Capitolo 23
Un'ondata di ricordi la investì non appena mise piede nel parco divertimenti. Elettra batté le palpebre un paio di volte, infastidita dal visore. Davanti a lei, la ruota panoramica si stagliava verso l'alto e roteava, lenta e inesorabile, su se stessa. La vista sulla città da lassù se la ricordava ancora, quando da piccolina si appiccicava contro il vetro e ammirava il panorama dei tetti luminescenti di Nuova Folk. Il profumo del dopobarba del padre le solleticava ancora le narici, a distanza di anni, così come la sensazione della mano umidiccia del suo primo ragazzo era ancora vivida contro la pelle.
Ma la cosa che più le restava impressa nella mente era la vicinanza con la cupola. Il modo in cui, quando la ruota raggiungeva il punto più alto, sembrava quasi di poter sfiorare la pioggia con la mano. I tuoni picchiavano senza ritegno, scuotevano il mondo oscuro al di fuori. Le regalavano una certa calma, come se osservare la loro rabbia, la loro sofferenza, la aiutasse a rigettare la propria.
Concentrò l'attenzione sulla fila di persone davanti alla biglietteria. Nei giorni feriali non c'era mai una gran calca, per lo stesso motivo i suoi genitori la portavano sempre il martedì o il mercoledì sera. Nessuno di loro amava la folla.
Vega era un fascio di nervi al suo fianco. Emanava il sentore della Tempesta, così forte e pungente da confonderle i sensi.
Gli sfiorò la spalla con la mano, e lui sobbalzò. Emise un sospiro tranquillizzato subito dopo. Una domanda gli scintillava negli occhi scuri, un "cosa c'è?" che non venne mai espresso e che non trovò mai una risposta.
«Eccovi qui.» Un uomo si presentò di fronte a loro, bassino in confronto a Vega, e molto più magro. Una cravatta giallo fosforescente rompeva l'equilibrio del suo vestiario elegante e candido. «Scusatemi per l'attesa, ma il piccolo Jin ha insistito per fare una deviazione alla bancarella dello zucchero filato.»
Il piccolo in questione sbucò da dietro le sue gambe, con lo stecco di zucchero filato stretto fra le dita.
Elettra attese che fosse Vega a prendere la parola. Toccava a lui presentarla. Si era tanto raccomandato di attenersi al piano, eppure fu lui a esitare e a cercarla con lo sguardo, come se non sapesse più che pesci pigliare. Lei gli batté un buffetto sulla spalla per incitarlo, ma l'altro uomo riprese a parlare per primo.
«Allora, è lei la nuova possibile recluta di cui mi hai parlato?» Si ripiegò l'orlo di una manica, e le porse quella stessa mano con il sorriso che stonava con il resto dei suoi lineamenti appuntiti. «Kosaki Miura. Tutti mi chiamano Miura. Lieto di conoscerti.»
Elettra ricambiò la stretta; quella di lui era salda, fredda e distaccata. «Il piacere è mio,» sorrise.
«Vega mi ha parlato di te. Elettra, giusto?» Ritirò il braccio e agitò il polso per mettere in bella mostra l'orologio lampeggiante. «Devo dire che mi ha stupito, quando mi ha rivelato che voleva farmi conoscere una donna. Per un attimo, avevo sperato che avesse deciso finalmente di accasarsi. Sai,» gli batté una pacca sulla spalla, e Vega abbassò la testa, «è un bravo lavoratore, ma certe volte ho paura per la sua salute. Non ne vuole proprio sapere di staccare.»
Vega si lasciò andare a un sospiro frustrato. «Come faccio, se ora ho il quadruplo del lavoro?» Un attacco, subdolo eppure diretto. Una freccia a tradimento, che Elettra non si era aspettata.
Miura annuì, le labbra arricciate. «Hai ragione, in effetti la mancanza dei tuoi compagni si fa sentire.»
L'altro contrasse la mascella, ma non continuò la battaglia.
«Papà?» Jin tirava il pantalone del padre. La sua vocina si udiva appena. «Possiamo andare all'autoscontro adesso?»
«Solo un attimo, il papà sta parlando.» Plasmava il tono in maniera totalmente diversa, con lui: aggiungeva una cucchiaiata di miele a nascondere il gusto amaro. Tirò il figlio a sé, tenendolo per le spalle. «Ti chiedo scusa, Elettra, ma l'altro giorno era la giornata del papà e non sono potuto stare con lui. Gli ho dovuto promettere di portarlo qui per farmi perdonare. Non sapevo ancora nulla di te.» Scoccò un altro sorriso in direzione di Vega.
Lei allacciò le dita dietro la schiena. «Non è un problema. E poi questo posto mi piace.» Una bugia solo per metà, dopotutto i ricordi che le provocava la spezzavano in due: da un lato, il cuore sussultava smanioso di rievocare quei momenti lontani, dall'altro, i fulmini si contorcevano su di loro nella scatola.
«Anche a me,» rispose lui. «Tutti i colori, le persone più disparate che si aggirano fra le giostre: famiglie, amici, amanti. Potrei perdermi per ore a osservare l'allegria che emanano. Per questo l'ho comprata.»
Elettra spalancò gli occhi, e ringraziò che nessuno vedesse la sua reazione a causa del visore. «L'ha comprata? Davvero? Da quanto tempo è sua?»
Miura agitò una mano. «Dammi pure del tu. L'ho comprata un paio di anni fa, è un acquisto recente. E in realtà è solo perché Jin non fa altro che chiedermi di portarcelo, ho speso meno soldi così non che a comprargli sempre il biglietto.»
Quindi lui non c'entrava ancora nulla. Le sue mani sporche non insudiciavano i ricordi di lei. Si afferrò la maglietta all'altezza del cuore. I fulmini sollevarono un poco il coperchio della scatola, ma non uscirono fuori e anzi si rifugiarono di nuovo dentro.
Jin biascicò qualcosa. Miura si inginocchiò e gli riaggiustò il colletto. Si scambiarono delle battute sussurrate che Elettra non comprese, poi l'uomo si rialzò e indicò la sua sinistra. «Scusatemi, ma mio figlio ci tiene davvero a fare un giro sull'autoscontro. Possiamo parlare di affari mentre ci divertiamo, che dite?»
«È sicuro che sia una cosa saggia?» chiese Elettra.
«Oh, sì, non ti preoccupare.» Strizzò l'occhio in direzione di Vega. «Mi piace.»
Lui non rispose né obiettò. Seguirono entrambi Miura e il figlio lungo la stradina luminescente costeggiata da faretti dei colori più disparati. La pista dell'autoscontro era forse la più affollata di tutte le giostre, e almeno una decina di ragazzini di tutte le età si divertiva a tamponarsi a vicenda. I genitori attendevano lì a fianco, chiacchierando fra loro.
Miura approcciò l'uomo alla biglietteria. Una manciata di secondi dopo, il tizio si scusò con i genitori e attese paziente che riprendessero i figli e si allontanassero, poi tornò da loro. «Prego, è tutta vostra. Divertiti, Jin.» Scompigliò i capelli del bambino, che fece una smorfia e si affrettò a riaggiustarsi la pettinatura come meglio riusciva.
Elettra si voltò indietro, verso tutti i ragazzini che sbuffavano a braccia conserte, con gli occhi sognanti ancora puntati sulla pista. Represse l'istinto di corrergli dietro per chiedere scusa.
«Andiamo?» Il fiato di Vega le solleticò l'orecchio. Annuì e gli andò dietro fino alle macchine a due posti.
Quella era la prima volta che saliva sull'autoscontro. Da piccola i genitori non gliel'avevano mai proposto, e lei sentiva uno strano pesciolino scuoterle lo stomaco alla vista di tutti gli altri bambini che si investivano e ridevano. Da ragazza semplicemente non aveva preso in considerazione la possibilità.
Si sistemò in una vettura. Un altro peso si accomodò a fianco a lei, e la stupì la leggerezza di tale corpo, finché non si accorse che era Miura ad accompagnarla, e non Vega.
Il pesciolino era deceduto almeno un decennio prima, ma i fulmini la sconquassarono con ancora più facilità.
Il sentore di Tempesta aleggiava attorno a Miura, mascherata sotto una colonia dai toni troppo forti. Non pizzicava però, era una nuvola calma e placida. Le salì un conato di vomito quando le instillò nella mente l'immagine di Yunca.
«Come vedi, possiamo parlare in tutta tranquillità anche così.» L'uomo sorrideva, in una cordialità che puzzava di forzatura, eppure gli raggiungeva perfino gli occhi.
«Sì,» rispose solo.
Vega salì in un'altra vettura assieme a Jin. Sollevò il bambino di peso e lo aiutò a mettersi al suo posto, piano, con una delicatezza immensa. Un gigante che carezzava una gazzella, ecco che cosa le sembrò di vedere.
Miura cominciò a girare il manubrio e si allontanò un poco dagli altri due. «Allora, cosa ti porta qui? Perché una ragazza bella e giovane come te dovrebbe venire a chiedermi di sporcarsi le mani per me?»
La colpì la tranquillità con cui ammetteva la brutalità del proprio lavoro. «C'è una taglia sulla mia testa.»
Mentire non avrebbe avuto senso. Con la sua domanda, l'uomo aveva sancito l'inizio della battaglia; rivelare la verità la metteva in una posizione di svantaggio, tuttavia fargli credere di essere in vantaggio faceva parte del piano. Perciò inghiottì la voglia di rigettare e concentrò lo sguardo sulle proprie mani.
Così facevano le persone, quando si sentivano a disagio, no?
Stava davvero fingendo?
«So che sei un'ibrida anche tu,» disse lui. «Per caso hai a che fare con il caso di cui parlano ovunque? Quello della casa bruciata?»
Vega gliel'aveva anticipato, che Miura amava scavare nelle questioni personali. Non accettava nessuno, se prima non conosceva la sua storia.
Elettra prese un respiro profondo. Doveva resistere. Soltanto a questo, poi toccava a lei. «Sì.» Serrò le labbra all'istante, martoriandole fra gli incisivi. Parlare, doveva parlare. Però magari quella resistenza l'avrebbe aiutata ad apparire più genuina.
«Dicono che sia stata tu ad appiccare l'incendio.» Miura tamponò la vettura degli altri due. La risata di Jin gli aprì il volto in un sorriso per un attimo. Quando si allontanarono di nuovo, continuò. «Però c'è troppa confusione sul tuo caso, c'è chi afferma una cosa, chi un'altra. Davvero, non sono riuscito a farmi un'idea.» Le scoccò un'occhiata. «Non ci riesco a credere che una con questo faccino abbia fatto una cosa del genere, però.»
La metteva alla prova. Prima ancora di conoscere il suo passato, desiderava scoprire che tipo era.
Elettra fece scorrere le dita sulla vernice della macchina. «Era una mia compagna di corso dell'università. Un'amica.» Quell'ultimo dettaglio lo aggiunse dopo un attimo di esitazione. Non corrispondeva alla verità, ma l'avrebbe fatta apparire più fragile, ai suoi occhi. «Era venuta con la scusa di darmi degli appunti, ma in realtà sospettava di me da un po'.»
Clarice, si chiamava. Rimpiazzava Pauline, la vera ragazza che si offriva di darle i propri appunti da quando non vedeva più, quella che Elettra aveva considerato davvero un'amica, ma che aveva spifferato a Clarice più del dovuto.
La macchina di Vega e Jin venne loro addosso. Elettra sobbalzò per il contraccolpo, accompagnata dagli sghignazzi cristallini del bambino. Scambiarono un altro paio di urti, poi furono gli altri due a farsi indietro.
Miura tamburellava le dita sul volante. «Perciò ti ha riempita di domande.»
Elettra si afferrò una ciocca di capelli. «Sì. Mi ha riempita di domande.» Sarebbe stato più corretto dire che gliele aveva sputate in faccia, mentre la teneva ferma per le spalle. La sua saliva le era entrata più volte negli occhi e bagnato il viso.
«E poi?» Il timbro dell'altro la riportò nel presente.
Inspirò. I fulmini si abbatterono sul coperchio della scatola, nello stesso momento in cui la macchina si scontrò con Vega e Jin. Quando furono lontani, riprese a parlare. «Non sapevo che fare, non sapevo come fermarla, e mi ha preso il panico. E il potere è venuto fuori.»
«Perciò l'hai uccisa per errore.» Una constatazione, non una domanda.
Elettra si conficcò le unghie nel braccio. «Non l'ho uccisa,» sibilò. Fu più forte di lei, e il secondo dopo si sentì un'idiota. Certo che l'aveva uccisa. «Non sono stata capace di controllarmi, e i fulmini sono scoppiati ovunque. Hanno raggiunto gli impianti elettrici e hanno causato l'incendio.»
Miura non commentò. Si batteva l'indice sul labbro, composto dietro il volante, eppure non condivideva affatto la rigidezza di Vega, lui appariva rilassato, morbido. Si accorse del suo sguardo e inclinò la testa, in una domanda silenziosa.
Quanto voleva sapere ancora?
Quanto era saggio rivelare? Apparire fragile era un conto, esserlo in tutto e per tutto un altro.
L'interno della scatola ribolliva come un minestrone. Elettra chiuse gli occhi e si concentrò sul dolore che le causava il visore. Non doveva scoperchiare la scatola. Non doveva chiedere ai fulmini perché si sentissero così. Non doveva parlarci.
«Lei era morta,» ammise. Circondò indice e medio con le dita dell'altra mano. Il sudore le rendeva la pelle appiccicosa. «Quando mi ripresi, lei era già morta, e i vicini avevano chiamato la polizia. Erano già arrivati, e avevano preso i miei genitori.»
Il resto lasciò che fosse lui a comprenderlo da sé. Di come era scappata, con la coda fra le gambe.
Miura non chiese altre spiegazioni. Si tormentava il labbro, pensieroso. Mimò il gesto della pistola in direzione di Jin poco prima di buttarsi contro di lui.
Elettra liberò le mani e le ripose sul grembo. Stava mandando tutto all'aria.
Jin si sporse dalla macchina. «Papà, mi sono stancato!» urlò.
Miura rispose qualcosa, ma Elettra non lo ascoltò. Si perse nel seguire il movimento della vettura mentre l'altro la riportava al suo posto. Si alzò lui per primo, e lei lo seguì a ruota, senza rifletterci. La presenza di Vega si fece all'improvviso così vicina che il suo profumo la allontanò dai ricordi del passato.
Lei cercò un contatto con l'unico alleato che possedeva, per quanto poco fidato, ma lui si spostò l'istante prima che potesse sfiorarlo. Non si era accorto. Rigido com'era, il suo pensiero doveva essersi bloccato sul loro piano. Chissà se si era accorto di quanto Elettra stesse rovinando tutto.
No. No. La battaglia era appena iniziata.
Lasciarono la pista, e l'uomo della biglietteria li salutò mentre andavano via. Elettra si tenne accanto a Vega durante il tragitto fino a una bancarella con il gioco del tiro al bersaglio. La presenza costante della sua Tempesta, per qualche motivo, la aiutò a calmarsi. Forse perché era ancora più agitata di quanto potesse essere lei.
«Papà, qui, voglio giocare qui!» Jin saltellava, puntando i bersagli.
Miura gli diede un colpetto sulla testa. «Scommetto che zio Vega non vede l'ora di insegnarti a sparare.»
Vega portò il bambino davanti alla bancarella; loro rimasero in disparte. Elettra si afferrò la maglia all'altezza del cuore. Poteva farcela. Doveva riuscirci per forza.
Miura le sfiorò una spalla con la propria. Perfino il calore del suo corpo le gelava il sangue. «Sei mai stata davvero innamorata, Elettra?»
Lei lo guardò. Dove voleva arrivare?
«No.» C'era stata qualche cotta, certo, ma l'amore? Quello era sicura di non averlo mai provato.
«Io sì.» La risposta la stupì. «Tu sei ancora giovane, vedrai che arriverà anche per te. Magari è più vicina di quanto credi.»
Si riferiva a Vega. Per qualche assurdo motivo desiderava che loro due trovassero qualcosa di speciale l'uno nell'altra. Perché, Elettra non ne aveva idea. Lei sapeva solo che sarebbe stata una stupida a perdere l'occasione di scoprire una sua debolezza.
«Cosa si prova ad amare davvero?»
Miura reclinò la testa a osservare i fulmini abbattersi sulla cupola. «È un lavaggio del cervello. Non sei più tu, quando ti innamori. È una delle sensazioni migliori al mondo, ma anche la più spaventosa, perché sei in totale balia di qualcun altro.»
«Non sembra il massimo,» commentò lei, sforzando un sorriso.
«No, credimi, lo è. Poi però, quando ti tradiscono, ti senti come il più miserabile degli uomini.»
Elettra abbassò il capo. «Mi dispiace.»
«Mia moglie era una donna meravigliosa, sai. Mi ha davvero distrutto, scoprire che non ero abbastanza per lei. Questo ti fa l'amore, vedi? Ti rende stupido e cieco.»
«Era?» Abbassò le sopracciglia, e sperò che lui non si accorgesse della sua espressione per via del visore.
Miura però non la guardava nemmeno, teneva gli occhi incollati alla cupola. «Non l'ho uccisa, se è quello che ti stai chiedendo. Non potrei mai. Ho solo divorziato.» Si aggiustò la giacca. «Ci ho pensato però, e quel giorno ho capito che non potevo. Anche se mi sentivo tradito, anche se non la volevo più al mio fianco, non potevo ucciderla. L'amore dura per sempre.»
Jin gridò qualcosa, e agitò il fucile giocattolo in aria. Cercò l'approvazione del padre, che gli fece l'occhiolino, poi abbracciò Vega. Quando il negoziante gli passò un pupazzo di pezza a forma di orso, lui lo strinse forte al petto.
Miura tirò su col naso. «Spero davvero che un giorno anche Vega possa perdere la testa. Ha davvero bisogno di qualcuno che gli insegni come divertirsi. Tu sai divertirti?»
«Credo di sì,» gli rispose, titubante. «Ma mi dicono spesso che ho una concezione strana del divertimento.»
«Ah, sì? E cosa fai quando vuoi svagarti allora?» Miura strabuzzò gli occhi, le mani giunte davanti a sé e il busto inclinato verso di lei. Un'espressione del tutto diversa da quelle che gli aveva visto fino ad ora.
Elettra alzò il mento. «Ascolto audiolibri.»
Lui rise, raddrizzando la schiena. «Ora ho capito perché andate d'accordo. Sareste davvero un'ottima coppia, anche se forse diventereste due anziani in anticipo.» Si spostò un poco, e portò via con sé il suo calore gelido. «Comunque, mi piace come ragioni. Sei dentro, Elettra.» Le strizzò l'occhio. «Considera pure quella taglia sulla tua testa come cancellata.»
Lei emise un sospiro di sollievo. Il petto le divenne leggero per un secondo, solo per poi tornare a stringerle il cuore. Mancava ancora qualcosa, la battaglia non era finita.
Jin sventolò un secondo peluche sulla testa. Vega lo prese e lui tornò a sparare contro i bersagli.
«C'è un'altra cosa,» disse Elettra.
«Sono tutt'orecchie.»
Lei deglutì. Almeno era sicura che la figura della giovane donna fragile la stava facendo, non che ci si stesse impegnando, le riusciva fin troppo naturale. «Si tratta di Nim. Vorrei che tenessi fede alla promessa che le hai fatto.»
Miura fece schioccare la lingua, molleggiando sui talloni. «Non posso. Ho un conto in sospeso da regolare con sua sorella.»
«Sì, ma...» Lo sapeva, che non sarebbe stato facile. «Appunto. Vuoi fare del male ad Altair, no?»
Il coperchio della scatola fece un salto improvviso. I fulmini si espansero nello stomaco. Perse la capacità di parlare per un secondo, ma Miura la aspettò paziente.
Elettra si passò la lingua fra i denti. «Aiuta Nim, tienitela stretta, e poi potresti fare in modo che sia proprio lei a farle del male.»
Lui scoppiò a ridere. Vega si girò nella loro direzione. «Sei un genio del male,» disse Miura. «Va bene, accordato. Ho altri progetti più importanti, ma voglio provare la tua strategia. Potrebbe essere divertente.»
Si sarebbe dovuta sentire sollevata, il piano dopotutto era riuscito senza intoppi. Peccato che le pareti dello stomaco continuavano a contrarsi senza sosta.
Note:
Nemmeno Elettra sa cosa sta facendo xD Comunque, considerato che dovevano succedere ancora alcune cose, ma il capitolo mi è uscito lunghissimo, ho spezzato la scena in due, e nel prossimo continuiamo da qui. Quindi sì, Elettra sta avendo una specie di ribalta sul palcoscenico xD
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