XIX° SENZA GUANTI
Corsivo: punto di vista di Jareth (dialoghi e riflessioni)
Grassetto: Sarah (dialoghi)
ASTERISCO*: Nota dell'autrice
Le fredde mura di marmo erano tornate a circondarli, svolta dopo svolta. Ma non soltanto esse erano fredde. Jareth ebbe come l'impressione che un nuovo gelo si fosse impossessato di Sarah, insinuandosi dentro di lei. Causato... Da una perdita. Nato dall'ennesima perdita. La giovane donna gli camminava accanto, completamente in silenzio, da molto tempo ormai. Quanto coraggio aveva saputo dimostrare... Come sempre, d'altronde: era arrivata a scegliere di uccidere, di sacrificare quella parte di sé stessa legata alle sue ossessioni. L'aveva fatto perché doveva. Come in una sciocca guerra, in cui perfino il tuo più grande nemico, è, in realtà, te stesso. Si trova lì, ad attenderti al varco: la tua paura, le tue fobie. I tuoi tarli, che in stanchi cerchi senza fine si muovono, girano senza mai raggiungere meta. Il loro vagare non ha alcun senso: tracciano solchi nella sabbia, che il mare spietato, comunque, presto, cancellerà, nonostante ogni sforzo, che si rivelerà vano. "Sarah...?" mormorò, come a volerla interrogare, desideroso di conoscere cosa la tormentasse. Lei si voltò e puntò nel suo sguardo le iridi smeraldine. Gli sembrò che i suoi occhi verdi entrassero in modo diverso nei suoi spaiati, rispetto alle volte precedenti: come conficcandosi a fatica, opachi, spenti, nuvolosi. Sarah era stanca. Sarah era abbattuta. Sarah era privata di qualcosa, era... Bucata. Sì, bucata. Gli apparve chiaro: esattamente come gli uccelli avevano tagliuzzato tutta quella carta straccia, lei aveva lasciato, per raggiungere il suo fine, che anche dei pezzi, parti di lei, si scucissero, si staccassero, si smembrassero, cadendo rovinosamente a terra. Un nuovo gelo causato da una perdita. Nato dall'ennesima perdita. Quante persone doveva perdere Sarah? Quante? Quanto era sola? Quanto, quanto era abituata a questo? Quanto non lo era? Quanto anche di sé stessa sarebbe arrivata a perdere? Si agitò, ansioso. "Sarah!" esclamò con maggior vigore. Un'urgenza. Un senso di urgenza improvviso lo arse. Lo stesso che lo aveva animato, allo scadere della tredicesima ora, quando sapeva, sapeva bene che, di lì a poco, Sarah gli avrebbe rivolto la fatidica formula che lo avrebbe vinto. Adesso, adesso doveva tornare ad offrirgli ciò che era in suo potere creare. Ma allora Sarah era stata, era... Completa, intera. Vittoriosa, in definitiva. Ad un reale passo da Toby. Non aveva bisogno dei suoi sogni. Nel momento attuale, forse, li desiderava. Sarebbe tornata a rifiutarli? A rifiutarlo? "Potrei farlo ancora. Se solo lo volessi. Forgiarne di nuovi. Nuovi sogni, sempre i tuoi." pensò. Non lo disse ad alta voce, la bocca sigillata come il bianco profilo di una conchiglia chiusa. Ora, più che mai, avrebbe voluto allontanare quegli eventi da lei, farla fluttuare verso di lui, dentro una sfera di cristallo, una bolla di sapone. Per un altro ballo. Uno solo. Soltanto lui e lei. Nessun altro. Nessun invitato. Nessuna maschera grottesca su volti sconosciuti. Non un estraneo a volteggiare attorno a loro nelle fogge colorate, fissandoli, spiandoli. Nessun grande invito alle danze. Niente di niente. Nessun rumore. Una sala vuota. Loro due. Una musica. Suonata esclusivamente per loro. Ma come avrebbe potuto? Voleva riempire quei suoi vuoti, quelle sue lacune, con una fantasia che potesse alleggerirla. Porre parole nei suoi silenzi. Nelle mani non sentì niente farsi spazio. Farsi forma e materia. Nulla. Nessuna sfera. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche. Provò dolore. Le sue erano delle mani miseramente vuote. L'espressione di Sarah, rimasta praticamente invariata, mentre aspettava un suo gesto, una sua frase, guizzò di colpo, catturando un particolare. Proprio le sue mani, infatti, osservò insistentemente. "Le tue mani..." disse, preoccupata. Si avvicinò a lui e, sfiorando le sue dita, lo convinse, delicata, a sciogliere la morsa a cui erano state costrette. Iniziò a sfilargli i guanti strappati e sporchi. Sussultò. "Cosa fai?" le chiese in un bisbiglio. "Sono tutti rotti e macchiati ormai... Te ne comprerò un paio nuovi. Appena usciti di qui. Promesso." gli sorrise mesta, senza guardarlo direttamente, mentre li fece scivolare in una tasca. Sfiorò le sue ferite con le dita. Così crudele, la sua Sarah, ogni volta... Sempre di un passo, un unico passo avanti a lui. Non voleva, non voleva che fosse lei a donare calore a lui! Chi stava tentando di consolare? Doveva essere l'esatto opposto. "Oppure..." riprese Sarah, "Forse potrei..." cominciò. Intuì immeditatamente cosa aveva intenzione di fare: un altro dono. Subito dopo quello dei Nrocpop*. "No." affermò, deciso, in un sussurro morbido e gentile. "No." ripeté. Sorrise quando incontrò con lo sguardo la sorpresa dell'altra, che aveva, di un poco, tornato ad illuminare il verde dei suoi occhi. "Va bene così." aggiunse. Niente, di ciò che avrebbe potuto constatare in quell'istante, poteva "andare bene così": le ore trascorrevano veloci, rapide accanto a loro. Ed i sembianti anch'essi. Gli immago che li attraversavano, o meglio, attraversavano Sarah, di strato in strato, nella sua mente, si sarebbero rivelati, di lì a poco, sempre più angoscianti, ostili, impegnativi. E Sarah sarebbe stata costretta ad incontrarli, conoscerli, riunendosi a loro oppure eliminandoli. Eppure... Eppure lei, lei era lì con lui. Un'altra volta. Dopo quindici anni. Ciò contava più di ogni altra cosa. E Sarah... Sarah era con lui come mai lo era stata. E lui stesso per lei. Sì, nulla in quell'attimo andava per il verso giusto, nello scorrere delle tredici ore e nella sfida di quel bizzarro Labirinto. Tuttavia, per la prima volta, quella vulnerabilità, quella fragilità, quella debolezza umana non gli pesò affatto. Ogni ferita delle sue mani, tutte le dita delle sue mani, denudate dei guanti, allo scoperto. Sarah rise sommessamente, contrita: "Senza guanti?" accennò, tornando a scrutarlo in volto. "Senza guanti." le disse. Ogni ferita delle sue mani, tutte le dita delle sue mani, denudate dei guanti, allo scoperto, che catturarono le lacrime ribelli sfuggite a quei verdi prati in primavera, sul suo viso. Nessuna sfera. Nessun sogno. Solo il suo tocco e qualche parola a confrontarla. Le sue mani non erano più miseramente vuote. Terrestri, modi mortali... Sbalordito, se ne compiacque e lo comprese: non era strettamente necessario generare sfere, sogni. Le sue mani potevano farsi vuote per accogliere Sarah.
* I Nrocpop vi ricordate? Sono i Popcorn, che Jareth ostinatamente continua a pronunciare male, che Sarah ha plasmato e donato a lui quando erano a teatro. La scena descritta in queste righe è nella parte seconda del capitolo 13.
Siamo tornati dalle vacanze e siamo tutti un po' rimba ancora ahaha. Anch'io ho dovuto fare mente locale per stabilire che l'ultima prova a cui c'eravamo lasciati è stata nel capitolo 17, "Ossessioni", dove Sarah ha distrutto un suo sembiante, con l'aiuto degli uccelli-forbice, che sorvegliava una casa ai cui muri erano attaccati tutti gli articoli di giornale e le foto che riguardassero la madre, quelli che nel film aveva attaccato su un album e sulla specchiera per poi riporli in un cassetto (come se questo gesto bastasse dall'eliminarla definitivamente dalla sua mente...)
Eh beh...
Oggi Jareth ci ha sciolto il cuore.
*Rimane imbambolata per un bel po'...*
Già, imbambolata... Un po' per Jareth e un po'... Perché siamo già a 2.1K! Ciò significa che da quando sono tornata il 9 settembre avete già letto in cento gli ultimi aggiornamenti! Siete I FAN CHE TUTTI DESIDERANO!
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