Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 18

Il cumulo di panni che si era tolta la sera prima seppelliva un paio di scarpe ai piedi del letto. Altair tenne la porta aperta, attendendo che Elettra si facesse avanti, poi si preoccupò di ripulire il casino: lanciò maglia e jeans sul pavimento del bagno e spinse le scarpe sotto il letto. Commise il terribile errore di annusare a fondo l'aria mentre si rialzava, e l'odore della sua nuova coinquilina le fece salire un conato.

Spalancò le ante della finestra. Lo smog delle macchine di sotto la investì in pieno, ma era sempre meglio. «Prendi dei vestiti a caso e vai a farti una doccia, prima di appestarmi casa,» disse.

Elettra tentennò accanto al tavolo. Girava la testa da un lato all'altro, in contemplazione.

Altair fece schioccare la lingua, e l'altra concentrò l'attenzione su di lei. «Sono lì,» indicò i panni ripiegati accanto al televisore, appoggiata al cornicione.

Borbottando un «sì, grazie,» Elettra scelse con cura gli indumenti puliti dal mucchio. Scartò tutte le magliette a maniche corte, così come i pantaloni troppo attillati, e optò per una camicetta bianca che Altair aveva dovuto comprare in occasione di un colloquio di lavoro – non che si fosse mai presentata, non le piaceva l'idea di fare da babysitter ai figli smocciolosi di una famiglia benestante. Si era perfino dimenticata di avercela.

Cercò nel cassetto della biancheria del comodino e lanciò le prime cose che trovò. Quelle caddero sulla testa di Elettra, che emise uno sbuffo mentre se le toglieva di dosso.

«Grazie,» borbottò ancora, a denti stretti.

Altair alzò le spalle e sprofondò con il sedere sul materasso. «Quando hai finito, non ti azzardare a mettere quella merda che hai addosso nella lavatrice, c'è già della roba mia e non ci tengo a sapere di cadavere.»

L'altra la osservava da dietro il visore. La luce azzurra dello schermo si accendeva e spegnava a intermittenza. «E cosa dovrei farci?»

«Niente, lasciali lì. Poi ci penso io.»

Elettra non si mosse per alcuni istanti, come se si fosse congelata sul posto. Alla fine sospirò e annuì, poi si rinchiuse nel bagno. La chiave girò nella toppa almeno tre volte – temeva che Altair piombasse dentro mentre si lavava?

Altair trovò una lattina di Coca nel frigo. Sollevò la linguetta e se la portò alle labbra, tracannando almeno la metà della bevanda in una botta. Accese la televisione sprofondando di nuovo sul letto, proprio quando dall'altro lato della porta giunse un urlo. Non trattenne un ghigno. «Ah, già, la caldaia è rotta!» gridò.

«Grazie per avermelo detto subito!»

Quante storie che faceva, quella. Per essere una senzatetto abituata a vivere per la strada, aveva troppe pretese.

Navigò fra i canali, ma non davano nulla di interessante: telegiornali in cui si lamentavano di una qualche ibrida creduta morta in libertà, film vecchi di secoli in cui i protagonisti si mettevano le corna a vicenda senza sosta e un documentario sulla Tempesta.

«Per alcuni anni dei ricercatori hanno creduto che l'acqua piovana raccolta da fuori la cupola fosse il motivo per cui nascono i Figli della Tempesta, o ibridi,» diceva uno stronzo con un ridicolo parrucchino in testa e il microfono spiaccicato contro il naso. «Si pensava infatti che la depurazione non bastasse a liberare l'acqua dagli influssi della Tempesta. Si è poi scoperto che non c'è assolutamente alcuna correlazione fra i due fenomeni. Di fatto tutt'oggi non sappiamo di preciso perché alcuni individui vengano scelti...»

Altair premette un tasto sul telecomando. La scena di una donna che si accasciava fra le braccia dell'amante e lo pregava di non lasciarla andare la disgustava, ma almeno non le faceva ribollire i fulmini.

Elettra comparve sulla soglia del bagno; i capelli le ricadevano umidi e scomposti sulle spalle, le mani si perdevano all'interno delle maniche della camicia troppo lunga e i pantaloni la slanciavano un poco. Senza strati infiniti di sporcizia addosso, aveva il suo perché, sebbene il visore le coprisse una parte del volto. «Come fai a fare la doccia con l'acqua così gelida?»

«Ogni tanto funziona.» Altair spense la televisione e gettò il telecomando sul mobile, alzandosi. «Le altre volte lancio una bestemmia e tiro avanti.»

«Ma non puoi chiamare il padrone di casa per dirgli di aggiustarla?» Si infilò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi sistemò tutta la chioma su una sola spalla.

«Sì, ma me ne scordo.»

Elettra la fissava in silenzio. I suoi occhi si nascondevano oltre la luce del visore, e Altair gliel'avrebbe volentieri lanciato contro il muro. «Puoi farlo adesso.»

«Cosa?»

«Chiamarlo. Così magari la prossima volta ci laviamo con l'acqua calda.»

Altair scacciò l'aria con la mano. «Sì, più tardi lo faccio.» Non attese che l'altra aggiungesse qualcosa, la scansò dalla soglia del bagno. I vestiti incriminati della puzza pestilenziale erano sparsi sul pavimento. Non appena li afferrò e l'umidità le bagnò le dita, Altair fece una smorfia. Li portò con sé nell'altra stanza.

«Che hai intenzione di farci?» le chiese Elettra.

Lei non le diede retta. Tenendoli in una sola mano, sporse il braccio fuori dalla finestra. Ogni volta che li muoveva, i panni diffondevano il loro odore. Sperava solo non le rimanesse incastrato nel naso per settimane. «Secondo te? Me li tolgo dalle palle.» Aprì le dita, e la matassa appallottolata di vestiti cadde sulla strada.

L'espressione composta di Elettra cigolò e, nell'arco di pochi secondi, si spezzò: le labbra si dischiusero appena, i muscoli facciali si contrassero e il naso si arricciò, mentre si precipitava verso di lei per affacciarsi al davanzale. «Ma sei scema?» Scoccò uno schiaffo sulla spalla dell'altra.

La rottura del contegno che teneva Elettra sempre in bilico su una lastra di ghiaccio le suscitò una risata sguaiata. Altair lasciò una mano sul davanzale e si coprì la pancia con l'altra, come se temesse che tutto il suo contenuto potesse fuoriuscire a causa di tutto quello sghignazzare.

Il viso di Elettra assunse un colorito rossastro, se per l'imbarazzo o per la rabbia, Altair non avrebbe saputo dirlo, né le interessava. «Quale parte di "c'è una taglia sulla mia testa" non hai capito?»

Altair le mostrò un sorriso obliquo, le sopracciglia alzate verso l'alto. Passò la lingua fra i denti, lenta. «Andiamo, rilassati. Chi vuoi che faccia caso a cosa indossa una senzatetto che puzza peggio della merda? Non li ricondurranno mica a te.»

Un sospiro pieno di esasperazione, poi i lineamenti di Elettra assunsero di nuovo il loro decoro, in una maschera che avrebbe potuto nascondere qualsiasi cosa. «Hai comunque fatto una cazzata.» Sbuffò subito dopo, come se si pentisse di non essere capace di ritrovare la propria pazienza.

Che tipa.

Altair chiuse un'anta della finestra. «Cazzata o no, ne è valsa la pena.»

Elettra si tormentava una ciocca di capelli fra le dita. La testa restava voltata verso la strada al di fuori. «Vado a riprenderli,» disse, e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi nel recarsi verso la porta.

La luce del visore accecò Altair per un breve istante, così lei si slanciò alla cieca e, anziché prenderla per una spalla, le strinse la stoffa della camicetta e la tirò indietro. «Andiamo, guarda che attiri di più l'attenzione se vai a riprenderli. E poi,» fece roteare gli occhi, «col cazzo che te li faccio riportare su.»

«Perciò secondo te dovrei lasciarli lì?» Spezzò l'irritazione con un nuovo sospiro. «Potrebbero ricondurli a me, e poi avremmo entrambe un problema.»

«Sono radioattivi, quei cosi, chi cazzo vuoi che si metta a controllarli?»

«Sì, ma...» Elettra affondò le dita nei capelli, si afferrò una grande ciocca e restò così, con il gomito a mezz'aria. «Almeno la biancheria, dimmi che è ancora di là.»

Cazzo. Allora di questo si preoccupava. Perciò dietro l'atteggiamento da tosta c'era una vena innocente e santarellina?

Altair si affacciò fuori a controllare. Due donne dalle chiome cotonate aggirarono la matassa di abiti a terra ridacchiando abbastanza forte che le loro voci la raggiunsero. «Forse,» rispose soltanto. Da dove si trovava di certo non distingueva nulla di diverso dal cumulo di stoffa sporca.

Il cigolio del letto la avvertì che Elettra era sprofondata sul materasso. La trovò seduta a inspirare a fondo e annuire. «Fantastico. La prossima volta magari chiedimelo prima di buttare la mia roba così.»

«Sei già fortunata che non ti sbatto fuori a calci in culo, ghiacciolina.» Altair serrò anche la seconda anta della finestra.

«Ma che gentile.»

«Quanta acidità repressa.» Si lasciò cadere dall'altro lato del letto. Non si preoccupò di togliersi le scarpe prima di accomodare i piedi sulle lenzuola. Tanto avrebbe dovuto cambiarle comunque, prima o poi. «Come fai a tenertela così imbottigliata e non esplodere?»

L'altra non emise alcun suono. La spallina del reggiseno nero spiccava sotto la stoffa leggera della camicia. La stringeva troppo, e sembrava scavarle la pelle, eppure non se ne lamentava. Premette un paio di tasti sul visore, attese e spostò la testa da una parte all'altra; alla fine, lo tolse e lo ripose sul grembo.

«Altair,» disse, e l'altra schioccò le dita. «Tu hai mai...» si bloccò. Volse il busto verso di lei. «Qualcuno è mai morto per colpa tua?»

Altair allacciò le mani dietro la nuca. «Intendi gente decente o pezzi di merda?»

«Non lo so.» Elettra si massaggiò le palpebre chiuse. «Chiunque. Per la tua incapacità, è mai morto qualcuno?»

«Ho ucciso qualche stronzo che se lo meritava.» La ricordava ancora, la forza con cui i fulmini l'avevano animata. La loro voglia di distruggere rispecchiava il sentimento che da troppo le gridava nel petto. Tanto sangue, troppo sangue, quel giorno. Eppure solo così si era sentita appagata. «Perché, che hai combinato? Hai fatto saltare le palle a qualcuno per sbaglio?»

Un guizzo di elettricità le percorse lo stomaco e le risalì lungo la gola. Si espanse verso l'esterno, le sollevò un paio di ciocche. Altair balzò giù dal letto e affondò i denti nel labbro.

Elettra accarezzava lo schermo del visore. «Niente, era solo una riflessione.»

L'altra batté la punta del piede contro il muro accanto a sé. «Come ti pare, ghiacciolina. Non sono cazzi miei,» disse, raggiungendo il frigorifero. Le lattine di birra e aranciata la osservavano dai ripiani. Del cibo, nessuna traccia.

«Certe volte mi sembra che la morte faccia parte di ciò che siamo.» La voce di Elettra le provocò un brivido. «Noi Figli della Tempesta cosa portiamo, a parte distruzione?»

Altair sbatté lo sportello a mani vuote e cercò nella credenza. Non trovò niente, come si aspettava, dopotutto non si era mai ricordata di fare rifornimenti, si era limitata a scroccare pasti a casa di Eve.

«Scusami. Ho avuto un periodo di merda.» Elettra le comparve davanti. Il visore la aiutava a nascondere i pensieri dietro la solita maschera; Altair gliel'avrebbe volentieri spaccata a pugni.

«Ti fai troppe domande sulle cazzate, ghiacciolina. A cercare per forza un significato a tutto ci si deprime e basta.» Prese un bicchiere dalla credenza e osservò l'acqua del lavandino riempirlo fino all'orlo. Nel portarselo alle labbra, fece cadere diverse gocce sul pavimento, e alcune le finirono addosso.

Elettra si accomodò al tavolo. «Forse hai ragione,» disse solo. Si percepiva forte e chiaro, il significato dietro il suo sorrisino finto, il giudizio inespresso.

«Anche se mi sembri proprio il tipo che ama deprimersi. Sei uguale a quella marmocchia di Nim,» le rispose.

Le labbra dell'altra si distesero in maniera meno controllata, più sincera. «Nim è più uguale a te di quanto pensi.»

Altair inclinò il capo. «Sì, forse a me da drogata, con le visioni degli unicorni che ballano, magari.»

«No, prenderesti per il culo pure gli unicorni.»

«Sono dei fottutissimi cavalli con un cazzo di corno in testa, si prendono per il culo da soli.»

Elettra scosse la testa. «Appunto.» Premette i polpastrelli di entrambe le mani contro le tempie e restò lì, a respirare piano e a pensare a chissà quali altre cazzate esistenziali. Altair si sedette di fronte a lei, lasciandosi cadere sulla sedia come se non poggiasse il culo da giorni e non ce la facesse più a stare in piedi, quando l'altra si decise a parlare di nuovo. «Hai idea di come potrei procurarmi qualche soldo?»

«Fai come me, chiedi a Eve.»

Si aggrappò al tavolo. «Non vorrei pesare più di così sugli altri.»

Certo che aveva una bella faccia tosta. Rompere le palle ad Altair di ospitarla in casa sua a tempo indeterminato andava bene, farsi prestare dei soldi da qualcuno che non ne avrebbe nemmeno sentito la mancanza invece no. Alcuni fulmini le percorsero le nocche.

«Non mi sembra ti sia fatta tanti problemi con me,» le fece notare. L'altra però non le rispose, così continuò: «L'unica alternativa sono le scommesse, ma devi avere qualcosa da puntare.»

Elettra alzò la testa. «Scommesse?»

Altair batteva il pollice sul tavolo. «Di moto. Scommetti sulla Furia Rossa e sei a posto.»

«Fammi indovinare, la Furia Rossa saresti tu?»

Alzò le spalle. «Ovvio.»

La conversazione morì lì, per l'ennesima volta. Elettra giocò ancora con i pulsanti sul visore, se lo tolse, fece delle smorfie e lo indossò di nuovo. Non sembrava un granché di soluzione, quell'affare. Da come si comportava, lo faceva somigliare più a una trappola mortale non che a un oggetto utile.

«Quindi, ti interessa di Nim oppure no?» Quando pronunciò queste parole, Elettra si decise ad accantonare il visore in mezzo a loro, come il più brutto dei centrotavola.

Altair si accorse di tenere i denti stretti. Si costrinse a rilassare la mascella e schioccò la lingua. «Che ha combinato ancora?»

Elettra si morse il labbro. I denti si aggrapparono a una pellicina e la tirarono via. Una macchia rossa comparve subito dopo. «Mentre mi portava da Keira, due uomini ci hanno fermate. Uno era un ibrido, l'altro non credo. Hanno chiesto a Nim di seguirli. Io ho provato a fermarla, ma lei ha accampato scuse e non mi ha lasciato scelta. Credo si stia cacciando in qualche guaio.»

I fulmini si liberarono. Altair scattò in piedi, rovesciando la sedia dietro di sé, e abbatté i palmi contro il tavolo. «Perché cazzo l'hai lasciata andare?»

Gli occhi di Elettra la osservarono a lungo, animati da una calma e una tranquillità che alimentavano la furia dell'altra. La studiavano, come se lei non fosse altro che un fenomeno da baraccone, una bomba pronta a esplodere. «Cosa avrei dovuto fare, secondo te? Mettermi ad affrontare un altro Figlio della Tempesta in mezzo alla strada?»

«Mi prendi per il culo?» Altair sollevò il braccio a indicare la porta. «Perché mi vuoi dire che lasciare una marmocchietta come Nim andarsene in giro da sola con due tizi loschi invece è una buona idea?»

«No, ma...» Elettra abbassò la testa. Adesso forse la stronza l'avrebbe smessa di giudicare. «Non potevo dare spettacolo, sono già abbastanza nei guai così. E poi lei insisteva.»

«Certo, perché lei ha un'ottima capacità di giudizio!»

«Forse no, per questo te ne sto parlando.»

Altair tirò un calcio alla gamba del tavolo; quella volò via e si abbatté contro la credenza della cucina, mentre il resto del tavolo si incantava da un lato. Il visore scivolò giù, ma Elettra lo riprese prima che cadesse a terra. «Dove sono adesso?»

Lei si strinse il visore al petto. «Non lo so.»

Perché cazzo non glielo aveva detto prima?

Altair non perse tempo a chiederglielo, però, tanto sarebbe stato inutile. Le ci volle una fatica immane per convincere i fulmini a rientrare e smetterla di emettere il loro ruggito nella sua testa. Quando ci riuscì, e solo alcuni guizzi le percorrevano ancora le dita, si ficcò le mani in tasca e andò verso la porta.

«Dove stai andando?» le gridò dietro Elettra.

Si fermò sulla soglia, ma non si voltò verso di lei. Se avesse visto ancora quella faccia da cazzo da finto angelo l'avrebbe ammazzata. «A cercarla,» rispose. «O a cercare una stronza strabica da prendere a pugni.» E sbatté la porta dietro di sé.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro