Capitolo 35
L'alba arrivò annunciando un'altra giornata di piogge torrenziali e fortissime raffiche di vento. Massimo si era svegliato ed era ritornato furtivo nella sua camera, rintanandosi nel suo covo come un ladro sorpreso in flagrante. L'aveva abbandonata, lasciandola sola in quella stanza che era stata teatro della loro passione, con tanti rimorsi e domande.
Perché si trovava in quella realtà? Cosa le era successo? Indossò la solita tunica velando le sue nudità. Aveva bisogno di altre vesti, forse più tardi avrebbe chiesto a Monique di portarle qualche altro indumento. Si alzò dal letto e raggiunse un vecchio specchio affisso ad una parete. Constatò che l'immagine riflessa fosse la sua, forse molto più stanca e triste di come la ricordava. Ne aveva passate troppe ed aveva capito molte cose di se stessa e della realtà da cui proveniva, scoprendo chi tenesse a lei veramente. Ora però era una comune alienata, divenuta l'amante del suo stesso psichiatra. Si sentì una donna di poco valore. Massimo l'aveva resa schiava delle sue pulsioni come mai le era successo prima d'allora. Arrossì pensando a quanto bramasse il contatto del suo corpo, il tocco delle sue mani forti sui seni, la sua bocca fremente sul collo. Desiderava caparbiamente quell'uomo, con un'avidità che non aveva mai sperimentato nella sua vita. In cuor suo però, sebbene tutto ciò le apparisse disonesto, sapeva d'amare Max Pirozzi. Max l'aveva salvata, aiutata, compresa ed attesa. Probabilmente era l'amore più grande e puro avesse mai provato in quella realtà come nella presente ma che non riusciva a placare in lei, il desiderio fisico che nutriva per Massimo. Si sentiva sporca, sbagliata ed immorale, anche se comprendeva d'aver solo sperimentato qualcosa che gli era sempre stato negato. Neppure all'inizio della loro storia Andrea Landi suo marito nell'altra realtà, era riuscito a farle provare certe sensazioni. Forse le viveva con Massimo, perché quasi del tutto identico all'uomo che amava e che si sentiva d'aver tradito spudoratamente. Meditò sulla ragione del suo comportamento, convincendosi che se il dottore non fosse stato la copia quasi identica di Max non sarebbe mai iniziata tra loro, quella lasciva alchimia. Poteva però essere sicura di tutto questo? A tale domanda non riusciva a dare una risposta neppure a se stessa.
Si allontanò dallo specchio, sentendo bussare alla porta.
«Avanti», disse tirando la coperta sul letto.
«Permesso», esclamò Monique entrando sorridente nella stanza. Portava con sé, una tunica bianca ripiegata in quattro e un paio di sandali di pezza rosa.
«La signora Egle desidera si unisca alla famiglia per il pranzo», riferì allegra.
Elsa tacque, non accogliendo troppo festosamente tale invito. Pensò comunque fosse preferibile pranzare con la madre del suo amante, piuttosto che mangiare da sola nella semioscurità.
«Gradisce fare un bagno?», chiese dolcemente Monique.
«E' davvero possibile?», domandò scuotendosi la giovane.
«Certamente!», rispose divertita la serva. «Le faccio portare immediatamente la tinozza in camera», aggiunse.
Elsa fissò Monique raggiante, immaginando quanto un bagno ristoratore avrebbe fatto per il suo morale ed il malessere che si sentiva addosso.
Il brutto tempo scatenato dall'impietosa e precoce stagione monsonica oltre a provocare allagamenti e devastazione in tutto il mondo emerso, aveva permesso agli abitanti di Terram di rifornirsi d'acqua. Sebbene tutto ciò apparisse quasi un paradosso, dalla distruzione nasceva una nuova possibilità di sopravvivenza nel procedere costante delle stagioni. Ogni abitazione infatti, era provvista di un'unità centrale di stoccaggio idrico, usata come serbatoio e fornita di un efficiente sistema di filtraggio che garantiva la limpidezza dell'acqua piovana raccolta.
Di lì a poco arrivarono alcuni valletti recanti una grossa ed ampia tinozza in pietra pomice, resa stabile da un fondo di argilla cotta. Dopo aver posizionato con attenzione la leggera struttura sul pavimento, i giovani la riempirono con numerosi secchi d'acqua bollente. Quindi si ritirarono, augurando ad Elsa che scendesse su di lei la benedizione e la benevolenza della Dea.
Monique si avvicinò alla vasca e disperse al suo interno degli oli essenziali profumati, quindi accese alcune candele attorno al lavatoio. L'atmosfera apparve più rilassante ed intima, aumentando la luminosità dell'ampia stanza. La timida candela sul comodino e la pallida luce che filtrava dalla finestrella circolare, non erano che un timido accenno di quel festoso chiarore.
«Forza si spogli», esclamò Monique, «l'aiuto a lavarsi».
Elsa la fissò stupefatta e intimorita, osservando la donna poggiare su una seggiola un ampio telo di cotone. Non si sentiva bene, forse tutti i fatti di quell'ultimo periodo l'avevano stressata e logorata.
«Qualcosa non va?», chiese la cameriera fissandola stranita.
Elsa non parlò. Le doleva l'addome e aveva bisogno di dare di stomaco. Questa sensazione di nausea però, passò quasi subito. Ubbidiente si sfilò l'abito che venne raccolto da Monique per essere lavato. Quindi con lentezza entrò nella vasca. Si sedette sul fondo, godendo del tepore e della carezza dell'acqua profumata. Chiuse gli occhi assaporando quel delizioso ristoro, mentre la serva le versava sui capelli del sapone liquido e le strofinava con i polpastrelli il cuoio capelluto.
La porta si aprì improvvisamente, rivelando il padrone di casa che trasalì accorgendosi della presenza dell'intrusa. La serva abbandonò immediatamente la sua attività, chinando il capo in direzione del padrone.
Massimo si avvicinò alla tinozza, scorgendo i seni floridi di Elsa accarezzati dal rimestio dell'acqua e dalla consistenza della schiuma detergente.
Monique si mosse cercando di afferrare il telo, nel tentativo di coprire la bagnante.
«Lascia stare», esclamò Massimo afferrandole delicatamente il braccio.
La donna sussultò a quella reazione.
«Ritirati pure», esclamò il dottore. «Devo parlare da solo con la signora», disse sicuro.
Monique fissò il volto di Elsa che sembrava pregarla di non andarsene. Nonostante ciò fu obbligata a eseguire gli ordini di Massimo, ritirandosi ordinatamente senza alzare nessuna obbiezione. In fondo era solo una serva e non poteva permettersi di criticare i comportamenti dei padroni.
Quando se ne fu andata, il dottore si portò alle spalle della sua amante iniziando a lavarle i capelli come aveva visto fare dalla serva.
«Sei felice di pranzare con me e mia madre?», chiese suadente.
«Ci sarà anche Aurelie, vero?», esclamò Elsa rilassata dal massaggio.
Pirozzi non rispose ma percorse con le mani i suo collo, saponandolo. Scivolò poi sul seno, carezzandolo con passione.
«Non ora!», esclamò la donna bloccandolo.
Non voleva più appartenergli ma allo stesso tempo non riusciva rifiutare il calore ed il piacere che le sue mani le procuravano.
«Potrebbe essere l'ultima volta» replicò lui, cercando di abbattere le sue difese.
La giovane annuì, sopraffatta da quell'orribile presagio. Autorizzato dal suo tacito consenso, Massimo si denudò ed entrò smanioso nella tinozza.
I loro corpi si allacciarono vibranti. Elsa a cavalcioni su di lui, accolse fremente il suo sesso turgido in sé. Quindi si mosse ritmicamente, accompagnata dal rimestio dell'acqua e dai gemiti del suo amante. Ondate di intenso piacere attraversarono le loro membra, conducendoli all'unisono all'apice dell'estasi.
Lei era completamente sua, così come lui le apparteneva totalmente. Eppure l'anima di Elsa desiderava tornare a casa, per ricongiungersi all'uomo che nonostante tutto non aveva mai dimenticato.
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