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Capitolo 26

Il locale brulicava di non morti che ballavano con una musica del cazzo in sottofondo. Un paio di uomini-gorilla se ne stavano davanti all'entrata, e la grandezza del loro petto rischiava di far esplodere le maglie nere che li coprivano. I soliti soggetti pelati con gli occhiali scuri che si vedevano nei film, di quelli taciturni. Ma la sicurezza, quella vera, di sicuro non erano loro.

Altair si batté un colpetto sulla visiera del casco. Rosso, come la tuta da motociclista che indossava. Delle strisce nere le percorrevano braccia e gambe in perpendicolare.

Eccolo, il Darkside, in tutta la sua bruttezza.

Altair si ergeva poco distante dall'entrata. Davanti a lei, due ragazze si strusciavano con movenze da puttanelle di strada contro il corpo di un tizio poco più maturo di loro.

Dovevano togliersi dalle palle. Quei tre e tutto il resto degli stronzi umani nelle vicinanze.

Era il momento per la Furia Rossa di scatenarsi.

Sollevò i palmi verso l'alto e si godette la frenesia delle scariche elettriche che le risalivano il corpo. Le labbra le si aprirono in un ghigno estasiato. Invincibile, ecco cos'era. Miura poteva mandarle tutti i figli di puttana che desiderava, poteva anche provare a rincretinirle la testa quando voleva, ma non sarebbe cambiato nulla: Altair avrebbe ridotto tutti in un ammasso di frittelle con i capelli.

I tre davanti a lei se ne accorsero per primi. Arrestarono la danza suadente e spalancarono le bocche in espressioni ridicole degne dei peggiori cartoni animati. Il grido giunse da una delle due, fendette la musica e congelò il tempo; l'altra si aggrappò al braccio del ragazzo.

Meno di due minuti e l'intera sala si riempì di urla e mani che si agitavano in aria.

Altair fece zampillare i fulmini con più forza, quasi come se volesse aggredirli tutti. «Ohi, stronzi, andate fuori di qui. Ho un conto da regolare.»

Il termine delle sue parole destò la folla e sancì l'inizio della fuga disperata verso la porta. Ammassi di corpi sorpassarono Altair, uno dopo l'altro. Portarono odori con loro: sudore, alcol, profumi, dopobarba, shampoo, fumo. Le passarono accanto in continue ventate.

I due buttafuori si fecero largo controcorrente. Nuotarono nella calca di persone terrorizzate, e Altair voltò la testa verso di loro, a osservare le espressioni contorte che li deturpava. Sebbene non la vedessero in faccia e non potessero conoscere il sorriso da squalo che la animava, si bloccarono a pochi metri di distanza. I loro occhi guizzano al ritmo delle saette di lei.

La sicurezza più inutile dell'universo.

Altair allungò il braccio nella loro direzione, lenta, in un gesto teatrale. Quelli sgusciarono all'indietro. Inghiottiti dalla folla, sparirono nel momento esatto in cui la Furia Rossa schioccò le dita e le scintille le esplosero sui polpastrelli.

Dei suoni statici storpiarono la musica delle casse. Tempo tre battiti e uno scoppio la arrestò del tutto.

Nel nuovo silenzio del locale, anche gli ultimi passi ticchettanti sparirono oltre la porta d'ingresso. Porta che si chiuse alle spalle di Altair, provocando un rumore che rimbombò fra i tavolini vuoti.

«Immagino tu non sia qui per accettare l'accordo.»

Una schiera di soggetti armati di spade discese le scale di corsa e si dispose davanti ad Altair. Cinque uomini e due donne, tutti imbottigliati nei loro abiti scuri ed eleganti. Vestiti che stonavano con la cravatta arancione e i capelli di un verde fosforescente di una delle tizie.

Rimasero lì, con le armi spianate, in attesa.

Altair si afferrò la testa fra le mani e si tolse il casco. Girò appena il busto, e l'orlo del vestito nero di Haruka le attraversò la visuale per un attimo. «Sono qui per farvi diventare tante cotolette depresse.»

I tacchi di Haruka picchettavano sulla pista da ballo, ma si fermarono proprio alle spalle dell'altra. «Gliel'avevo detto, a Miura, che non c'è modo di ragionare con un'imbecille come te. A quanto pare, ti brucia ancora la sconfitta dell'ultima volta e vuoi la rivincita, eh?»

I cinque soggetti davanti ad Altair ballucchiavano da una gamba all'altra, in quello che non si capiva se fosse un modo per scaldarsi prima dell'inevitabile figura di merda che li attendeva, o se fossero solo agitati. Capelli verdi sputò un grumo di saliva a terra.

«Peccato che hai così paura che mi mandi i tuoi scagnozzi cagasotto.»

«Per chi mi hai preso? Sono il mio regalo per te, così puoi scaldarti.»

Altair incastrò il casco sotto l'ascella e non nascose un sorrisetto obliquo. «Come facevi a sapere che avevo proprio voglia di massacrare un po' di stronzi?»

«Sapevo ti sarebbe piaciuto. Divertiti.» Due battiti di palmi, e Haruka comparve nella sua visuale periferica, solo per sparire subito dopo. Altair si girò a cercarla, ma la strabica si era volatilizzata.

Le voci degli altri si sollevarono in un unico grido, assieme ai loro passi veloci e frenetici. Uno dal mento a culo fece cadere la spada sulla sua testa; Altair si scansò di lato e si godette il fischio della lama che sferzava l'aria. Strinse le dita su quelle di lui. Le scariche elettriche lo attraversarono e lo scossero da capo a piedi. Una schiumetta disgustosa gli uscì dalle labbra. Le dita attorno all'elsa si aprirono.

Gli spinse il casco contro il petto e lo scagliò lontano. Lui investì in pieno un tavolino e ruzzolò a terra, in un tintinnio di vetri rotti e cocci di piattini. Altair afferrò la spada prima che toccasse terreno. A quel punto, fu più forte di lei: anziché sollevarla e bloccare il fendente della tipa dai capelli verdi, imitò i protagonisti dei film d'azione e girò su se stessa per allontanarsi.

Un terzo stronzo la caricò alle spalle. Lei seguì il movimento rotatorio e spiccò un balzo, atterrandogli dietro; la spada accompagnò il suo gesto e lacerò la schiena del tizio in perpendicolare. Lui lanciò un grido e si accasciò sulle ginocchia, la mano libera che si tendeva e stringeva l'aria nel tentativo di raggiungere la ferita.

Proprio come si aspettava, Haruka le aveva mandato solo delle misere scartine.

Lanciò il casco in direzione di capelli verdi, che sollevò l'arma per pararsi. Il casco le rimbalzò sulle mani, e anche la sua spada finì sulla pista da ballo, ai suoi piedi, mentre lei scuoteva le dita per riprendersi.

Che branco di imbranati.

Altair parò gli affondi di tre uomini. Scivolò indietro, con la lama che volteggiava in movimenti secchi. Quelli intensificarono gli attacchi. Non che cambiasse molto, rincoglioniti com'erano riuscivano solo a farle perdere tempo.

I fulmini le scoppiettavano fra le dita. Si diramarono verso l'elsa e inglobarono l'intera spada, in una spirale di energia elettrica. Non appena il più basso dei tre uomini si spinse in avanti e incrociò l'arma con la sua, le scariche risalirono lungo il ferro tagliente. L'uomo provò a urlare, ma ciò che gli uscì furono solo rantoli agitati mentre le scariche gli scuotevano il corpo.

I compagni si lanciarono su Altair con più foga. Volevano aiutare il povero mentecatto? O forse speravano solo di sorprenderla con un attacco tutti insieme?

Poco importava. Altair incrociò la spada con ognuno di loro, e il risultato fu sempre lo stesso: un'accozzaglia di gemiti e corpi in preda alle convulsioni. Finirono a terra, uno dopo l'altro.

«Tutto qua?» Altair incastrò il piede sotto l'elsa di una delle spade cadute. La calciò verso l'alto e la afferrò al volo. «Speravo in un regalo più decente.»

«Oh, ma quelli erano solo l'antipasto.»

L'intera sala racchiudeva la voce di Haruka. Il suono caldo e mellifluo delle sue corde vocali proveniva da ovunque: dall'alto, dagli angoli più nascosti, dal bancone. Era ovunque e in nessun luogo.

Altair volteggiò in cerchio. Di quella stronza nessun segno. «Ma davvero? E allora il regalo vero dov'è? Perché ho ancora parecchio scazzo da sfogare.»

La sua risata risuonò fra i tavoli. Bassa e roca, fastidiosa quanto il ronzio di una zanzara nell'orecchio. Haruka spuntò in cima alle scale, un microfono accostato accanto alla bocca e un passo lento mentre discendeva. Sculettava a ogni gradino. Una modella, con il lembo dell'abito nero che la seguiva strusciando a terra e un velo che le svolazzava dietro. Le luci psichedeliche si riflettevano su una lama premuta contro la pelle del polso destro, seminascosta all'interno della manica.

Dischiuse le labbra, appiccicandole al microfono come se fosse il più focoso degli amanti. «Sono io il vero regalo.»

Altair si picchiettò la spalla con il verso piatto della spada. «Sono qui per farti volare i denti, strabica, non per rimorchiarti. E comunque, quel vestito,» alzò il mento a indicare il suo abito, «è una merda.»

Haruka abbassò le palpebre. La sua discesa continuava a sembrare l'elegante sfilata di un'attrice in procinto di ritirare il suo premio. Il microfono le roteò fra le dita. Le casse riprodussero un fischio, poi la strabica lasciò che l'oggetto le scivolasse di mano. Quello rotolò giù per le scale, a una velocità che avrebbe dovuto avere anche lei.

«Ho sempre desiderato distruggere il tuo stupido ego.» Un sorriso le fece capolino sul volto, appena abbozzato, ma affilato. «Prenderti a calci mentre ti vanti con quei tuoi rozzi fulmini e ti credi così invincibile.»

Come se l'avessero sentita, le saette sul corpo di Altair si moltiplicarono e scoppiarono in un boato. «Ti sei montata la testa solo perché l'ultima volta mi hai fatto volare fuori dal ring? Guarda che oggi non ho intenzione di andarci piano.»

«Ottimo.» Haruka estrasse la spada dalla manica. La lama, corta e dritta, era tanto sottile da scomparire alla vista. «Sarà più divertente vederti perdere.»

Il piede calò leggiadro l'ultimo gradino. Sfiorò appena il terreno.

Poi un lampo di luce viola lampeggiò troppo vicina. Altair fece scendere la spada dalla spalla. Il clangore del ferro contro il ferro echeggiò nella stanza. Le fremettero i muscoli, ma anziché restarsene immobile ad aspettare che l'altra continuasse la sua danza mortale, mosse un passo di lato. Haruka seguì la sua traiettoria con i successivi attacchi.

Ancora una volta, lottava come un serpente: la spada rappresentava le fauci, che si allungavano e scattavano senza sosta a una velocità troppo elevata per un essere umano. Proprio come quel fottuto giorno in palestra.

Altair deviò ogni attacco, ma l'altra continuava ad avanzare, e lei indietreggiava.

Come cazzo era possibile?

Quando per l'ennesima volta incrociarono le lame, i fulmini di Altair cercarono l'avversaria. Eppure Haruka non si arrestò. Nessuna scossa. Nessuna schiuma dalla bocca. Nessun sussulto. Nemmeno un singolo capello fuori posto. Niente di niente.

All'arrivo di un nuovo affondo, Altair deragliò il colpo e scivolò lontano dal suo raggio di azione.

Haruka si arrestò con l'arma sollevata di fronte a sé e il suo stupido sorriso. «Allora? Mi aspettavo di più dalla Furia Rossa, invece guardati, sei quasi patetica.»

Il sangue le pompava nelle orecchie, copriva quasi le parole dell'altra. «Che cazzo sei tu?» le chiese, ignorando la provocazione.

Una ciocca di capelli sfuggì all'accrocchio di fermagli, e scese, abboccolata, lungo la guancia di Haruka. Lei fletté le dita della mano libera. «Protesi fatte con materiale isolante. Non conducono l'elettricità, perciò puoi mettere da parte i tuoi fulmini, Furia.»

Protesi?

Altair alzò il sopracciglio e sbuffò un mezzo sorriso. «Perciò sei una mezza bambola di plastica?»

«Sì, sono come una di quelle bambole assassine dei film.»

La squadrò dall'alto. «Ora non esagerare, non sei così brutta.»

Haruka si esibì in una risata cristallina. Un bagliore sul lobo dell'orecchio contrastò le luci intermittenti per un attimo. Un orecchino. «E questo cos'era? Un complimento?»

«Quanta poca autostima hai se sentirti dire che non sei un cesso ti sembra un complimento?» Altair fendette l'aria. I muscoli le tiravano la pelle nonostante i fulmini cercassero di distenderli. «Però avresti dovuto rifarti anche la faccia, bambola strabica.»

«Hai ragione, sai, avrei potuto farmi fare una faccia da cazzo come la tua.»

Un'ottima risposta, peccato che non le avesse lasciato terminare la battuta.

Altair schizzò in avanti e incrociò le spade in una serie di colpi veloci. L'altra la schivò e parò ogni attacco, ma andava bene così. All'ultimo, Altair girò il piede d'appoggio e rallentò il movimento; Haruka seguì il suo ritmo e le scansò l'arma con un fendente.

L'energia le fluì lungo le gambe, in un flusso tanto intenso che si mosse con più foga del necessario e saltò un secondo prima del previsto. Rotando a mezz'aria, schiantò il piede sulla tempia della strabica. I fulmini esplosero a contatto con la sua pelle, e lei gemette fra i sussulti.

Altair ricadde in equilibrio sull'altra gamba e le rifilò un nuovo calcio sul petto, spedendola a schiena a terra. «Meglio una faccia da cazzo come la mia che una bruciata come la tua.»

L'ustione le partiva poco più su del sopracciglio e si estendeva oltre l'attaccatura dei capelli. In un rantolo soffocato che divenne un grido di frustrazione, Haruka balzò su in un solo movimento. E, sempre in un solo movimento, le fu addosso. Per evitare le sue stilettate, Altair si arrampicò su un tavolino alle proprie spalle e, da lì, spinse una sedia verso di lei con un calcio.

Servì solo a dare ad Haruka l'opportunità di spiccare un salto e raggiungerla. In un tripudio di fendenti, Altair perse entrambe le spade. La faccia dell'avversaria si avvicinò, e un dolore al naso le preannunciò la fuoriuscita del sangue. Alzò le braccia per ripararsi dal prossimo attacco, ma qualcosa le si conficcò nel fianco, e si ritrovò piegata in due.

Cazzo. Non ancora.

Invece lo stesso piede di quel giorno sul ring la spinse giù dal tavolo. Atterrò con la schiena sulla pista, e un flash di luce al lato dell'occhio le intimò di starsene ferma.

La lama di Haruka le pungeva il collo. Era davvero sottile, eppure anche solo ad avercela a meno di un centimetro di distanza le sembrava di sentire la pelle aprirsi sotto il suo tocco. «Fine dei giochi, Furia. Hai perso.»

L'aria le entrava a fatica nei polmoni. Restava intrappolata lì, nel punto esatto della gola in cui sostava la spada dell'altra. «Che hai intenzione di fare, uccidermi?»

Era stata Altair a parlare? Le corde vocali erano le sue, ma la voce le sembrò quella della Tempesta: profonda e selvaggia.

«Potrei farlo, ma Miura se la prenderebbe con me. A quanto pare ti vuole viva, anche se davvero, averti in squadra sarebbe più un autosabotaggio che un guadagno.» Un sospiro. «No, non ti ucciderò. Però non vuol dire che non posso divertirmi a tagliuzzarti un po'.»

Ci teneva davvero così tanto, quel pagliaccio in smoking, a reclutarla? Si sarebbe dovuta alleare con un uomo che non si degnava nemmeno di affrontarla di persona, nella loro testa. Come se Altair potesse piegarsi al cospetto di un cagasotto simile.

«Provaci, se vuoi,» disse, e questa volta a parlare furono entrambe, Altair e la Tempesta. «Ma quando ti avrò fatto saltare la faccia andrò a riprendermi Nim. E stai certa che quello stronzo del tuo capo non ce l'avrà nemmeno più, un cervello per fare i suoi piani viscidi del cazzo.»

Ogni traccia di divertimento sparì dal volto di Haruka. «Parole grosse, per una che ha una spada puntata alla gola.» Premette la lama più a fondo.

Altair non percepì altro che una sensazione di bagnato colarle lungo la spalla e imbrattarle la tuta. «Dovrei davvero avere paura di un'inferma con le protesi?»

Haruka tese i muscoli del braccio. Un gesto involontario, con ogni probabilità. Anche se non erano nemmeno veri muscoli. «Lo sai perché certe protesi sono illegali, Furia? Ti sei mai chiesta perché i piedipiatti non le usino per combattere voi ibridi?»

«Perché non hanno voglia di tagliarsi braccia e gambe?»

«Quello è il minore dei mali.» Allontanò un poco la spada, e l'aria riprese a fluirle fino ai polmoni. «No. Il fatto è che i riflessi umani non sono abbastanza sviluppati per seguire certi movimenti. Si crea uno scompenso, con la velocità superiore delle protesi.»

Altair tastò il pavimento con il palmo. Non c'era niente che potesse aiutarla. «Sinceramente, strabica, me ne frega meno di un cazzo.»

Haruka non le fece nemmeno caso. I suoi occhi la puntavano, eppure erano persi nel vuoto. «Per questo si deve fare un intervento al cervello. Una specie di innesto, per aumentare i riflessi e cambiare totalmente la percezione della realtà. Peccato che la maggior parte delle persone finisca per impazzire.»

«Stai dando la colpa della tua pazzia a un intervento chirurgico?»

«No, imbecille. Sto cercando di spiegarti perché non puoi vincere contro di me.»

La spada tornò a comprimerle l'aria nella gola. Scelse un punto poco più giù del precedente e una nuova ondata di sangue le scese lungo il collo. «Perché sei pazza ma non te ne sei ancora accorta?» disse Altair.

Haruka scrollò la testa. «No. Perché io sono l'evoluzione del genere umano. Sono la figlia della tecnologia, creata con uno scopo preciso. Niente, di me, è dettato dal caso. Mentre tu, Furia Rossa, non sei altro che una mutazione genetica riuscita per pura casualità.»

Certo che le piaceva davvero troppo riempirsi la bocca di stronzate.

«Evoluzione. Tecnologia. Cazzate da nerd.» Agguantò la lama con la mano. Strinse, e quella le recise la carne del palmo, sprofondando sempre di più. Il calore dei fulmini che l'avevano attraversata ancora la animava e rendeva più sopportabile la sensazione. «Io non ci capisco un cazzo di questa roba, ma una cosa la so, strabica: forse le tue parti di plastica possono aiutarti a battere la Furia Rossa. Ma io,» dischiuse le labbra in un ghigno, «sono Altair.»

Tenne la spada lontana dalla propria giugulare e si sollevò in un movimento solo. La consistenza dura del mento di Haruka le batté contro la testa. Quella barcollò all'indietro, la sua eleganza ormai svanita dai passi strascicati lungo la pista da ballo. A terra colavano i suoi sputi, un intruglio di sangue e saliva che si spargeva a chiazze sul pavimento.

Altair reggeva ancora la sua arma per la lama. In un intrico di fulmini, spostò la presa sull'elsa. La ferita le pulsava a contatto con il manico, ma le saette arrivarono a pungerle la pelle per richiuderla. «Dimmi dov'è il vecchio e potrei lasciarti qualche dente.»

«Tempo scaduto,» le rispose Haruka. «Magari la prossima volta.» Si coprì la bocca ed estrasse qualcosa di scintillante dalla manica. Gliele lanciò addosso, una dopo l'altra.

Le saette si estesero in una rete protettiva. Gli oggetti volanti ne rimasero imprigionati, con le loro estremità appuntite bloccate a un palmo dal naso di Altair. Stelle ninja. Le venne da ridere a vederle. Quei mentecatti dei sottoposti di Miura erano convinti di vivere in un film d'azione giapponese di merda dell'era precedente alla Tempesta.

Fece esplodere l'energia, e i dardi assassini scoppiarono e rotearono in ogni direzione. Il fragore di una bottiglia rotta attirò la sua attenzione soltanto per un attimo. Quando tornò a cercare Haruka, rimaneva soltanto una scia di sangue che conduceva all'uscita.

Fuori però non c'era nulla, oltre ai lampi fuori dalla cupola e il bagliore delle insegne al neon.

Note:

Questa era nella mia testa la più grande scena d'azione della storia, nonché quella che avevo in mente quando ho creato la copertina. Ce ne saranno altre, ma non credo saranno così lunghe. Spero sia venuta fuori una cosa decente, è stata complicata da scrivere.

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