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Capitolo 42

Il dottore aveva accolto la servitù nelle sue stanze, parzialmente illuminate dalla luce che penetrava dalle finestrelle circolari. Successivamente aveva comunicato ai convenuti l'esito della perizia svolta dagli  ingegneri. Con palese preoccupazione il personale era stato informato dello stato fatiscente di quella costruzione, che malgrado tutto si ostinavano a chiamare "casa". Massimo aveva specificato che sarebbe rimasto nella sua dimora, informandoli che per chi avesse preferito,  le autorità cittadine avevano predisposto un punto di accoglienza a sud ovest di Korkian.

«Non siete obbligati a rimanere qui», spiegò Pirozzi con calma. «Con l'aiuto della Dea ad emergenza finita e solo se lo vorrete, potrete ritornare al mio servizio», aggiunse serio.

Tutti i presenti lo ascoltarono in silenzio. Massimo in piedi davanti a loro con Aurelie al suo fianco, parlò della situazione presente e del probabile futuro con commozione e trasporto. Elsa seguì il suo discorso con interesse, posizionandosi tra Monique e Sarah dietro la fila dei valletti e dei camerieri. Al termine di quella comunicazione Victor, il capo servitù di casa Pirozzi, chiese la parola. Era un uomo magro che aveva da poco superato la cinquantina, con i capelli brizzolati e lo sguardo buono.

«Signore, sono stato alle dipendenze della povera professoressa per tutti questi anni», esternò commosso. «Quindi il mio unico desiderio è quello di rimanere in questa casa e continuare a servirla come servivo sua madre», concluse pacato.

"Che la Dea riceva in lei la sua anima", esclamarono all'unisono i presenti sentendo nominare la padrona.

«Grazie Victor», esclamò Massimo sorridendogli grato. Poi considerando ad uno ad uno i presenti, si bloccò sopraffatto dall'emozione.

«Per quanto riguarda tutti voi», riuscì sforzatamente a dire, «entro domattina dovrete comunicarmi se preferite restare qui o unirvi agli altri sfollati a sud della città».

I dipendenti abbassarono il capo in segno di ringraziamento per quell'opportunità che Pirozzi gli stava concedendo.

«Ora potete ritirarvi», esclamò Massimo invitandoli ad uscire dalle sue stanze.

Elsa fu la prima ad andarsene, imitata da Monique e dal resto della servitù.

Lo sguardo del suo amante indugiò affettuosamente su di lei, stupito dalla palandrana lunga fino ai piedi che indossava. Aurelie  ritta accanto a lui, si era accorta con rammarico del suo rinnovato interesse per la straniera. Le pareva assurdo tutto quel trasporto per una donna di cui non chiedeva notizie e non nominava da giorni, circostanze che l'avevano indotta a sperare che avesse recuperato la ragione, rinnegando finalmente quell'assurda relazione. Ora però sembrava che il solo rivederla, avesse riacceso in lui un rinnovato interesse ed un'intensa passione nei suoi confronti. La Corsi s'impose l'autocontrollo augurandosi che quella donnaccia entro il  giorno seguente , scegliesse di andarsene da quella casa.

«Massimo, con il tuo permesso mi ritiro», esclamò la donna quando rimasero soli nella penombra della stanza.

«Certo, certo...>>, rispose lui versando del sidro in una ciotola.

Aurelie lo fissò disgustata. A quell'ubriacone non interessava nulla di lei, ma gli avrebbe fatto cambiare idea. Sarebbe riuscita a concupirlo, ne era certa, rendendolo schiavo della sua bellezza e della sua femminilità. Aveva solo bisogno di fare un bagno profumato, acconciarsi i capelli ed infine indossare una leggera e trasparente tunica da notte. Successivamente sarebbe sgattaiolata nella sua stanza dove si sarebbe svestita, mostrandosi completamente nuda ai suoi occhi. L'uomo ebbro di desiderio e di sidro, avrebbe osservato con cupidigia il suo corpo generoso, quindi l'avrebbe posseduta con passione. Aurelie sospirò eccitata da quei pensieri, convinta che presto sarebbe riuscita a cancellare per sempre il ricordo di Elsa dal cuore e dalla mente di Massimo.

La notte calò limpida e calda. Il vento aveva smesso di soffiare e non sembrava preannunciarsi all'orizzonte, alcuna imminente precipitazione. Elsa attese con pazienza che Monique e Sarah si addormentassero, voleva agire senza che quella cara donna e la sua bambina si accorgessero della sua assenza e si preoccupassero per lei. Il giorno dopo se ne sarebbero andate e proprio per questo motivo sentiva il bisogno di accomiatarsi da Massimo in maniera autonoma, senza la disturbante presenza di altre persone. Era assolutamente convinta che dopo la sua partenza non si sarebbero mai più rivisti. Quel presagio era talmente vivido in lei che neppure il terrore che lui scoprisse la sua gravidanza o la possibilità di imbattersi nella Corsi, l'avrebbe fatta desistere dal proposito di rincontrarlo. Purtroppo la stagione dei monsoni non era finita ed il vento caldo sarebbe tornato a soffiare impetuosamente, portando oltre la tempesta anche nuova distruzione. Silenziosa si sistemò la vestaglia e quindi si pettinò. Quella strana chioma che il dottore aveva definito "gialla", la rendeva unica e riconoscibile. Più tardi si sarebbe tinta i capelli, in modo da non apparire troppo strana agli occhi della gente che avrebbe incontrato a sud della città. Sapeva non ci sarebbe stato Massimo a guidarla nel suo percorso e a proteggerla, quindi uniformarsi alla massa sarebbe stata la maniera giusta per passare inosservata. A Korkian tutte le donne coprivano i capelli scuri con riflessi variopinti, Egle stessa aveva sfoggiato una capigliatura assai colorata in vita. Il suo biondo però non era ammissibile e solo Monique tra tutte le persone che aveva conosciuto, lo aveva considerato eccentrico ma carino. Uscì con attenzione dalla stanza, percorrendo guardinga un tratto del corridoio. Origliò alla porta del dottore, accertandosi con scrupolo fosse solo. Il silenzio assoluto che proveniva dalla stanza le diede il coraggio di spingere la porta, facendo così ingresso nei locali privati del suo amante. Tremando per l'emozione lo distinse seduto a tavola nella penombra, accorgendosi che anche lui fosse felice di rivederla.

«Elsa che ci fai qui?», chiese alzandosi ed andandole incontro.

«Sono venuta a dirti addio!», rispose lei avviluppandosi nella palandrana.

«Hai deciso di andartene , allora», mormorò l'uomo tristemente. «Credo tu abbia scelto la soluzione più sensata», aggiunse poi con malinconia.

«Vorrei venissi con noi!», disse la ragazza guardandolo con speranza. «Se rimanessi qui, non saresti certamente al sicuro», esclamò tentando di dissuaderlo dal suo proposito.

Massimo la fissò teneramente.

«Credi davvero ci sia un posto dove si possa essere al sicuro?», chiese quasi rassegnato.

Elsa abbassò il volto confusa.

«Il futuro è incerto per tutti e le possibilità di sopravvivenza scarse. Considerando accada il peggio però, sono felice di poter scegliere dove morire», continuò lui accarezzandole il volto.

Elsa afferrò la sua mano.

«Sento che non ci rivedremo mai più», esclamò disperata.

«Come puoi dirlo?», rispose lui sconvolto. «Forse quando tutto questo sarà finito, ci ritroveremo», continuò fintamente ottimista. 

Il dottore avvertì dentro sé una forte scossa. Percepiva il loro incontro come un bizzarro ed incredibile scherzo del destino, chiedendosi se questa stupenda anomalia fosse destinata a ripetersi ancora, forse in un'altra vita.

Elsa lo osservò stranita, sentendo con commozione che quelli fossero gli ultimi attimi che avrebbero passato insieme.

«Abbi cura di te», esclamò sommessamente voltandosi per andare.

««Fermati!», sussurrò lui prendendole una mano.

La giovane non riuscì a contenere le lacrime. Non sapeva quale fosse il sentimento che l'aveva legata indissolubilmente a Massimo Pirozzi, nonostante se lo fosse chiesta numerose volte. Come poteva etichettare come cosa da niente, tutto quel turbinio di emozioni, amplessi e parole dette e taciute? Tutta quella vita trascorsa con lui l'aveva sicuramente arricchita e cambiata, come non avrebbe potuto fare nessun'altro in quel luogo. Il loro seppur non fosse stato vero amore, conservava la dignità di un sentimento tanto sentito quanto diverso. Un insperato incontro, una relazione impossibile, un desiderio destinato a rimanere inappagato. Un'emozione senza nome. In definitiva il dottore era stato l'unico complice ed il solo vero amico avesse avuto in quella strana dimensione. L'uomo la fissò con i suoi affascinanti occhi castani. C'era solo affetto in essi, quasi intuissero che la loro parentesi di passione fosse oramai definitivamente conclusa ed irrimediabilmente passata.

«Vorrei baciarti per l'ultima volta, Elsa», esclamò Massimo.

La donna lo fissò spaesata.

 «Non credere però, che questo gesto rappresenti un nuovo inizio per noi. Sarà solo il vessillo di una fine necessaria», spiegò Pirozzi.

Quasi incoraggiato dal suo silenzio si chinò lentamente su di lei, sfiorandole le labbra con le sue. Fu solo un attimo, veloce come il battito d'ali di una farfalla, una sollecita parentesi in cui due anime estranee ma amiche si dicevano irrimediabilmente addio. Improvvisamente distolsero le loro bocche da quella lieve carezza, volgendosi all'unisono disturbati da un fioco rumore.

Davanti a loro, Aurelie Corsi li fissava furente. Il dottore l'osservò, con i capelli raccolti in una complicata acconciatura, la tunica leggera ed i seni messi in risalto dalla scollatura che non lasciava quasi nulla all'immaginazione.

«Aurelie cosa vuoi?», chiese imbarazzato.

La Corsi fissò Elsa con disprezzo, poi tornò a concentrarsi su Massimo.

Il volto era teso ed alterato dalla rabbia, mentre le sue labbra tremavano convulse per la collera.

«Siete scandalosi!», riuscì a pronunciare. 

I due amanti la fissarono sconvolti.

«Massimo vergognati! Dovresti rispettare il tuo lutto piuttosto che fornicare con questa donnaccia», continuò iraconda.

Pirozzi le lanciò uno sguardo di disapprovazione.

«Aurelie non osare intrometterti nella mia vita», urlò stanco delle accuse di quella donna. «Ti rispetto solo perché sei stata un'amica di mia madre, ma niente più di questo», esclamò furente.

«Fornichi con una maledetta meretrice che ha attirato su di noi la sciagura»,  strillò alterata l'altra.

Fuori di sé per quell'affermazione, il dottore afferrò il drappo che ricopriva la tavola e lo lanciò addosso all'accusatrice.

«Tieni, copriti. Per tua sfortuna stanotte non sono ubriaco», esclamò serio. «Ti sei forse presentata in vesti discinte nel tentativo di sedurmi?», chiese divertito.

La Corsi lo considerò furibonda, scrutandolo con aria di sfida.

«Lascia stare Aurelie, non ti conviene», sbottò malignamente il padrone di casa.

Un'atmosfera gelida calò  nella stanza. Elsa provò quasi pena per quella giovane, tanto detestabile quanto miserevole. Tutte le meschinità e le cattiverie di quella donna, sembrava le si fossero improvvisamente rivoltate contro. Aurelie li fissò con odio, poi si volse ed uscì dalla stanza.

Percorse velocemente il corridoio e rientrò nei suoi locali. Sapeva già che la sua vendetta sarebbe stata inesorabile e terribile. 











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