XXX° VELENO ED ANTIDOTO
Corsivo: punto di vista di Jareth (riflessioni e dialoghi)
Grassetto: Sarah (dialoghi)
Normale: parole dei pesci-lettera
*ASTERISCHI = Note dell'autrice
"Il libro!" esclamò concitato Jareth, tornando improvvisamente tra i suoi pensieri a ciò che Sarah aveva avuto modo di riscrivere nel nuovo volume. "Il libro, Sarah!" ripeté.
Si guardò attorno con fare ansioso. La riscosse.
Strizzando le palpebre, gli occhi verdi di Sarah, da assenti, tornarono pieni di luce.
La vide schizzare giù, tastando l'erba. Si chinò a terra, rapida, per recuperarlo.
Non appena lo trovò e prese, lo strinse al petto con un sospiro di intenso sollievo.
Ne sorrise. Doveva essergli caduto dalle dita quando l'Oblio l'aveva attaccata.
"Le tue mani, le tue mani mai dovranno lasciarlo." le disse. "Tra di esse, stai stringendo di nuovo il Labirinto e... Con lui... Tutti noi." considerò, accarezzando, delicato, la copertina rossa.
"Abbine la massima cura. Non ha importanza cosa potrà succedere o succederci," specificò, "Tu non te ne dovrai separare più, in ogni caso. Giunti a questo punto, temo che Daimon sia più vicina di quanto crediamo.".
"Può... Penetrare nella mia mente?" domandò lei, scura in volto.
"Se l'ha fatto Oblio, non può mancare molto neanche alla sua entrata in scena." commentò aspro, pieno di livore ed astio.
Quanto oltre s'era spinta quella razza di demone? Maledetta!
Aveva disubbidito, deliberatamente, ai suoi ordini: sì, nella realtà dei fatti, Sarah, il suo migliore nemico ed avversario, lo aveva vinto ed aveva conquistato il regno, senza che, secondo le ordinarie procedure, potesse accedervi, gettandolo poi in uno stato generale di anarchia e distruzione.
Eppure, aveva comandato a Daimon di appoggiarsi ai servigi offerti da Oblio soltanto avendo consultato lui, il re, in prima persona.
Certo, lui stesso aveva perso la sua carica e, con eccesso di zelo, il demone si era arrangiato, spingendosi oltre i limiti che aveva sapientemente tracciato attorno al suo compito.
Ma non era più presente e, soprattutto, non era più dotato di poteri magici per impedirgli, adesso, di portare a compimento la sua missione.
"Non ho mai desiderato così intensamente sapere che ore sono. Buffo, no?" spezzò il silenzio con un sorrisetto teso la sua compagna di viaggio.
Ne rise, contagiato dalla sua isteria, nervoso. "E le ore non hanno mai desiderato così intensamente acciuffarti. State correndo in direzione dello stesso obiettivo: trovarvi.".
Leggendo l'espressione interrogativa sul suo viso, tra il divertito e l'incuriosito, aggiunse: "Cosa credi, che gli orologi incantati dalle tredici lancette si divertano, a scandire lo scorrere lento dei minuti e dei secondi, che, per te, sono sempre troppo veloci, ladri ed assassini? Hanno di meglio da fare, è terribilmente noioso aspettare gli sfidanti! Per questo dopo un po' spariscono: non provano gusto nel farti sapere a che punto della sfida sei, preferiscono osservare le vittime attanagliate dall'ansia di raggiungere la meta, con la preoccupazione costante di arrivare tardi e perdere, mentre loro sanno esattamente quanto manca e desiderano che tutto finisca il più presto possibile, per smettere di attenderti e tornare ai loro affari.".
"Ma... Sei serio?" accennò Sarah, che, nel rispondergli, aveva tracciato con le labbra, sulla sua faccia, una smorfia burlesca, arricciando il naso.
Passandole davanti, baldanzoso, le sussurrò, misterioso, mettendogli una ciocca dei lunghi capelli neri dietro un orecchio: "Non lo saprai mai.".
"Dove stai andando?" gli chiese alle spalle, tenendo il suo passo.
"Pensi davvero che io pianifichi sempre tutto?" si prese gioco di lei.
"Nella maggior parte dei casi, sì." affermò con estrema sicurezza.
"Infatti non sei in errore, mia cara." l'assecondò. "L'ultima volta sono state le sabbie mobili. Ora... Come usciamo di qui?" la stuzzicò, ammiccando.
"Fammi pensare. Devo... Analizzare lo scenario." la giovane donna si mordicchiò il labbro inferiore. "Se sosteniamo la tua filosofia, che s'incentra sul fatto che ci siamo lasciati indietro gli strati superficiali per discendere nel mio inconscio, più in profondità, penso che dovremmo sempre scendere. Ma attraverso cosa? C'è l'arcata con le scene del Labirinto che custodisce il piedistallo da cui ho preso il libro in un angolo..." cominciò, massaggiandosi il mento con due dita, "Ed il prato enorme che si stende davanti ai nostri occhi... Ed infine, per ultimo... Il lago." sillabò lenta, illuminandosi.
"Certo! Abissi di coscienza, li hai chiamati... Uno specchio d'acqua che riflette noi stessi e che, dall'altra parte, forse, funge come porta-finestra per il livello successivo, dove ci aspetta la prossima prova con un'altra versione ancora di me stessa. Inoltre, è dal fondo del lago che si sono alzate le lettere che ho usato per comporre le parole del libro. Segno che vi sia vita, al cui interno possiamo inoltrarci.".
Jareth non tardò oltre nel darle conferma: "Veramente perspicace. Me ne compiaccio.".
"Presto, non abbiamo tempo!" lo incoraggiò lei, già lanciandosi verso il lago, correndo.
Con un sorriso, scuotendo la testa, seguendola, l'ammonì: "Se continui così, non sapremo mai che ore sono: non fai altro che divertire l'orologio, rammenti?".
Una volta che le fu accanto, scrutò nei suoi occhi, frugandoci dentro.
Guardò il lago e poi di nuovo la sua espressione: "Non temi d'affogare?".
Sarah ricambiò il suo sguardo solo per un attimo e, poi, iniziò a camminare, immergendosi nell'acqua del lago fino alle ginocchia.
"Evidentemente no." parlò a sé stesso, osservandola continuare a proseguire. Probabilmente, dopo le sabbie mobili, non temeva più nulla. "Mia pura, coraggiosa, Sarah..." disse. Ma non lo poté udire. L'acqua le arrivava fino alla vita.
Pochi istanti dopo, entrambi, respirando profondamente, si erano tuffati.
Non appena furono lontani dalla superficie, vennero accerchiati da i pesci più strani che Jareth avesse mai visto, il che, comunque, era tutto dire, per colui che era a capo dell'Underground: solo le sue creature più stravaganti del Labirinto potevano sognarsi tale inventiva.
La mente di Sarah lo affascinava tanto quanto la stessa proprietaria, con un magnetismo particolare al quale non era riuscito mai a sottrarsi: costruiva delle immagini e dei simboli fuori dal comune.
I pesci, dai colori più svariati, si contraddistinguevano tra di loro soprattutto per la forma, che ricalcava esattamente le lettere dell'alfabeto.
C'erano tante vocali e consonanti, tutte quelle che prima Sarah aveva "pescato" per ricomporre le parole del libro.
Tra i pesci, alcuni si misero in fila davanti ai loro occhi, per costituire un'unica frase: "Di cosa avete bisogno?".
E, prima che potesse reagire, Sarah indicò il pesce della lettera b, della o, della t, di un'altra o, della elle e della a.
I pesci, così raggruppati, scrissero BOTOLA.
Non appena lui annuì, raggiante, approvando la sua scelta, il banco di pesci si diradò svelando proprio una botola sotto di loro.
Allungò un braccio per prenderne il manico e tirare, aprendola.
Dallo spiraglio proveniva una grande luce. Fece cenno a Sarah di attraversare per prima: stavano trattenendo il fiato da troppo tempo e lui aveva ancora un po' d'ossigeno nei polmoni da risparmiare, parsimonioso.
Non appena lei l'oltrepassò, si fece strada anche lui, richiudendosi la botola alle spalle, non prima di aver contemplato, però, di nuovo l'immagine dei pesci colorati che danzavano, turbinando, nell'acqua.
Stavano componendo un'altra frase: "Che viaggiatori simpatici.".
Si sforzò di non ridere, per evitare di fare una fine davvero sciocca, soffocandosi, inghiottendo l'acqua. Pensò solo: "Anche voi mi siete piaciuti.".
Vide Sarah aspettarlo dall'altra parte: la sua sagoma risultava capovolta.
Non appena la raggiunse, sempre più incantato, si tirò su con le braccia da quella che sembrava una pozza d'acqua, poco più grande di un banale stagno, all'ombra di una gigantesca palma.
"Fammi indovinare: ora," esaminò l'ambiente circostante e l'atmosfera afosa pesante, "c'è il deserto! Dall'abbondanza alla carestia: passando attraverso l'acqua per arrivare alla siccità." enfatizzò, avvinto. "Incredibile...".
"Com'è successo, Jareth?".
Le rivolse lo sguardo e, vista la greve serietà scesa sul viso di Sarah, intuì di cosa stesse parlando. Lo percosse un brivido, al solo ricordo. Si limitò a respirare, lieve.
Nelle ultime ore, aveva accennato rapido all'accaduto, senza scendere nei particolari.
Ciò che sapeva la sua amata sulla distruzione di Goblin era solo che lui era stato trasferito all'interno della sfera-prigione della sua mente e che i suoi pochi poteri rimasti, da quel momento, erano scomparsi.
"Mi riferisco... Al tuo regno." incalzò lei, quando non ricevette risposta. "Ho bisogno di capire. Di sapere!" insistette, fiera e risoluta. "Voglio conoscere ogni minimo dettaglio. Nello specifico: quando è accaduto? Come è collassato su sé stesso? E tu come sei sopravvissuto?".
Jareth sapeva benissimo che, prima o poi, glielo avrebbe chiesto.
S'incamminarono, allontanandosi dall'acquitrino, per il deserto.
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https://youtu.be/pshqE9zUq_A
*E lui incominciò il suo racconto: "Non appena sei tornata sulla Terra, in principio, tutto sembrava... Normale. Per quanto lo potesse essere, dopo lo sconvolgimento avvenuto.
Sentivo e sapevo che stabilivi ancora dei contatti con il mio popolo, i miei sudditi, i tuoi alleati, sebbene io non riuscissi più a vederti.
Molto probabilmente, tornando nell'Aboveground con Toby, vittoriosa, per tua scelta, hai fatto in modo che non potessi più... Spiarti. Isolandomi. D'altronde, era naturale che fosse così: mi avevi appena vinto e, se volevi, potevi perfino dissuadermi dall'osservarti solamente, ponendo una barriera tra di noi. Dicendomi: - Tu non hai alcun potere su di me - avresti potuto sottrarmi addirittura il potere di guardarti.
Però, quando è passato del tempo, anche gli amici che ti sei fatta nel mio mondo non avevano più tue notizie.
L'ho associato al fatto che, forse, eri semplicemente cresciuta. Per maturare, gli esseri umani sacrificano delle capacità nascoste, che i bambini posseggono fin dalla nascita: tra di esse vi è la facoltà di credere possibile ciò che è impossibile e, quindi, di vedere ciò che non può essere vero nella vostra realtà. Tu sei una delle poche adulte che ancora ci riesce, che riesce a viaggiare con lo sguardo per trovare la vita nelle dimensioni magiche e conoscerla. Perciò sei un'eletta.".
Si fermò un attimo per scrutarla in volto. Per perdersi nei suoi occhi verdi: potevano essere un miraggio del deserto, tant'erano belli, dissetanti per l'arsura che rendeva le sue labbra secche.
"Ho sperato," riprese, "con tutto me stesso," sottolineò, "che tu, proprio tu, per tutte le gesta che hai compiuto, non fossi l'ennesima a perdere questo potere, tra la tua gente.".
"Anche perché," e questo fu un pensiero che tenne solo per lui, "non avrei voluto perderti non più di quanto non avessi già fatto, credendo che un giorno sarei potuto tornare da te o tu da me.".
"E dopo questi eventi," ricominciò, sentendo riaffiorare dentro di lui le paure di allora, "ogni cosa, i suoi contorni, la sua estensione, sfumò, facendosi sempre più flebile, più spenta, gradualmente si restringeva su sé stessa fino a scomparire, pallida.
La distruzione è iniziata a partire dalla città di Goblin: le stanze e le alte torri del Castello, le strade, le case, la discarica. Ogni giorno un altro pezzo crollava.
Ed all'interno della sala del trono, i miei goblins..." aggrottò la fronte, cupo, stringendo i denti, "Tramutati in statue, al mio tocco, sparivano, chiudendo gli occhi, cadevano come..." incespicò, "Morti. Provai a rigenerare i legami che si erano spezzati.".
"I legami?" si accigliò Sarah.
"Vincoli magici e mistici, invisibili, che imponevano la mia sovranità sul mio reame. Ma non si piegavano più al mio cospetto. A suo tempo, si sarebbero stesi ancora più forti, a simboleggiare il mio predominio sull'Underground. Però, attorno alle mie dita, io li sentivo... Sfilacciati. Fino a quando non si sono recisi del tutto, cedendo. Il Sottomondo... Era stato colpito da una virulenta, acuta infezione. Ed io, con lui, mi stavo ammalando.".
"E cosa hai fatto, a quel punto?" mormorò lei, costernata.
"Tutto ciò che era rimasto da fare. Per prima cosa, ho... fatto uso della Revocatio Labyrinthum.".
"Cos'è?".
"Un richiamo sonoro, nella lingua del Labirinto, un canto che raccoglie a sé tutte le sue creature." le illustrò. "Può essere inteso come un sistema per individuare la posizione degli esseri che abitano il dedalo, in situazioni d'allarme.".
"Ed... Hai ricevuto risposta?".
"No." disse, laconico, tombale, reprimendo un fremito.
Guardò Sarah e, contemplata la sua muta reazione compunta di terrore misto a senso di impotenza e colpevolezza, preferì chiudere gli occhi, riprendendo a parlare: "Mi sono messo in cammino per cercarli, data l'emergenza. Mi sono inoltrato nella fitta e folta foresta ed ho camminato per ore. Non ho trovato nessuno. Ho vagato e vagato ancora per tutto il Labirinto e..." esitò, sentendosi sperduto, esausto, sfiduciato e svuotato.
"E?" lo spronò l'altra.
"Ed infine abbiamo avuto modo di parlare." concluse.
"Chi?".
"Io ed il mio Dedalo.".
"Voi avete... Parlato?" bisbigliò, come in gran segreto.
"Certamente." l'assicurò, senza ombra di dubbio alcuno.
"Beh, ora capisco. Esattamente come l'ha fatto nella sua ultima forma rimasta, quella cartacea, dentro di me, attraverso la mia mente, che lo ha conosciuto innanzitutto all'interno di un racconto, similmente avrà fatto con te." acconsentì.
"E la comunicazione con me è stata diretta, oltre tutto, attuata dalla sua vera natura." soggiunse lui. "Le alte mura si stavano... Sgretolando." respirò a fatica, il cuore sdrucito, nel provare le stesse emozioni del Labirinto. "Ed io perdevo le forze con esse. Non appena le ho toccate, mi hanno trasmesso... La loro sofferenza. Il loro dolore." soffiò, affranto.
"Cosa ti hanno detto?".
"Ot, gnihtemos, Hteraj, gnineppah sti... Reh. Esh. Noipmahc eht." citò, a memoria.
"Che significa?" la vide tremare.
"Quello che avevo intuito fin dall'inizio: - Sta succedendo, Jareth, qualcosa a... Lei. La Campionessa. -.".
"Si riferiva a... Me?" spalancò gli occhi verdi dalla sorpresa.
"Sì. Dedurre che ti fosse capitata una sventura era la soluzione più logica." soppesò.
"Perché?" chiese, guardinga.
"Perché sei stata l'ultima visitatrice esotica di Goblin da..." tergiversò. "Secoli." aggiunse poi.
Sarah si fermò improvvisamente. "Uno straniero non è più sopraggiunto nelle tue lande da... Secoli? Interi secoli?" quasi gridò, sconcertata.
"I goblins rapivano i bambini su richiesta, più di frequente, durante la vostra era chiamata Medioevo: età in auge per la stregoneria e l'alchimia, la poca traccia di magia che era sopravvissuta nel Sopramondo in quell'epoca." spiegò. "Successivamente è decaduta e gli episodi, sempre più sporadici, si sono verificati le ultime volte nel Settecento.".
"Ciò vuol dire che io..." tentennò lei.
"Sei stata l'unica, da moltissime lune, ad invocare i goblins e, comunque, l'unica a sfidare me ed il Labirinto vincendoci, fino ad oggi." finì al posto di Sarah.
"E che cosa avrei portato con me nel recuperare Toby, una sorta di virus tossico dal mio mondo che ha avvelenato il tuo popolo?" domandò sconvolta.
"No." Scosse la testa in tutta risposta. "In tal caso, saremmo morti all'istante.".
"Ed allora cosa ti affligge?".
Udite quelle parole, sorrise amaro: "Poni la stessa domanda a te stessa: cosa affligge te? Io ed il Labirinto siamo soltanto lo specchio riflettente della nostra vincitrice: tu. E, nel momento in cui vieni tu stessa colpita da un malessere, l'impero su cui hai stabilito la tua egemonia, compresi i suoi abitanti, il suo re, risentono dello stesso male.".
Sarah riprese a camminare, lo sguardo agitato prima verso l'orizzonte e poi verso la terra. "Il veleno delle pillole." sentenziò.
"Sì..." annuì.
"Sono quelle che hanno amplificato la mia razionalità per mettere a tacere i miei veri ricordi del passato e l'istinto, tanto da... Negare il vostro esistere." enunciò lei, gli occhi leggermente arrossati dalle lacrime pungenti trattenute.
"Esattamente." sospirò addolorato. Intuì che, in quel momento, non voleva essere consolata: nel suo orgoglio, riteneva necessario innanzitutto sapere e trovare una soluzione alla situazione, piuttosto che esprimere il suo cordoglio.
"Il libro ha detto che voi sarete gli ultimi a morire..." valutò l'altra, riacquistando il suo consueto autocontrollo.
"Perché siamo l'origine della fonte magica che scorre a nutrire l'Underground, come l'acqua la terra...".
"Come un cuore pompando il sangue." lo interruppe.
"Precisamente.".
"Dopo il tuo dialogo col Labirinto cos'altro è successo?".
"Ho tentato di contattarti." confessò tutto d'un fiato.
"Non so più nemmeno quante volte," rise, "invano. Dovevo assicurarmi che tu stessi bene. E dovevo sapere in quali guai ti fossi cacciata per scatenare il lancio di un tale, potente maleficio, a prima vista irreversibile, su Goblin.".
"Non stavo affatto bene. O almeno, ero in salute solo in apparenza." si confidò Sarah con lui. "Dove ti sei rifugiato, mentre il Labirinto si dissolveva?".
"Nei suoi sotterranei, accanto ai dormienti Falsi Allarmi. Alle sue fondamenta, alla radice.".
"Come facciamo sulla Terra quando viene un terremoto: ci sosteniamo accanto ai muri portanti. Oppure qualora, sotto attacco aereo, si sceglie di ripararsi nelle cantine o nei seminterrati.".
"Similitudini consone.".
"E' stato allora che sei stato trasportato nel Background? Nella mia mente?".
La fissò, lontano, distante, in quei ricordi, che lo attraversarono: "Stavo aspettando, ho continuato ad attendere e poi è stato come se, improvvisamente, mi ritrovassi, io stesso, a vivere dentro una delle mie sfere di cristallo. Solo che non era un sogno, ma un terribile, terribile incubo di cui non conducevo il gioco, con le sue regole. Senza che ne conoscessi gli sviluppi, senza che ne potessi controllare il corso.".
"Da immortale sei divenuto mortale, perdendo del tutto i tuoi poteri..." rifletté ad alta voce, fra sé e sé, lei. "Come un cuore pompando il sangue..." ribadì, assorta. "Questi sono i tuoi ultimi battiti accelerati prima di..." non terminò la frase. "Non voglio che tu muoia. E nemmeno il Labirinto. Troverò una cura, un antidoto. Fosse l'ultima cosa che faccio! Vinceremo la sfida della mia mente, te lo prometto." giurò, agguerrita come non l'aveva mai vista.
Se ne stupì: che avesse affrontato in passato una Sarah meno motivata d'adesso?
* Penso che il brano riportato, da sottofondo al racconto di Jareth sulla distruzione del suo regno, non abbia bisogno di grosse presentazioni, ma solo di un profondo inchino al suo cospetto, con un cuore riconoscente: si chiama "Subterraneans" ed è tratto dal lavoro unico, nuovo, originale, brillantissimo ed ipnotico di David Bowie che, nel 1977, collaborò con il maestro Brian Eno per creare l'album "Low".
Ecco, questa parte del libro a me è molto cara!
Perché ho un pò amplificato il concetto di Jareth come re dell'Underground, della città di Goblin, del Labirinto, secondo cose che ho ideato personalmente.
Dei suoi poteri, oltre i cristalli ed i sogni.
Ed ho creato il Labyrinthese, un pò come il Gaelico nel Signore degli Anelli.
Spero vi piaccia!
Questione di punti di vista, che, spero, condividiate!
Scena nata sulle note di SUBTERRANEANS DI DAVID BOWIE TRATTA DALL'ALBUM LOW.
Vi prego non odiatemi, sono solo una folla Sfrenata della Gang del Fuoco!
CHILLY DOWN WITHE THE FIRE GANG!
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