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Capitolo 28

«Perciò non l'hai più vista?»

Vega tirò una pellicina vicina all'unghia. Strappò con forza eccessiva e anche una parte della pelle viva venne via. Si morse l'interno della bocca, poi sospirò.

Elettra camminava al suo fianco, misteriosa come al solito con il suo visore. Teneva la testa reclinata, forse a osservare la cupola, e non la riabbassava mai. Sembrava non le servisse guardare dove mettesse i piedi. «No,» gli rispose. «Mi ero fermata a riprendere il suo casco prima che lo trovasse la polizia e ho dovuto fare qualche deviazione lungo la strada. Quando sono tornata a casa, non c'era. Ho trovato solo un mucchio di vetri rotti.»

La luce dello schermo che le copriva gli occhi gli scaldò il lato sinistro del volto. Vega non si girò a incontrare uno sguardo che non avrebbe visto, rimase concentrato sul marciapiede.

«Avete dato spettacolo un'altra volta?» gli chiese, in un sorriso fugace. Si spostò su un piano dimensionale più vicino, il più vicino che Vega ricordasse.

Gli angoli delle labbra gli si tirarono in maniera del tutto spontanea. «No, niente del genere. Non penso ci avresti ritrovato la casa.» Si grattò la nuca. «Si deve essere incazzata quando me ne sono andato. Non aveva un'aria molto tranquilla.»

Elettra scrollò la spalle. «E quand'è che ce l'ha?»

«Quindi è sempre così? Ma come la sopporti?»

Averci a che fare per dieci minuti gli era bastato per drenarlo di tutte le sue energie. Tornato a casa, quella sera, si era buttato sul letto ed era crollato in un sonno tutt'altro che ristoratore, fatto di incubi tortuosi e momenti bui. Al risveglio, ancora i fulmini scalpitavano dalla voglia di distruggere qualcosa, o qualcuno. Si era sfogato contro il mostro che infestava lo specchio.

La risatina di Elettra lo prese alla sprovvista. «Chi ha mai detto che la sopporto?»

«Ah, ecco.» Lui infilò entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni. «Quindi ora qual è il piano?»

Ottenne il silenzio per una quantità di tempo che non seppe quantificare. Superarono un lampione, e lei tese le dita a sfiorarne la superficie. «Ci riprendiamo Nim, in qualche modo.»

A questo ci arrivava anche da solo. Vega increspò le labbra, accigliato, ma non sputò quella punta di acido che gli risalì lungo la gola. La mandò giù. Elettra faceva del suo meglio, dopotutto. Ci stava provando a cercare una soluzione a tutto quel casino, lui invece si faceva trasportare dalle decisioni altrui e aspettava di scoprire cosa sarebbe successo. Proprio come faceva sempre.

Rammollito come al solito.

«Tu te lo aspettavi?» La domanda di lei lo convinse a voltarsi nella sua direzione. Elettra abbozzò un mezzo sorriso, tornando nella sua realtà distante. «Che Miura rapisse Nim, intendo. È una cosa che fa spesso, rapire i suoi sottoposti?»

Vega si riempì i polmoni di aria proprio quando un uomo lo sorpassò. Tossì, intossicato dal fumo del sigaro che gli bruciava fra le dita. «Onestamente no.» Scacciò la nuvola di vapore con la mano. Il tizio nel frattempo era già sparito sull'altro lato della strada. «Ma non capisco mai cosa gli passi per la testa.»

Elettra annuì, assorta nel mondo esclusivo della sua mente. Ancora silenzio fra di loro, e il ticchettio dei loro passi divenne sempre più assordante, interrotto solo dal rombo attutito di un tuono di tanto in tanto.

Davvero non la capiva. Quella donna viveva in un limbo di cose non dette. Cosa nascondeva, oltre le poche parole che pronunciava? Giudizi? Riflessioni?

Le dita di lei gli strinsero l'avambraccio. Così esili, in confronto alla stazza di lui, eppure così salde. «Secondo te perché ha cambiato idea su Altair? Voglio dire, non voleva punirla, fino a poco tempo fa?»

Vega la scansò, con tutta la delicatezza di cui era capace, e sbuffò. «Te l'ho detto che non lo so che cazzo gli passa per la testa. Voleva reclutarla da prima, poi voleva punirla, poi ammazzarla. Ora questo. Non ne ho davvero idea.»

Per essere una che affermava di non sopportare nessuno dei due, Elettra sembrava capace di parlare solo di loro: Altair la testa di cazzo e Miura il verme. Se almeno se ne uscisse anche con una fottuta soluzione, anziché riempirlo di domande senza un apparente senso, forse Nim non avrebbe perso altro tempo.

Inspirò ancora a fondo, e questa volta nessuno gli sporcò l'aria con sigarette, sigari o chissà quali altre schifezze. Calma. Doveva calmarsi.

Così si ripeté, ma l'energia furente dentro di lui continuava a scoppiettare senza sosta.

Elettra allungò una mano verso di lui e la ritirò prima ancora di toccarlo. Non disse nulla, e Vega la ringraziò in cuor suo. Non possedeva le forze di discutere ancora di nessun argomento riguardasse Miura, Altair, Nim o i fulmini.

Raggiunsero lo stabilimento abbandonato. Le immagini di Butch, Liam e Tamaki gli trapassarono il cervello in un attimo. Non riuscì nemmeno a distinguerle, furono un flash veloce, accompagnato dall'odore di sangue. Gli era rimasto nel naso per giorni, dopo aver pulito. Così come il terriccio ancora gli macchiava le unghie.

Quei tre bastardi non meritavano nulla di più di una lapide senza nome. Eppure lasciarli a marcire così, senza che nessuno oltre a lui piangesse sulla terra che copriva i loro corpi, gli sembrava sbagliato.

«Se non te la senti possiamo lasciar perdere, per oggi.»

Elettra si era voltata verso di lui, una figura ammantata nel buio dell'entrata.

Vega scosse la testa. «No, sto bene,» disse soltanto.

Entrarono insieme, e lei se ne accorse per prima. La vide rallentare il passo, l'ombra di un sorriso a riportarla su un piano esistenziale più vicino. Lui contrasse i bicipiti in una reazione del tutto spontanea. I fulmini gli rizzarono i peli sulle braccia.

Un'altra energia li chiamava. Furente tanto quanto la sua, altrettanto distruttiva, sebbene più compatta.

La riconobbe solo quando le comparve davanti, con la sua giacchetta di pelle, il sopracciglio inarcato e le dita che battevano contro la coscia. La schiena dritta e i modi sciolti gli ricordarono Nim e la sua recita; quando la ragazzina cercava di diventare una persona in grado di affrontare le situazioni più spaventose, era Altair che imitava.

Pessima scelta. Ora si spiegavano tante cose.

La rossa si scosse la giacchetta aperta. «Ce l'avete fatta. Mi stavo ammorbando le palle ad aspettarvi. La prossima volta magari datemi un orario, così non divento una mummia decrepita mentre voi vi fate una scopata prima di venire.» Sollevò gli occhi al soffitto e spalancò le braccia. «La scelta di parole è stata casuale, ma funziona. Sareste strani a venire prima della scopata.»

Vega si conficcò un'unghia nella carne, lì dove aveva strappato la pellicina. Riaprì la ferita quasi guarita in un istante e si godette la breve ondata di dolore. «Conosco ragazzini nel pieno della pubertà che fanno battute meno squallide delle tue.»

«E io conosco vecchi incartapecoriti più divertenti di te, e allora? Cos'è, una gara?»

«Se è una gara a chi le fa girare prima all'altro, direi che non posso batterti.»

Altair mimò il gesto della pistola e finse di spararsi in testa. «Ti assicuro che hai un talento naturale, invece, superuomo.»

Elettra si mise in mezzo prima che Vega potesse replicare a tono. «Sono contenta che hai deciso di unirti a noi.» Nonostante fosse circondata da ibridi incazzati, la sua pacatezza vinse contro di loro.

Entrambi rilassarono le spalle, quasi nello stesso momento. Si scambiarono un'occhiata, e Vega sentì l'energia dei fulmini fremergli sotto la pelle alla vista della breve danza del sopracciglio di lei, ma nessuno si azzardò a ricominciare.

«Avete un piano, no?» disse Altair, rivolta all'altra. «Ditemi quello che devo fare e diamoci una mossa.»

Un piano.

La stessa identica richiesta di Vega: chiedeva la spiegazione di una qualche strategia. Perché una donna pronta all'azione come lei non era certo abituata a pensare, prima di agire, perciò attendeva le istruzioni di qualcun altro nel momento del bisogno. In cosa differiva da lui allora?

Se ne stette in silenzio. Elettra gonfiò il petto in un sospiro. «Devi accettare la richiesta di Miura. Quando sarai in squadra...»

«Manco per il cazzo, ghiacciolina.» Altair inclinò la testa di lato, la mano piantata su un fianco. «Ditemi come posso prenderlo a calci, non ho nessuna voglia di perdere tempo a seguire le sue cazzate.»

«Pensavo avessi capito che non puoi fermarlo con la forza.»

«Appunto sono qui. Non è questo il punto? Non dovremmo fare squadra o qualche stronzata del genere e fare il culo a tutti?» Schioccò le nocche, abbozzando un sorriso incerto.

Adesso tutto aveva un senso. Ecco perché Elettra diceva di volerla tenere fuori dalla questione.

Elettra si lisciò i capelli all'indietro. Quelli restarono in posizione, scomposti. «Non è così semplice. Potrebbe metterci l'uno contro l'altra.»

E allora sì che sarebbe stato problematico. In una lotta alla pari, chi di loro tre avrebbe vinto? La rabbia di Vega? L'istinto di Altair? O l'ingegno di Elettra? Per qualche motivo, era proprio quest'ultima che lui vedeva trionfante, tremante, con i corpi di loro due ai suoi piedi e la risata di Miura in sottofondo.

«Alai?»

Una voce gli sconquassò i pensieri. Una voce che non si aspettava affatto di sentire. Uno sciame di formiche gli zampettò lungo la spina dorsale.

Eppure fu Altair a cambiare atteggiamento in modo radicale: spalancò gli occhi, il braccio che le ricadeva lungo il fianco, i pugni che si serravano e le labbra che premevano l'una contro l'altra. Agguantò la spalla di Vega e lo spinse via mentre si dirigeva verso la sorellina con passi pesanti. Lui schioccò la lingua, infastidito, ma non si lamentò.

Non questa volta.

Altair si fermò a pochi centimetri dall'altra. Alcune saette le guizzarono lungo la schiena e sparirono subito dopo. «Si può sapere dove cazzo sei stata?»

Nim guardava il pavimento e aprì appena la bocca per risponderle. Le lentiggini si perdevano nel rosso che le colorava le guance. Risucchiò l'aria, e tutti i presenti restarono in attesa. Se qualcuno si fosse mosso o avesse anche solo osato respirare, la sua figura sarebbe sparita. Così si sentiva Vega, e sospettava che anche le altre due provassero lo stesso.

Poi la ragazzina penetrò le difese della sorella. Si gettò in avanti e le affondò il viso nell'incavo del collo. Si aggrappò alla sua giacchetta come se volesse strappargliela di dosso.

Altair sbuffò fuori l'aria dal naso e affondò le dita nei capelli di Nim. «Cretina,» disse, e la afferrò per le spalle per allontanarla da sé.

«Scusami. Scusatemi.» Gli occhi della ragazzina incrociarono quelli di Vega. Cercarono Elettra, che le rivolse un cenno del capo, e tornarono a concentrarsi sulla sorella.

Se solo il tempo si fosse congelato su quel momento.

Se solo Vega avesse potuto assaporare più a lungo il piacevole dolore del rintocco del proprio cuore. Se solo si fosse potuto godere la sensazione di essere vivo un solo secondo in più.

Invece il battito di due mani risvegliò il marcio dentro di lui. Mentre Miura faceva la sua apparizione, sorridente e allegro come al solito, le radici del putridume che aveva impiantato nel petto di Vega si allungarono. Affondarono e affondarono.

Ovvio che c'era anche lui.

«Visto, Nim? Te l'avevo detto che l'avremmo trovata qui.» Miura le strizzò l'occhio e sollevò il palmo a indicare Elettra. «Avete fatto un ottimo lavoro, sapevo che avreste trovato il modo di convincere perfino una scapestrata come lei a ragionare.»

I fulmini esplosero sulle braccia di Altair. Lei spinse la sorellina dietro di sé. «Se ragionare vuol dire prenderti a testate, allora ti assicuro che ci hanno messo poco a convincermi.»

Vega non capiva che reazione si aspettasse, lei, con una sparata del genere. Miura accentuò il sorrisetto beffardo e si scrollò nelle spalle. Di certo non bastava qualche spacconeria da teppista di strada per agitarlo. Semmai, sembrò compiaciuto.

Nascose le mani dietro la schiena e molleggiò sui talloni. «Ti consiglierei di calmare i bollenti spiriti per un momento più propizio. Sono stato tanto gentile da riconsegnarti tua sorella in anticipo, sì, ma non vuol dire che lei sia libera.»

Altair esitò, il pugno sollevato di fronte a sé. Un predatore confuso di fronte alla preda più furba di lui, ecco cos'era. Nim le si aggrappò e la tirò a sé, piano; Altair non diede nemmeno segno di essersene accorta.

Vega si morse l'interno della guancia. «Lasciala stare,» disse, rivolto a Miura, che gli scoccò un'occhiata divertita. «È solo una ragazzina.»

Una ragazzina ferita, con un piede in bilico fra la vita e la morte. Non c'era bisogno che ci si mettesse anche lui a confonderle la testa con i suoi giochetti di merda.

«Che cazzo vuol dire?» Altair mosse un passo in avanti. Spostava lo sguardo dall'uno all'altro. Per quanto i fulmini la illuminassero, l'aura minacciosa che le piaceva indossare era evaporata.

Elettra le si affiancò. Teneva il visore puntato in direzione di Miura. «Puoi smettere di controllarla, Altair è dalla nostra parte, te lo assicuro io.»

Vega sollevò il sopracciglio.

«Io non sto dalla parte di un cazzo di nessuno.» La rossa la spinse via da sé, senza troppa forza, ma Elettra barcollò di lato. «Mi spiegate la situazione o devo farvela sputare a suon di pugni?»

«Alai...»

Il lamento di Nim la zittì, ma la ragazzina non aggiunse altro. Miura le porse la mano, e lei aggirò la sorella per afferrarla, il capo chino e gli occhi chiusi. Ogni centimetro del suo corpo tremava: cercava di resistere al suo controllo mentale. La parte consapevole del suo cervello combatteva gli ordini che le serpi elettriche di Miura le impartivano.

Vega conosceva fin troppo bene la sensazione. Se solo non fosse stato una creatura inutile, gli avrebbe aperto il cranio e gli avrebbe fatto provare la sensazione delle scariche elettriche dritte nel cervello.

«Ohi, marmocchietta...»

Altair fece per andarle dietro, ma Elettra la tenne per il polso. «La sta controllando con il suo potere. Sai cosa può fare, no? Sai che può manipolare le menti altrui.»

La rossa sbottò a ridere. Un rumore rauco, fastidioso, che feriva. «Allora non vedo dov'è il problema. Mi basta pestarlo fino ad ammazzarlo, no?»

La sua capacità decisionale la piazzava a metà strada fra il coraggioso e l'imbecille.

L'energia di Altair raggiunse un picco esagerato. L'elettricità che le scorreva addosso le sollevò i capelli in aria. Piegò appena le ginocchia, pronta a scattare, e Miura puntò due dita nella sua direzione. Non appena la catena di fulmini le penetrò nella fronte, lei si bloccò dove si trovava e lanciò un grido pieno di frustrazione.

Miura si diede dei buffetti sulle braccia, per liberarsi dalla polvere che volava nello stabilimento. «Mi dispiace, non mi andava davvero di perdere tempo con queste sceneggiate, però non mi lasci altra scelta. Ah, e alzati, in quella posizione sembra che ti scappi la cacca.»

Altair distese le gambe e rilassò i muscoli. Le saette che le vorticavano addosso sparirono e i capelli le ricaddero scomposti sulle spalle. Le labbra le fremevano. Voleva parlare, voleva bestemmiare forse, ma Miura la costringeva a tenerle sigillate.

Nemmeno lei poteva davvero ribellarsi. Il senso di sollievo che si sprigionò nel petto di Vega lo disgustò di se stesso.

«Miura, finiscila con le sceneggiate,» disse. «Perché sei qui? Credevo che il piano fosse di portarti Altair nel tuo locale.»

«Ah, sì.» Lui cercò qualcosa nella tasca interna della giacca. Non trovò nulla e si limitò a sospirare. «Questo era prima che la signorina decidesse di distruggerlo. Tra l'altro, è stata una mossa davvero irritante, sai? La polizia adesso ci sta addosso e continua a fare domande sulla misteriosa Figlia della Tempesta e ci hanno costretto a chiudere fino a data da destinarsi.»

Elettra raddrizzò la schiena. Un movimento quasi impercettibile, tanto che Vega non era sicuro di non esserselo immaginato. Faceva parte del suo piano? Per questo aveva mandato Altair a fare fuoco e fiamme? Perché non gliene parlava?

Non controllò il sorrisetto che gli si dipinse sul volto.

Miura infilò le dita in un altro taschino della giacca. Spalancò gli occhi soddisfatto e ne estrasse un foglietto di carta. «Comunque, ha poca importanza. È una cosa da poco e ho progetti ben più importanti.»

«Che progetti?» chiese Vega, secco.

Quello sventolò il bigliettino in aria. «Il solito diligente e impaziente Vega, sempre dritto al punto. Ci stavo arrivando, ma va bene, vedrò di spiegarvi le cose in fretta.» Incrociò lo sguardo di Altair, ancora immobile e muta, e le strizzò l'occhio. «Ho preso un accordo con la S.d. Un accordo speciale, ma per riuscire mi serve una squadra di gente competente. Possiamo chiamarla una squadra di ibridi ribelli

«Che genere di accordo?» disse Elettra, calma e pacata. Ancora sospesa in chissà quale dimensione lontana, ad architettare piani e creare teorie. O almeno, così se la immaginava Vega.

Miura passò il foglietto a Nim, che lo strinse al petto. «Stanno progettando un aggeggio interessante, e quando l'ho scoperto non ho potuto non interessarmene. Riguarda la cupola. A quanto pare possono indebolirla.»

Indebolire la cupola? A che scopo?

Elettra indietreggiò di un passo. «Vuoi distruggere la cupola? Perché?»

«Ah, questa è una domanda interessante.» Miura passeggiava e allungava le dita ad accarezzare la superficie del frigorifero rotto. «Vedi, nel corso del tempo, tanti ibridi come voi sono venuti a chiedermi di dar loro una nuova vita. Vi siete mai chiesti perché dobbiamo essere proprio noi a subire la rabbia della gente? La bigotteria di Nuova Folk ha reso noi leoni dei semplici agnellini che fuggono da tutto. Continuano a lottare contro la Tempesta, anziché comprenderla. Continuano a lottare contro di noi, anziché accettarci.»

Ovunque volesse andare a parare, Vega ne aveva già abbastanza. I fulmini gli sprizzarono sul corpo e illuminarono lo stabilimento. «Perciò che vuoi fare, mandare a puttane il resto dell'umanità?»

Una scintilla selvaggia gli zampillò nella coda dell'occhio. Altair. Un tentativo di ribellione, forse, o magari solo un segno della sua rabbia esplosiva. Qualsiasi cosa fosse, Miura non la ritenne preoccupante.

Dondolò la testa e affiancò Nim, una mano premuta contro la schiena di lei. «Senza nessuna protezione dalla Tempesta, saranno costretti a chiederci aiuto. A riconoscerci.»

«Stronzate. Scateneresti solo una guerra,» sbottò Vega.

«E allora che guerra sia,» rispose lui. «Una guerra che porti alla nostra libertà. Saremo costretti a unirci e a dimostrare che siamo superiori, che meritiamo di far parte di questa città. Potremo smetterla di mentire davanti ai nostri figli per impedire che sappiano cos'è che siamo in realtà. Potremo smetterla di nasconderci.»

Contro ogni aspettativa, Elettra si fece avanti. Luccicante della sua luce azzurrina, affrontò Miura a mento alzato, sebbene le nocche le tremassero. «Nessuno di noi ha chiesto il tuo aiuto. Se non ci siamo ancora uniti per distruggere la città c'è un motivo.»

«Non avete chiesto il mio aiuto? Perciò non mi avete mai pregato di aiutarvi a sparire. Vi trovate così bene, qui, vero?»

«Questo non significa che vogliamo una guerra. Sarebbero le persone che non vogliamo ferire a restarci in mezzo.»

La mascella di Miura ebbe un fremito. Anziché risponderle, abbassò lo sguardo. La lingua gli saettò fra i denti. Vega non ricordava di averlo mai visto esitare a quel modo.

«Non mi aspetto che dei ragazzini come voi possano capire,» disse. Lo lasciò a battere le palpebre nella confusione. «E comunque, la nostra cara amica comincia a stancarsi dei nostri discorsi.» Schioccò le dita, e Altair crollò ginocchia a terra.

Si risollevò in un istante, di nuovo un fascio di fulmini, ma non accennò ad attaccare questa volta. «Puoi scommetterci che mi sono rotta le palle delle tue stronzate.»

«Veniamo al punto, allora.» Miura incrociò le braccia. All'improvviso sembrava solo un povero, piccolo sociopatico con manie di grandezza. Pareva così facile, spiaccicargli la testa contro il muro. «Quando il progetto sarà pronto, voi dovrete aiutarmi a indebolire la cupola. Niente di più, niente di meno. Fatelo, e Nim otterrà quello che desidera. Se anche solo uno di voi si azzarderà a fare un passo falso, qualcosa contro di me, la ucciderò. Perciò, Furia Rossa, confido nel fatto che li terrai sotto controllo.»

Altair pestò il terreno con il piede. Non aggiunse altro, a parte un grugnito.

«Bene,» disse Miura. «Aspettate il mio prossimo ordine. Nel frattempo, imparate ad andare d'accordo, ho bisogno di un gruppo unito.»

Portò Nim via con sé e lasciò la sua nuova squadra lì, in balia delle sue parole, dei suoi piani e delle sue minacce.

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