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Capitolo 5

Odiava i fast-food. Bastava restare lì dentro ad attendere che la collega terminasse il pasto fuori orario – e poi si lamentava dei problemi di stomaco – perché la puzza di frittura gli si attaccasse addosso. Se la sentiva ancora sui vestiti, sotto il naso, nei capelli, mentre seguiva Haruka lungo il vicolo.

Vega si sistemò il nodo della cravatta. Gli stringeva troppo, si sentiva come una sardina inscatolata. La allentò quel poco che bastava per respirare più liberamente, ma se ne pentì subito: la puzza dell'hamburger lo investì in pieno. Contrasse la mascella.

Tamaki diede un colpo con la punta del piede a una lattina che giaceva lungo la strada, e la fece rotolare contro il muro, proprio sotto a dei graffiti. Colori sgargianti che si intrecciavano a formare parole relative alla sfera sessuale, per lo più. Soltanto una scritta si differenziava, e risaltava, in un miscuglio di nero e bianco: "ibridi, ciao". Il teschio disegnato accanto non lasciava presupporre un saluto di benvenuto.

«Quanto ci manca?» si lamentò Butch. Si premeva la punta del suo coltellino contro il polpastrello mentre camminava a testa bassa.

Haruka sbuffò, poco più avanti. «Siamo quasi arrivati.» Provocava un costante tic, tic, tic con i suoi tacchi, e Vega sentiva la testa scoppiargli. Quella donna aveva il brutto vizio di vestire sempre in modo inappropriato.

Butch agitò il dito con una smorfia. Si era ferito. Lui invece era uno scemo non faceva mai attenzione. «Ma perché siamo dovuti andare a un fast-food in culo al mondo?»

«Perché Haruka doveva incontrare la fidanzata,» rispose Liam, al fianco di Tamaki. Ridacchiò, e l'asiatico gli rifilò una manata sulla nuca per intimargli di smetterla.

«Non è la mia fidanzata, quella.» Haruka si voltò per guardarli, continuando a camminare all'indietro. «Volevo solo prenderla un po' in giro visto che eravamo relativamente vicini, mi dà fastidio come si fa sempre la gradassa.»

«Io ho visto una certa tensione sessuale, però.» Liam le puntò l'indice addosso.

Vega si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. «Tu ce la vedi sempre, quando due donne parlano. Sei solo maniaco.»

«Ehi!»

«A me piaceva di più quella dell'altra volta.» Butch fece una pausa per leccarsi il dito sanguinante. «Quella grassoccia. Non era figa, va bene, ma avete visto come ha reagito quando le ho mostrato questo?» Sollevò il coltello davanti a sé. La lama catturò la luce verdognola del neon che illuminava la porta sgangherata di una bottega.

Un fulmine guizzò fra le dita di Vega. «Quante volte andate a mangiare hamburger in piena notte?» E perché se la prendevano con le povere commesse, avrebbe voluto chiedergli, ma poi lo avrebbero chiamato di nuovo Il Gentiluomo, e gli mancava la voglia di stare a sentire le loro prese per il culo.

Butch sollevò le spalle. «Solo l'altra volta. Eravamo nei paraggi, e a Liam era venuta fame.»

«Era venuta a te, la fame. Io volevo solo bermi una birra. E poi,» aggiunse, e lanciò un'occhiata ammiccante ad Haruka, «eravamo davvero vicini.»

Lei reclinò il capo. «Ancora! Ma la vuoi finire, non mi farei toccare da quella manco per tutto l'oro del mondo.»

Butch diede un colpetto al braccio di Liam. «Guarda che lei si concede solo a Miura.»

A questa, Vega sogghignò. Gli altri uomini del gruppo scoppiarono a ridere – Butch imitò anche gli ipotetici versi di Haruka durante un rapporto piccante con il capo, e si guadagnò un calcio nello stinco da parte di Tamaki. Haruka stessa invece non si espresse subito al riguardo, attese che si quietassero.

«E allora?» sbottò. «Siete gelosi perché vorreste farvelo voi?»

«No, io mi farei molto più volentieri la tua ragazza,» rispose Liam.

Butch annuì. «Io mi farei volentieri chiunque, tranne Miura. Quello mi mette troppo i brividi.»

Liam accelerò il passo per raggiungere la donna. «Ma ci siete mai finiti a letto, almeno?»

Vega concentrò l'attenzione sui graffiti sul muro. Nel mentre delle loro discussioni, avevano svoltato diverse volte, fino a perdersi in un intrico di vicoli, ma la qualità delle scritte non accennava a migliorare. Per fortuna, nemmeno a peggiorare, tolta qualche forma fallica aggiunta qui e lì, tanto per rendere il tutto un po' più squallido.

Haruka si strinse le braccia al petto. «Non sono affari vostri. E smettetela di farvi tanto i grossi, servite solo a ripulire i casini, voi due.»

Butch sputò un grumo di saliva a terra. «Meglio pulire che fare la spia come te.»

«Io non faccio la spia, controllo solo che non facciate cazzate.»

«Quello non era il compito di Tamaki? Sparisce sempre quando si deve fare qualcosa.» esclamò Liam, e rifilò un'occhiata in tralice all'asiatico.

Tamaki nascose le mani nelle tasche e sbuffò. Non avrebbe risposto, Vega lo conosceva abbastanza da sapere che non si sarebbe abbassato al loro livello, perciò toccava a lui farli stare zitti. «È la ruota di scorta. Dove non arrivo io, arriva lui.»

Un'eventualità che non si era mai presentata dall'arrivo di Liam e Butch, perciò ai loro occhi l'asiatico aveva finito per assumere il ruolo del fantasma: anche quando presente, spesso nessuno oltre a Vega si accorgeva della sua esistenza. Durante le missioni, camminava nell'ombra e si teneva a distanza, con il dito sempre accostato al grilletto del fucile. Un sicario perfetto, sprecato nella sua banda. Eppure non si era mai lamentato.

«Siamo arrivati.» Haruka si arrestò davanti una saracinesca chiusa.

Un uomo osservava frenetico l'orologio al polso, con una mano nascosta fra i capelli biondicci. Era tanto impegnato a perdersi nei numeri che leggeva sullo schermo che non si accorse nemmeno del loro arrivo. Vega estrasse le mani dalle tasche e si strinse il nodo alla cravatta. Si schiarì la gola, e l'altro sollevò la testa, gli occhi strabuzzanti. Increspò le labbra mentre gli altri si affiancavano al compagno.

«Siete gli uomini di Miura?» chiese.

Haruka nascose una risatina dietro la mano. «Io sono abbastanza sicura di essere una donna, ma sì. Siamo noi.»

Il biondo esibì un sorriso. «Siete in ritardo.» Girò il polso e picchiettò l'orologio, come se loro potessero vedere le cifre che c'erano scritte.

Liam si lisciò i capelli all'indietro e fece un sorriso. I due incisivi troppo grossi lo facevano somigliare a un castoro con i capelli impomatati. «Avremmo fatto prima, se una certa...»

Tamaki gli sferrò una gomitata nel fianco e lo zittì.

Vega gonfiò il petto, si riempì d'aria, e sospirò. Avanzò di mezzo passo verso il biondo e gli porse la mano. Lui gliela afferrò. La sua pelle bianca entrò in netto contrasto con quella scura di Vega. «Dicci pure tutte le indicazioni, e svolgeremo il lavoro il prima possibile.»

«Ma certo. Ho sentito che siete i migliori, perciò mi fido della vostra professionalità.» Fece scivolare via la mano e si diede dei buffetti sui pantaloni. «Nonostante tutto.»

Vega strinse i pugni. Quel piccoletto gli aveva lasciato una discreta quantità di sudore sul palmo ma, al contrario di lui, evitò di pulirsi. «Hai fatto un'ottima scelta, signor...»

«Brian. Brian McGregor,» Chinò il capo.

Butch si rigirava il coltello fra le dita. «Dicci tutto, Brian. Chi vuoi che ammazziamo?»

McGregor si irrigidì e non gli rispose. Deglutì un paio di volte. Gli occhi scandagliavano ogni anfratto del vicolo, come se all'improvviso si fosse accorto di non averlo mai guardato per davvero. «Ecco, ne ho già parlato con il vostro capo...» Abbassò le sopracciglia. «Trish Brown, si chiama. È una donna che davvero ho bisogno di avere fuori dai piedi il prima possibile.»

Vega emise un verso sprezzante dal lato della bocca. Miura non gli aveva accennato che l'obiettivo fosse una donna. Non gli piaceva mai quando degli uomini chiedevano di sbarazzarsi di qualcuna, di solito si trattava sempre di qualche poveretta che si rifiutava di darla al soggetto in questione.

Allentò di nuovo il nodo della cravatta. Se almeno Miura non lo costringesse a vestirsi come un cretino, magari si sarebbe sentito meno a disagio.

Tamaki gli sfiorò la spalla con la propria. Il viso restò serio, ma lo sguardo che gli rivolse parlava da solo: il buio negli occhi scuri cercava di risucchiare quello di Vega.

Lui annuì per rassicurarlo, poi inspirò a fondo e incrociò le braccia. «Qualsiasi informazione tu abbia su di lei, può esserci utile,» disse al biondo.

Brian strabuzzò gli occhi, controllò ancora l'orologio e si guardò i piedi. «Fa la maestra alla Mirton.»

Porca troia. Una maestra delle elementari.

Vega strinse i denti, ma non disse nulla. Odiava la sua vita. Cazzo, quanto la odiava.

«Ha trentacinque anni, è alta, ha i capelli rossi, ma sono tinti, quindi sembrano arancioni.» Brian si umettò le labbra. «Non ho altro da dire, spero sia abbastanza. Vorrei solo che faceste in fretta.»

Haruka stirò le braccia sopra la nuca e si esibì in uno sbadiglio. «Non che sia davvero affar nostro, ma perché dovremmo far fuori una maestra?»

Ed eccolo che tornava, il fulmine rabbioso che gli strisciava sotto la camicia. Quella stronza doveva imparare a stare zitta. Non lo voleva scoprire, Vega, il motivo. Invece lei ficcava sempre il naso. Le avrebbe dovuto staccare la lingua, almeno non avrebbe più rovinato tutto.

Chiuse gli occhi. I muscoli gli fremevano, le braccia gli tremavano e le nocche quasi gli facevano male, per quanto le serrò.

Calmo. Doveva stare calmo.

«Capiscila,» disse Liam, «ha un debole per quelle con i capelli rossi.»

La risatina che seguì apparteneva a Butch, ma Haruka gli infilò il tacco nel retro del ginocchio. Bastò per farlo soffocare nelle sue stese risa, che si trasformarono in un rantolo dolorante. Butch si chinò per massaggiarsi il punto in cui lei l'aveva colpito mentre borbottava delle bestemmie.

Brian congiunse i palmi di fronte a sé. «Diciamo solo che sa una cosa che non dovrebbe sapere, e mi ha minacciato di denunciarmi. Per quello vorrei che vi sbrigaste, sapete, non ho poi tutto questo tempo, e se vi muovete troppo tardi, rischio di ricadere come il sospettato.»

Haruka alzò le mani. «Aspetta, bello, non sono sicura che sia il caso di prenderci il rischio, allora. Potrebbe succedere un casino se ti denuncia prima.»

I fulmini si placarono, e Vega rilassò le spalle.

«No, no, non lo farà.» Brian mosse un passo verso di lei e allungò le braccia, come per afferrare le sue.

Haruka si scansò, i lineamenti una fredda lastra di ghiaccio. «Non mi toccare,» sibilò.

Vega abbassò lo sguardo al pavimento. Se solo si fosse incazzata abbastanza, sarebbe stata capace di mandare tutto a monte? Certo, fare i conti con un Miura contrariato non la rendeva certo la donna più felice del mondo, però magari l'avrebbe convinto di aver preso la decisione giusta. Brian si era presentato come un rischio più che come un guadagno, dopotutto e, dal canto suo, Vega le avrebbe dato supporto.

Haruka schioccò le dita sotto al naso del cliente e alzò le sopracciglia. «Come facciamo a essere sicuri che dici la verità? Se scoprono che tu hai organizzato il suo omicidio, non mi sembri uno capace di tenersi i segreti per sé. Diresti di noi alla polizia dopo la prima domanda.»

Per tutta risposta, Brian le si buttò addosso, afferrandole le braccia, e per poco non le affondò le braccia nella scollatura. «No, vi prego, Miura mi aveva assicurato che l'avreste fatto!» La faccia gli divenne paonazza, nessuno si sarebbe stupito se gli fosse esplosa da un momento all'altro. «Vi prego! Posso pagare il doppio, no, il triplo, quello che volete. Potete avere mia moglie, se volete, ma vi prego!»

Un'ondata di energia tuonò nel petto di Vega.

«Ehi, amico, si può sapere che hai combinato?» rise Butch.

Brian scosse la testa, frenetico. Haruka gli premette le unghie dei pollici nella pelle soffice che collegava il pollice e l'indice. Lui urlò e la lasciò andare, barcollando all'indietro. Controllò con gli occhi sbarrati le ferite su entrambe le mani, il sudore gli colava lungo la fronte a grandi gocce, che riflettevano il verde dei neon.

Attese alcuni istanti, e parlò soltanto quando il respiro gli tornò regolare. «Non posso dirvelo. Nessuno lo deve sapere. È stato un errore, uno stupido errore, nient'altro.»

«Sei uno capace di offrire la moglie a una banda di assassini,» disse Vega. Mantenne un tono controllato, ma non trattenne una punta di disgusto. «Potresti aver fatto qualsiasi cosa.»

Brian cercò il suo sguardo. Per la prima volta, ebbe il coraggio di affrontarlo per davvero. Quello che gli illuminava le pupille però non era altro che il lume della follia. «Non mi faccio giudicare da voi, siete una banda di assassini, l'hai detto tu!»

Haruka si infilò un dito nella scollatura e se la aggiustò. «Allora, visto che mi hai fatto girare le palle, facciamo un gioco: provo a indovinare, e dalla tua reazione vediamo se ci azzecco oppure no.» Un sorriso selvaggio le solcava le labbra.

«No, sentite, io...»

«Vediamo,» lo interruppe lei. Si picchiettò il mento. «L'hai aggredita perché non te la voleva dare?»

Brian abbassò gli occhi.

Haruka annuì. «Hai aggredito qualcuno che conosce, allora, e lei ti ha visto?»

Lui trattenne il respiro, e il rossore che gli imporporava le guance aumentò d'intensità.

Vega si portò una mano al petto. Il cuore batteva tanto forte da impedirgli quasi di sentire le parole successive.

«Bingo,» disse Haruka. «E vediamo, per caso la persona in questione era una sua alunna?»

Brian serrò le palpebre e non rispose, ma per Vega fu abbastanza: distese la mano di fronte a sé, e lasciò che tutta l'energia che lo logorava dall'interno fuoriuscisse. I fulmini gli scorrevano lungo l'avambraccio e, nel vederli, luminosi nella penombra del vicolo, Brian spalancò la bocca. Indietreggiò, mentre le saette si intrecciavano fra loro e assumevano la forma di uno scudo, grande quasi quanto Vega stesso.

Butch e Liam si fecero da parte. Tamaki restò in silenzio a osservare la scena.

Vega superò Haruka e fece schiantare lo scudo sulla testa di Brian. La pelle emise un rumore sfrigolante a contatto con i fulmini. Il grido dell'uomo gli causò un brivido lungo la schiena, ma lo colpì ancora e ancora, incurante della puzza di carne bruciata.

I capelli biondi divennero castani, il suo pallore si trasformò in una carnagione scura. Nelle orecchie di Vega le urla dell'uomo di tanti anni prima si frapposero a quelle del mostro che aveva davanti, e l'energia che lo animava lo costrinse a picchiare più forte, sempre di più.

Quando ritrovò la ragione, McGregor era ridotto a un corpo fumante e abbrustolito. Il silenzio lo avvolgeva, sebbene la forza delle scariche continuasse a fargli agitare gli arti come se fosse nel pieno di una convulsione. Vega prese un respiro profondo. I fulmini che componevano la sua arma si sciolsero e si ritirarono all'interno del suo petto, dove sarebbero dovuti restare fin dall'inizio.

Calmi, finalmente.

«Hai fatto un casino,» commentò Haruka, secca.

Lui si tolse quella stupida cravatta di merda e gliela lanciò addosso. «Lo so,» ringhiò. «Lascio ripulire a voi.» Si girò e fece per andarsene.

«Aspetta un attimo!» La donna gli si parò davanti. «Cosa devo dire a Miura adesso? Si aspettava un mucchio di soldi, e adesso si ritrova con un cadavere puzzolente.»

«Non ne ho idea, inventati qualcosa,» grugnì lui. La spintonò con la spalla per superarla e sparì nel vicolo.

I tuoni si scontravano con la cupola sopra la sua testa, eppure i fulmini dentro di lui non rispondevano. Allora perché gli spasmi muscolari non lo lasciavano in pace? Perché non riusciva ad allentare la mascella, e i denti premevano gli uni contro gli altri, aspettando solo di spezzarsi?

Note:

Penso che Vega sia il mio primo tentativo sensato di scrivere da un punto di vista maschile. Di solito mi concentro sui personaggi femminili perché semplicemente mi ci sento troppo più a mio agio. Però è bello sperimentare, e comunque Vega è uno dei tre protagonisti, quindi mi tocca sudare xD Aggiungeteci che è pure un tipo complicato pieno di contraddizioni e stiamo apposto... comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Con il prossimo però torniamo da Altair!

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