EPILOGO
Corsivo: punto di vista di Jareth (dialoghi e riflessioni)
Grassetto: Sarah (dialoghi e riflessioni)
Le nuvole, nel suo regno, non erano mai state più serene.
Talmente tanto diradate e luminose e leggere, che passarci attraverso era come poter transitare tra le porte di un paradiso sconosciuto.
Soffici, morbide, gli accarezzarono le piume, dolcemente.
Abbandonò le ali alle correnti calde che lo accompagnavano benevole nel suo volo.
Rivolse il nero e profondo sguardo sotto di sé, estasiato: dalla terrazza della sala del trono del Castello, dopo i lunghi e felici giorni di celebrazione per il regno, tramutandosi nel suo aspetto animale che, già da tempo, gli chiedeva di riemergere, si era gettato nel vuoto, in picchiata, risalendo poi in un punto qualsiasi del cielo, in alto.
Bastava che ve ne fosse stato sempre uno per lui e la sua vita sarebbe stata la stessa, però mai così ricca di bellezza ed amore.
Per avere voglia di viaggiare ma anche di tornare.
Ora, giunti al termine di ogni cosa, poteva assaporare le sensazioni consuete.
Il tocco del vento, l'etere limpido, chiaro e pulito, frizzante, fresco, rigenerante, il calore del sole sulla schiena, il cuore che, scalando intensamente, si separa dalle cose terrene e ritrova il suo spirito: un soffio, una brezza. Inequivocabilmente, la libertà.
Virò accostandosi un po' di più al suo reame, fin troppo si era spinto lontano da esso.
Così, adesso ebbe modo di contemplare il panorama al di sotto di lui.
Goblin, gremita del vociare dei Goblins, con i suoi piccoli viottoli e casupole bianche e nere, tasselli di una scacchiera, dal solito sapore antico e misterioso, ora, meno tetro: tutto merito suo. Tutto merito di lei. Sarah.
La sua presenza rendeva migliore l'aspetto della città e dei suoi abitanti.
Dovette ricordare di sbattere le ali. Contò: un battito, due battiti.
Cose semplici: due colpi a fendere l'atmosfera. Come inalare ossigeno.
Già, uno, due respiri... Come se fosse stato facile tenerlo a mente, quando era in compagnia, ovunque, anche in un pensiero, della sua regina. Di sua moglie.
Non ne aveva bisogno: era già la sua sposa a fargli dono di molta più aria di quanta ne necessitasse. Di quanta potesse agognarne.
In realtà, respirare attraverso la sua vita era l'atto più naturale.
Più avanti, ecco il percorso tortuoso della foresta, lussureggiante, rigogliosa al limitare del dedalo.
Ed infine il Labirinto e le creature che lo abitavano, intenti nelle azioni quotidiane: ogni sua linea che, sinuosa, serpeggiava anche nella sua testa, come in un'armonica figura geometrica piena di vita che, costruita su più livelli e forme, si dispiega nella sua interezza.
E la stessa completezza sentì lui: i cristalli li aveva da innumerevoli lune manovrati, le sfere da secoli generate.
I sogni, a suo piacimento, manipolati, gli avevano spesso rammentato quanto siano fragili i desideri, soggetti a cambiamenti, in base a cosa si anela sul momento.
Tuttavia, quando in modo costante si spera nello stesso e lo stolto vi si aggrappa con fede ed ostinatezza, il crederci in modo così appassionato, fa sì che si avveri, di qui l'integralità.
E più che di vetro, i suoi sembravano forgiati in puro acciaio inossidabile. In punte di diamanti inscalfibili.
Tutto si era compiuto, perfino egli stesso.
Come un cerchio che trova il punto d'inizio e di fine nella congiunzione.
Congiunzione che aveva ottenuto con coloro che amava.
Si rese conto di rassomigliare, in ogni minimo dettaglio, come le aveva descritto in passato la Campionessa del Labirinto, ad un globo in particolare, lasciato in sospeso, uno che una certa fanciulla aveva spaccato con furia e disperazione, fuggendo via.
Chi avrebbe mai detto che non sarebbe stato opportuno sovvertire l'ordine del tempo per, riportare, a ritroso, ogni suo frammento a combaciare, riunendolo, per concludere ciò che stava avvenendo al suo interno?
Quelle bolle di sapone che contenevano il ballo, quelle bolle di sapone che erano lui, la sua opera interrotta, erano state finalmente ultimate.
Come lo sapeva?
Tra le mura che scorrevano senza sosta al di sotto di lui, vide proprio la stessa ragazza di allora, nel presente la giovane donna coraggiosa che aveva abbattuto ogni drago sul suo cammino e, con ella, giungere la risposta.
Non appena individuò, a sua volta, il suo profilo da rapace, la sua diletta si staccò dalla sua guida, Gogol, corse e corse e corse, accelerando il passo, salutandolo.
E mentre la sua adorata più spedita procedeva a fiato corto, lui rallentava per non farla affaticare. Ognuno assecondava i ritmi del compagno.
L'aveva già osservata ansimare tra quelle pareti, bensì sconfortata e non raggiante.
Che abissale differenza separava quella Sarah dall'attuale: si sarebbe gettata, affranta, in terra, lamentandosi di non riuscire a proseguire.
Invece eccola, intenta a studiare ogni apertura con entusiasmo ed allegria.
La sua gioia lo intenerì.
Discese e le girò intorno più volte. E la sua amata rise.
Sarebbero stati insieme. Di lì all'eternità. E nessuno dei due avrebbe mai più avuto paura dell'altro o provato rancore nei suoi confronti.
L'aveva informata del viaggio che avrebbe intrapreso.
Gli aveva risposto: "Torna entro e non oltre un sogno, mi raccomando!".
Sì: tutti quei pezzi crollati nel buio e nello spazio vuoto con le folate di vento nella discesa di Sarah, tempo addietro, verso la discarica, erano loro. Loro due soltanto.
E nelle tenebre e nella luce e nell'ombra e nell'aurora e nei fantasmi delle tempeste e nei tramonti che promettono sempre l'alba li avevano recuperati, ai confini di ogni mondo, per riunirli. Per riunirsi.
Dopo qualche istante in cui si esibì in evoluzioni complesse per omaggiarla, risalì in alto nel cielo.
Il Labirinto non indossava più l'atteggiamento abitudinario aspro ed inospitale: per rendere tributo ai suoi signori, una volta separatisi, cambiò di nuovo la sua struttura e conformazione. Il barbagianni la fissò: un fiore dai mille petali che sbocciava. Al cui centro, come nettare, vi era la sua padrona. Ne sorrise.
C'era un solo posto a cui voleva dare l'arrivederci. Non l'avrebbe più visitato tanto spesso, ormai.
L'idea lo rese un poco nostalgico e malinconico.
Si posò sulla punta dell'obelisco, planando silenziosamente nel parco.
Raccolse le sue ali, guardando il cielo plumbeo.
Le nubi del Sopramondo erano diverse da quelle dell'Underground, quel giorno, più inquiete: di lì a poco avrebbero travolto il mondo di impaziente ed abbondante pioggia.
Non c'era posto per Sarah al mondo. Lei lo sapeva bene.
Nondimeno quel parco era stato un luogo in cui sostare la sua anima irrequieta.
Lì era iniziato tutto.
Gonfiò il petto, sospirando: ebbe un tuffo al cuore, socchiudendo le palpebre.
Poteva ancora vederla giungere dal ponte.
Non mancava mai un loro appuntamento, nemmeno col maltempo. Era sempre puntuale.
Il vestito lungo e leggero, i capelli corvini raccolti, tra le ciocche ben sistemati dei fiorellini bianchi.
I suoi verdissimi occhi. Brillanti. Puri.
Lo colpirono e catturarono ancora.
Nei suoi ricordi, scrutò ancora i suoi verdissimi occhi pieni di ardore.
Non l'avrebbero notato comunque, nelle sue recite, troppo concentrati sui versi.
Restò a lungo a scolpire quelle immagini, a ricalcarle.
Passarono degli attimi che parvero infiniti, nel solitario parco, che percepiva l'assenza della sua eroina.
Dopodiché decise: si volse, spalancando le ali, per fare ritorno.
Scelse di andare via.
Ne avrebbe sentito la mancanza? Forse. Era giusto? No, infatti. Però è così che va.
La vita e la sua bizzarra ironia.
Sarebbe ingiusto, nonostante tutto, non andare avanti.
Delle parole presero a volteggiare nell'aria, distogliendolo dai suoi pensieri, facendolo trasalire.
Parole turbinanti come una violenta tempesta.
Lo investirono, spostandolo di peso.
La sua schiena piumata fremette per un brivido elettrico che la percosse, fino alla radice.
Rabbrividì.
Si riscosse, tentando di riassestare al meglio la sua direzione, disorientato.
Tremando dal più profondo, anche le creature chiamate in causa, i cui occhi lampeggiarono rossastri nel buio, come rispondendo ad un richiamo, ascoltavano attente.
Qualcuno aveva detto le parole magiche.
Chi...? Dove...? E come?
"Desidero proprio che i goblins ti portino via. All'istante.".
Fine
Ragazzuoli...
Amici, creature del Sopramondo e dell'Underground...
Goblins e non...
Tutte le Sarah e tutti i Jareth del mondo.
Jareth: "Nessuno è come me, Miss Elisasbuccia.".
Elisasbuccia: "Vostra Maestà... Sto cercando di lasciare un messaggio d'addio - più di arrivederci - ai lettori... Ed è personale, tra me e loro.".
Jareth: "Pardon! Ma nessuna conversazione è privata sotto lo sguardo del tuo datore di lavoro."
Elisasbuccia: "Okay, allora vi prego di fare silenzio e di ascoltare.".
Sarah: "Dai Jareth, fà come dice! Il nostro momento lo avremo poi, nella One Shot Extra!".
A parte la parentesi comica, per sdrammatizzare...
A giorni ci sarà una One Shot Extra, l'ultima, purtroppo, dedicata a voi che avete seguito questa storia.
Inoltre, alla fine, dedicherò l'intero romanzo a due persone molto speciali, nella mia vita.
Dopodiché...
Beh, si è compiuto tutto.
E questa è la fine di Labyrinth Mind.
Sappiate che VOI SIETE STATI IL MIO PARCO.
Sì, avete presente il Parco di Sarah, no?
Ecco.
Siete stati la mia piazza, il mio rifugio, il mio giardino segreto, un luogo di ritrovo, dove correre per raggiungere la mia immaginazione, per gridare a squarciagola e sussurrare emozionata la mia storia.
Ma soprattutto la loro, la nostra, la vostra storia.
Siete stati IL MIO POSTO.
E lo sarete per sempre.
Con affetto, per sempre vostra <3 :*
Elisasbuccia
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