva essere consumato.

"A me non basta, scoparti," le aveva sussurrato Loki. "Quello può farlo chiunque, qui." L'allusione era riuscita a farla impallidire e allora aveva avuto paura, sì, paura come quando era stata catturata e condotta dentro quella prigione.

Se si fosse stancato del suo giocattolo, cos'avrebbe fatto l'annoiato dio dell'inganno, costretto a portare avanti una campagna tediosa, una guerra di logoramento la cui risoluzione era tragicamente lontana?

"Da te, io voglio di più." Gliel'aveva detto assaggiandole il labbro superiore, per poi ghermirle di nuovo la bocca con un bacio sfacciato, lento e inesorabile, senza smettere di accarezzarla tra le gambe tremanti – si sarebbe fermato solo per negarle il piacere finale e lasciarla nella penombra della cella.

Resistergli era un'illusione in cui era sciocco crogiolarsi, ma era l'unica cosa che le rimaneva. Loki era crudele, volubile, fiero. La soddisfazione non si accordava alle note del suo spirito inquieto, tutt'altro. Si stancava in fretta di ciò che aveva e si sarebbe stufato anche di lei. Cosa avrebbe fatto, allora, alla preziosa figlia di un avversario che, per un breve periodo, era stato un suo alleato e, persino, suo mentore? Pensò che fosse stata tutta una montatura: l'ennesimo inganno perpetrato da colui che ne era il dio ed era entrato nella sua stanza nel cuore della notte, caricandosela sulle spalle così com'era, scalza e in camicia da notte.

"Tu sei la mia garanzia. Si arrenderà per te, alla fine," le aveva ghignato mentre la stringeva. Sigyn ricordò che aveva tremato, perché la seta era troppo sottile e le sembrava che Loki le toccasse direttamente la pelle. L'aveva stretta a sé nella fuga e la sua presa era stata decisa e forte, ma non rude.

Vedendola tremare, le aveva ceduto il suo mantello, posandoglielo sulle spalle. Lei non era riuscita a fare a meno di sollevare le gambe affinché i suoi piedi scoperti e mortalmente freddi incontrassero il tepore del pesante indumento, ma, nonostante questo, non gli aveva risparmiato parole caustiche.

"Prima mi rapite, poi siete cortese."

Loki le aveva lanciato un'occhiata attenta, non priva di una certa lascivia. "Non è niente di personale, te l'assicuro. Tuo padre è un uomo crudele. È ostinato, pericoloso."

Lei non era riuscita a trattenere una grossa, sola lacrima. "Anche tu lo sei."

Un rumore di passi oltre la porta chiusa la riscosse, liberandola momentaneamente dai ricordi. Riconobbe con un brivido gli stivali che calpestavano il corridoio. Era lui. Era tornato per tormentarla, stuzzicarla, portarla al limite e poi lasciarla lì, in preda a una tortura tremenda e dolce assieme.

Resistergli era troppo difficile, folle, assurdo.

Ogni volta i suoi sospiri diventano più rapidi, frenetici, incontrollati. Loki entrò nella cella e la raggiunse, le girò attorno, giocò con una sua ciocca sciolta e bionda. Poi le prese con due dita il mento e lo sollevò per incontrare il suo sguardo.

"Questa cella è troppo umida per te," constatò. "Non voglio vederti sfiorire."

Sigyn gli rivolse un sorriso mesto, perché il suo aspetto era grazioso, nell'insieme, ma certo non sorprendente. Le lusinghe di Loki avevano il solo potere di confonderla. Le diede un bacio e lei lasciò che le labbra beffarde dell'Ase lambissero le sue, le assaggiassero, le sfiorassero. Loki la cinse per la vita e la strinse a sé. Odorava di cuoio, di pelle, di unguenti Æsir. Le sue belle dita di mago corsero sulla seta leggera di quello che era stato un magnifico abito, sfiorandole il seno tremante, il ventre piatto, la linea dei fianchi, per poi scendere con studiata lentezza fino all'orlo strappato della gonna e risalire su, tra le sue gambe, replicando la squisita tortura di qualche giorno prima, solo che.

Solo che stavolta incontrò il tessuto della biancheria, giocò con l'orlo, le sorrise trionfante, mentre le sue dita si insinuavano tra il tessuto e la pelle. Stava togliendogliele.

"Mia signora," la canzonò, "la campagna va meglio del previsto. Presto il nostro tempo qui finirà," aggiunse, mentre la stoffa di quell'indumento sottile le scivolava sulle ginocchia, cadeva fino alle caviglie.

Sigyn deglutì. "Che ne sarà, di me, dopo?"

La sua voce s'incrinò, scossa dal tremito che la bocca dell'Ase che sfiorava con esasperante lentezza il suo collo le provocava. S'inarcò, quando lui le slacciò il corsetto per liberarle il seno, gemette, quando le labbra beffarde del dio degli inganni le lambirono le areole scure, intirizzite dal freddo, indurite dal desiderio inevitabile che nutriva per lui e la situazione. I ceppi che la immobilizzavano cigolarono sotto una sua spinta e Loki si fermò per puntarle contro quei suoi occhi verdi, aguzzi, freddi, slacciare con un gesto secco la fibbia che gli chiudeva i pantaloni.

"Tu sai che succederà," le ricordò torvo, ed era vero, Sigyn lo sapeva. Lo scopo del dio degli inganni era vendicarsi di suo padre e della sua famiglia, seducendola per poi riconsegnarla ai suoi parenti. Ecco perché la tormentava con carezze e attenzioni, posticipando il momento in cui l'avrebbe avuta. Non gli bastava avere il suo corpo, no. Il dio delle beffe e degli inganni doveva possedere la sua anima, condannandola a essere perfettamente cosciente del fatto di aver voluto, bramato, aspettato ogni sua carezza, bacio, attenzione.

Sigyn rabbrividì di fronte al modo deciso con cui Loki le tirò su la gonna, le afferrò un fianco.

"Potrei slegarti," azzardò l'Ase con un ghigno, facendo scorrere ancora le sue mani sul corpo teso e pronto di Sigyn.

"Potrei slegarti e forse saresti più comoda," ipotizzò, carezzandola tra le gambe tremanti, in attesa. Sigyn gettò il capo all'indietro, sopraffatta dalla sensazione dolcissima delle belle dita dell'Ase che scavavano dentro di lei incontrando la carne pulsante, umida, disponibile. Loki era crudele. Come le sue labbra perfide che le baciavano il collo, il mento e il seno e poi le labbra, per il solo gusto di sentirla tendersi, inarcarsi, ansimare.

"Potrei slegarti," ripeté e lei gli disse no e quasi non se ne rese conto. Provò a darsi una giustificazione; tentò di farlo mentre i fianchi ormai liberi del dio dell'inganno affondavano finalmente in lei, strappandole un gemito sorpreso, scollegandola, per un momento, dal mondo. Averlo così, sentirlo dentro di lei, annullava tutto il resto. Si sentì completa, persa, viva.

"Potrei slegarti, ma ti piacerebbe meno," ghignò l'Ase, ma la sua voce era roca e il modo in cui la faceva sua suggerì a Sigyn altro – che anche lui trovasse quella situazione perfetta e godesse a ogni affondo, carezza, bacio.

Si stavano avendo in maniera sfacciata, cercandosi con un'ansia che le spinte dell'Ase parevano non riuscire a saziare, né a spegnere, anzi. Sigyn soffriva. Il dolore ai polsi si mescolava ad altro – al pungente piacere che la faceva sospirare a ogni spinta desiderandone ancora, ma la sofferenza vera era dovuta ad altro: i ceppi che la intrappolavano, lasciandola alla totale mercé del crudele dio dell'inganno, le impedivano anche di toccare quel corpo che si era unito al suo; non poteva cingergli le spalle, i fianchi, né aggrapparsi alle sue braccia. Era sua – lui lo ribadiva a ogni affondo, a ogni bacio e glielo sibilava nelle orecchie mentre esplorava il suo corpo, ma Sigyn non poteva fare altrimenti. Non le rimaneva che abbandonarsi al caos, ma era abbastanza? E dopo, cosa sarebbe rimasto di lei, quando, a guerra finita, si sarebbe ritrovata a sognare di essere ancora in quella cella umida?

Voleva essere ovunque, con lui: questo era il punto – la sua colpa.

"Dopo mi lascerai andare? Ci riuscirai?"

La sua famiglia l'avrebbe ripudiata, sapendo cosa Loki le aveva fatto. Si corresse mentalmente. Cosa lei aveva desiderato le facesse.

Il dio degli inganni l'aveva vinta.

Non riuscì a dimenticare che il suo corpo l'aveva tradita e a odiarsi per non essere stata capace di opporsi, di resistergli, ma nonostante questo fu scossa da qualcosa di violento e incontrollato che cancellò ogni titubanza, dubbio, pensiero; Loki le ghermì con più forza i fianchi, la zittì con un bacio fatto di molti altri e poi tutto scomparve – uno spasmo improvviso la fece tendere e gridare, mentre l'Ase la sosteneva, la tratteneva e, scosso dallo stesso fremito, infine poggiava la fronte sulla pietra umida e fredda.

"Non posso più tornare nella mia casa," gli sibilò contro – erano ancora avvinghiati, uniti, stretti l'uno all'altra.

Il ceppo cigolò tetro e Loki, ancora col fiato corto, si volse verso di lei, puntandole contro un'occhiata feroce. Le bloccò la nuca per strapparle un altro bacio, rivestendosi. Sganciò le catene dall'anello di ferro, la condusse fuori nonostante a Sigyn tremassero le gambe, ma senza liberarle i polsi.

Lei si accasciò: da troppo tempo era costretta nella medesima posizione e le sue ginocchia cedettero. Il dio degli inganni la sollevò di peso, come aveva fatto la notte in cui l'aveva portata via dalla sua stanza.

"Che vuoi fare? Dove mi porti?"

La morse il terrore che lui si fosse già stancato e desiderasse liberarsene o che fosse intenzionato a cederla ad altri – del resto, l'aveva avuta, cos'altro gli poteva interessare? – e i suoi dubbi e timori furono confermati dall'ostinato silenzio del principe degli Æsir. Si dibatté invano, ma era una ragazza esile e minuta e Loki era un guerriero slanciato, alto, forte. Attraversarono corridoi, stanze, salirono scale: chi li incrociò li guardò con sospetto, ma non si pronunciò sulle discutibili azioni del figlio di Odino, che girava per il castello con una prigioniera tra le braccia. Giunsero, infine, di fronte a una porta in legno decorata con incisioni che raccontavano di mostri marini e di battaglia e d'altri mostri. L'Ase l'aprì con un calcio e ed entrò, per fermarsi solamente di fronte a un letto ampio – fu lì che l'adagiò, su una coperta fatta di pelliccia e seta, con i suoi colori. Sigyn, stupita, diede un'occhiata rapida all'ampio camino in cui crepitava un fuoco vispo, alla ricca eleganza della stanza. Loki si stese su di lei.

"Non ti lascerò andare né ti slegherò, per ora," ghignò sardonico, perfido.

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