XXXVIII° REQUIEM - PARTE TERZA*
Grassetto: punto di vista di Sarah (dialoghi e riflessioni)
Sottolineato: Daimon (dialoghi)
Normale: le parole del Verme (ricordo di Sarah)
ASTERISCHI (*) = Note dell'autrice
"C'è una stanza
dove le luci non ti troveranno
Tenetevi per mano
mentre i muri crollano giù
Quando lo faranno
io sarò esattamente dietro di te"
Everybody wants to rule the world - Lorde
Sarah, tra le mani, tendeva la collana.
Sapeva solo questo.
Era importante soltanto questo.
Quanto si sentiva bene, finalmente!
Si stava liberando da un peso.
Il suo collo ed il suo cuore erano sollevati, alleggeriti.
Respirò lentamente e profondamente, sciogliendo ogni tensione.
Chiuse gli occhi e li riaprì. Sbatté le palpebre più volte.
Guardò attorno a lei: che ambiente rassicurante! Lo studio della psicologa. Lo era sempre stato e sempre lo sarebbe stato.
Sedeva ai bordi del lettino, allungando con il braccio il ciondolo alla dottoressa Daimon, che le sorrideva di rimando con la mano tesa, infondendole sicurezza.
Doveva restituire quel volgare monile.
Un amuleto comprato ad una fiera del fumetto in cui aveva riversato nuovamente le sue ossessioni, la sua follia, figuriamoci... Che sciocchezza!
Lo osservò: la catenina lunga e brillante, a cui si allacciava il pendente, oscillava quasi in modo ipnotico, ondeggiando; il gioiello era un triangolo argentato rovesciato, che presentava, al centro, il disegno di un nastro attorcigliato, dentro ad un cerchio dorato; era un triangolo argento le cui punte, alla base, assottigliandosi, terminavano allungandosi, acuminate ed arrotondate, ricurve verso il basso.
Che bizzarro medaglione... Le parve quasi che vibrasse oppure tremasse o entrambe le cose, allontanato e separato dal suo petto, sul quale si era abituato a stare.
Sospirò, serena all'idea di cederlo.
Fissò le pareti bianche che contenevano lei e la sua psicoterapeuta. Se quei muri avessero potuto parlare... Cosa le avrebbero suggerito? Sarebbero stati d'accordo con le sue scelte? Se l'era sempre chiesto.
Improvvisamente, le sembrò che le dicessero qualcosa.
Ma non riusciva a cogliere nemmeno una parola.
Vide su di essi crearsi delle venature, increspature trasparenti, quasi fossero stati composti di un materiale simile ad una mistura di acqua e nebbia; vide formarsi delle crepe vere e proprie che ne rivelavano il movimento pulsante.
Portò indietro il braccio, distratta, voltando il viso.
Aggrottò la fronte: i suoi pensieri andarono a rilento... Non ricordava... Non riusciva ad afferrare... Cosa significava?
In effetti, quella situazione... Era tutto fin troppo normale.
Talmente tanto normale da risultare quasi anomalo.
Fu questo a risvegliarla dallo stato di trance.
Non era nel suo carattere arrendersi così.
Avrebbe, quantomeno, opposto resistenza ad un comando ordinatole.
E lo studio non l'aveva mai rilassata. Anzi!
Perché la Daimon insisteva così tanto per quel giocattolino, un gadget preso in un...? Dedalo.
La risposta era... "Labirinto." sillabò piano.
Si avvicinò ai margini della stanza.
"Sarah!" si sentì chiamare con irruenza dalla donna occhialuta più volte.
Il suo viso era contratto dalla violenza della rabbia.
Non le prestò attenzione. Non ci fece caso.
La camera ed i suoi spacchi... Ed, al loro interno, quello sfarfallio confuso di rumori indefiniti.
"Che strano..." rifletté ad alta voce. "quasi non... esistesse!" disse a sé stessa.
Scrutò più attentamente nelle fessure: da esse provenivano dei suoni e delle immagini gracchianti e distorte, quasi svanissero e saltassero per poi provare ad apparire di nuovo come ferme, fisse.
Quasi le insenature mostrassero qualcosa al di fuori di lei che fosse disturbato da un'interferenza, come se rilevassero una falsa trama per coprire... "La realtà!" mormorò Sarah.
Avrebbe dovuto trovare un modo per creare un passaggio attraverso di esse, per entrarvi.
Ma come? Aveva bisogno di poterci strisciare dentro come... Un verme.
"Devo superare questo Labirinto. Ma non c'è nessuna curva, nessuna apertura, niente di niente, va sempre avanti dritto!" rammentò.
"Lei non guarda bene, è pieno di aperture, è che non le vede, eh? Eh sì!" le aveva risposto una creaturina azzurra.
"Ma dove sono?".
"Guardi ce n'è una proprio di fronte, è lì davanti a lei!".
"No che non c'è! Ma non ci sono aperture!".
"Ma sicuro che c'è! Provi a passarci attraverso, capirà cosa intendo, no?".
"Questa è... Una tela sfilacciata gettata sulla... Realtà! La realtà che è al di là! Ma qual è? Mi sfugge!" sussurrò.
Si voltò appena in tempo per sentire i passi rapidi di Daimon che si apprestava ad avventarsi contro di lei.
Decise cosa fare in meno di un secondo.
"Resta dove sei!" la minacciò. "Non avvicinarti, o sarò costretta a gettarla nel vuoto!" distese il braccio con, tra le dita della mano, la collana, in una spaccatura profonda del muro.
Sorrise dell'idea che aveva avuto: sfruttare i tagli della parete.
"E ti sarà difficile riuscire a recuperarla, poi, nei meandri..." aggiunse, illuminandosi, "della mia mente! I meandri della mia mente!" ripeté, vigorosa e fiera, "del mio Labyrinth Mind!
Questa è solo una proiezione creata da te, non è vero? Un'illusione.
Bel tentativo davvero, demone!
In realtà non abbiamo mai lasciato il Background! Siamo ancora qui e tu stavi tentando di ingannarmi un'altra volta!
Ma non riuscirai mai ad avermi!
Il mio sé ed io originale adesso è molto più forte e radicato, per cadere nei tuoi tranelli mentali, di nuovo.
Non puoi più manipolarmi, stolta!
So che Karen ha cercato, senza trovarli, il braccialetto e l'anello che indossavo il giorno che ho attraversato il Labirinto, perché non li possiedo più, appartengono a Gogol ed al Saggio.
Ora so che mio padre non era in grado di vedere le fate che assediavano la veranda di casa nostra, ma c'erano.
So che l'amore che provo per una persona che proviene da un mondo diverso dal mio è reale.
E so che quella stessa persona, in sogno, mi ha rivolto la seguente domanda...
- Qual 'è la tua realtà, Sarah? – ed al quesito ho affermato: - Tu. Tu sei la mia realtà. Lo voglio con tutta me stessa, voglio che sia così. Il Labirinto, Gogol, Bubo, Sir Didymus...-" recitò a memoria.
"E lui mi ha detto: - Bene, mia preziosa. Mantieni vivo il nostro ricordo, se è ciò che vuoi, hai il potere di realizzarlo -.
Tu non sei la mia realtà, Daimon.
Loro lo sono!".
Improvvisamente, l'immagine dello studio, crollando come un castello di carte ad una folata di vento, iniziò, tassello per tassello, a perdere i pezzi, come un puzzle le cui caselle incastonate perfettamente vengono scucite da una forbice, con le grida di Daimon, sconfitta, che, tossendo, si rovesciò a terra rovinosamente sotto la pioggia del mosaico che, dal soffitto, la sotterrò.
A partire dalle fondamenta, il locale iniziò a tremare talmente tanto forte, che Sarah perse l'equilibrio, come in una scossa di terremoto.
Aggrappandosi come meglio poteva a qualunque appiglio, prima lo stesso lettino, poi un angolo della libreria, trovò la volontà di ferro che l'aveva sempre contraddistinta per non precipitare, mentre si affacciava su un pezzo smembrato delle mura che inquadrava, poco distante da dove si trovava, il suo amato avvolto da spire nere.
Le protuberanze informi e raccapriccianti, lunghe quanto tentacoli, che si estendevano dal nucleo dell'Oblio, lo trascinavano, portandolo via con sé e verso di sé, sempre più giù, nell'abisso.
Sarah, per l'orrore, trattenne il fiato quando incontrò lo sguardo vuoto su di lei, azzurro, assente e spento di Jareth che, con le braccia abbandonate ai fianchi, capì stava morendo.
* In quest'ultima e terza parte del capitolo, come potete vedere il video di youtube, ho inserito "Some Are", bonus track tratta dall'album di David Bowie del 1977, Low. L'atmosfera spettrale accompagna bene le parole scritte. DA PELLE D'OCA.
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