Di fuoco e di desiderio (parte 2)
Cadde la neve. Loki fissò con dispetto l'ultima arma uscita dalla fucina, su cui avrebbe dovuto incidere rune potenti. Gli occhi verdi scivolarono sulla lama luccicante e sui segni ancora freschi. La spada non era perfetta. Un sospiro irritato gli uscì dal petto. Si apprestò a distruggerla per fonderla nuovamente e crearne una nuova, splendida e possente, senza imperfezione alcuna. La presenza di lei lo interruppe, lo distrasse, e prima ancora che Sigyn potesse pronunciare una sola parola, Loki l'apostrofò con voce dura e secca. "Ti aspetta," disse. "Ti aspetterà. E tu verrai con me e soffrirai per lui," preconizzò crudele senza voltarsi, fissando ancora le rune scolpite che non riusciva più a pronunciare.
Cosa stava facendo, Loki? Scappava per farsi rincorrere, per accendere, nel cuore esitante di Sigyn, il desiderio antico che aveva avuto per lui e che l'aveva spinta – pazza e senza criterio, a tornare nella fucina dove sapeva lo avrebbe trovato? Oppure davvero il dio degli inganni le stava resistendo, trattenendosi dallo scivolare in un errore già una volta sfiorato che, forse, aveva salvato entrambi? Sigyn se lo domandò ma non trovò risposta. Poggiò con delicatezza i guanti e il collo su un tavolo spoglio.
"Se avessi potuto scegliere qualcosa, nella mia vita, avrei scelto te," mormorò.
L'Ase si voltò e la osservò senza scomporsi, il profilo affilato stagliato contro l'aria rossa dello scantinato troppo caldo e pieno di oggetti di ogni sorta. Guardò l'arma imperfetta tra le sue mani – se solo anche con le cose degli uomini fosse stato possibile forgiare daccapo il metallo, fonderlo e squagliarlo cancellando errori e brutture, e le si avvicinò a passi lenti. Le ombre rossastre non mascheravano la smorfia tirata delle labbra sottili e gli occhi lupeschi, attenti e acuti, non erano privi di una disperata tristezza.
"Avresti scelto male," disse a denti stretti, e stavolta l'agguantò con forza per la vita tanto che Sigyn sobbalzò stupita. Non avrebbero dovuto incrociarsi, i loro occhi, né sfiorarsi, le loro mani, invece era accaduto e Sigyn si era persa. I loro respiri si mescolarono, e la donna sfiorò la tunica sottile dell'Ase e sentì sotto il tessuto leggero la pelle tesa, i muscoli nervosi e guizzanti. Cosa stava facendo? Il grido, nella sua testa, fu interrotto dal dio degli inganni che l'afferrò per la nuca costringendola all'ennesimo bacio straziante, più bello di quelli che aveva sognato perché Loki Laufeyson le assaggiò le labbra con una lentezza feroce che la fece sciogliere tra le sue braccia.
Il principe perduto degli Asi invece la sentì cedere; abbandonarsi a lui, che l'aveva ghermita, rispondere ai baci troppo lunghi e aggrapparsi al suo petto. L'intera situazione gli sembrò ingiusta e sbagliata, fuori tempo, eppure le dita dell'Ase si persero tra i boccoli d'oro della donna, scivolarono sulla schiena inarcata verso di lui, strinsero la pelle che immaginava sotto al vestito stretto.
"Devi andare via." Suggerimento dato con voce roca, supplicatole sulla bocca con urgenza. Loki si scostò e Sigyn avvertì lo sforzo che quel gesto gli costava, pari solo al dolore che adesso provava lei.
"Devi andare via," ripeté con un ruggito, e aveva occhi accesi, Lingua d'Argento, carichi di una brama che chiedeva solo una cosa: lei.
Cosa stavano facendo? Appagavano un desiderio antico, nato sotto le volte di Asgard dalle bianche torri una primavera troppo lontana. Sigyn scosse la testa e lo fissò con occhi dolci e tristi, ma carichi di ombre. Non avevano già fatto abbastanza? Baciarsi a quella maniera non voleva dire spezzare la promessa fatta ad Horic per mantenere quella, più antica e assoluta, offerta a Loki stesso? Amore della vita dovuto abbandonare senza la consolazione di un addio, perduto e mai più ritrovato, se non qui e ora? E l'Ase, che non sentì mai quelle parole ma le lesse negli occhi di lei, senza smettere di guardarla l'attirò di nuovo a sé, accanendosi sul nastro che legava il corsetto e strappandolo con un gesto secco. Le sue mani scesero sul collo tremante di Sigyn, accarezzarono il seno che spuntava dall'abito lento e slacciato di cui aveva solo indovinato la rotondità e la morbidezza, perché l'aveva dimenticata, dopo averla evocata invano nelle lunghe notti passate a combattere lontano.
Sigyn si lasciò sfuggire un sospiro strozzato, infilò le dita tra i capelli neri dell'Ase. Le carezze incerte e frettolose di un'adolescenza lontana tornarono prepotenti nella sua mente, confuse da altro – il ragazzo che per primo l'aveva baciata e sfiorata aveva un altro tocco adesso, più rude e sicuro, ma non meno piacevole, di arrogante esploratore e mormorava il suo nome a fior di labbra, sulla sua pelle, e lei pensò che lo aveva amato sempre, anche quando Loki si era perso ed era diventato nemico degli Asi.
Chiuse gli occhi mentre le slacciava con urgenza l'abito supplicandolo di non fermarsi, perché non aveva mai commesso errori nella sua vita, né preso decisioni, ma quella sera, mentre la neve, lenta, cadeva, volle provare a seguire l'unico desiderio che l'avesse tenuta sveglia la notte. Sigyn artigliò le spalle tese del dio degli inganni desiderando quel corpo asciutto e nervoso che, presto, se ne sarebbe andato. Perché Loki che era stato di Asgard non sarebbe potuto rimanere a lungo nella città dalle molte torri. Il suo orgoglio glielo avrebbe impedito e, per quanto Odino si fosse sforzato con ogni mezzo di imprigionarlo e privarlo del suo potere, lui alla fine si sarebbe liberato e avrebbe deciso di fuggire.
Ora le labbra e il naso dell'Ase scorrevano lentamente sulla pelle chiara del seno di Sigyn, esplorandone con infinita attenzione le curve, baciando e sfiorando ogni centimetro di pelle con la tronfia sicurezza di chi sa di avere già ciò che brama: ed era vero. Ogni fibra del corpo di Sigyn anelava disperata a quell'incontro che aveva creduto non ci sarebbe stato mai, che non avrebbe dovuto esserci mai, lottando contro la ragione e la testa. Loki se ne andrà. Tra mezz'ora, sul suo viso, non ci sarà più la tristezza che ho visto nei suoi occhi color di giada, né il sorriso malinconico che mi ha sciolto una volta di più il cuore; non mi chiamerà amica mia, né amore, e io avrò gettato un'altra volta nel fuoco il mio cuore per non ottenere nulla. Tornerà a essere ciò che è stato – un'ombra, un sogno macchiato da un ricordo che già mi brucia. Oh sì, il suo corpo tremante si stringeva e inarcava disperato contro quello forte e tonico del dio degli inganni, ma la sua testa gridava che sarebbe stato un errore cedere a lui che non era più il ragazzo di un tempo come lei non era la stessa di allora.
Eppure Loki ricordò di aver già visto Sigyn buttare indietro il capo offrendogli il collo sottile, di cigno: lei non era cambiata affatto. L'emozione le arrossava ancora il viso e il petto e i suoi occhi dolci e profondi avevano lo sguardo liquido e ansioso. Era e sarebbe stata, sempre, l'eterea ragazza a cui, offrendo un fiore di ciliegio, un pomeriggio sorridendo aveva dedicato la sua spada. Promessa infranta, che forse non sarebbe stato comunque in grado di mantenere, detta forse con eccessiva leggerezza, che oggi non contava più nulla perché la desiderava e basta, con la stessa urgente prepotenza delle cose che abbiamo bramato a lungo. Ma, allo stesso tempo, volle gustare a fondo quel desiderio in procinto di appagarsi, infischiandosene del tempo implacabile che scorreva, del peccato che stavano commettendo. Le azioni sbagliate vanno compiute e consumate in fretta, ma il dio degli inganni esitava e tergiversava, assaporando con lentezza ogni centimetro scoperto e non di quella donna che forse aveva popolato a lungo i suoi sogni e che aveva stretto tra le braccia quando era un ragazzo e le ombre velavano appena il suo cuore.
Le labbra dell'Ase, crudeli e beffarde, indugiarono a lungo sul collo esposto, scesero infine a tormentare la pelle rosea, l'areola sensibile del seno.
"Eri mia, Sigyn, me lo avevi promesso, e il tuo cuore mi è rimasto fedele perché i giuramenti fatti agli altri, estorti con la forza, non valgono niente, sono solo vane parole."
La mano dell'Ase scivolò sotto la gonna carezzandole una gamba, slacciando le calze pesanti per insinuarsi, crudele, là dove Sigyn avrebbe sussultato dilatando gli occhi. Un ghigno compiaciuto attraversò il viso affilato del dio degli inganni, nel sentire la donna tra le sue braccia disponibile e confusa, col respiro rotto e gli occhi accesi. La sfiorò perfidamente tra le gambe, gioendo dei suoi sospiri e del suo abbandono. Se anche si fosse ritirata, se anche fosse fuggita, se anche lui l'avesse lasciata andare, avrebbe avuto ciò che cercava, almeno in parte. Immergerla nel caos, stordirla e turbarla come era evidente nella sua casa non avveniva, al sicuro tra le mura consacrate del suo matrimonio. Una rabbia improvvisa e feroce lo colse e lei emise un singulto spezzato.
"Eravamo altre persone," boccheggiò Sigyn aggrappandosi alle sue spalle, graffiandogli la pelle sotto la tunica, tirando via la stoffa per poter sentire anche lei la pelle nervosa e calda di Loki, baciare il petto teso e il torace scolpito. E poi fargli quella domanda, all'uomo che aveva desiderato e amato dal primo istante in cui le aveva sorriso. "Mi ami, Loki Laufeyson? Mi hai sempre amata?"
"Eri mia, dolce Sigyn, e avrei dovuto lottare, per te." Un velo sordo di rimpianto, un'occhiata carica di fredda amarezza gli attraversò lo sguardo color di bosco. L'Ase gettò a terra con un gesto sinuoso il mantello di lana bordato di pelliccia.
"Eri mia," ripeté, "e avrei potuto averti, e tutta Asgard avrebbe tremato, se si fosse opposta a me," disse con voce roca e trionfante, e la costrinse ad adagiarsi, si stese sopra di lei e Sigyn non riconobbe Loki, non del tutto almeno, perché ora il suo sorriso era simile al ghigno di una fiera. C'era una punta di follia nel suo sguardo che la spaventò, ma non solo.
Sdraiati l'uno sull'altra, inevitabilmente vicini a compiere un atto irreparabile: così si ritrovarono. Non aveva dimenticato nulla, Sigyn: né il marito cui tante volte si era sottratta e tante altre aveva ceduto, per affetto e dovere, né la promessa estortale da Odino. Ma c'era Loki, accanto a lei, e a lui solo aveva consacrato il suo cuore e la sua fedeltà. Le alzò la gonna mentre lei gli sfiorava il mento fiero, toccava la cicatrice antica che gli attraversava un labbro. Ogni istante di attesa era dolorosa e ingiusta eppure, allo stesso tempo, splendida e bella, perché il dio degli inganni la stringeva e la desiderava. I suoi occhi potevano parere quelli di un lupo pronto ad attaccare, le sue mani violare senza remora né esitazione ogni parte di lei, il suo sorriso obliquo e beffardo anteporre forse il divertimento all'amore****, ma il suo respiro rotto e smorzato raccontava un'altra storia, e a questo Sigyn volle credere.
La pelle di entrambi ora tremava. La giovane donna percorse con dita ansiose i muscoli tesi e le cicatrici antiche, chiedendosi quali di queste fossero state inferte all'Ase prima che i loro sogni fossero infranti. "Mi ami," domandò ancora con voce incerta, e Loki allargò ancora di più il sorriso sbieco e le imprigionò con una mano le braccia e le baciò con insolenza le labbra, a lungo, sfogando sulla sua bocca la sete di conquista grazie a cui aveva assoggettato mondi, ma negandosi al suo tocco.
Forse non l'amava, non più, e lei non era che l'eco di un rimpianto lontano e spezzato, ma la desiderava adesso. Sigyn lo sentì mentre i suoi fianchi dolci si accostavano e strusciavano contro quelli stretti dell'Ase. Si cercarono impazienti e urgenti, tendendosi l'uno verso l'altro, ma Loki volle attendere – conoscere e sfiorare ogni curva del suo corpo snello, finché l'urgenza non divenne bisogno e la presa sui suoi polsi si fece più stretta. Un rantolo roco uscì dal petto dell'Ase, mentre le assaporava una volta ancora le labbra arrossata. "Saresti stata mia, se fossi stato Re, la mia Regina," confessò roco, e con la mano libera accarezzò una volta di più il seno scoperto e palpitante, la vita stretta, il fianco dolce, le gambe tremanti pronte ad accoglierlo, ammirandola, straziata com'era dall'attesa, tesa e vibrante sotto le sue dita. Poi non poté più resistere, slacciò la cinta di pelle scura ed entrò dentro di lei strappandole un grido di sorpresa, piacere, dolore.
L'aveva, adesso, finalmente. Era sua, tra le sue braccia, almeno per mezz'ora. Le liberò le mani, lasciò che lo abbracciasse e lo stringesse, che invocasse il suo nome e lo guidasse. Si compiacque del suo stupore, mentre affondava in lei e tutto pareva sciogliersi nella sua testa: tornò ad essere Loki principe di Asgard, mentre i suoi fianchi spingevano contro quelli di Sigyn, dolci e accoglienti. Si sentì nuovamente il dio degli inganni nelle cui mani si consumava un potere inafferrabile e spaventoso, potente e distruttivo e lei, la donna che aveva desiderato in un tempo lontano, era l'ennesima vittoria riportata sul più dolce e magnifico dei campi di battaglia. Bugia. L'aveva voluta anche dopo, per sempre, rimpianto relegato in una parte lontanissima della sua mente, e non era sua, affatto. Anche se ansimava e lo stringeva, anche se ad ogni affondo sussultava e gemeva, Sigyn non era sua, né lo sarebbe mai stata.
Apparteneva, suo malgrado, all'uomo gentile che l'aveva sposata, che chissà quante volte aveva dormito al suo fianco. Forse Sigyn non si era inarcata sotto al suo tocco come aveva fatto con lui e stava facendo persino in quello stesso momento, né gli aveva graffiato la schiena, ma sarebbe tornata da lui quella notte e quelle appresso. E così, anche mentre consumava l'amore con l'unica donna che forse avrebbe potuto restargli accanto, Loki prigioniero di Asgard tornò a rivivere la tragedia della sua esistenza: sfiorare i propri desideri e poi vederli sfumare. Fece l'amore con lei come fosse l'ultima volta, disperato e rabbioso, eppure non le negò la dolcezza di esitazioni e baci, pause e attese, perché voleva che Sigyn ricordasse quella notte per sempre, e conservasse il ricordo non solo dell'urgenza e del bisogno che li aveva bruciati e consumati, ma anche della dolcezza. Le concesse una frase mentre si perdeva definitivamente in lei, una sola, simile a un sussurro roco e incerto, detta in fretta e mai più ripetuta. Dopo la donna cercò i suoi occhi e li trovò gelati e freddi, dopo lui si scostò in fretta e si rivestì senza dire una parola.
Puntò i suoi occhi verdi nella fornace che ancora bolliva, mentre Sigyn, incerta e a disagio, si avvolgeva nel mantello che avevano usato come letto. Un ghigno storto gli attraversò le labbra. Copriva le sue grazie, che altri, non lui, potevano ammirare, e avvampò d'ira a quel pensiero. La ragazza del ciliegio non c'è più, si è sposata perché Odino non aveva ritenuto utile che lui, Loki, che pure si era offerto di prenderla in moglie, sventato com'era, assecondasse un desiderio inutile, effimero. Che presto sarebbe svanito, così aveva detto, condannandolo invece a rimanervi invischiato. Ma la cosa peggiore era che nessuna consolazione poteva venire da quell'amplesso appena consumato di cui, pure, aveva assaporato ogni istante illudendosi che il tempo non dovesse mai finire. Sentì i passi incerti di Sigyn che si avvicinavano al tavolo dove aveva posato i guanti. L'immaginò spettinata e scomposta, rossa in viso, e si impose di non voltarsi.
Deve andarsene. Tornare nella sua casa, sedersi a cena. Pensarti e nascondere il ricordo di te, di voi, dietro a un sorriso gentile capace di illuminarle il volto, anche se finto. Questa sarebbe stata la fine perfetta. Eppure, Loki, la perfezione non ti appartiene. Nella tua magia sì, padroneggi il seiðr con una maestria che inquieta e spaventa chi ti osserva, ma il resto, le cose del mondo, se riguardano te finisci per gestirle sempre nel peggiore dei modi. Ti volti, e lei davvero è spettinata e rossa in viso, bellissima, e i suoi occhi dolci e grigi brillano: aspettava, sperava, desiderava che tu ti voltassi.
No, alla perfezione Loki anelava, ma in verità questa non gli apparteneva affatto. Corse verso Sigyn, l'afferrò per le spalle sottili. Infilò di nuovo le dita nei suoi capelli color dell'oro, pronunciò frasi terribili al suo orecchio. La giovane donna s'irrigidì, sostenendosi contro il tavolo spoglio. Poi il dio degli inganni si rese conto di volerla ancora, corroso come sempre era dall'ambizione e dal desiderio, egoista e crudele. Strappò dalle sue spalle il mantello su cui si erano già mescolati i loro odori e volle farla sua di nuovo, sentirla un'ultima volta viva ed esitante, sotto di sé. Sigyn sobbalzò, rendendosi conto delle sue intenzioni. Disse che era tardi. Che la neve cadeva fitta, che nella sua casa l'aspettavano – parole sbagliate, come olio sul fuoco, che accesero l'animo inquieto e feroce dell'Ase che aveva sfidato finanche Odino.
La voce del dio degli inganni risuonò cupa alle sue spalle. "Avevi detto che appartieni a me, Sigyn dai capelli d'oro," disse, e quelle ciocche color del sole che moriva ad Occidente afferrò senza tirare non per farle male, ma col solo scopo ricordarle un legame antico. Il cuore della donna accelerò il suo battito. Anche lei lo desiderava, ancora e di nuovo. Lasciò che la mano di Loki frugasse nuovamente tra i suoi seni, che le sollevasse le gonne, ma lo maledisse quando la costrinse col viso contro il tavolo, perché gli negava ciò che anche lei desiderava: toccare il suo corpo nervoso e guizzante fatto di nervi, pelle e muscoli tesi capaci di sprigionare una forza impetuosa, travolgente.
L'Ase le strinse i fianchi morbidi e dolci e si spogliò appena, stupendosi nel ritornare dentro di lei e trovarla ancora così dolcemente e inevitabilmente disposta ad accoglierlo. L'aveva lasciata solo da pochi minuti, ma le mancava già come se fosse passata una vita lunga alla maniera degli Asi. Avevano perso troppo tempo. Il pensiero lo trafisse con dolorosa e acuta precisione, sommandosi ai rimpianti incancellabili e alle scelte di cui, invece, non si sarebbe mai pentito.
Un sospiro uscì dalle labbra di Sigyn. Non era così che si era immaginata di fare l'amore con il dio degli inganni. Romantiche esitazioni, un letto di seta, lui che la faceva sua con dolcezza. Pause ed attese per rendere meno impetuosi gli affondi che avrebbe subito, senza sorprese. Ma Loki non era Horic: non supplicò, non chiese, quando cedette all'istinto di averla di nuovo. Lo fece e basta, scivolando sicuro e costringendola a sottostare al suo ritmo ora lento ora impetuoso, a seguirlo nella sua corsa straziante e magnifica. Sorpresa dalla vigoria di quell'Ase affascinante e bello oltre ogni dire, assecondò il suo desiderio intrecciando le dita con le sue finché non fu lui a cedere, voltandola senza alcuna grazia per poi carezzarle il viso ed esitare, adesso sì. E guardarsi ancora, perché le parole dette prima avevano avuto un peso, tutte, anche la tristi minacce rivolte all'ingiusto trono di Odino. Fu Sigyn ad attrarlo a sé con dolcezza allora, e l'Ase le strinse i fianchi e si abbandonò contro di lei, in lei, stringendola e abbracciandola mentre la donna lo cingeva con le gambe. Fusi assieme eppure distanti. Vittime di promesse di cui erano gli unici testimoni.
Si sarebbero incontrati il giorno appresso e quello dopo ancora: Loki l'avrebbe guardata a lungo, Sigyn, affondando le dita nel manicotto di pelliccia, avrebbe chinato lo sguardo, ricordando con un brivido dissonante e fuori luogo le dita dell'Ase sul suo corpo, la tensione e il desiderio che l'aveva avvolta l'una e l'altra volta, i segni che, scollegata dal tempo e dal corpo, gli aveva lasciato sulla schiena mentre i loro sospiri si mozzavano, travolti dall'emozione.
***
Fiero e altero, in piedi sul patibolo, Loki di Asgard comandò il boia di preparare la mannaia per poi alzare il capo un'ultima volta e regalare a lei, per le Norne, a lei l'ultimo suo sguardo. Abbastanza breve da non rovinarla agli occhi degli altri, tanto intenso da trapassarle il cuore. Nel silenzio irreale di una mattina troppo bella, si inginocchiò di fronte al ceppo non permettendo a nessuno di aiutarlo. Scostarono la veste nera dalle sue spalle, mettendogli in evidenza la base dal collo dove la scure si sarebbe abbattuta con un colpo secco. Poi il boia si allontanò di un passo, valutò la traiettoria del colpo. Loki Laufeyson chiuse gli occhi, espirò con lentezza. I tamburi, rapidi e incalzanti, ripresero a cantare. L'ultimo pensiero, per le Norne, è lei che non dovrebbe essere lì.
No, Sigyn non doveva vederlo morire poiché era pallida e portava in grembo suo figlio, e il disgraziato che l'accompagnava avrebbe dovuto pensarci, a questo, che lei e il bambino avrebbero potuto soffrire. La mannaia si sollevò in aria, e Loki ripensò al giorno prima quando, inaspettata, eterea e meravigliosa, era venuta nelle prigioni per confessargli il segreto che custodiva nel suo ventre e porgergli una droga che avrebbe reso meno straziante il trapasso. Lui l'aveva guardata con sospetto, poi aveva riso beffardo.
"Non mi vedranno morire barcollando, spaventato e fuori di me, gli Asi che ho comandato. Salirò sul patibolo lucido, al pieno delle mie facoltà," aveva ribattuto con durezza. Poi le loro dita si erano intrecciate oltre le sbarre di ferro, e Sigyn aveva posato la mano di lui sul ventre appena arrotondato.
"Avrà occhi verdi, mio figlio," aveva sussurrato orgogliosa, e le lacrime le erano scese calde fin sul collo rigandole le guance, impedendole di vedere quelli di Lingua d'Argento, muto di fronte a lei.
La mannaia si sta abbassando troppo presto, pensò Loki, quando ancora i tamburi rullavano. Odino si sarebbe infuriato, ordinando che fosse tagliata la mano dello stolto impaziente che aveva rovinato l'esecuzione dell'anno. Ma subito dopo questo pensiero, l'Ase ricordò la voce fiera della bionda Sigyn, la curva dolce della sua pancia, il figlio dagli occhi identici ai suoi che non avrebbe mai visto e gli mancò il respiro. Riaprì gli palpebre, sentì la lama calare sul suo collo esposto.
Sigyn si coprì gli occhi, incapace di guardare l'esecuzione che si compiva. Singhiozzò e gridò, accasciandosi per terra, trafitta dal dolore. Nessun urlo di sorpresa annunciò l'ennesimo trucco del dio degli inganni. La scure si era conficcata nel frassino bagnato di sangue, la testa dell'ingannatore era finita nella cesta, e tutta la piazza fissava sgomenta e silenziosa il corpo decollato ancora esposto sul patibolo in attesa di qualcosa – l'ultimo guizzo del furbo principe, l'ennesimo trucco con cui li avrebbe beffati. Invece Loki era morto, davvero, e l'unico grido che si era levato era quello della giovane donna spezzata che si proteggeva il ventre con la mano sottile. Horic sollevò da sotto le braccia la sventurata moglie delirante e disperata. Le ricordò del bambino impedendole di guardare il corpo di Lingua d'Argento e la condusse via in fretta, girandosi solo un'ultima volta, il tempo di vedere Thor Odinson che ordinava seccamente di portar via i resti del fratello ormai perduto e copriva svelto col suo mantello la cesta dove giaceva il fiero capo del dio degli inganni, ritagliandosi solo un istante per osservarne il viso affilato, le labbra sottili, le palpebre chiuse a nascondere per sempre i suoi occhi troppo verdi.
****
Si dice che ad Asgard, nelle notti di luna piena, se il cielo è sereno e la neve imbianca le alte torri degli Asi, è possibile udire la voce dei fantasmi, il loro richiamo. Si racconta anche che fu uno, uno solo, a usare per primo la sua magia per aprire le porte della città dei morti agli spettri, e che quando i sussurri di quelli che furono attraversano la terra degli Asi fieri e feroci, il loro canto non vada udito, le loro promesse non ascoltate, come fece invece Sigyn dalle trecce d'oro.
Si sussurra che, disperata, si graffiò il viso e il petto, quando la giustizia di Odino impose che Loki Laufeyson fosse giustiziato. Una febbre feroce l'avvolse e furono chiamati i migliori medici di Asgard tutta per porre fine al suo male. Ma il singhiozzo strozzato della giovane donna e una macchia rossa sulla sua camicia da notte fecero scuotere il capo imbiancato dei cerusici e delle guaritrici: il troppo dolore l'aveva spezzata, affaticando il suo cuore e abbattendo il suo spirito, e il dolore della madre si era riversato sulla piccola cosa che le cresceva dentro e protestava sofferente.
Immobile nel letto, stremata dalle troppe lacrime e dal dolore annichilente, Sigyn sfiorò con delicatezza il ventre appena rotondo. Accanto a lei, Horic la vegliava in silenzio. La donna aveva il capo voltato verso la finestra, dove il tramonto era offuscato dal fumo della pira fatta erigere in fretta per il principe cadetto degli Asi che aveva espiato finalmente le sue molte colpe. Funerali strettamente privati, privi di ogni sontuosità, svolti sotto l'occhio corrucciato di Thor, silenzioso e cupo. Horic provò a prenderle la mano bianca e sottile, fredda, e a consolarla.
"Non c'era altro finale possibile, mia dolce, sventurata Sigyn. Il suo spirito era fiero e troppo feroce, troppo tinto di orgoglio. Se non oggi, sarebbe morto domani, o forse tra cent'anni, ma sempre nello stesso modo sarebbe finito. Mi dispiace," disse.
Sigyn non gli restituì la stretta, né rispose a quella domanda, e l'uomo pensò con dolore che si era innamorato di una donna che aveva amato sempre un altro e per sempre l'avrebbe amato. E non importava che Loki Laufeyson fosse stato scostante e crudele, né che fosse morto. Lei non gli era appartenuta mai, nemmeno un giorno, perché il suo pensiero e il suo cuore erano sempre stati del dio degli inganni dal sorriso affilato. Eppure giurò che se si fosse ristabilita, avrebbe continuato ad amarla e a sostenerla come aveva promesso quando l'aveva sposata e che, allo stesso modo, il figlio del dio degli inganni, se fosse nato, sarebbe stato suo figlio. Di nuovo, Sigyn non rispose: i suoi occhi grigi, velati di tristezza, continuarono a fissare l'orizzonte oltre la finestra.
La notte, fredda e gelata, portò via le nubi del tramonto lasciando lo spettacolo di una città avvolta nella luce tenue e bianca di una luna grande e rotonda, ma distante. I raggi d'argento svegliarono Sigyn. Horic dormiva nell'altra stanza e un silenzio innaturale, onirico, avvolgeva ogni cosa. La giovane donna si alzò circospetta, si avvicinò al vetro luccicante, vi poggiò sopra i polpastrelli. No, non i raggi d'argento l'avevano svegliata, ma il suono lontano di un flauto o un sussurro di parole impossibili da registrare. Si affacciò e, nella neve, vide un'ombra sottile e scura, avvolta in un pesante mantello.
Al tempo dei ciliegi in fiore, quand'era stata ragazza e il dio degli inganni le faceva la corte, era solito chiamarla a quel medesimo modo: fischiettando il motivo di una ballata antica sotto la sua finestra, nelle sere al chiaro di luna. Ma Loki Laufeyson era morto, una scure impietosa gli aveva staccato la testa del corpo, e Sigyn lo aveva visto e sentito, suo malgrado. Allora cos'era, quello? Un miraggio, un'allucinazione? Era Loki, sfuggito al Mondo dei Morti per salutare lei e suo figlio un'ultima volta? Si vestì al buio, in fretta. Si avvolse nel mantello di pelliccia che aveva indossato in un'altra notte di neve e uscì di casa nell'aria fredda e ghiacciata. L'ombra scura la vide e si incamminò lesta per i vicoli imbiancati di Asgard dalle bianche torri. Sigyn la rincorse, supplicandola di fermarsi, e l'aria che le uscì dalla bocca si condensò in vapore. "Aspettami, Loki, voltati," disse lei, riconoscendo nella figura nera e svelta la camminata elegante e fiera del principe degli Asi che aveva sfidato Odino.
La figura incappucciata non l'ascoltò. L'attese, quando lei rimase indietro, e tornò a scivolare rapida nella notte quando lei stava per raggiungerla. Solo nei pressi di un ponte che tagliava in due un fiordo, si fermò. L'acqua sotto era quasi gelata, e un freddo pungente e umido penetrò sotto al mantello di Sigyn, che rabbrividì.
"Sei tornato," disse, e si avvicinò per vedere il suo viso alla luce onirica della luna pietosa. L'ombra finalmente si voltò scostando appena il cappuccio, e il viso affilato del dio degli inganni, bianco e spettrale, si rivelò finalmente alla donna.
"L'ultimo inganno," sorrise – promise? Loki lingua d'argento, e un ghigno triste gli attraversò le labbra sottili e beffarde. Poi allungò una mano verso di lei, senza toccarla. "Vieni con me. Venite con me. Stanotte, adesso. Non tornerò un'altra volta, non tornerò mai più."
Sigyn dalle bionde trecce fissò esitante le dita lunghe e affusolate del mago che aveva incantato i Nove Regni tutti e, dietro di lui, il fiordo.
"Perché l'hai fatto?" domandò scrutando i suoi occhi verdi e freddi, sfiorandosi il grembo appena arrotondato.
"Per essere libero," rispose fiero e vibrante d'orgoglio, e la donna riconobbe l'arrogante alterigia del dio degli inganni in quell'ombra scura e allora gli afferrò la mano e Loki le sorrise. Così sparirono nell'ombra.
Il giorno dopo, un lembo strappato della gonna di Sigyn fu rinvenuto nei pressi del fiordo. Il dio del tuono osservò la lana rimasta impigliata vicino al molo, la prese tra le dita e disse che lei era annegata. Il suo corpo l'avrebbe restituito il fiordo a primavera, forse. Non fu ritrovato mai – la corrente o i pesci o il ghiaccio ne impedirono il ritrovamento, e molti dissero che era stato lo spettro del dio degli inganni a convincerla a gettarsi. Raccontarono come gli avesse teso la mano ingannandola per portarla con sé nel Regno dei Morti e, più avanti, giurarono che nelle notti di luna era possibile sentirli e vederli, se la neve aveva imbiancato Asgard dalle alte torri.
Altri dissero che Horic, geloso, avesse ucciso la moglie adultera e incinta di un altro, e che non era stato lo spettro di un nemico feroce e affascinante, ma ormai innocuo, a strappare dal regno dei vivi la donna, ma un marito tradito e beffato desideroso di vendicarsi di lei e cancellare la colpa che portava in grembo.
La mattina in cui fu chiamato per decidere cosa fosse successo alla sventurata Sigyn, Thor Odinson giunse al molo con un'aria torva e assorta, infelice e meditabonda, la stessa che aveva da quando Loki era stato giustiziato. Con occhio severo e giudicante fissò la stoffa impigliata presso il molo, ascoltò la voce disperata e rotta di Horic. Le guardie, incerte e indecise, lo avevano afferrato per le braccia. Era stato davvero lo spettro del dio degli inganni, a trascinare con promesse suadenti la donna in Hel, oppure suo marito ne aveva inscenato la fine incolpando l'ombra, ancora terrificante e per sempre colpevole di Loki Laufeyson?
Thor ripensò al corpo inerte del fratello, alla testa staccata dal collo e abbandonata nella cesta, agli occhi serrati, al muro di fiamme che lo aveva reso cenere cui lui solo aveva assistito e all'odore di quella pira. Oh Loki! Vide un bagliore nella neve, si chinò e lo raccolse, ancora pensieroso.
"Mio fratello è morto, lo avete visto tutti. Mi sono accertato personalmente che il suo corpo bruciasse alla maniera degli Asi. Ho visto il fuoco levarsi sulla sua carne e renderla cenere, come dev'essere," disse rivoltandosi tra le mani grandi e forti la piccola placca di metallo dorato. "Dimora in Hel, ora, e il suo spirito non cammina tra di noi per vendicarsi o beffarsi. Riposa, come dovrebbe." Levò gli occhi azzurri su Horic, sulle guardie, sulla folla astante. "Povera Sigyn! Amava Loki, quand'era ragazza. La sua morte deve averla turbata."
Il biondo Ase ripensò al boia che calava la mannaia troppo presto, alla fiera arroganza di suo fratello, muto e immobile sul patibolo, e fece sparire la piccola placca dentro a un tasca. Ordinò che Horic fosse liberato ed evitò che fosse istituito un processo ai danni dell'uomo. Confermò e sostenne sempre che Sigyn, infelice e disperata, si era gettata oltre il molo, nell'acqua ghiacciata, per non sopravvivere neanche un giorno all'amore della sua vita dagli occhi verdi e dal sorriso beffardo, contribuendo così a creare la leggenda dei due innamorati infelici.
Quella fredda mattina però rimase a lungo al molo. Fissò la linea dell'orizzonte lontano e sorrise, quando fu solo – la placca della cotta di maglia di Loki giaceva al sicuro nella sua tasca. "Buona fortuna fratello," mormorò, rammaricandosi solo di una cosa: che forse non avrebbe potuto avere mai la soddisfazione di dire all'astuto ingannatore che, per una volta, aveva compreso i suoi piani, gioendo intimamente per quel finale inaspettatamente lieto. Loki e Sigyn sarebbero finalmente vissuti insieme, felici come avrebbero dovuto essere dai tempi dei ciliegi in fiore, lontani da Asgard, e lui, Thor, li aveva aiutati, fissando una pira in fiamme che non conteneva che una copia creata con la magia, coprendo una fuga avvenuta per mare, dando la possibilità di amarsi a due innamorati cui era stata negata. Certo, Loki avrebbe potuto arrischiarsi a dirgli due parole, anziché coinvolgerlo suo malgrado nel piano articolato che aveva ideato, ma il dio del tuono pensò che in fondo, alla fine, suo fratello si era fidato di lui, e questo solo importava.
Fine
Caro Lettore,
Questo è decisamente un regalo di San Valentino* (la storia fu originariamente postata su Efp il 14/02/2018) per te, che sei arrivato fin qui. Ti ringrazio del tempo che mi hai dedicato e sarei felice se mi lasciassi, che ne so, un pensiero, una maledizione, due righe due.
*Il nome Horic è del tutto casuale. Mentre scrivevo questa fiction stavo vedendo le prime serie del telefilm Vikings dove, guarda caso, c'era un Horic.
**è una costruzione che ho inventato basandomi sui poemi greci.
***Occhi di bosco è un verso della celebre canzone "Andrea" di Fabrizio De André.
**** Un'altra frase che non è un calco di Faber, ma certamente è ispirata al Testamento di Tito.
Storia presente sul mio account di Efp.
Shilyss
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