XXXIII° IL TEMPO CHE CI RIMANE
- Prima sezione =
Grassetto: punto di vista di Sarah (dialoghi e riflessioni)
Corsivo: Jareth (dialoghi)
Normale: Mente
- Seconda sezione =
Corsivo: punto di vista di Jareth (dialoghi e riflessioni)
Grassetto: Sarah (dialoghi)
"Manda i tuoi sogni dove nessuno si nasconde. Dona le tue lacrime alla marea. Non c'è tempo. Non c'è fine. Non vi è addio. Svanisci insieme alla notte. Non abbiamo tempo."
M83 - Wait
Le piacque, per la prima volta, dopo quindici anni passati ad odiarlo, il colore bianco.
All'inizio, nello studio della Daimon, l'aveva detestato: ci affogava dentro e non riusciva a darvi significato.
Era vuoto.
Come se dovesse scovarci qualcosa dentro, scavando, che non riusciva a trovare.
Quel qualcosa, in quelle ore, ormai, si era fatto sempre più vicino.
Lo percepiva. Si sarebbe riunita al più presto ad esso.
Sarah respirò profondamente la purezza di quella nevicata, quel candore, per farli di nuovo suoi, chiudendo gli occhi.
Quando li riaprì, rincontrò quelli di Jareth, di occhi: erano così belli.
E meno cinici, amari e tenebrosi del re dei goblins che aveva affrontato anni addietro.
Le diedero l'impressione che, più che respirare l'aria pulita e fresca portata dalla neve sul deserto, potessero respirare solo attraverso i suoi.
Quegli occhi, ora, la conoscevano meglio. L'avevano finalmente capita.
Ed erano compresi, adesso, anche da parte sua.
Si erano aperti, dimostrando le proprie fragilità ed emozioni.
E se, in tutte le sue infinite contraddizioni... Lui?
Smise di pensare. Improvvisamente. Le sembrò di farsi sempre più piccola. Si sentì trascinata lontano. Ma non ebbe paura. Misteriosamente.
Qualcuno, adesso, stava parlando attraverso di lei, con la sua bocca.
Però non erano parole sue.
Forse un altro sembiante senza corpo si era impossessato di lei per manifestarsi a Jareth?
Si limitò ad ascoltare, dato che era l'unica cosa che poteva fare.
"Sovrano di Goblin, è la Mente di Sarah Williams che ti si rivolge direttamente.".
Il Signore del Labirinto, sorpreso, udita la presentazione, annuì, lentamente, rispondendole: "Cosa ne è stato di Sarah? Dov'è adesso?".
La Mente sorrise e così si ritrovò a fare anche lei stessa.
"Riesce a sentirci. E' qui dentro. Sta bene, non la lascerei mai andare, io e lei siamo la stessa cosa." un suo braccio si piegò e le dita di una mano toccarono il cuore, al centro del petto, poco al di sotto del medaglione.
"La riavrai accanto a te tra pochi minuti. Ma prima, devo informare lo Sfidante riguardo l'ultima prova che vi attende. Queste le mie mansioni, adesso che avete risolto il rompicapo sulla distruzione dell'Underground e del Labirinto avvenuta qui, indovinello posto sin dal principio, senza chiare parole per esplicitarne la domanda, al quale avete risposto correttamente poco fa." spiegò.
Sarah sussultò. Lo stregone non esitò oltre: "L'ultima prova? Manca poco allo scadere delle tredici ore? Parla, te ne prego." interrogò la Mente, trasalendo.
"Purtroppo, sì. I viaggiatori si sono rivelati all'altezza di ogni situazione presentatagli. Tuttavia, la sfida che vi aspetta è la più pericolosa.".
"Farò tutto ciò che è in mio potere per far vincere entrambi." promise il mago.
"Ebbene, sia. E ti auguro di non fallire.".
La Mente si incamminò, sebbene si muovesse, almeno così parve a Sarah, su dei livelli e dimensioni differenti da quelle che il suo stesso corpo si ritrovava ad occupare, anche se la Mente si serviva delle sue stesse gambe.
Il Fabbricante di sogni la seguì.
La Mente indicò, con la sua mano destra, il sorgere di due scale a chiocciola dalla neve, gemelle, al cui termine, in cima, erano poste due scatole perfettamente identiche.
"Dovrete salire e scoperchiare i ricordi di Sarah che ho raccolto in tutti questi anni.
Le semplici memorie di ciò che è stato negli anni in cui vi siete separati, quello che Sarah ha vissuto per arrivare a fare la psicoterapia ed assumere le pillole. La scala a destra conduce alla scatola che li contiene, detta dell'osservatore, destinata a te." illustrò, indicando Jareth, "Infilandoti dentro di essa, potrai assistere ad ogni frammento di racconto che è stato la nostra vita negli ultimi quindici anni.
Mentre la scala a sinistra conduce alla scatola del praticante dei ricordi, destinata a Sarah stessa. Infilandosi dentro di essa, si ritroverà a vivere di nuovo ogni momento del passato.
Il suo aspetto ed i suoi pensieri muteranno con gli anni e soltanto alla fine potrà riacquistare il ricordo del presente che sta vivendo, quello che ci stiamo dicendo, ad esempio, assieme a ciò che state affrontando nelle tredici ore che sono arrivate quasi a compimento.
Per rendere un nuovo, vostro futuro possibile, per Goblin, per l'Undeground, Sarah deve liberarsi delle ombre e dei demoni che ancora albergano nei suoi ricordi, tormentandola.
Per conquistare il presente che volete per lei deve prendere atto dell'ipocrisia del suo passato.
Se crederà ancora, dopo aver vissuti di nuovo quegli istanti, che il Sottomondo e quindi tutti i suoi abitanti, compreso il suo re, non sono reali, perderete la sfida e, quindi, morirete qui dentro, poiché non avete conquistato la verità in grado di liberarvi.
Di una sola cosa posso avvertirvi: i ricordi di ciò che è stato mentono e possono mentire tuttora. Ma Sarah, quando li rivivrà, non lo saprà.
Se riuscirete nell'intento, la vittoria vi ripoterà ad abbracciare il vero Io di Sarah Williams. Sono le dodici in punto. Avete un'ora.".
Sarah tornò vigile e presente nel suo corpo, vacillando.
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Lo atterrì il solo pensiero che potesse essere l'ultima volta che poteva contemplare il suo viso.
Così se ne abbeverò con lo sguardo come il più assetato degli uomini: lei, ogni cosa di lei lo riempì come sempre. Sarah Williams.
Quegli occhi verdi che l'avevano ghermito e gremito tanto inaspettatamente, senza alcun preavviso.
Erano entrati dentro di lui con una tale irruenza ed una tale soavità da non poter ammettere replica.
Ed avevano capovolto tutto, dando un'importanza maggiore, di grande rilievo, al sopra che stava al di là di lui, piuttosto che al sotto che si ritrovava ad abitare: d'un tratto si era reso indispensabile per la sua sopravvivenza osservarla costantemente, distrutto dal desiderio di averla vicina, seppur estremamente lontana.
Rapito, in passato aveva fatto sempre più spesso irruzione nel Sopramondo, fino a farla diventare un'abitudine dura a morire, volendo conoscere le sue giornate nei minimi particolari, la vita che conduceva tra la famiglia strampalata e le sue recite, lasciando, negli attimi liberi dalle incombenze e gli impegni della sovranità, l'Undeground a badare a sé stesso, senza il suo re.
I suoi occhi erano la primavera, una rinascita che lui stesso ed il suo regno, riflesso della sua condizione da secoli, bramava, nel torbido torpore in cui s'era addormentato, affondando, abbandonato nel generale degrado del marcio ciarpame sparso un po' ovunque nel Castello: erano il calore contro tutto quel freddo.
Contro quel glaciale, indifferente, apatico inverno perenne che era sceso su di lui, che lo rivestiva, che forse, incontrando la primavera, si sarebbe sciolto, che avrebbe serbato e scoperto qualche germoglio ansioso di fiorire.
Ed insieme ai suoi occhi verdi arrivarono tutti gli altri dettagli: il suo latteo incarnato, la rosea curva piena delle labbra ed il notturno dei suoi capelli mori. Le morbide linee della sua figura, accoglienti.
Infine il suo carattere tagliente. La personalità che l'aveva più ammaliato, sfidato, vinto, ammansito. La sua anima.
Impresse tutto nel suo spirito, formando l'ennesimo solco sotto il suo nome, costantemente profondo.
Come a volere fare lo stesso con lui Sarah, oppure semplicemente accontentando i suoi occhi che, a distanza, danzavano su di lei per sfamarsi, avvicinò il suo volto al suo, restando muta, accorciando di netto la lontananza.
L'eternità di quell'attimo li sfiorò.
E poi, Sarah disse seria: "Potremmo morire entro un'ora esatta...".
Non era una domanda, né un'affermazione, bensì una attenta constatazione.
Già, la morte che tanto aveva paventato adesso non lo scalfì minimamente.
Decise di risponderle così: "Sono morto in mille e mille modi ancora, tra i più svariati, credendo di averti persa. E difatti ti ho perduta non so quante volte.
E nuovamente, miracolosamente, inspiegabilmente ritrovata.
Anche se morissi, oggi, qui con te, potrei vivere ancora nella speranza di riaverti.
Sarebbe soltanto un altro inizio per entrambi.
Tu, per me, non potresti morire mai. Sei in tutto ciò che sono stato, che sono e che sarò perfino dopo che verrà questa morte di cui tanto si parla.".
In punta di piedi, lei accostò la sua fronte alla sua. "Scusami." bisbigliò alla terra.
"E di cosa dovrei perdonarti?" le chiese, beandosi, estatico, della caduta delle barriere che avevano innalzato tutti e due nell'attesa che l'altro compiesse il primo passo per far cedere l'orgoglio, nel gioco d'odio e d'amore che avevano condotto e stavano tuttora conducendo. Anche quei muri, al loro cospetto, avevano scelto di arrendersi, sgretolandosi, dopo tempi interminabili.
"Non ho saputo sfruttare come avrei voluto il tempo che ci era rimasto. Mi dispiace." la guardò tormentarsi la bocca, rosicchiandola agli angoli.
E non pianse. La fiera Sarah, nel suo stoico dolore, non piangeva.
Posò un bacio leggero sulla sua fronte, proprio all'attaccatura dei capelli, come se potesse rasserenare la stessa mente in cui vagavano, che prima gli aveva parlato. "Tu vuoi dire il tempo che ci rimane." la corresse dolcemente, indugiando sempre con le labbra sulla sua pelle.
"Suppongo di sì." annuì lei, con un sorriso mesto a tingerla di amara tristezza.
Passò lentamente le dita sulle sue mani, tracciando con i polpastrelli delle linee e dei cerchi sulle sue ferite, lungo le nocche. Lo fece sospirare, socchiudendo le palpebre.
Se avesse saputo cosa le trasmettevano col loro tocco le mani umane di Sarah, si sarebbe liberato molto prima dei guanti per ricambiarla.
Una volta denudatosi di essi, li avrebbe gettati e calpestati.
Se era il permesso, quello che gli stava chiedendo con quel gesto, non era affatto necessario.
Aprì immediatamente le sue mani per stringere quelle di lei tra le sue. Fece scorrere dapprima l'indice lungo i suoi palmi e poi, risalendo, intrecciò le sue dita alle sue, intrappolandole. E si lasciarono intrappolare. Due perfette metà che si univano, tornando... Intere. Complete. Continuò ad accarezzarla con il pollice, scivolando sul profilo delle altre dita e sul disegno delle vene sui suoi polsi.
"Jareth..." lo chiamò.
"Sì?" attese.
"Voglio che tu sappia che...".
Aspettò.
Vide i suoi immensi sforzi, finalmente, vanificarsi. Vacillò e crollò in un confuso susseguirsi di singhiozzi che sentì le spezzavano il petto. Si era concessa, all'ultimo, alla vulnerabilità, che ora l'aveva piegata a sé.
"Che tu... Sei stato l'unico tra i miei sogni che non ho mai capito. Perché mi ci perdevo dentro.
E' questa la ragione per cui ho sempre rifiutato tutto ciò che proveniva da te, credo. Ma non avrei voluto veramente farlo. Davvero.
Non appena ti sei accasciato su te stesso, al rintocco della tredicesima ora, tramutandoti in barbagianni, non appena ero sicura, oramai, di averti vinto e, così facendo, di aver ripreso Toby, io ho teso la mano verso la sfera che mi offrivi. Volevo prenderla.
Sarebbe caduta sul pavimento infrangendosi, come te e come il sogno che avevo di te, mentre svanivi ai miei piedi.
Ma non è stato l'incontro violento con la terra a romperla, bensì a farla dissolvere è stata la presa delle mie immature, ottuse, maldestre dita.".
A quel punto, proprio come se fosse stata la stessa sfera che si faceva leggera ed impalpabile come una bolla di sapone, pronta a scoppiare, la strinse così forte per impedirle di crollare in pezzi da temere di farle male.
Ma più l'avvolgeva così, più il comprimersi dei loro fragili corpi schiacciati l'uno contro l'altro sembrò la sola cura possibile alle sofferenze: allora la loro carne che combaciava, le loro ossa, i loro respiri, il battito dei loro cuori e tutto il resto di loro stessi, mescolandosi, fondendosi, trovava sollievo e pareva cessare i lamenti.
O quantomeno ridurre il volume del rumore attraverso il quale gridavano silenziosamente.
"I sogni sono delle creature eteree che non desiderano altro che correre, senza meta, non possono fare altro, fino a quando non si sono dissolti. Non è colpa tua." disse piano chiudendo gli occhi, con un filo di voce.
"Tu non sai quanto fortemente vorrei averlo compreso ed espresso." continuò Sarah sconquassata, tremando.
Il suono delle sue flebili e rotte parole, facendosi strada dentro il loro abbraccio, diffondendosi nello spazio circostante, risultò ovattato, come il riverbero di un vecchio ricordo o una polverosa ninna nanna dimenticata in un cassetto.
O... In una scatola. Una scatola da scoperchiare di lì a poco.
"Ma, Sarah..." scosse la testa. "Mia, preziosa, Sarah..." sussurrò vicino alle sue ciglia.
"L'hai appena fatto." soggiunse, mormorandole all'orecchio.
E come allora, un'altra volta, non poté fare a meno di osservare la sua Sarah fuggire dalle sue braccia.
Il vostro stato d'animo è come il mio? Immagine simbolica/metafora/gif per rappresentarlo: un Jareth che si accascia a terra tra i veli per volare malinconicamente via, ho indovinato?
DAI DAI,
a presto ed abbiate fede nei vostri sogni, miei cari, loro ne hanno in voi!
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