II° IMPASSE - PARTE PRIMA
Grassetto: punto di vista di Sarah (dialoghi e riflessioni)
Sottolineato: punto di vista di DAIMON (dialoghi e riflessioni)
ASTERISCHI* = Note dell'autrice
"Come stai, Sarah?" le aveva chiesto la dottoressa Daimon, una volta sedutasi di fronte a lei, stringendo tra le dita lunghe ed ossute la penna stilografica, accompagnata da tanto di blocco.
Sarah intuì che ben presto il nero dell'inchiostro avrebbe solcato la purezza di quei fogli bianchi, inquinandoli delle sue affamate ossessioni.
Rabbrividì. Negli ultimi anni le era sempre risultato difficile rispondere alla domanda: "Come va?".
Avrebbe voluto fingere di non averla udita, che quelle parole non si fossero diffuse nell'aria, in attesa.
Non avrebbe mai voluto rispondere a quel gesto di cortese interesse.
Non seppe, per molto tempo, se farlo con "bene", "male", "così così", "si tira avanti", "potrebbe andar meglio.".
Non era in grado di definire i suoi stati d'animo: in quell'istante era felice, perché erano trascorsi cinque anni dall'ultima volta che era stata lì, nello studio, a fare psicoterapia e finalmente, le sembrava di tornare nel Labirinto, a Goblin, il posto che più l'aveva accolta e compresa, rispetto a quelle strade terrestri, lastricate di grigio, di banalità, di rapporti occasionali e persone fatte di cartone e fumo. Di emozioni prefabbricate, di guerre, di bambole marce e affaristi in doppio petto con un cuore meccanico. Di mostri, di quelli che ti ridono in faccia fingendo di tenerti in considerazione, non i soliti noti sotto al letto, che spariscono grazie alle filastrocche recitate prima di andare a dormire. Di cose che si rompevano, non duravano. Di giorni tutti uguali, di spazzatura spirituale e droghe mentali, insufflate ed iniettate a forza dalla società dei mass media. Di necessità artistiche taciute, di fantasie represse. Di sogni abortiti.
Semplicemente, era un mondo senza magia, senza... Jareth a governarlo. Ecco tutto.
Sbuffò, frustrata: "Ha importanza?" decise infine di optare per un'altra domanda.
D'altronde, ricordò, "Niente è come sembra.".
La Daimon poteva fare un'interpretazione sua di tutte le circostanze. Di sicuro avrebbe appuntato qualcosa come "non accettazione dello stato attuale delle cose." oppure "rifiuto dello sviscerare il tormento interiore." o, in serie, altre affermazioni simili.
Sarah chiuse gli occhi per un attimo, tentando di rilassare ogni tensione, respirando lentamente.
Giudicò che la dottoressa avesse già cominciato, infatti, a scribacchiare sentenze, solo dal rumore del frusciare dei fogli.
Si sentì in colpa per aver firmato la sua condanna a morte da sola.
Quando li riaprì, non era scomparsa, né le si era presentato un nuovo scenario davanti.
Un tale peccato*.
"Selezioniamo un'altra via, allora." le disse la psicoterapeuta senza ricambiare il suo sguardo pieno di rammarico. "Cosa ti porta qui da me, quest'oggi?".
Sarah si compiacque di come stette al gioco l'altra. Era una donna intelligente. Sapeva come aggirare certi problemi, capace di ragionare su due piani e più, anche, saltando da uno all'altro con facilità. Si era sempre fidata di lei. La sua presenza la calmava. Forse aveva rappresentato nella sua vita una figura materna mancata.
Cominciò senza paura: "La figlia di George e Claire...".
"I tuoi compagni degli anni del college. Si sono sposati due anni fa e l'anno scorso hanno avuto una bambina. Sì?" aveva ricapitolato la dottoressa. Era una tecnica che aveva usato spesso con Sarah: creare degli identikit per ognuna delle persone che l'avessero conosciuta e con cui condivise il suo presente, specificando quando e dove si erano incontrate la prima volta, quale rapporto si era sviluppato tra lei e loro, come si relazionava ad esse nell'attuale.
A mano a mano, aveva paragonato essi a Gogol, Sir Didymus e gli altri rendendo evidente che questi ultimi non potessero essere reali, nell'esistenza che conduceva. E veramente a poco a poco, dopo aver fatto breccia nell'alienazione della ragazza, attraverso la negazione, la rabbia, la contrattazione e la depressione, aveva formato la giovane donna fino al giungere all'accettazione**.
"Sono andata a trovarli, giorni fa." aveva ripreso Sarah. "La frugoletta, lei... Mi ha detto..." esitò, "Sarah, amica." aggiunse poi, come se stesse confessando ad un prete ogni suo peccato. Lo fece di getto, in un turbinio così violentemente veloce, e confuso, che chiunque avrebbe fatto fatica a cogliere cosa aveva detto.
"E ti ha fatto sentire... Instabile?".
"Beh, come minimo, spiazzata... Lei sa, le ho raccontato...".
"Sono a conoscenza del fatto che ti ricorda Bubo, quella creatura immaginaria che hai descritto come un tenero gigante peloso. Per il colore fulvo dei suoi capelli ramati, gli occhi color cioccolato e la goffaggine e spontaneità tipica dei bambini, devi aver associato con dei meccanismi inconsapevoli la piccola Nancy ai modi infantili del bestione.".
"Non è solo questo... Lei non sa ancora pronunciare bene la erre***... E' il modo in cui l'ha detto, non può essere una coincidenza.".
Cosa stava facendo? si domandò silenziosamente Sarah.
Stava insistendo? Stava mettendo in discussione l'operato della dottoressa?
Sentiva la mente affollata da migliaia di persone, da un gruppo compatto di gente che blaterava e si contraddiceva, come in un centro commerciale nel weekend, per acquistare questo o quel prodotto.
Una consapevolezza terribile si insinuò tra i suoi pensieri, pesanti come macigni, fino a rovesciarli, catapultarli in secondo piano.
Li vedeva tutti, chiaramente, nella sua mente: il Saggio, Hoggle, Ludo, Sir Didymus e lo stesso Re dei Goblins****. La guardavano addolorati.
Sussultò sul lettino, terrorizzata.
Lei voleva che fossero reali. Lo desiderava con tutta sé stessa. E ne era spaventata.
Da quanto non si era sentita così?
Conficcò le unghie delle dita nei palmi, fino a far sbiancare completamente le nocche.
Doveva riprendere il controllo di sé stessa. "Non voglio... Impazzire di nuovo." si ripeté mentalmente, lanciando qua e là occhiate torve per lo studio. Se quei muri avessero potuto parlare... Cosa le avrebbero suggerito?
"Sono tue proiezioni mentali, Sarah. E' pericoloso. Devo interpretare quest'ultimo evento come una nuova volontà inconscia da parte tua di tornare a contatto con gli amici immaginari di allora? Sfuggi il tuo essere matura? Ti vuoi rifugiare nelle fantasie per rifiutare la realtà? C'è qualcosa che ti preoccupa nella tua vita attuale tanto da volerlo evitare, cercando riparo nelle illusioni della tua adolescenza? Oppure hai paura di essere felice, con quello che finalmente hai costruito e conquistato? Senti di volerlo, Sarah?" .
"Sì, sì, sì! Voglio Gogol, voglio Bubo, voglio Sir Didymus e tutti gli altri... Voglio...
Voglio Lui! Sono molto più veri loro di chiunque abbia incontrato in questa vita*****.
Nella mia vita qui!" avrebbe voluto gridare Sarah.
Lasciò che quel tormento la dilaniasse silenziosamente dall'interno, come un veleno occulto che scorre lento nelle vene per ucciderti, senza che te ne accorga.
Attese che quel dolore finisse. Sarebbe mai finito?
"C'è altro?" la incoraggiò la Daimon, paziente.
"Tutto!" sputò ridendo la giovane donna, piena di amarezza.
"Vai avanti." la dottoressa non cedeva la sua presa, intellettualmente competente, sui pensieri di Sarah.
"Toby... Ha disegnato il barbagianni.".
"Si è sempre dimostrato incline all'arte, fin da piccolo. Come te con la recitazione. Vuole iscriversi ad un'accademia di disegno, finito il liceo. Sta già creando un fumetto fantasy con dei suoi amici, pubblicando ogni settimana un nuovo capitolo su internet. Non ha disegnato il barbagianni, bensì un barbagianni. Non credi possa essere un soggetto come un altro?".
"Ne ha visto uno appollaiato su un ramo di un albero vicino a casa nostra." annuì fra sé Sarah, in modo frenetico.
La dottoressa iniziava a darle sui nervi. Si ricompose rapidamente, intrecciando le dita delle mani sul ventre, gettando lo sguardo oltre l'ostacolo della psicoterapia e quindi degli occhi occhialuti, indagatori e circospetti, della sua psicoterapeuta.
"E tu hai pensato fosse il Re dei Goblins e non un rapace?".
"Io non ho pensato niente. Mi ha solo resa... Insicura, guardinga.".
"Mi dispiace di questa tua ricaduta, Sarah. Mi rincresce veramente. Ma ripeto: niente di tutto questo è mai stato vero".
"Una voce lo è." Sarah si stupì del suono che aveva assunto la sua voce. Impalpabile.
Non sembrava provenire da lei. Ma da un fantasma. Un'ombra. Che addirittura la follia, che sentiva attanagliarla senza via d'uscita, fosse giunta al punto di parlare al posto suo?
Cosa restava di lei? Cosa restava di Sarah? Trasalì.
Non aveva mai pensato di poter provare tutto quel freddo, neanche in un'intera esistenza.
Come se si fosse immersa nuda dentro a metri di neve, per strada.
"Cosa?".
"Una voce." ripeté. "E' reale. E' qualcosa di tangibile. E' una prova.".
"Tu hai sentito una voce, Sarah?".
"Sì." ribadì, pentendosi nuovamente.
Come era arrivata a quel punto? Non aveva nemmeno più voglia di parlare. Sentì fili invisibili legarle la bocca.
"Come si rivolgeva a te? Sussurrava? Gridava?".
"Era ferma e forte. Autoritaria." Sarah si obbligò a scivolare fuori dal suo guscio di pazzia. Era giusto così, pensò.
"Il suo tono quindi era perentorio ed imperativo.".
"Non in termini assoluti, ma sì, gli si avvicinava.".
"Ed il timbro?".
"Non saprei definirlo. Sembrava un fischio potente come di una frusta, lo sbattere delle onde del mare contro gli scogli.".
"Aulica, quindi. Solenne. Da dove proveniva questa voce, Sarah?".
"Dal labirinto. Non dal Labirinto in sé per sé, ma... Dal labirinto che ho attraversato alla fiera del fumetto. Ci ho accompagnato mio fratello con la macchina la settimana scorsa, arrivarci coi mezzi era praticamente impossibile, è lontano da casa nostra e lui non ha ancora la patente.".
"Procedi con ordine, Sarah. La tua mente non necessita di caos, ma di armonia.".
Quante volte la Daimon le aveva ripetuto e si era ripetuta lei stessa quella frase, durante la terapia? Infinite.
"Il caos è molto più interessante alle volte.", aveva sempre ribattuto lei alla dottoressa, almeno nei primi tempi. Le altre volte successive aveva imparato a non replicare.
"L'ordine è statico, in esso non c'è vita, né cambiamento, né tanto meno evoluzione o direzione. Non c'è nemmeno la morte.".
"Toby aveva organizzato un'uscita con i compagni con cui ha ideato il fumetto, volevano vedersi per poi andare insieme alla fiera. Mi sono offerta di accompagnarli, sono ancora dei ragazzini dopotutto, come lo ero io. In uno stand alcuni dello staff avevano allestito un dedalo affinché chi arrivasse all'uscita conquistasse dei premi. Gadget, action figures, volumi e simili. Sempre meglio quello di una gara di costumi o conferenza stampa con chissà quale autore, mi sono detta. Volevo provare. Mi sembrava divertente.".
"Continua".
"All'inizio mi andava, così, per gioco... Successivamente ho pensato che fosse una cosa folle, data la mia esperienza con i labirinti. Volevo tornare a casa... E poi, l'ho sentita." Sarah si vergognò del tono compiaciuto che esibì, quasi gioioso, estatico.
"Da dove? Quale ubicazione aveva?".
"Non so precisarlo... Sembrava venire dritta dal centro della mia testa, ma rimbombava tutt'attorno come echeggiando da un megafono sospeso in alto, in aria.".
"Cosa ti ha detto? La voce, intendo.".
"Prima mi ha chiesto di entrare. L'ha fatto con morbidezza e dolcezza. E poi mi ha detto dove svoltare ogni volta. Destra, sinistra, destra, destra, sinistra, sinistra, destra, destra, sinistra, sinistra, destra" nello sforzo di ricordare, Sarah aveva strizzato gli occhi, concentrata. "Voleva che raggiungessi l'uscita...".
"Ci sei riuscita?".
"Oh, sì." sorrise a trentadue denti, felice. "Incredibile, vero? Ho vinto due labirinti. Uno nell'Underground ed uno umano. In questo addirittura il dedalo stesso mi ha detto come attraversare le sue vie." fece, ironica.
"Sarah, l'Underground non esiste. Hai sofferto di allucinazioni, non hai mai attraversato un labirinto che non fosse questo che è stato creato apposta per la fiera del fumetto. Anni fa ti sei convinta di averlo fatto davvero solo perché erano i tuoi incubi a suggerirtelo e soprattutto, dettartelo. Parlavi con persone, vivevi cose solo volute dalla tua mente.".
Sarah sentì scivolare dei sassi acquosi sulle guance. Stava piangendo. Le tracce umide che lasciavano cadendo a terra sembravano bruciarla sulle goti.
Avevano trovato una via, alla fine, le lacrime, per giungere al mondo esterno e gridare il fardello della sofferenza di cui erano portatrici.
"Ed arrivata lì cos'hai fatto? Voglio dire, una volta essere uscita." la psicoterapeuta infieriva incessantemente su di lei.
Sarah percepì qualcosa di sbagliato, quella sensazione le fece venire la pelle d'oca.
Cosa stava succedendo? L'istinto la mise in allarme.
"Ho vinto una stupida collana." pronunciò, monocorde. "Ero la prima ad averlo superato, il primo aveva diritto di scegliere quale oggetto voleva ricevere in cambio dell'impresa compiuta. Io ho voluto una collana." concluse, colorando il tutto di sarcasmo.
"Sarah, sicura che questa voce non fosse di qualcuno dei creatori del dedalo che semplicemente ti stava suggerendo il percorso? Magari il tuo stesso fratello che lo percorreva? Eri sicura d'essere da sola?".
"Non sono pazza fino a questo punto, no, dottoressa?" schernì, ridendo nervosamente, visibilmente frustrata.
"Però abbastanza matta da sentire delle voci e sostenere che provengano da dedali fabbricati dall'uomo", pensò, rivolta a sé stessa.
"Temo che dovremo riprendere con la terapia, Sarah. E' necessario.".
La Daimon usava spesso formule come "è opportuno", "bisogna", "è necessario", come in quel caso. Ma mai "cosa vuoi", "cosa desideri", "di cosa hai bisogno", "cosa sogni".
La cosa triste, nella vita di Sarah, era che tutti attorno a lei erano come la dottoressa: facevano ciò che andava fatto. Ma andava veramente fatto? Era davvero... Necessario fare quello che era necessario? Li rendeva felici?
Sarah scosse la testa, disgustata soltanto al pensiero che avesse fatto uso, pure lei, della parola "necessario" in quel contesto. Figurarsi, che razza di controsenso!
La dottoressa aspettava una risposta da parte sua, così annuì seriamente, guardandola attraverso gli occhiali.
Scorse qualcosa che non le piacque, nel suo sguardo. Forse la psicoterapeuta si sentiva solo a disagio all'idea che qualcuno frugasse e scavasse dentro i suoi occhi. Di solito era lei a farlo con i pazienti e chiunque altro gravitasse attorno al suo mondo.
Sarah si rilassò un poco: non le dispiaceva tornare quelle ipotetiche una, due volte a settimana allo studio per parlarle, per sfogarsi.
Storse soltanto la bocca quando le vennero consegnati i compiti a casa, se così si potevano chiamare: prescrizioni di psicofarmaci.
Se ne andò, scivolando via, avendo l'impressione, almeno, di farlo.
Quanto avrebbe voluto sgusciare via da quella situazione, da quella impasse. Bloccata, di nuovo: obbligata ad arrestarsi tra il tornare ad impazzire oppure il tornare ad essere mediocre nella sua banale quotidianità.
E l'assunzione imminente di quelle medicine la portavano un passo o verso l'una o verso l'altra direzione, proponendo due soluzioni totalmente differenti, tormentandola.
"Riporta in vita il mio padrone. La tua ricerca ha inizio ora." recitò Sarah, uscendo dallo studio, con un fruscio muto di labbra. Stava sillabando in silenzio, nel buio delle strade, senza fare rumore. Senza nessuno che la potesse scorgere.
Questo era quello che gli aveva detto il Dedalo, oltre a indicarle come attraversarlo.
"Una stupida collana", le aveva detto Sarah.
In realtà, una volta giunta all'uscita, aveva rifiutato ogni premio. Voleva lasciarli ai bambini ed ai ragazzini.
"Saggia e generosa, mia Signora e Regina, io ti sono devoto. Il tuo potere è pari a quello del Re. Restituisciglielo." gli aveva detto il Dedalo.
Il collo, una volta sentite quelle parole, le si era fatto improvvisamente pesante, come tirato giù dalla presa di una mano invisibile.
Sentiva pulsare un'altra vita, calda e vibrante, ma gentile, che non la schiacciava, all'altezza del cuore.
Si era guardata, frastornata: c'era un medaglione ad ornarle il petto, improvvisamente.
Lo nascose. Lo custodì. Non voleva che qualcun'altro lo toccasse, fuorché lei. Nessun'altro.
Lo sfiorò con le dita, giaceva al di sotto della camicia come se fosse sempre stato lì, fin dalla nascita. Come se le appartenesse di diritto.
Nemmeno la Dottoressa Daimon ne avrebbe inquinato l'essenza.
* Ricordate come Jareth si rivolge a Sarah, nel film, quando insiste affinché demorda dal salvare Toby, mentre lei guarda il castello oltre la città di Goblin? "Such a peety", nell'originale. "E' un tale peccato", nei dialoghi italiani, gli dice sulle porte del Labirinto, informandola che se entro tredici ore non riuscisse a superare il Labirinto, avrebbe trasformato Toby in uno di loro per sempre. Ho riutilizzato la formula, l'espressione perché Sarah se ne ricorda e cita il Re dei Goblins. D'altronde, è "Un tale peccato" che la Daimon e così la sua stanza non si sia volatilizzata nel nulla!
**Sto citando Elisabeth Kübler Ross, la psichiatra che ha elaborato la teoria sulle cinque fasi del lutto: la negazione, la rabbia, la contrattazione, la depressione ed infine l'accettazione. Quello di Sarah l'ho considerato come un vero e proprio lutto, inteso come perdita di qualcuno o qualcosa.
***Questo elemento è piuttosto ovvio e non necessita di una chiave di lettura esagerata. Non c'è altra interpretazione da dargli se non rimandare al fatto che nel film, nei dialoghi italiani, Bubo parla come se fosse un bambino e proprio mentre dice "Sarah, amica", salta la erre e pronuncia l'intera frase in modo diverso, con la risultante "Sawah, amica", o "Sauhah amica". Nelle sue altre battute, come ad esempio "Ma ce(r)to, sassi, amici!" non ha esitazioni sulla erre, anche se ne arrotonda il suono, addolcendola. Ma in questa frase in particolare sì, sembra non saperla proprio dire.
**** Nella versione originale inglese, Gogol ha il nome di Hoggle, Bubo è Ludo, Sir Didymus resta tale ed il Saggio, semplice traduzione italiana, è "the Wiseman and the hat or his hat", se preferite. Ovvero: l'uomosaggio ed il cappello o il suo cappello, che in italiano viene denominato più creativamente Coprisaggio. Ho utilizzato solo Hoggle e Ludo come sinonimi perché poche righe sopra già li citavo e non volevo ripeterli. Chiedo umilmente venia!
***** Un mio riferimento: loro sono molto più reali di chiunque abbia incontrato nella sua vita. E' comprensibile, Gogol, Bubo, Sir Didymus sono molto più autentici ed affettuosi verso di lei di un padre anonimo ed incurante come è stato quello di Sarah, di una matrigna Karen intollerante e di una madre biologica che ha abbandonato Sarah da piccola, per seguire la sua carriera d'attrice, affiancata dal compagno di scena, attore del quale si era innamorata (lo sappiamo attraverso il libro tratto dal film, A.C.H. Smith "Labyrinth"). Per quanto riguarda i suoi amici, dei coetanei che la circondano non sappiamo niente ed io ho supposto solo qualcosina di veramente insignificante, che avete visto adesso (George e Claire) e vedrete poi nello svolgere della storia in seguito, tutti personaggi scaturiti dalla mia fantasia. Inoltre, se pensate alle parole di Underground, la canzone di David Bowie nella colonna sonora del film Labyrinth, ricorderete un verso "But down, in the Underground, you'll find someone true", "ma sotto (o giù, diciamo sottoterra), nel Sottomondo, tu troverai qualcuno di vero". Troverai persone VERE, quindi.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro