Capitolo 43
Alle prime luci dell'alba, un gruppetto di anime partì da quella che era stata la lussuosa casa di una delle famiglie più in vista di Korkian. Anche i servitori Bor e Osen si erano uniti alle donne e alla bambina, incamminandosi con loro verso sud ovest della città. Elsa procedeva silenziosa tenendo per mano Sarah mentre Monique avanzava speditamente accanto a loro, portando sulle spalle uno zaino con pochi beni di prima necessità.
«Sta arrivando qualcuno!» mormorò preoccupato Bor, vedendo giungere da lontano un gruppo di sconosciuti. Potevano essere altri cittadini che come loro riparavano a sud, oppure solo dei furfanti che approfittando della situazione, rapinavano gli indifesi che incontravano lungo la strada.
Quando si incrociarono sull'unico sentiero libero dai detriti che li avrebbe condotti a destinazione, i due schieramenti si osservarono con sospetto.
«Non avvicinatevi, sono armato!», urlò un vecchio brandendo una pietra.
«Calma nonno! Siamo brava gente...», lo tranquillizzò Osen. «Stiamo marciando verso sud per riparare nel centro profughi messo a disposizione dalle autorità cittadine>>, aggiunse spedito.
Il vecchio fissò quel ragazzone, alto e forte.
«Anche noi!>>, rispose sollevato. «Sto per l'appunto scortando ciò che resta della mia famiglia nello stesso luogo», spiegò serio.
Il gruppo fissò quegli estranei. Il vecchio si accompagnava all'anziana moglie, ad una giovinetta e a tre bimbi sotto i dieci anni.
«Potremmo continuare la strada assieme», propose Bor certo della loro mansuetudine.
«Davvero?» , rispose felice l'anziano.
«Certamente», acconsentì Osen. «Il tragitto è ancora lungo ed impervio, ci faremo reciprocamente coraggio e compagnia», aggiunse convinto.
Elsa esaminò i nuovi arrivati. La coppia di anziani sembrava esausta mentre la giovinetta, una ragazzina di circa quindici anni, non proferiva parola ed appariva traumatizzata. Solo i bimbi, tre vivaci e vitali maschietti, parevano in buone condizioni di salute. A dispetto di tutte le difficoltà che sicuramente avevano patito, continuavano a saltellare felici, giocherellando tra loro rumorosamente. I loro attempati accompagnatori li ammonivano seccati, supplicandoli inutilmente di fare silenzio. Pure loro non si risparmiarono di esaminare con attenzione e cautela, quei bizzarri sconosciuti. L'anziana fu stupita dalla palandrana indossata da quella giovane donna, apparentemente inadeguata e troppo ingombrante per affrontare quel difficile spostamento. I suoi capelli poi, erano stati tinti con un pigmento mal calibrato, presentandosi come un insieme di riflessi rosa ed albicocca su un fondo stranamente e grottescamente grigio.
La comitiva riprese la marcia. I tre uomini s'incamminarono lungo il viottolo seguiti dai bambini, mentre le donne alle spalle di questi, chiudevano la fila. La città si presentava loro, malridotta e segnata crudelmente dalla sciagura. Il quasi totale abbandono da parte della popolazione, la rendeva sinistra, impressionante e spettrale. I pochi cittadini rimasti a Korkian affacciati alle finestre e ai balconi, scrutavano il cielo plumbeo con ansia e preoccupazione. Il vento caldo si era leggermente alzato, facendo presagire l'arrivo di una nuova ed imminente perturbazione.
«Il monsone darà il meglio di sè prima di notte», dichiarò il vecchio guardando il cielo.
«Ne sei convinto?», chiese Osen sorridendo.
«Questo è poco ma sicuro!» sbottò Selma, la moglie dell'anziano. «Se August dice che pioverà, tranquilli che pioverà», aggiunse con orgoglio.
Il vecchio la guardò con tenerezza. Avere la completa ammirazione della sua sposa, dopo tutti quegli anni di vita in comune, lo lusingava.
Il gruppo senza perdere altro tempo, proseguì il tragitto con ulteriore fervore, sollecitato dalla previsione per nulla rasserenante di August. Era approssimativamente la seconda ora dopo mezzogiorno, quando la compagnia decise di sostare nei pressi di un giardino comune. Avrebbero riposato per qualche minuto e magari mangiato qualcosa di nutriente, per riuscire ad affrontare con energia il resto del viaggio. Monique appoggiò un fardello contenente dello Jut, una sorta di formaggio vegetale, su un grosso masso proveniente dallo smembramento di un'edificio. Conosceva molto bene quel luogo, visto che la famiglia di suo marito abitava poco lontano da lì. In silenzio divise il formaggio e lo offrì ai presenti.
«Vorrei chiedervi una cortesia», chiese timidamente ai compagni.
«Dicci pure, Monique », rispose sorridendo Bor.
«Dietro quegli edifici si trova la casa dei miei suoceri», spiegò la serva indicando un gruppo di stabili fatiscenti. «Vorrei accertarmi stiano bene», esclamò in un sussurro.
«Per me va bene, ma dovresti sentire cosa ne pensano gli altri», rispose Bor.
«Si tratta di pochi minuti di sosta», spiegò la cameriera agli altri compagni di viaggio.
«Non c'è problema!» rispose August, pulendosi la bocca sporca di Jut.
«Va bene anche per me», esclamò sua moglie. «Non mangiavamo da giorni e tu ci hai sfamato. Come potrei negarti questa cortesia?», disse accarezzando il volto di Monique.
«Forza si riparte», sentenziò Osen caricandosi lo zaino in spalla ed alzandosi da terra.
«Andate voi a fare il sopralluogo. Io vi aspetterò qui», mormorò Elsa. «Mi fanno male i piedi e vorrei riposarmi ancora un po'», spiegò timidamente.
Monique la fissò preoccupata.
«Tranquilli, fate ciò che dovete!», esclamò Selma, «rimarrò io con lei».
Il gruppo si mosse verso gli edifici dietro cui si ergeva la vecchia casa dei parenti della serva. Elsa seduta su un masso, li vide allontanarsi. Selma accanto a lei, aveva controllato se sua nipote Noor avesse mangiato. La quindicenne, centellinava lentamente quel boccone di formaggio vegetale quasi ne fosse attirata per la fame ma disgustata dal sapore.
«La vedi?», disse la vecchia rivolgendosi ad Elsa, «è così dal giorno della tracimazione della diga».
«Avete perso la casa?», chiese scioccamente la ragazza.
«Non solo», rispose l'anziana, « purtroppo oltre la casa i miei nipoti hanno perso anche i loro genitori».
Elsa si sentì morire per l'orrore di quella confessione. Mai sarebbe sopravvissuta ad un dolore così lancinante, anche se era certa che ognuno possedesse in sé la forza per riprendersi e continuare a vivere.
«Fra quanto partorirai?», chiese improvvisamente la donna.
La giovane sobbalzò sorpresa.
«Si nota che sono incinta?», chiese preoccupata.
«No. Hai camuffato bene il tuo stato», rispose l'altra, «tuttavia ho avuto sette figli e riconoscerei anche sotto una coltre di vesti, l'aspetto di una donna in attesa».
Elsa ammutolì stordita.
«Fra quanto tempo verrà al mondo», s'informò l'anziana.
«Mi hanno detto nascerà tra circa tre lune», sillabò la gestante.
«Scherzi vero? Chi può saperlo meglio di te?» , sbottò Selma incredula.
L'abbaiare di un cane e le urla gioiose dei bimbi bloccarono il loro discorso.
Sarah correva nello spiazzo privo di vegetazione davanti a loro seguita da un cagnolino bianco. Dietro il cane i tre maschietti, cercavano di rincorrere la ragazzina correndo a perdifiato.
«Brick, Eskil, Costa attenzione a non scivolare, potreste ferirvi», urlava nonna Selma.
«Elsa, Elsa... », gridava richiamando la sua attenzione la piccola Sarah. «Questo è Jingo, il cane dei miei nonni», disse la bimba appena le raggiunse.
Il cagnolino, un vivace bastardino, leccò affettuoso il viso della bimba.
«E' davvero carino», esclamò la giovane accarezzandolo. Anche Noor lo osservò con interesse, apparendo quasi meno stranita del solito.
Pochi istanti dopo anche i bambini e i quattro adulti si riunirono al gruppo.
«Cara, notizie dei tuoi suoceri?», chiese curiosa Selma.
«Sono stati cremati qualche giorno fa» rispose sconvolta Monique, assicurandosi che la figlia non la udisse.
Le donne tacquero, osservando i bambini giocare allegramente col cagnolino.
«Ci converrebbe rimetterci in marcia», esclamò Bor dopo un attimo di smarrimento.
«Le condizioni del tempo sembrano peggiorare», constatò Osen, «è necessario raggiungere la nostra meta prima di sera».
In effetti il cielo stava diventando sempre più minaccioso e densi nuvoloni carichi di pioggia, si stavano addensando su di loro. Solo le risate degli infanti e l'abbaiare festoso del cagnolino, riuscivano a dare un motivo di speranza a quel gruppo di disperati che vagava in uno scenario apocalittico.
La comitiva riprese la marcia. Via via che procedevano nel cammino si allontanavano dalla città e dalle sue rovine. L'onda che si era abbattuta sull'abitato aveva proseguito verso sud est, perdendo di intensità e di potenza distruttiva. Il gruppo deviò verso ovest, dove l'erba era ancora verde e rigogliosa e dove il fango aveva risparmiato uomini, animali e case. Trovarono un sentiero battuto dai disperati che li avevano preceduti. Quel solco scavato dal passaggio di tutte le persone che avevano trovato una via di salvezza, li avrebbe condotti presto a destinazione. Il centro di ricovero sfollati, si ergeva nell'estrema periferia della città che non era stata minimamente sfiorata dalla tracimazione della diga.
Il gruppo procedeva in fila indiana, camminando in quel viottolo battuto, solcato dall'erba che raggiungeva l'altezza di un uomo. Aprivano la fila Bor seguito da Osen, Monique, Sarah ed Elsa. Subito dopo arrivavano i bambini, la giovinetta silente ed i due anziani. Il viaggio procedeva sereno anche se qualche lontano tuono e l'abbaiare insistente del cagnolino che entrava nel mare d'erba per poi raggiungerli irrequieto nel sentiero, allarmava la compagnia.
Bor alzò la mano destra, facendo segno al gruppo di fermare la marcia. Poi quell'uomo alto ed imponente, s'inginocchiò a terra ed accarezzò affettuosamente il cane.
«Che hai Jingo? Cosa vuoi mostrarci?», chiese vedendo il quadrupede fissare il gruppo e poi penetrare tra l'erba alta.
«Sembra voglia indicarci qualcosa», esclamò Elsa.
Jingo fece nuovamente capolino dalla vegetazione abbaiando rumorosamente in loro direzione. Quando il cane rientrò nella macchia, Osen si liberò dello zaino che portava sulle spalle e lo seguì.
Tutti tacquero tesi per qualche secondo.
«Osen», urlò ad un certo punto Bor non sentendo più l'abbaiare del cane.
Per un attimo il mondo si fermò.
«Bor, vieni qui. Ho trovato un uomo!», urlò Osen nascosto dall'erba alta.
Bor non indugiò ed accorse al grido del suo amico, sparendo velocemente tra la vegetazione.
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