Capitolo 38
Il canale di sfiato della diga, aveva ceduto a causa delle piogge torrenziali di quelle terribili settimane. A causa di tale danno, un'enorme flusso d'acqua si era riversato sul territorio e sui villaggi a nord di Korkian. Le poche anime che risiedevano in questi isolati insediamenti e che avevano rifiutato di abbandonare le loro case per raggiungere luoghi più sicuri, erano state travolte dalla furia della corrente. Pochi i superstiti, i quali continuavano a resistere strenuamente nei loro villaggi, barricati alla meglio negli ultimi piani delle loro case semidistrutte.
Anche a Korkian la situazione non era delle migliori. L'enorme ondata creata dalla tracimazione della diga che si era riversata sull'invaso, distruggendo a seguito di tale impatto il canale di scolo, aveva raggiunto la città ad una velocità impressionante. Korkian era stata letteralmente bersagliata dalla massa d'acqua mista a detriti che aveva già spazzato le periferie. Acqua, fango, massi e brandelli di corpi umani ed animali maciullati dalla furia della corrente, erano giunti attraverso quell'onda infernale, abbattendosi sul centro della metropoli. Anche la signorile abitazione della professoressa Pirozzi, edificata grazie alle più avanzate tecniche di costruzione, non aveva retto all'urto. L'improvvisa e densa ondata aveva creato una breccia sulle mura semisferiche ad est della casa, investendo tutto ciò che si trovava lungo il suo percorso. Egle intenta a litigare nel salone con il figlio, era stata travolta dal crollo della parete esterna, che il terribile impatto aveva quasi frantumato. Una massa melmosa aveva poi invaso il locale, imprigionando Massimo ed Aurelie nella sua morsa. I due avevano resistito al terribile impatto, solo grazie ai detriti della parete crollata addosso alla padrona di casa. I massi generati dal cedimento della facciata, avevano creato una barriera protettiva che aveva impedito loro di essere ricoperti dall'ondata di fango.
Il dottore immerso fino al collo nella fanghiglia, urlava a gran voce il nome di sua madre. La donna che era stata travolta dal crollo della parete e verosimilmente sotterrata da quella melma immonda, non gridava e non dava nessun altro segno di sé. Disperato l'uomo, tentò di muoversi in quel pantano. Aurelie paralizzata dal terrore, appariva in grave difficoltà. La sua statura, sebbene sopra la media per una donna, le impediva di avere il capo completamente fuori dal fango. Il livello della massa argillosa abbattutasi sulla casa le arrivava alla bocca, costringendola ad alzare la testa per prendere respiro. Considerando le loro condizioni, Massimo comprese che la situazione fosse critica se non disperata. In quella contingenza era evidente che anche la più piccola svista, avrebbe potuto segnare per loro il netto confine tra la vita e la morte. Infatti il pesante materiale viscoso che li circondava e ricopriva, non avrebbe permesso loro di rialzarsi nel caso di una accidentale caduta. Seppur disperato per sua madre tentò, scosso dall'adrenalina e dallo spirito di autoconservazione, di trovare in sé la forza per uscire vivo da quella situazione. Notò alle sue spalle la porta della stanza lasciata provvidenzialmente aperta, ringraziando mentalmente Elsa per questo. Nel corridoio la concentrazione della melma, sembrava aver raggiunto livelli di altezza accettabili. Stimò con relativa precisione, che in quella zona il fango lo avrebbe lambito solo fino a metà corpo. Doveva cercare di raggiungere il corridoio, doveva riuscirci soprattutto per Aurelie che quasi in affanno faticava visibilmente a respirare.
<<Aiuto>>, urlò Pirozzi sperando che qualcuno in casa potesse udirlo.
Non ricevendo risposta e non sentendo altro rumore che le urla dei vicini e il tramestio mortale di quella massa viscida, si concentrò su Aurelie.
<<Afferra la mia mano!>>, urlò il dottore stendendo il braccio. La Corsi lo fissò con la coda dell'occhio, sforzandosi di mantenere la testa alzata per respirare.
<<Cosa vuoi fare?>>, chiese dandogli improvvisamente del "tu".
<<Voglio che ti avvicini a me>>, spiegò lui teso. <<Dovrai muoverti lentamente, facendo attenzione a dove metti i piedi. La priorità è quella di non scivolare o perdere l'equilibrio>>.
Aurelie capì perfettamente il motivo di questa necessità e afferrò incerta la mano del dottore. Si fissarono per un istante con costernazione, manifestando completamente lo stato d'animo che li dominava. Il loro istinto di sopravvivenza, sebbene giunto al limite della disperazione, li costringeva a tentare strenuamente di sfuggire alla morte.
<<Ora vieni lentamente verso di me, ma sii cauta>>, la esortò Massimo.
La donna fece qualche passo in sua direzione, fermandosi improvvisamente.
<<Ho urtato qualcosa dalla consistenza molle...!>>, urlò inorridita.
Massimo rabbrividì terrorizzato poi quasi preso da un'impeto animalesco, senza lasciare la mano della ragazza, si avvicinò a lei. Urtò con le estremità quello che aveva la consistenza di un corpo umano. Non poteva scorgerne la precisa posizione ma realizzò che l'oggetto completamente inerte, fosse riverso supino sul pavimento. Solcò lentamente con il piede il lato sinistro della corporatura, lambendone con il fiato sospeso il contorno. Con raccapricciante orrore si accorse che la testa fosse schiacciata dai massi prodotti dall'impatto sulla parete est, sentendo una fitta di dolore incontenibile lacerargli l'anima.
Quel corpo senza vita era ciò che restava di sua madre. Urlò con una foga che aveva sentito solo in alcuni dei suoi pazienti, quando venivano condotti nelle celle di isolamento dell'ospedale psichiatrico. Il suo essere era oppresso da un dolore talmente pesante da diventare simile a quello patito per la perdita della sua bambina.
<<Massimo non fare così, ti prego torna in te!>>, esclamò Aurelie comprendendo il motivo della disperazione del suo compagno di sventura.
Nonostante tentasse di rincuorare il dottore, quel macabro ritrovamento l'aveva scossa nel più profondo dell'anima. Si sentì morire dentro considerando che il suo percorso fosse stato ostacolato dal cadavere della professoressa Pirozzi, sua mentore e amica. Tale perdita la dilaniava e nel contempo faceva vacillare in lei, ogni ragionevole speranza di mettersi in salvo. Sapeva comunque di dover tentare quanto possibile per riuscire in quell'arduo compito e nello stesso tempo, convincere Massimo a fare altrettanto.
<<Ormai è tardi per Egle, ma noi possiamo ancora tentare di uscire da quest'incubo>>, urlò piangendo la ragazza.
L'incolumità di Aurelie era seriamente compromessa. La giovane era costretta a tenere la testa in una posizione faticosa e quando le forze cedevano si trovava obbligata ad abbassare il capo, inghiottendo suo malgrado qualche sorso di sostanza melmosa.
Il tanfo di quella poltiglia fangosa le impediva di prendere adeguatamente respiro, mentre la sua consistenza le lambiva il naso e la bocca, costringendola spesso a tossire, sputare ed espirare per liberarsi da tale intralcio.
Travolto dalla responsabilità di salvare la vita che aveva davanti a sé e che supplicava con veemenza il suo aiuto, Massimo Pirozzi si scosse dalla sua disperazione. Sospirò dandosi la carica, stringendo poi con ancora più energia la mano grondante di fanghiglia della compagna.
<<Vieni verso me, forza>>, esclamò tra le lacrime.
<<Non ce la faccio a raggiungerti. Il corpo di Egle mi impedisce il transito>>, rispose dolorosamente la scienziata.
Il volto di Pirozzi sembrava una maschera tragica, ma nonostante il dolore pressante doveva ordinarle di fare quello che era giusto.
<<Cammina sopra di lei>>, mormorò stravolto.
Aurelie tacque in preda ad una crisi di coscienza. Fu allora che Massimo la incitò nuovamente.
<<Fallo e basta!>>, replicò addolorato. <<Fai molta attenzione però a dove metti i piedi, il corpo è scivoloso e potrebbe tradirti>>, aggiunse cercando di persuaderla.
Aurelie convinta dalla autorevolezza di lui e dal suo personale individualismo, che tanto l'aveva aiutata plasmandola negli anni della sua formazione, obbedì solerte ai suoi ordini. Avanzò lentamente, calpestando il corpo di colei che era stata d'ispirazione a molti scienziati oltre che un modello da imitare. La presa di Massimo era forte ma le mani sporche di fango la rendevano scivolosa. Le era quasi accanto quando la stretta venne meno e la sua mano si svincolò da quella di lui.
Stava precipitando in quella melma che ricordava per certi versi le sabbie mobili delle paludi di Baddalle, quando le braccia del suo protettore le impedirono la caduta. Aurelie affondò fino al naso nella massa vischiosa inghiottendo ancora del fango.
<<Tutto bene?>>, chiese lui aiutandola a ricomporsi.
La donna sputo e si passò una mano sul naso per liberarlo dalla sporcizia.
<<Tutto bene>>, esclamò affannosamente.
<<Perfetto!>>, rispose il dottore, <<Ora seguimi>>.
Massimo procedette verso il corridoio senza mai lasciarle la mano.
Faticava ad avanzare in quella massa densa che sebbene diventasse via via sempre più concentrata, diminuiva di livello ad ogni loro passo.
D'un tratto si fermò allertato.
<<A terra ci sono dei ciottoli. Probabilmente si tratta delle stoviglie del pranzo>>, esclamò tentando di mantenere la calma.
Si volse in direzione della donna, accorgendosi che la sua compagna di sventura riuscisse a tenere la testa in una posizione più naturale. Il livello della fanghiglia si era finalmente abbassato. Dovevano far del loro meglio per uscire dalla stanza, immettendosi successivamente sul corridoio del piano.
<<Sembra necessario tentare una piccola deviazione>>, disse improvvisamente alla sua vicina.
<<Quindi dobbiamo aggirare l'ostacolo?>>, rispose la Corsi flemmatica. << Da questa parte sembra che il passaggio sia libero>>, continuò tastando con i piedi il pavimento alla sua destra.
<<Bene>>, rispose lui sollevato, <<fammi strada allora>>.
La giovane procedette lentamente, ancora spaventata per l'altezza e la concentrazione del pantano. Una possibile caduta sarebbe stata ancora un grosso pericolo, visto che la consistenza ed il peso del materiale in cui erano immersi, non avrebbero sicuramente permesso loro di rialzarsi. Purtroppo era sempre più difficile avanzare di qualche passo in quella massa vischiosa, dato che l'aumentata densità del fango permetteva loro di muovere ancora più faticosamente le gambe.
Impiegarono quasi un'ora per raggiungere l'inizio del corridoio. Il livello della melma si era repentinamente abbassato, arrivando a solcare i fianchi dei sopravvissuti. L'odore nauseabondo che quel fiume denso emanava però, rimescolava loro lo stomaco procurandogli frequenti conati di vomito.
All'esterno la gente aveva ricominciato a chiamarsi, informandosi l'un l'altro sulle condizioni dei vicini. Urla disumane laceravano l'aria. Erano quelle di chi aveva perso i propri cari o i richiami disperati delle persone in pericolo bloccate nelle loro case.
Improvvisamente i due udirono dei rumori provenire dall'ultimo livello dell'edificio, quello adibito ad alloggio della servitù. Probabilmente anche di sopra, c'era qualche superstite che come loro tentava di mettersi in salvo.
<<C'è nessuno?>>, urlò Aurelie sgomenta.
<<Aiutateci!>>, gridò Massimo stremato, <<siamo bloccati qui sotto>>.
Improvvisamente uno spettacolo orribile gli si parò innanzi. Contemporaneamente misero a fuoco qualcosa che avevano avuto per tutto quel tempo davanti agli occhi ma la stanchezza, la spossatezza e la paura non gli aveva permesso di vedere. Il corpo di un valletto che poco prima aveva servito loro l'antipasto, era stato dilaniato dalla furia della corrente. L'uomo giaceva con metà corpo immerso nella fanghiglia, irrorata orribilmente dal suo sangue. Il cranio si presentava quasi completamente sfondato mentre la bocca era ancora contratta in una raccapricciante smorfia di dolore mista a spavento.
<<Aiuto! Qualcuno ci aiuti!>>, urlò la Corsi in maniera ossessa.
Sembrava improvvisamente impazzita alla vista di quel povero giovane, quasi quell'atroce presenza avesse fatto traboccare il vaso della sua risolutezza.
L'intensità delle urla disumane di Aurelie dapprima spaventose ed isteriche diminuirono, lasciando la ragazza completamente priva di forze. Disperata si strinse a Massimo che disorientato, cercò di organizzare mentalmente le prossime mosse. Dovevano assolutamente cercare un posto dove poter sostare e magari sedersi un poco. Erano in piedi da ore e la fatica e il freddo cominciavano a farsi sentire.
<<C'è qualcuno laggiù?>>, urlò improvvisamente una voce maschile proveniente dal piano superiore.
<<Siamo qui, a metà corridoio del secondo piano>>, specificò Pirozzi rispondendo al richiamo.
L'uomo, un inserviente tutto fare, si sporse sulla tromba delle scale che conduceva all'ultimo piano. Non li riusciva a scorgere, ma era felice che qualcun altro fosse sopravvissuto a quell'incubo.
<<Avvicinatevi alle scale che conducono alle stanze del personale>>, chiosò il servitore.
<<Tutto bene lì sopra?>>, chiese il dottore preoccupato.
<<Sembrerebbe di sì. Le mura hanno retto l'urto>>, rispose l'altro soddisfatto.
<<Fantastico!>>, esclamò Aurelie rinvigorita da quella notizia.
<<Coraggio non perdiamo altro tempo!>>, seguitò a confortarli il servo. <<Procedete verso la scala con attenzione. Io intanto chiamo i rinforzi e scendiamo ad aiutarvi>>, aggiunse con ottimismo.
A Massimo sembrò di sognare. Non riusciva a credere che la massa fangosa abbattutasi sulla città avesse potuto risparmiare la parte alta dell'edificio, proteggendo e salvando chi si trovava nel piano. Si accorsero che il fango misto ad acqua e detriti sfaldando la facciata ad est della casa, avesse riempito solamente i piani sottostanti, rasentando solamente i primi gradini della scala che portava al livello superiore.
<<Come ti chiami?>>, chiese il dottore sentendo l'esigenza di conoscere il nome del suo salvatore.
<<Io sono Jacob e voi?>>, rispose l'uomo.
<<Io sono Aurelie>>, ribatté la Corsi.
<<Sono Massimo Pirozzi, il padrone di casa>>, rispose l'altro.
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