Resterà il ricordo di un bacio (parte 2)
Così erano passati i giorni, le settimane, i mesi, gli anni persino. Sigyn ora leggeva con voce trasognata e scriveva le rune con una grafia tondeggiante e femminile e Loki talvolta, ascoltandola, afferrava il senso di quel desiderio ormai esaudito: la sua schiava si era liberata. Avrebbe servito per sempre la Casa di Odino, certo, ma grazie ai libri e ai poemi che le consentiva di prendere dalla sua personale libreria, avrebbe avuto modo di vivere mille vite e ancora più avventure. Loki, invece, sentiva i lacci pesanti della sua condizione di cadetto stringerlo fino a strozzarlo e a levargli il respiro, segargli la pelle: posizione da cui non si sarebbe liberato mai perché Padre Tutto, nella sua apparentemente immensa saggezza, come sempre aveva preferito Thor a lui. Scelta che, certo, non era riuscito a sorprenderlo; il suo unico occhio grifagno si posava sempre con orgoglio sulle bravate da spaccone del suo irruento fratello, concedendo invece a lui nient'altro che uno sguardo attento, guardingo, spesso indecifrabile. No, Loki non poteva liberarsi grazie a qualche lettura: per farlo, avrebbe dovuto necessariamente convincere suo padre che aveva commesso un errore, nominando il dio del tuono come suo erede; fargli vedere quanto Thor fosse solo all'apparenza meritevole, mostrargli la realtà che Odino sembrava ostinarsi a ignorare. A questo serviva Jotunheim. A rivelare l'inadeguatezza di suo fratello e a mettere in luce lui, più scaltro, abile, posato, intelligente. Degno, in una parola.
Eppure, ora, la terra dei Giganti era ancora solo un'idea, un sogno, un progetto; la sua ombra oscura e mortalmente gelida, nient'altro che un presagio offuscato che velava il cuore di Sigyn perché l'alba era ancora lontana e, forse, la ragazza aveva ancora tempo per convincere Loki ad abbandonare il suo piano geniale e scriteriato. L'ingannatore le accarezzò perfido le labbra, gustandone la morbidezza. Lei rispose al contatto con trasporto, tentando dolcemente di liberarsi dalla sua presa, perché voleva stringerlo a sé facendo scorrere le dita sulla linea elegante della schiena del giovane guerriero, sui muscoli tonici e scolpiti, sui fianchi nervosi e già impazienti.
Loki non l'accontentò, ovviamente. Abbandonò la sua bocca per dedicarsi con esasperante lentezza al collo, alle clavicole, al seno piccolo e rotondo, che si alzava e abbassava tremante per l'aria fredda della sera che filtrava dalle finestre e per la lingua beffarda dell'Ase che giocava e tentava, lambiva e sfiorava. Sigyn boccheggiò e, finalmente, fu libera di afferrargli i capelli neri e scompigliati, di accarezzargli il collo e le spalle mentre lui scendeva implacabile sulla pelle tesa del ventre, sulla curva dolce del bacino e poi più giù, col chiaro intento di farle perdere il controllo.
"Ti ho aspettato per giorni e domani partirai di nuovo," sospirò la ragazza mentre lui le scostava le gambe, sfilava la biancheria sottile.
"Per domani notte saremo già tornati," predisse Loki sicuro, accorgendosi di quanto lei lo volesse, posando le labbra ironiche sulla carne morbida, pulsante. Sigyn avrebbe voluto dirgli qualcosa del presagio, raccontargli i dettagli che ancora danzavano vividi nella sua testa, ma chiuse gli occhi e ansimò sorpresa per le carezze audaci del giovane principe.
Un principe di sangue non dovrebbe far questo a una schiava. Sarebbe più opportuno se si limitasse a soddisfare i suoi bisogni in maniera egoistica, anziché dilettarsi facendola sospirare e impazzire. Solo che il dio degli inganni e del caos adorava sentirla invocare il suo nome, si divertiva nell'esasperare il desiderio che già la stringeva, era incapace di resistere all'impulso di sedurla ogni volta, di sentirla viva sotto di lui. Lasciò che Sigyn si abbandonasse al caos di cui era il signore e, quand'era ancora sconvolta e ansante, la fece sua, entrò dentro di lei. Le dita sottili della ragazza gli cinsero le spalle, il suo sguardo annebbiato e confuso si posò su di lui. Nei suoi occhi grigi e profondi c'era ancora l'eco del terrore provato per quel presagio ventilato, soffocato dal desiderio, dal bisogno, dalla necessità di fondersi con il dio degli inganni e diventare con lui una cosa sola, anche se per una manciata di minuti. E allora carezze, baci e affondi si mescolarono in un ritmo fatto di sospiri strozzati e abbracci disperati, urgenti come la voglia che li consumava e di cui erano entrambi schiavi. Cos'aveva Sigyn, di speciale? Il suo corpo snello e sinuoso e il profumo che emanava la pelle candida e morbida acuivano il bisogno di averla, che non si esauriva quando, sudato e stanco, si stendeva nel letto accanto a lei, ma tornava a perseguitarlo durante il giorno, sorprendendolo a volte mentre si allenava con i suoi bei pugnali affilati o redigeva importanti trattati. Sigyn, mia Sigyn. Non si lasciò sfuggire quel pronome pericoloso, ma il nome della bionda schiava che gli graffiava le spalle sì, gli uscì con un suono roco dal petto, mescolandosi al respiro sconnesso di lei, che già smarriva il contatto con la realtà e si abbandonava alla felicità scollegata e totale di quel rapporto d'amore desiderato e cercato. Così si persero l'uno nell'altra.
Per un momento, Loki Odinson depose ogni maschera. Steso sopra Sigyn, continuò a tenerla stretta a sé mentre il cuore lentamente rallentava il suo battito forsennato, il respiro tornava regolare e i muscoli si rilassavano dopo l'inevitabile piacere. Sudato e ansante, si rese conto di volerla ancora e avrebbe assecondato quell'impulso che era ben lontano dal lasciarlo, se solo l'incursione verso Jotunheim non fosse stata terribilmente vicina.
Sigyn avvertì o forse comprese i pensieri contorti del suo amante. Sentiva il battito accelerato del giovane guerriero contro il suo petto, sfiorava con dolce lentezza i suoi capelli neri e umidi e provò nostalgia per il momento che ancora non era passato, eppure già le scivolava via dalle mani.
"Ho sognato di perderti," gli confessò continuando ad affondare le dita nella massa serica, scura e scarmigliata. L'Ase non rispose, e allora lei proseguì fissando il soffitto in legno. "Guardavi la tua mano. Eri ferito gravemente, spezzato," aggiunse, senza comprendere il motivo che l'aveva spinta a usare proprio quella parola. La voce della ragazza s'incrinò nonostante tutti i suoi tentativi di mantenere un tono neutrale, normale.
Il dio degli inganni si scostò da lei e, puntellandosi su un gomito, la fissò con le sopracciglia aggrottate. "Sono un guerriero Sigyn. Come tutti gli Asi. Combattiamo, veniamo feriti e, talvolta, moriamo." C'era una sorta di compiacimento sottile nella sua voce, sulla sue labbra. Si tirò su a sedere e si bagnò la gola con un corno di idromele.
La ragazza si avvolse tra le coperte gualcite, scosse la testa. "Non dirlo."
Lui le sfiorò la guancia. "A me non succederà. Era solo un sogno."
"Non andare, Loki. C'era il Bifrost e tu..."
"E io?" Un lampo curioso, divertito, attraversò gli occhi verdi del giovane Ase. Non le credeva, perché si sentiva invincibile e forte ed era ancora troppo giovane per avere paura dell'ignoto e dei presagi. Dopo no, un giorno avrebbe conosciuto sulla sua pelle quanto pesano certe visioni, ma quella notte non era ancora il momento.
Sigyn, invece, rabbrividì e si avvolse ancora di più nelle coperte. Esitò un momento prima di parlare. "Cadevi. Ti ho visto cadere."
Loki buttò il capo all'indietro e scoppiò in una risata fresca, divertita, scanzonata. L'ultima che la ragazza avrebbe ascoltato, ma questo nessuno dei due lo poteva sapere né immaginare, quella notte. "Come si fa a cadere dal Bifrost? Questa è la prova dell'assurdità del tuo sogno, non lo capisci?"
"Lascia che Thor vada da solo," insistette lei accarezzandogli il braccio scolpito ed elegante.
L'ilarità di poco prima scivolò via lentamente dal viso del principe. Serrò la mascella piegando le labbra in una smorfia amara e rispose scandendo ogni sillaba con determinata lentezza. "Si farà ammazzare, senza di me."
"Tieni a lui tanto da proteggerlo, ma non sopporti di vederlo sul trono." Non era una domanda, ma una constatazione. Sigyn si sollevò dal letto quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, proteggendosi il seno con la coperta.
"No, non lo sopporto," scattò il principe con voce severa, amara. Le rivolse un'occhiata feroce e parlò a denti stretti, soffocando a malapena il rancore, sfogando per un momento l'oscurità che gli stringeva il petto. "Non è degno. Credi che dovrei rimanere con le mani in mano e guardarlo mentre mi toglie qualcosa che mi spetta di diritto? Come dovrei trascorrere i prossimi secoli, sentiamo: ti aspetti, come tutti, che lo aiuti e lo consigli, che sia la sua preziosa spalla? Questo vuole, mio padre. Che sia un politico coscienzioso che redigerà i trattati e scriverà le leggi che Thor dovrà firmare, mentre lui si ubriacherà con al fianco qualche puttana."
Come poteva coesistere, nel giovane dio degli inganni, la volontà precisa di tradire suo fratello e il bisogno, altrettanto forte, di seguirlo per guardargli le spalle e controllare che le cose non degenerassero? Era l'ambizione che gli faceva desiderare sopra ogni altra cosa il trono, ad annebbiargli la vista? Il potere e l'idea di essere re potevano spingerlo a seguire la parte più oscura della sua natura? Sigyn non sapeva rispondere con certezza a questi dubbi. Il cuore dell'affascinante principe che l'aveva liberata insegnandole a leggere e a scrivere traboccava di ombre che lei intravedeva e, suo malgrado, capiva e accettava perché erano parte di lui: Loki era fiero e sarcastico, sagace e divertente, intelligente e crudele, contorto e imprevedibile. Pregi e difetti si mescolavano assieme formando qualcosa di terribilmente pericoloso, ma tanto bello da far male.
Provò a consolarlo, gli accarezzò ancora i capelli scuri e scarmigliati. "I disegni di tuo padre sono imperscrutabili," soffiò.
L'ingannatore si irrigidì. "Tu che ne sai? Non l'hai mai visto in faccia, mio padre! Nessuno ti ha mai dato il permesso anche solo di alzare la testa verso l'Hlidskjalf. Sei una schiava, nient'altro."
La lingua svelta e affilata di Loki aveva colpito con assoluta precisione, affondando esattamente nel punto più fragile di Sigyn e della loro relazione, nel centro dell'abisso che conteneva esitazioni, paure e pensieri che nessuno dei due osava pronunciare a voce alta, ma che, pure, esistevano. L'Ase alzò il mento con fierezza, nascondendo il disagio per quella frase maligna che aveva pronunciato per ferirla, nient'altro. Cosa che sapeva, capiva. Sigyn era una schiava che sapeva leggere e si perdeva nei mondi fantastici che lui le aveva insegnato a visitare, ma era pur sempre una serva costretta a obbedire agli ordini che le venivano imposti. Gli diceva che era sua, mentre la stringeva e faceva l'amore con lei, ma se avesse potuto scegliere, se fosse stata libera di guardare altri uomini, era a lui che avrebbe concesso il corpo, il cuore, l'anima? E Loki, principe di schiatta reale, guerriero e mago di incredibile valore, poteva permettersi il lusso di desiderare una semplice schiava in quel modo devastante, tanto da suscitare l'ironia di suo fratello, il palese biasimo di suo padre? Non era un reato né un disonore portarsi a letto una serva, ma prediligerne sfacciatamente una sì, poteva essere un problema e causare un danno alla sua immagine di futuro sovrano. Solo che Loki non era bravo a rinunciare a ciò che credeva fosse suo. Voleva tutto e non era disposto a cedere niente, nessuna cosa, nemmeno lei.
Sigyn batté le palpebre, offesa e stupita. "So quello che ho letto nei tuoi libri, mio signore," esordì fredda, fissandolo con quei suoi grandi occhi grigi carichi d'orgoglio. "In quelli che so leggere perché tu mi hai insegnato, quando reputavi ancora che fosse un mio diritto conoscere, pensare e parlare liberamente al tuo cospetto. Così non è più. Mi dispiace," concluse, e fece per andarsene e lasciare quel letto dove troppe volte avevano fatto l'amore, ma l'Ase la bloccò. Le afferrò il polso, l'attirò ancora più vicino a sé tanto da lasciarsi inebriare dal suo odore dolce, buono, di donna.
"La libertà che credi di avere è un inganno," le disse a denti stretti.
Non era una scusa, ovviamente, ma l'inizio di una tenzone retorica da cui solo il protervo dio del caos sarebbe uscito vincitore. Sigyn lo sapeva e si divincolò senza successo. La presa del principe non era dolorosa, ma ferma. Sostenne fieramente il suo sguardo e rispose, sfruttando l'arte che aveva appreso sfogliando i libri del mago quasi fino all'alba, presa com'era dal bisogno di apprendere, conoscere, scoprire. "Allora anche il potere lo è."
Di fronte alla battuta arguta, un sorriso sghembo e compiaciuto attraversò le labbra sottili dell'Ase. "Possibile, probabile."
"Ora lasciami andare, mio signore. Non dividere il letto con me, è disonorevole. Sono solo la tua indegna schiava," gli ricordò con durezza, perché le parole che le aveva rivolto bruciavano ancora come fuoco, alimentando le lacrime traditrici che già le pungevano gli occhi. E Sigyn non voleva piangere per Loki, non quella notte.
Desiderava solo fermarlo, impedirgli di compiere un'impresa atrocemente rischiosa, convincerlo a rimanere ad Asgard e rinunciare ai suoi gloriosi propositi. Speranza vana, lo sapeva. Il figlio cadetto di Odino non poteva soffocare la sua natura e abbandonare i piani contorti e le trame astute che architettava perché erano parte di lui, del suo spirito. Come sarebbe finita, quella storia? Ultimamente se lo domandava spesso, troppo spesso, forse. Da quando, se lui non tornava da lei la notte, era tentata dall'idea di ingelosirlo e vendicarsi mettendo sottosopra il suo prezioso studio, disertando il suo letto. Desiderò uscire senza voltarsi, maledicendo la lingua biforcuta di Loki capace di persuadere e ferire con la stessa terribile precisione. Si asciugò rapida con il dorso della mano una lacrima che si affacciava ostinatamente sulle sue ciglia nere. Stupido e arrogante dio dell'inganno. Un principino orgoglioso e volubile, questo era; si sarebbe fatto impiccare anziché chiederle scusa, e non perché lei era una schiava e lui il figlio di un re, ma per la sua natura testarda e capricciosa, volitiva e tenace. Loki voleva vincere, sempre. E lei lo sapeva e, purtroppo, amava anche questo di lui.
"Una verità dolorosa, ne convengo." Ora la voce del dio dell'inganno era tornata carezzevole e roca, suadente, come la presa sul polso che si trasformò in un abbraccio simile a un'effusione distratta. "Ma, in fondo," proseguì implacabile, "è quello che sei, che siamo. Tu appartieni a questa Casa e devi la tua fedeltà al trono non per scelta, ma perché ti abbiamo comprata quand'eri bambina," ricordò assottigliando gli occhi. "Facevi parte del bottino di un altro guerriero, ma mia madre ti vide e disse che eri troppo giovane per quella vita." Le lasciò il polso e le sfiorò la guancia serica con le sue dita di mago eleganti, le cinse la vita sottile.
"Due piatti d'oro," ricordò Sigyn, "questo fu il prezzo."
"Ogni cosa ha un costo, mia signora. È per questo che la libertà è solo una vana illusione. Non sei libera perché leggi i miei libri di filosofia o i poemi antichi o dormi nel mio letto. Sei soggetta a regole, leggi, sogni e passioni che ti rendono schiava, ci rendono schiavi. Nemmeno io e Thor siamo liberi, Sigyn. Inseguiamo il trono, il potere, la fama, l'approvazione di un grande re. Non abbiamo la possibilità di fallire né di fuggire; serviamo l'ambizione che corrode i nostri spiriti, la spada che ci reclama quando c'è una battaglia. Ci raccontiamo una bugia patetica, quando sosteniamo di essere liberi."
Sigyn scosse la testa, strinse con più forza il lenzuolo contro il seno scoperto, ma senza fissare Lingua d'Argento negli occhi. "Non blandirmi con parole dolci, principe degli Asi. Io e te non siamo uguali. Vuoi davvero farmi credere che è per questo che tra qualche ora partirai? Perché sei schiavo di un potere che non ti serve?"
"Non ne posso fare a meno," concesse Loki severo, ma non la baciò sulle labbra perché lei aveva osato contraddirlo e gli teneva testa e lui l'aveva offesa. Serrò la mascella, guardò altrove. "È il mio piano, quello che si concluderà domani."
Sigyn boccheggiò, esasperata dall'ostinazione del dio degli inganni dagli occhi incredibilmente verdi, schiacciata dal peso del sogno terribile che l'aveva tormentata. Nell'oscurità e nel gelo di Jotunheim, Loki ferito guardava la sua mano incapace di reagire e soccombeva.
"Come puoi ignorare i rischi," insistette, "come puoi non valutare quanto possa essere alto, il prezzo delle tue azioni? Mi parli di schiavitù, Loki, ma tu sei libero di scegliere. Io no."
L'alba ormai era vicina e le ombre della notte presto avrebbero preso a ritirarsi. Non si dovrebbero trascorrere le ore che precedono una battaglia a litigare con la propria amante, soprattutto se la ragazza in questione è una schiava. C'era qualcosa di tremendamente sbagliato in quella situazione, come in molte altre cose. Una stortura, una deviazione che il fiero dio dell'inganno e del caos non volle correggere quella notte, come non aveva fatto le volte in cui la sorprendeva ancora sveglia a sfogliare avidamente i suoi tomi e lo tempestava di domande sulle scienze, la politica, le lingue. E lui le toglieva il libro dalle mani e le spiegava i segreti del seiðr e le raccontava le storie antiche mentre la trascinava sul letto o la spingeva sulla scrivania per soddisfare il bisogno improvviso di averla che non si esauriva, per le Norne, non scemava.
"Ti sbagli. Non sono più libero di quanto non lo sia tu," confessò costringendola a guardarlo negli occhi. Rise, ma senza gioia. "Ho rivelato io ai Giganti il passaggio segreto che conduce ad Asgard."
Silenzio. Il cuore di Sigyn mancò un battito, un brivido improvviso corse lungo la schiena scoperta. Certamente mentiva, non poteva aver osato fare tanto, eppure c'era qualcosa, nello sguardo limpido del dio dell'inganno, di spaventoso: un guizzo di determinata, implacabile follia. La ragazza poggiò le dita sottili sul petto ampio dell'Ase, cercò invano le parole giuste da dire; improvvisamente la sua bocca si era fatta secca.
"Loki," supplicò.
"Gli Jotnar non avrebbero mai trovato il modo di violare il passaggio da soli, così gliel'ho rivelato," spiegò lui implacabile. "La fortuna e le occasioni alle volte vanno create, letteralmente."
Mentiva, senz'altro. Le stava raccontando una bugia per il gusto di vedere il terrore annebbiarle la vista, per il divertimento che scaturiva da quell'assurda confessione. Tempo una decina di minuti al massimo e Loki avrebbe buttato il capo all'indietro e, ridendo fino alle lacrime, le avrebbe detto che era una ragazzina credulona per poi abbracciarla e fare l'amore con lei di nuovo, per chiederle ancora scusa per le frasi crudeli, ma vere, che le aveva rivolto. E lei avrebbe fatto la sostenuta finché i baci del bell'Ase non l'avrebbero completamente irretita e scaldata. Loki mentiva, senz'altro, eppure si passò una mano tra i capelli neri con un gesto nervoso e rapido che impensierì la giovane schiava, perché era l'indizio di un turbamento e di una preoccupazione più profonde di quanto potesse immaginare. Schiuse le labbra, esitò un momento mentre il sospetto le pungeva il cuore. Loki non sempre mentiva, ma, soprattutto, non lo stava facendo in quel momento.
"Perché me lo hai detto?"
Le sfiorò una ciocca bionda, l'arrotolò tra le sue belle dita di mago. "Perché ora non mi tradirai, Sigyn. Mi sarai fedele, adesso, e non correrai a spifferare tutto a mio padre o a mia madre. Farlo sarebbe pericoloso per me e per te," confessò con voce roca.
Di nuovo, la ragazza si sforzò di raccogliere le parole adatte. Le mani che stringevano il lenzuolo tremarono. "È un tradimento nei confronti di Asgard, di tuo padre e di tuo fratello, quello che si concluderà domani, tra poche ore. Forse è lecito, certo. Dal tuo punto di vista lo è, sicuramente," ammise aggrottando la fronte, sconvolta dalla rivelazione. "Ma il prezzo Loki, il prezzo che pagherai sarà troppo alto," lo avvertì accarezzandogli con disperazione il viso affilato e leggermente ispido.
Le rispose uno sguardo brillante, un ghigno tagliente come una lama. "Prendere il trono con l'inganno, con un abile colpo di mano. Non mi turba l'idea, mia dolce Sigyn."
Il dio del caos le rubò un bacio lungo, intenso, sfacciato come il sorriso obliquo che lei amava e fu sopra di lei, sulle coperte già gualcite ancora calde dell'amore consumato. Era l'unico modo che conosceva per suggellare la pace con lei, o forse era la consolazione che le concedeva per non avere la benché minima intenzione di ascoltare i suoi avvertimenti. Sigyn non se lo chiese, mentre le labbra sottili e perfide del principe degli Asi lambivano, accarezzavano, sfioravano e assaggiavano.
"Mi hai ingannata," lo rimproverò tempestando di pugni il petto ampio e largo, graffiandogli le spalle mentre lui l'attirava verso di sé per cercarle le labbra e baciarla – averla – ancora, ma Sigyn scostò il capo fuggendo il contatto nonostante tutto desiderato. È un errore imperdonabile, fare l'amore dopo aver litigato. Parole e fratture non si cancellano né si saldano con baci e sospiri: quella è un'illusione, una menzogna.
L'Ase la liberò del lenzuolo che lei si ostinava a tenere contro il petto, baciò ancora quel seno piccolo e ben fatto, tormentando e lambendo la sua parte più sensibile, il capezzolo. Lei si tese, inarcò la schiena, lasciò che le dita scorressero sulle spalle virili nervose e toniche di Lingua d'Argento.
"Non andare, ti prego, non andare." Lo disse con disperazione, lo ripeté come una nenia senza crederci davvero – Loki aveva deciso e, anche se ci avesse ripensato, non poteva più tirarsi indietro, era troppo tardi. Eppure era ingiusto, crudele e rischioso che l'avesse messa a parte di quel tradimento orrendo.
L'ingannatore se ne rese conto. Non poteva rivelarle tutte le pieghe oscure della sua anima, non lo avrebbe fatto mai, ma una cosa la disse, la concesse, alla sua bionda schiava che tremava di paura per un sogno scambiato per un presagio. Per lui. "Era l'unico modo per avere la tua fedeltà, Sigyn."
Gli rivolse uno sguardo limpido, dolce, triste. "No, Loki. La mia fedeltà l'avresti avuta sempre e comunque."
Il principe cadetto degli Asi dormiva accanto a lei. Nel sonno, appariva più giovane di quanto non sembrasse da sveglio. Un ragazzo dalle labbra socchiuse che riposava tranquillo, nient'altro. Sigyn si sollevò per guardarlo, nella penombra della notte ormai rischiarata dalle prima luci dell'alba. Il dolce indolenzimento nella parte bassa del ventre l'accompagnava ancora come fosse un abbraccio, unico segno tangibile dell'amore che avevano consumato con passione. Loki. Fu tentata nonostante tutto dal pensiero di svegliare Frigga, avvertirla del piano assurdo dei suoi figli. Valutò le conseguenze di quell'azione, ma finì per accantonare il proposito, seppur con qualche incertezza. Lui non gliel'avrebbe mai perdonato, e se fosse saltata fuori la storia che i Giganti erano penetrati ad Asgard a causa sua, Odino lo avrebbe senz'altro punito in maniera esemplare. Rabbrividendo all'idea della furia del dio delle forche, Sigyn ricordò che c'era, nello studio, una boccetta di sonnifero e si alzò per cercarla, facendo attenzione a non fare il benché minimo rumore.
Mossa inutile, la sua. Loki aveva già messo a punto il suo tradimento; che andasse o meno a Jotunheim ormai era irrilevante, perché il meccanismo che aveva messo in atto si era azionato da tempo. Solo che l'incubo che l'aveva sconvolta la notte prima era ambientato tra i ghiacciai implacabili di Utgard e sul ponte color arcobaleno, e allora era ragionevole pensare che, impedendo il viaggio, il giovane Ase si sarebbe salvato da quella ferita orrenda, dalla caduta mortale.
Quella notte troppo lunga Loki l'aveva ingannata e offesa e amata. La sorprese mentre rovistava tra le boccette, si era svegliato sentendola allontanarsi. Si appoggiò contro lo stipite, si stropicciò gli occhi chiari gonfi di sonno. "È troppo tardi Sigyn, devo andare."
Si preparò davanti ai suoi occhi, nella luce fioca di un'alba fredda. La ragazza, stretta in una sua tunica che la copriva a malapena e scalza, si tormentava le dita in silenzio, lanciando ogni tanto sguardi ansiosi nella sua direzione.
"I sogni sono solo brame e paure che non abbiamo il coraggio e la forza di ascoltare durante il giorno," la consolò mentre si infilava un paio di guanti di pelle nera.
Sigyn si morse le labbra sconfitta. Non era riuscita a fermarlo e l'avrebbe rimpianto per sempre, ma in quella mattina fredda e livida ancora non ne era certa e c'era, in lei, la speranza di avere davvero fatto solo un sogno.
"Ti perdonerebbero," mormorò. "Ti amano. Sei un figlio e un fratello, per loro. Capirebbero come ho capito io."
Loki non le rispose. Trovò che fosse insistente e speranzosa in una maniera sì dolce, ma anche disperata e infantile. Thor bussò alla sua porta, lo chiamò con voce allegra e trionfante, desideroso com'era di dare il via a quella folle spedizione punitiva e farla pagare agli arroganti Jotnar. Il dio degli inganni posò le dita sulla maniglia, deciso a non voltarsi, ad andarsene via senza salutarla. I sogni sono il dono di Skuld: a volte, le cade un filo.
Tornò indietro e le prese il viso tra le mani, baciandola con una passione imprevista che sapeva di desiderio e rancore, paura e gelosia e mille altre cose. Le labbra di Sigyn erano salate e morbide e lei gli si sciolse contro, aggrappandosi alle sue braccia, rispondendo lieve al suo tocco disperato.
"Non andare, ti prego. Non rischiare. Sono una schiava e non ho niente, non possono portarmi via niente, tranne te. Tengo a te, Loki, non come una serva tiene al suo padrone, né come una cortigiana fa con il suo amante. Tengo a te come una donna innamorata di un uomo, e non mi importa cosa diventerai, se sarai re o no. Mi basta solo averti accanto, così come sei, anima mia, vita mia. Perché ti amo, Loki figlio di Odino."
L'ingannatore l'ascoltò tenendola tra le braccia, stringendola contro il suo petto, accarezzandole i capelli biondi e sciolti. Si rese conto che avrebbe dovuto mandarla via da tempo. Dalla prima volta che le aveva concesso di rannicchiarsi accanto a lui e dormire in quella stanza, all'iniziale sentore della gelosia che gli pungeva il cuore ogni volta che qualcuno la faceva oggetto della propria attenzione con una osservazione distratta o le rivolgeva una battuta sconcia. Ecco, quello era l'esatto momento in cui avrebbe dovuto cacciarla per sempre. Solo che non c'era riuscito ed era diventato schiavo, a sua volta, di una passione sbagliata e indegna destinata comunque a finire, perché un principe di sangue non può partecipare a un banchetto tenendo per mano una serva. Il ricordo del biasimo perenne di Thor per quella relazione impossibile lo raggiunse come una stilettata, caricandolo di tutta l'amarezza del mondo. Se solo avesse avuto la forza di non chiamarla ogni sera nelle sue stanze, se fosse riuscito a prendere da parte suo fratello invitandolo a scoparsela per una sera o due. Sigyn, anima mia. Immaginare quell'eventualità era un dolore straziante, terribile, atroce, che gli spezzava le vene e il cuore e sapeva di fiele. Una soluzione draconiana che però, dovette ammetterlo, gliel'avrebbe strappata definitivamente dal petto perché non sarebbe riuscito mai più a guardarla negli occhi né a toccarla, sapendo che forse aveva ansimato tra le braccia di suo fratello come faceva con lui, che aveva buttato il capo all'indietro invocando anche il suo nome. Nella sua vita aveva spartito con Thor troppe cose, per poter dividere lei. Raggelato dalla tremenda ipotesi che aveva creato con atroce precisione nella sua mente, continuò a stringerla incapace di risponderle, per le Norne, di pronunciare anche solo una parola, lui, che della sua lingua svelta e arguta si era sempre fatto un vanto. E allora, affondò il naso nella chioma scomposta respirando il profumo dolce che emanava e la scostò da sé.
Thor, impaziente, lo stava chiamando.
"Sarò re," disse – promise – e piegò le labbra in un sorriso storto, sbieco, accarezzandole la guancia serica e umida di lacrime salate, ammirando gli occhi fieri che non appartenevano a una schiava, no, ma a una regina. Gliel'avrebbe dovuto dire, forse. Pensò di aggiungere qualche parola, invece si allontanò senza voltarsi, senza concederle una risposta altra che non fosse quell'abbraccio forsennato. Ma cosa, quale frase si sarebbe dovuto azzardare a pronunciare? Lei gli aveva confessato di amarlo nonostante le storture e i difetti che macchiavano il suo carattere, ammettendo di apprezzare di lui l'intelligenza e l'arroganza, la fierezza e la sagacia, l'ironia e il rancore, persino. Sigyn, anima mia. Loki non le avrebbe mai detto che l'amava, eppure quelle tre parole gli salirono ugualmente mute alle labbra, ma troppo tardi perché potesse rivolgergliele. Il ponte del Bifrost, luccicante e immenso, si stagliava ormai di fronte al suo cavallo nervoso e sbuffante. Gli sarebbero uscite dal petto più avanti, sotto altri cieli alieni, troppo tardi, forse.
Sigyn, anima mia.
Fine
Nome: shilyss/Shilyss
Titolo: Resterà il ricordo di un bacio - storia presente anche su Efp, sul mio account.
Fandom: Thor
Pacchetto: il Bacio, Hayez
Note Autore: La storia in questione è una pre-Thor/Thor: si inserisce in un missing moment specifico del primo film, ma abbraccia anche i momenti precedenti. In particolare, tratta del lasso di tempo che intercorre dalla decisione di Thor di partire verso Jotunheim alla spedizione vera e propria. Perché Sigyn qui è una schiava? Per problematizzare la sua figura e renderla "il segreto sbagliato di Loki", per aderenza a certi usi vichinghi e per dimostrare che nessuno dei due possiede davvero la libertà. Ma veramente Sigyn è una schiava? Il dio degli inganni lo è certamente delle sue ambizioni e passioni, ma lei, pur non avendo la possibilità di andarsene e servendo la Casa di Odino, trova nella conoscenza e nell'amore la forza necessaria per essere se stessa. Loki e Thor sono quelli che vediamo nel primo tempo del film diretto da Branagh e ho tentato di dar loro quell'aria da ragazzi viziati, senza però dimenticare ciò che diventeranno. Ci sarò riuscita? A chi legge l'ardua sentenza.
La scena della bava del serpente è ispirata chiaramente al mito di Loki e Sigyn così come è raccontato nell'Edda Poetica.
Dalla stessa fonte ho tratto la dicitura dio delle forche, uno dei molti nomi di Odino.
Come sempre, ho inserito nel testo una serie di rimandi specifici ai film del MCU: il discorso sulla libertà di Loki viene ripreso dal personaggio stesso in Avengers, i guanti che indossa sono quelli della scena ambientata su Jotunheim, i cieli alieni rappresentano il peregrinare di Loki che lo porterà fino a Thanos e, ultimo ma non meno importante, il presagio di Sigyn si riallaccia alla fine del film stesso. La battuta sgradevole di Thor nei confronti di Sigyn ne causerà (nel mio mondo, perlomeno) un'altra perfida da parte di Loki verso Jane: il famoso "forse dovrei andare a farle visita".
C'è anche un chiaro calco di Catullo, visto il tema. E Di André e di Pavese e di Borges, anche se molto più nascosti.
Questa storia partecipa al contest "Una storia per un quadro": gli elementi del pacchetto che ho scelto sono quelli della bellissima opera Il bacio di Hayez, che ho avuto l'immensa fortuna di poter ammirare dal vivo. Dovrebbe esserci tutto quello che era richiesto: due amanti appassionati, lei che cerca di fermare lui, una scena d'amore esplosiva (spero, chi mi legge abitualmente sa come tratto queste scene) e l'ombra che spunta alle spalle dei due amanti, che dal vivo si distingue molto chiaramente.
Ringraziandovi per essere arrivati fino a qui, mi auguro di avervi donato una bella lettura. Sul finale perdonatemi, ma stavolta non poteva andare che così.
Un caro saluto,
Shilyss
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