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Dediche (6.5K!)

Ecco la parte che più temo, di tutta la "mia" storia.

Le dediche.

So che sarà tutto inutile, perché sono troppo severa con me stessa, ipercritica, perfezionista.

Quindi ecco quello che penso. O la va, o la spacca.

Spero che le parole misere che ho trascritto possano rivelarsi all'altezza di adempiere al loro compito: rendere omaggio a due delle persone più importanti della mia vita.

Cominciamo con un nome, un nome soltanto: David Bowie.

Ecco, sarà sciocco, perché non ti ho mai nemmeno incontrato dal vivo, ma ti voglio dare del tu.

Perché, in quanto a familiarità, con le tue canzoni ci siamo detti molto di più di quanto faccio normalmente con altri. Ci conosciamo bene. Sono monologhi, i nostri, lanciati nello spazio infinito che solo noi, io e te, capiamo e condividiamo. Con me hai iniziato un dialogo intimo e profondo ed intenso che non avrei mai creduto di avere con qualcuno che nemmeno sa che esisto.

Io non l'avevo chiesto. Non l'aspettavo. Eppure, tu mi avevi scelta lo stesso.

Il giorno della tua partenza mi sono sentita persa. E svuotata. Al rallentatore, l'immagine che ho di te si ripeteva, eterna, con una colonna sonora di sottofondo, nella mia mente. Ricordo solo che la mia testa diceva: "E' finita.".

Che sciocca, ancora non sapevo cosa mi aspettava: non era finita, ma appena cominciata!

E' stato solo due mesi dopo, in una notte di fine marzo piena di meraviglia e di stupore, che è nato Labyrinth Mind. Dentro di me ha fatto molta strada, per arrivare su carta. Eppure, ogni giorno, lo sentivo arrivare più vicino, innegabilmente.

Non avrei potuto ignorare a lungo il tuo richiamo: tu bussavi forte sulla superficie del mio cuore e gridavi il mio nome, per sfondare la prigione in cui ti avevo rinchiuso, come fa la nostra Sarah nel primo capitolo del libro di Labyrinth Mind. Non volevi, non volevi che ti attribuissi parole quali "morte" e decine di verbi al passato, una faccia appassita, le notizie dei giornali che constatavano semplicemente i fatti. Volevi di più, per me. Non volevi una rassegnazione, non volevi accondiscendenza. Non volevi nemmeno pietà e compassione. Volevi che mi esprimessi. Volevi che scrivessi.

Stop al silenzio del lutto. Stop alle chiusure!

Non sei mai stato stanco, né taciturno.

Trattenerti non è stato facile. Infatti, hai vinto.

E così come ho compreso che ne iniziavi tu un altro, di viaggio, mi sono convinta che anch'io dovevo iniziare il mio e portarlo a termine, fino in fondo. In realtà, i poteri che volevo restituirti in questo sequel di Labyrinth, sono quelli che ho realizzato volevi farmi scoprire tu che possedevo, come facevi con Sarah. Sei stato il nostro catalizzatore, il medaglione: il mio potere creativo.

La tua dipartita è stata un po' come il Sole. Sì, il Sole.

Voglio dire... Si utilizza spesso il termine "tramontare" quando ci si riferisce a qualcosa che, improvvisamente, finisce, dopo un giusto corso.

Il fatto è che chiunque utilizzi il vocabolo, lo fa in modo sbagliato.

Quando abbiamo saputo del tuo tramonto, tutti abbiamo immaginato la testa di Ziggy, una seconda volta, chinarsi in un barlume arancione soffuso, sul limitare dei nostri pensieri, mentre il nostro dolore toccava l'orizzonte. Solo che questo "calare del sipario" sarebbe stato l'ultimo, per sempre.

Come un tramonto.

Ma fa parte dell'essere umano, sbagliare. Anche quando si pensa ad un tramonto.

Pure tu, di errori, ne hai fatti tanti. E li hai tramutati in musica che ci parlasse, che ci smuovesse, ci spingesse. In pura, spontanea, naturale, genuina ed incontrollabile espressione artistica. Per questo te ne sarò per sempre grata.

In effetti, il Sole non tramonta mai. E nemmeno noi.

E' solo quella piccola porzione di Terra che finisce d'essere illuminata, un'altra ne riceverà la luce, al suo posto. Sono sempre parti diverse di noi stessi, che, forse, nemmeno conosciamo. Si tratta più di albe, continue, da cogliere.

Così, nello stesso modo, non moriremo mai. Tu non sei morto mai. Chissà quale porzione dell'universo illumini, ora. Chissà dove sei, quali terre o cieli visiti, adesso.

E noi fan gireremo sempre attorno alla nostra Stella Nera.

Sono felice di quello che mi hai dato mentre eri nella mia porzione di mondo.

Dire che ti sentivo respirare in queste pagine... Sarebbe poco. Dispiegare le ali? Gli si avvicina. Forse il termine esatto è fluttuare. Cantare? La tua voce non ha mai smesso di riecheggiare, dentro di me.

Ma hai la benché minima idea di cosa significhi e significherai sempre per me?

Io quel giorno che ho sentito Space Oddity allo stereo per la prima volta... Qualcosa dentro di me, è cambiato per sempre. Io ero diversa. Io ero una persona nuova. Ed ero paralizzata da questa consapevolezza.

Io ero convinta che nessuno avrebbe mai sentito e visto il mondo come lo sento e vedo io.

E poi è arrivato quel Maggiore Tom di cui cantavi.

Mi ricordo di aver pensato: "Chi è quest'uomo? Quest'uomo che sa cosa provo! Che vita conduce? E' la mia? No, non può essere il racconto della mia.". Eppure è così, credimi.

Con i tuoi testi, le tue note, mi sei entrato dentro. Ma chi ti ha dato il permesso? E soprattutto, che razza di dedica è, se sembra che voglio litigare con te?

Ma senza pretese, senza orgoglio e pregiudizi mi sei entrato dentro. Che rumore che hai fatto, assordante! Eppure era il suono più bello che avessi mai sentito.

Quale sensibilità, semplicità, espressività fluida, selvaggia, rovente, quale cortesia, delicatezza, eleganza e passione, che mi hanno conquistata! Quale talento.

Io ho capito che è proprio questo il senso.

Questa corrente di vita che hai acceso in noi, mi scorre dentro e tu sei come l'esperto letto del fiume che ha ospitato le mie piene, che non ha mai franato sotto il loro peso.

Io so che per noi volevi questo: trasmettere. Trasmettere la bellezza, le crisi esistenziali, gli orrori e l'estasi degli attimi in cui il nostro cuore batte ancora attraverso l'arte.

E perché non lasciare che queste acque si ricongiungano al mare? Siamo tutti connessi.

Ecco, l'altro regalo che mi hai fatto: come i Goblins, dopo la canzone "Laughing gnome", erano tornati a te, in cerca del loro legittimo re, tu mi hai portato un'armata scatenata davanti agli occhi ed al cuore di, non solo, lettori meravigliosi, ma anche persone straordinarie e amici fantastici.

Nel pezzo Changes, dici: "Il tempo saprà cambiarmi in una persona migliore, ma io non lascerò un segno nel tempo.". Non è vero. Quella traccia l'hai lasciata nel tempo di tutti noi.

Dulcis in fundo, infine, dedico questo romanzo a mia madre.

Dedico il mio, di Labirinto, a mia madre.

Non solo il Labyrinth Mind di Sarah Wiliams, quello che, almeno, ho tentato di ideare per il suo personaggio, nelle non poche pagine, con cui temevo di annoiare, nell'opera narrativa. Fin troppo a lunghe, a volte.

Ma è il mio, che le dedico.

Il mio personalissimo Labirinto.

Il Labirinto che è me stessa.

La mia mente, il mio cuore, la mia anima, ovunque siano.

Tutto questo tortuoso percorso, pieno di sogni, desideri, speranze, ma anche dubbi, paure, fragilità che sono io, che sono sua figlia.

Perché mia madre non ha mai avuto bisogno dell'aiuto di nessuno per attraversare il mio Labirinto.

Né della guida di qualche creatura magica, né di quella di Jareth, né di quella di nessun'altro.

Perché mi comprende ed ama per ciò che sono.

Ed accetta tutte le mie risa e le mie lacrime, silenziosamente.

Pericoli evidenti, a volte, più temibili di un serpente lanciato sul collo, di una pesca stregata con potere allucinogeno, di un intero esercito.

Degli Spazzini stessi.

Mia madre è il mio Spazzino. Ma senza tutta quella ferraglia, le lame rotanti e taglienti.

Pulisce tutto il materiale di scarto che resta nella mia testa, butta i pensieri morti.

E' il giardiniere attento che si prende cura, amorevolmente, da sempre, del mio Labirinto.

Perché senza pensarci due volte, con un respiro profondo, ci si è gettata dentro, senza alcun timore.

E soprattutto, mi ha presa per mano ed incoraggiata a scoprirlo anche attraverso questa avventura della scrittura di Labyrinth Mind, con il suo aiuto.

Quando arrivavo ad un vicolo cieco era sempre lì, a sostenermi.

Grazie a lei, ho capito che ogni risposta è dentro me stessa. E che io stessa sono il mio Labirinto. Cammino e corro tra i suoi meandri e posso vincerlo, posso trovarci chi cerco: me medesima.

Sono a buon punto mamma, mi sono trovata tante volte, ormai.

Si tratta solo di capire quale sia, delle tante me, la mia versione definitiva.

Certo, poi, tutti i tuoi doni, i tuoi regali, gli oggetti che hai fatto venire dall'estero per coltivare la mia passione per Labyrinth sono stati ottimi compagni di viaggio: l'album della colonna sonora originale, "Labyrinth" di A.C.H. Smith, l'action figure di Jareth, il barbagianni, la locandina del film e tanti altri ancora. Lo sai, no?

A te, mamma, che sei forte e coraggiosa come Sarah, folle e magica come Jareth, più tenera di Bubo ed il mio cavaliere senza macchia e senza paura di nome Didymus.

A mia madre: lei è il mio – dove tutto è possibile - .

Ti voglio un bene dell'anima!

"Con te, tutto si trasforma in gioia!".

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