Capitolo 41
Nei giorni seguenti non piovve e la popolazione di Korkian continuò ad approfittare della pausa del monsone, per riorganizzare la città in previsione di nuovi rovesci. La gente si riuniva in gruppi per ripulire con metodo e disciplina le abitazioni rimaste integre, svuotandole dal fango e dai detriti e rimettendole in sesto. Il lavoro procedeva lento ma costante ed i cittadini provvisti di guanti di spesso tessuto e mascherine, si davano da fare per spostare le macerie anche all'esterno degli edifici e delle vie. L'acqua che aveva ristagnato lungo le strade, si era mescolata all'onda melmosa provocata dalla tracimazione della diga. Il pantano indurendosi a contatto con l'elevata temperatura del pianeta, aveva alzato il livello stradale di Korkian di almeno due metri. Per questa ragione i piani bassi degli edifici, quasi interamente seppelliti, risultavano colmati da una coltre di fango e detriti che seccandosi era diventata uno spesso composto solido e resistente.
La gendarmeria cittadina, accompagnata da esperti ingegneri, si recava di casa in casa per verificare se gli edifici colpiti dalla sciagura fossero ancora agibili. Quegli uomini apparentemente sereni ma provati, perlustrarono anche l'abitazione dei Pirozzi con cura e competenza.
«Questo edificio ha subito un duro colpo», spiegò un ingegnere al padrone di casa.
«La parte alta della struttura mi sembra comunque in ottime condizioni», osservò Massimo speranzoso.
«Questo è vero ma la costruzione potrebbe non reggere in caso di altre forti precipitazioni», rispose l'uomo, uno spilungone dagli occhi chiari.
Il dottore inghiottì amaro. Non era pronto ad abbandonare la sua casa. Lì c'erano tutti i suoi ricordi d'infanzia, le sue origini e quello che rimaneva del suo passato. Il tecnico quasi intuendo il suo sconcerto, gli assestò una leggera pacca sulla spalla.
«Stiamo organizzando un ricovero per sfollati a sud ovest di Korkian», disse comprensivo, «vi consiglio di recarvi lì prima che il monsone torni a soffiare>>.
Massimo lo fissò sbigottito.
«Non voglio!», esclamò a bassa voce.
«Il mio è un consiglio non un ordine», rispose lo spilungone. «La prego comunque di informare i suoi coabitanti del problema. Non credo sia giusto lei decida anche per loro», dichiarò l'ingegnere.
Massimo sperduto ed insicuro cercò con gli occhi Aurelie, notandola discorrere fitto fitto con un uomo della gendarmeria. Il tutore dell'ordine l'ascoltava con palese preoccupazione, sgranando gli occhi apparentemente sorpreso dalle sue argomentazioni.
L'ingegnere alto e dagli occhi chiari che gli aveva illustrato la situazione lo richiamò, distogliendolo dalle sue considerazioni.
«Dottor Pirozzi, devo proseguire con le altre perizie», esclamò stringendogli la mano. «Che la Dea sia sempre con lei e l'assista», gli augurò accomiatandosi.
«Che la Dea assista pure lei», rispose Massimo salutandolo inquieto.
Anche la Corsi si era separata dal gendarme ed ora procedeva in sua direzione con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
«Buone nuove?», chiese solerte.
«Ci consigliano di riparare a sud ovest della città!», rispose Massimo.
«Hanno quindi dichiarato la struttura inagibile?», osservò la donna pur conoscendo la risposta.
«In definitiva sì, comunque io resterò qui», dichiarò Pirozzi convinto.
La Corsi lo fissò sbigottita. «Dici sul serio?», esclamò stringendo gli occhi neri come la pece.
«Questo piano è integro e resisterà al monsone», asserì il dottore cercando di convincersene.
«Allora rimarrò con te», rispose lei dopo un attimo di riflessione.
«Ora devo riunire la servitù», annunciò l'uomo senza considerare il proposito di Aurelie. «Tutti devono conoscere la situazione e decidere autonomamente sul da farsi», aggiunse uscendo dal salone.
Quasi sicuramente avrebbe radunato il personale nelle sue stanze, comunicando il responso degli ingegneri. Quindi avrebbe chiesto loro se preferivano andarsene o rimanere, accettando qualsiasi decisione avrebbero preso con condiscendenza. Erano tutti così i Pirozzi, pensò la Corsi, esageratamente buoni e troppo tolleranti per i suoi gusti. Rimasta sola ripensò al suo dialogo con il gendarme. Gli aveva parlato lungamente di quella ambigua straniera che ospitavano in casa, soffermandosi sulla sua convinzione che tale presenza avesse uno stretto rapporto con i disastrosi eventi che avevano sconquassato Korkian e tutta la terra emersa. L'agente le aveva promesso di riferire tutto al suo superiore, il quale avrebbe deciso se informare di tali sospetti il governatore della regione.
Elsa ignara di tutto, continuava la sua vita confinata nelle stanze di Monique. Trascorreva le giornate tenendo compagnia a Sarah oppure aiutando la serva nella preparazione dei pasti per tutti gli abitanti della casa. Vedere Massimo così schivo e freddo, l'aveva scombussolata ma nello stesso tempo sollevata. Si vergognava per essersi comportata tanto leggermente ed irresponsabilmente, augurandosi che il dottore non volesse più continuare quella superficiale e poco edificante relazione. Forse ne era divenuta l'amante per la sua somiglianza con Max, anche se in fondo al suo cuore comprendeva che quella non fosse l'unica ragione. La solitudine e la consapevolezza dell'incubo che stava vivendo avevano avuto la loro parte in quel gioco contorto, anche se riconosceva a Massimo il merito di averla fatta sentire al sicuro e quasi amata. Non sapeva se ne fosse mai stata davvero innamorata, in quel momento però non le interessava approfondire la questione. Oramai era evidente fosse in stato interessante e malgrado la situazione drammatica che stava vivendo, quel figlio che le cresceva dentro le dava la forza di non impazzire. Purtroppo erano settimane che non avvertiva più la strana vertigine che accompagnava il suo salto tra dimensioni e questo strano fatto, l'aveva trascinata nella più profonda inquietudine e cupa depressione. Probabilmente sarebbe rimasta per sempre lì, cercando faticosamente di sopravvivere in quell'inospitale pianeta, senza la possibilità di rivedere coloro che aveva amato. Questa condizione la faceva soffrire, non riuscendo ad accettare la crudeltà del suo destino. Monique le aveva consigliato di non raccontare a nessuno del suo stato. Non si fidava di Aurelie e tantomeno del padrone, sconvolto dal lutto e troppo vincolato alla Corsi.
Le due donne stavano preparando il pranzo, aromatizzando con numerose spezie la zuppa che bolliva in una pignatta di rame. Monique aveva appena infornato un saporito pane nero con cui accompagnare la minestra, lasciando ad Elsa il compito di rimestare la brodaglia densa nel tegame.
«Cerca di indossare abiti ampi», le consigliò la donna osservandola, « il tuo ventre sta aumentando giorno dopo giorno».
«Non è strano che sia già così voluminoso?», sbottò la giovane impensierita.
«Scherzi?», esclamò Monique aggiustandosi il grembiule in vita, «fra poche lune questo bimbo sarà pronto per nascere».
«Non così poche!», rispose sorpresa l'altra. Era certa ne sarebbero state necessarie almeno sette per terminare la gravidanza. Le due lune infatti, procedendo all'unisono, impiegavano esattamente ventotto giorni per completare il loro giro di rivoluzione attorno a Terram.
«Per la Dea, quanto tempo credi serva ad un bambino per nascere?», rise divertita la serva. «Fra più o meno tre lune, questo figlio verrà al mondo», concluse poi sicura.
Elsa la fissò stranita. Calcolò mentalmente il presunto tempo di gravidanza su quel pianeta, scoprendo che durasse cinque lune, ovvero cinque mesi scarsi di gestazione. Trasalì pensando che se i suoi calcoli fossero stati esatti, si sarebbe trovata ormai a metà gravidanza. Percepiva intensamente i movimenti del feto e quel fermento le faceva comprendere chiaramente, quanto quel piccolo essere fosse traboccante di voglia di vivere ed energia. Sebbene Monique le avesse consigliato di non raccontare al dottore del bambino, si chiese come avrebbe potuto continuare a nascondergli una cosa così evidente.
«Dovrei parlare a Massimo della mia situazione», esclamò la giovane.
«Non farlo, almeno per ora», rispose Monique aggiungendo del peperoncino alla zuppa.
«Anche se non mi fido della Corsi, so che lui non mi tradirà», disse Elsa speranzosa.
«Quella donna è infida» , rispose Monique. «Vorrebbe denunciarti alla gendarmeria di Korkian. Ti crede responsabile di tutte le sciagure che ci hanno colpito», spiegò preoccupata.
Elsa la osservò disperata e spaventata, ricordando le odiose accuse che quella donna ed Egle, le avevano rivolto il giorno della tracimazione della diga.
«Tieni un profilo basso», continuò la serva, «forse non vedendoti e non sentendo parlare di te, quella strega smetterà di minacciarti».
«E poi, che farò?», chiese la giovane donna.
«Poi quando tutto sarà tranquillo, potrai raccontare a Massimo del bambino», chiarì Monique.
Un colpo alla porta le fece sobbalzare.
La serva andò ad aprire, mentre Elsa corse in camera. Veloce s'infilò una larga palandrana, sistemandola sopra il semplice vestitino di garza che portava abitualmente. Doveva camuffare alla meglio le sue rotondità, per proteggere se stessa ed il suo bambino dalla malvagità di Aurelie.
Aveva appena finito di vestirsi, quando Monique la raggiunse.
«Presto andiamo! Il padrone ci ha convocato nelle sue stanze. Vuole vederci tutti», disse la donna.
Elsa sussultò scossa da un'improvvisa gioia mista ad un forte dolore. Avrebbe finalmente rivisto Massimo dopo tutti quei giorni e in cuor suo pregava non si accorgesse del suo stato.
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