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Capitolo 34

I giorni che seguirono furono duri e difficili per Korkian e per tutto il pianeta Terram. Le piogge torrenziali di quelle settimane, avevano causato alluvioni impressionanti. In seguito la situazione si era inasprita con la formazione di violenti cicloni, che avevano sommerso le città costiere. La situazione in tutto il continente emerso era critica e precaria. La popolazione si ritirava dalle città della costa settentrionale, cercando tra mille peripezie e pericoli di raggiungere la parte centrale della terraferma. Candace era stata completamente evacuata e i suoi abitanti avevano trovato momentaneo rifugio nella vicina Snorke, attendendo con speranza che i monsoni attenuassero la loro violenza e le acque si ritirassero. A Korkian la situazione sebbene grave, non necessitava ancora di un'evacuazione di massa della popolazione. Gli abitanti del centro resistevano strenuamente barricati nelle loro abitazioni, attendendo con pazienza e coraggio che l'emergenza passasse. Le famiglie avevano protetto l'interno delle loro dimore con paratie e sacchi di sabbia, isolando i vani che si trovavano sul piano stradale,  abbandonando poi i locali del pianoterra e stabilendosi nei livelli più alti delle case. Tutti evitavano di uscire, limitandosi ad osservare la situazione dalle finestre e tenendosi in contatto  con gli abitanti delle case vicine a voce, tramite richiami.

Quando la pioggia calava lievemente d'intensità, la gente si affacciava al balcone e richiamava l'attenzione dei dirimpettai.  «Tutto bene?», si sentiva chiedere con speranza. Il tempo per qualche istante pareva fermarsi ma quando qualcuno rispondeva positivamente a quella semplice e banale domanda, gli interlocutori si rasserenavano, sentendo nel loro cuore che presto l'emergenza sarebbe passata. In casa Pirozzi la vita procedeva con rinnovato fermento. I servi e le loro famiglie avevano ricevuto ospitalità dai padroni di casa, ottenendo alcune stanze dell'ultimo piano come rifugio. Si era allestita una cucina ai piani superiori, in una grande stanza dotata di un grosso camino in pietra, utile  per la cottura dei cibi e il riscaldamento dei locali. Le provviste ed i beni di prima necessità, erano stati raccolti e stipati con ordine nelle madie e nei magazzini del sottotetto. Come accadeva durante ogni stagione monsonica si disponeva di derrate alimentari sufficienti a resistere barricati in casa per mesi, quando l'infuriare degli elementi non permetteva di uscire tranquillamente allo scoperto per procacciarsi il cibo.  

I giorni comunque, trascorrevano lenti ed avvolti da una cupa malinconia e un senso di precarietà estrema. Quando il maltempo calava d'intensità, Elsa si metteva alla finestra, osservando l'acqua piovana scorrere lungo le strade come un fiume in piena. L'impetuosità di quel corso d'acqua creato dalla tempesta, trascinava con sé tutto ciò che si trovava lungo il suo percorso, senza nessuna tregua o rimorso. Era terrorizzata dallo scroscio di quella massa  fluida che procedeva inarrestabile e ancor più paurosamente, percepiva il rumore che questa produceva scontrandosi con le pareti esterne degli edifici.

Per propiziare la fine di quell'incubo, gli abitanti della casa intonavano varie volte al giorno inni alla Dea. A lei affidavano le loro anime, chiedendole umilmente di aiutare l'umanità provata dalla sciagura e ridotta allo stremo delle forze. Tutti si aspettavano che il monsone prendesse di lì a poco caratteristiche normali, concedendo a tutte le specie che popolavano quella porzione di suolo calpestabile circondato dal mare, una stagione dura ma gestibile.

«Tutto bene?», chiese Massimo entrando silenziosamente in camera di Elsa.

Lei lo fissò, trasalendo. Era bellissimo con la casacca azzurra  aperta sul petto e i pantaloni neri che ne segnavano la figura. Quasi sollecitato dal suo sguardo di approvazione, le si avvicinò fremente e la baciò sulla bocca.

«Non sei ancora stanca di guardare di fuori?», disse richiudendo la finestrella rotonda e parandosi davanti a lei.

La stanza in assenza di quello  spiraglio di luce naturale che filtrava da quella piccola apertura, fu rischiarata solamente dal chiarore fioco delle candele. Elsa fissò gli occhi ardenti di lui, retrocedendo di qualche passo. Massimo quasi stuzzicato dalla sua ritrosia l'afferrò con foga, stringendola contro il suo corpo. L'odore acre del sapone al muschio sul suo torace nerboruto, ottenebrò di voluttà i sensi di lei

«Non possiamo», mormorò sopraffatta dal desiderio.

«Perché?», chiese lui baciandole il collo.

Elsa si staccò a fatica dalla sua presa.

«Che succederebbe se tua madre o Aurelie, ci scoprissero?», chiese severa.

Massimo si bloccò.

«Sai che non piaccio a tua madre», esclamò la donna, «ed Aurelie addirittura mi detesta».

Perplesso ricordò il discorso fatto pochi giorni prima con Egle. Sua madre, dopo il risveglio di Elsa l'aveva pregato di accompagnare la ragazza in un altro luogo. Aveva deciso non fosse prudente ospitare quell'estranea nella sua dimora, pregandolo di trovarle un'altra sistemazione.  Eppure fino a poche ore prima, era parsa convinta che Elsa non fosse pazza e che probabilmente i suoi strani discorsi celassero una spiegazione molto più complessa. Il repentino e pernicioso inizio della stagione monsonica però, aveva impedito lo spostamento della giovane donna.

Sebbene la riflessione dell'amante non si discostasse troppo dall'opinione di sua madre, Massimo non desistette dal suo intento iniziale e spinse la donna sul letto. Lei non si oppose ma lo accolse eccitata tra le sue braccia. I loro corpi nudi si unirono smaniosi e sudati nell'amplesso, congiungendosi ripetutamente e raggiungendo frementi il culmine dell'eccitazione. Si addormentarono abbracciati, vinti sia dalla spossatezza provocata dall'estasi che dalla tensione per quei giorni di emergenza.

Durante il sonno, Elsa sognò di camminare lungo un vialetto, costeggiato da case dai tetti spioventi e dai giardini curati. Un gatto grigio le si parò improvvisamente davanti, impedendole di cambiare direzione. Incuriosita si avvicinò all'animale, accarezzandolo sulla testolina e richiamandolo dolcemente. Il felino rispose alle sue coccole, facendo le fusa e strusciandosi sulle sue gambe. 

Ebbe la stravagante sensazione che quel cucciolo le appartenesse e l'attendesse sul ciglio di quella tranquilla strada, per riaccompagnarla a casa. Il felino fissandola sornione si mosse lentamente, avanzando sinuoso per poi bloccarsi di quando in quando lungo il marciapiede. Elsa pensò l'invitasse a seguirlo e proprio per questo motivo, procedette accanto a lui per un breve tragitto. Dopo pochi metri il gatto sostò davanti ad una dimora bianca dal tetto scuro, quindi si volse e fissò la casa al di là della stradina. Nel giardinetto del villino si ergeva un albero di fico carico di frutti maturi, che staccandosi dalla pianta precipitavano sul praticello poco curato. Elsa si concentrò su quella scena, sentendo un tuffo al cuore.

Quella era la sua casa, la casa dove viveva ed aveva vissuto con suo marito...

Ancora frastornata da quella consapevolezza, percepì qualcuno gridare il suo nome. Si volse di scatto, osservando la casetta bianca col tetto scuro di fronte alla sua. Affacciato ad una finestra, Massimo la chiamava a gran voce. Lo fissò con attenzione, accorgendosi fosse diverso. I suoi capelli erano stranamente più folti e spettinati mentre il volto si presentava ornato da una barbetta ispida e disordinata, che lo faceva apparire trasandato. Anche gli occhi le parvero stanchi e cerchiati, quasi le  preoccupazioni gli avessero impedito di dormire per giorni. D'un tratto si alzò un vento freddo. L'uomo affacciato al balcone si sbracciò  in sua direzione,  urlando  qualcosa che lei non riusciva a comprendere. Incuriosita cercò di avvicinarsi ulteriormente alla casa, ma in quell'istante il gatto iniziò ad attraversare la stradina nel tentativo di raggiungere la villetta con l'albero di fico.

L'uomo alla finestra si agitava sconvolto, come se volesse avvertirla di un imminente pericolo. Elsa fissò lo sconosciuto e poi il gatto in mezzo alla strada, accorgendosi che  una vettura nera stesse sopraggiungendo a velocità sostenuta. Allarmata si portò sulla carreggiata, percependo  solamente una forte botta seguita da un rumore sordo. Improvvisamente un lampo accecante squarciò il cielo, vomitando materia fluorescente dalla ferita aperta e ricoprendo il suo volto ed il suo corpo con quella sostanza. 

«Non andartene Elsa!», l'implorò il dirimpettaio disperato. « Amore mio ti prego, torna da me!», seguitò ad urlare.

Sbigottita fissò l'uomo e quindi il gatto che dall'altra parte della strada, soffiava in sua direzione incollerito.

«Carletto»!, sillabò ricordando il suo nome. Per tutta risposta il felino ringhiò adirato, balzando ferocemente su di lei e graffiandole gli occhi ed il volto.

Urlò di spavento e di dolore, svegliandosi da quell'orrendo incubo completamente sudata e  calmandosi solo alla vista di Massimo che dormiva sfinito al suo fianco.

Ancora frastornata si alzò dal letto, accorgendosi di essere completamente nuda. All'esterno lo scroscio della pioggia ed il fischio del vento, non facevano presagire nulla di buono o di diverso per il giorno seguente.

Si portò le mani al volto e pianse, ricordando improvvisamente tutto il suo passato. Ripercorse la sua vita fino all'ultimo giorno, scoprendo che per qualche assurdo scherzo del destino fosse costretta a condurre due esistenze separate e totalmente antitetiche. Cercò di calmarsi per non impazzire. Doveva concentrarsi su qualsiasi proposito la facesse star bene e fosse positivo. Sapeva che Max l'avrebbe attesa per sempre, riconoscendo che il suo unico desiderio fosse quello di tornare da lui. Prima che il torpore li separasse nuovamente infatti, gli aveva chiesto di aiutarla a tornare a casa.

Fissò sconvolta Massimo dormire sul letto sfatto. Quelle lenzuola spiegazzate e sgualcite dalla smania del loro amplesso, le provocarono disgusto per se stessa e profondo rimorso nei confronti del suo amante. Come aveva potuto tradire Max?








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