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Capitolo 32


Massimo dilaniato dal dolore e dalla frustrazione, si volse per non vedere il volto di Elsa ormai immobile e cereo. Con amarezza si avvicinò all'uscio, accingendosi ad abbandonare la stanza con la disperazione nel cuore. Era arrivato quasi alla porta quando un sordo rantolo alle sue spalle, lo obbligò a fermarsi. Il rumore dapprima sommesso prese vigore, aumentando d'intensità e trasformandosi in un  chiaro colpo di tosse. Lo stupore divenne gioia quando al primo ne seguirono altri, sempre più forti e definiti. 

«Massimo, vieni qui subito», esclamò gridando Egle. «Elsa è viva!», disse fissando stordita la giovane.

«Sia lode alla Dea!», urlò emozionata Monique coprendosi il volto con le mani.

Il dottore si girò di scatto, osservando le due donne affannarsi intorno al giaciglio dell'inferma. 

Irrequieto si precipitò al capezzale della paziente, facendosi largo fra loro. Elsa appariva pallida alla debole luce della candela posta sul comodino, mentre con occhi stupiti scrutava i contorni di quell'ambiente sconosciuto.

«Dove mi trovo?», chiese con un fil di voce.

«Sei a Korkian, in casa di mia madre», rispose Massimo felice di vederla viva.

«A Korkian?», chiese Elsa cominciando a riprendersi dal malessere.

«Dove dovresti essere se non qui?», chiese lo psichiatra con curiosità.

«Pensavo di essere tornata da Max», esclamò la donna delusa.

La professoressa Pirozzi stupefatta, osservò per alcuni istanti la sua ospite. Elsa stava parlando di quello strano Max, di cui suo figlio le aveva riferito i trascorsi poco prima, come fosse effettivamente una persona reale. 

La giovane ignara di tutto lo scompiglio e l'angoscia causati, si sedette faticosamente sul letto, osservando incantata la serva versare dell'acqua in una ciotola. La donna posò la brocca e si avvicinò al suo giaciglio. 

«Beva un sorso d'acqua», le consigliò la domestica, «vedrà che poi si sentirà meglio».

Elsa allibita scrutò il volto della cameriera. Monique aveva dei lineamenti molto belli ed incredibilmente raffinati. La sua bellezza però, pareva sfiorita precocemente forse a causa del lavoro pesante e della vita faticosa a cui erano costrette le classi meno abbienti su Terram. Purtroppo mentre i ricchi potevano acquistare ogni tipo di risorsa senza faticare per procurarsela, le classi popolari dovevano lavorare sodo per ottenere anche il minimo sostentamento o la più piccola comodità. Elsa ad una attenta analisi, riconobbe in Monique un certo nonsoché di familiare, abituale e noto. Esaminò i suoi corposi capelli neri, gli occhi scuri e vivaci, il suo sorriso buono e la sua voce...Quella voce così dolce ed avvolgente, le procurava una bruciante nostalgia. Ma nostalgia di che cosa o meglio, di chi?

Recuperando la calma afferrò la ciotola che la donna le porgeva e bevve avidamente. Proprio in quel momento, quasi sollecitata da una strana urgenza, la professoressa Pirozzi si licenziò frettolosamente da loro, chiedendo al figlio di raggiungerla nella sua stanza. Voleva parlare da sola con lui e non ammetteva revoche a quella categorica richiesta. Elsa sorrise, scoprendola abbigliata con un lungo camicione tinta sacco ed una cuffia abbastanza ridicola calata sulla testa.  Appena i padroni di casa uscirono dalla camera, si sentì improvvisamente affrancata e sollevata. Non le piaceva Egle che considerava troppo snob ed altezzosa, reputandola inoltre poco affettuosa nei confronti del figlio. Fortunatamente se ne era andata, lasciandola in compagnia di Monique che sorridendole affettuosamente, prese posto sulla poltroncina accanto al letto.

«Come si sente?», s'informò la donna in tono materno.

«Meglio», rispose tristemente la giovane.

«Cosa succede mia cara?», esclamò la serva scoprendola prostrata.

Elsa trattenendo a stento le lacrime,  abbassò gli occhi.

«Non si trova bene qui a Korkian?», s'informò Monique.

«No. Non è questo... », rispose lei mentendo, «è solo che sento la nostalgia del luogo da cui provengo».

«Da dove viene?», chiese l'altra.

Elsa la fissò quasi disperata. Dentro sé sapeva di non aver nessuna connessione col luogo in cui si trovava, ma non ricordava esattamente da dove provenisse. Nella sua mente si affacciava sporadicamente qualche ricordo sbiadito che la stordiva e la disorientava. Tra le immagini che popolavano la sua mente ricordava con precisione: il musetto di un indisponente gatto grigio, la gioia di una passeggiata al chiaro di un'unica luna, il fremito di un bacio disperato, il volto di sua mamma...

Elsa fissò l'umile donna che aveva innanzi, sapendo nel suo profondo chi fosse. Non voleva ammetterlo, non poteva essere possibile ma sentiva che Monique fosse sua madre. D'altra parte non era consigliabile per lei, contare sulle sue convinzioni personali. In passato  aveva anche creduto d'essere stata la moglie di quell'irritante Andrea Landi, stabilendo  dapprima con dolore e poi con sollievo, che tutto ciò fosse solamente un parto della sua fantasia.

«Ha dei figli?», chiese d'un tratto alla serva.

Monique sobbalzò sulla poltrona. Non era abituata raccontare i fatti della sua vita agli ospiti dei padroni. Quella giovane donna però, era diversa dai soliti impettiti ed arroganti invitati.

«Ho una figlia», si lasciò sfuggire, «il suo nome è Sarah ed ha otto anni».

Elsa la fissò esitando. Quel nome le ricordava qualcuna che amava, ma non riusciva a metterne a fuoco il volto. Senza comprenderne il motivo si sentì ancor più sola, abbandonata e triste. 

All'esterno il monsone spirava caldo e violento, recando con sé nuvole spaventose. Monique si alzò dalla poltroncina accanto al letto e si affacciò alla finestrella rotonda della stanza, sigillando immediatamente le imposte . 

«Si sta preparando il finimondo di fuori!», esclamò quasi spaventata. 

«Un altro temporale?», s'informò la giovane. 

«Non proprio», rispose Monique, rimboccandole le coperte. «Credo che la stagione monsonica quest'anno, sarà più precoce e violenta del solito».

La giovane la fissò inquieta, turbata per aver assistito a qualche breve ma intensa perturbazione durante il viaggio verso Korkian. Massimo le aveva spiegato si trattasse solo di semplici temporali, che annunciando la stagione monsonica precedevano tempeste più  impetuose.  

«Credo che il monsone non ci permetterà di celebrare la festa in onore della Dea come da tradizione», spiegò la donna con ansia. «Purtroppo quando il popolo di una città, non riesce a riunirsi per omaggiare la Grande Madre come merita, questa mancanza gli si ritorce contro», asserì la serva.

«Davvero?», esclamò Elsa impressionata.

«Come sicuramente saprà, tutto ciò è presagio di eventi nefasti e terribili catastrofi», ribadì sgomenta l'altra.

Il rumore dei passi veloci dei servi che chiudevano le entrate e i balconi della magione, allertò Monique. Senza dare spiegazioni uscì dalla stanza , chiudendo la porta alle sue spalle e sparendo così alla vista di Elsa. Il vento caldo fischiava, lambendo le case e le vie della città. Si udivano dall'esterno gli schiamazzi della gente, che sorpresa dall'improvvisa tempesta si avviava verso casa. Anche lo stridio dei carri trainati dai cavalli e lo scroscio della furibonda precipitazione, esaltavano il trambusto causato da uomini ed animali che frenetici cercavano riparo. Le piogge monsoniche avrebbero rigenerato il suolo di Terram, dopo l'estenuante periodo di siccità estiva, garantendo acqua per gli uomini, gli animali e le colture. 

Attese qualche minuto stesa a letto, riparata dalla coperta di lino grezzo. I rumori striduli ed acuti provenienti dalla strada e quelli assordanti scaturiti dal cielo, la mettevano a disagio e contribuivano a farla tremare di paura. Nonostante questa sconvolgente sensazione, si assopì stremata dalla debolezza fisica. Sentiva il petto e le costole dolergli. Forse se fosse stata al corrente delle compressioni che Massimo aveva dovuto esercitare sul suo petto per tentare di richiamarla alla vita, si sarebbe resa conto del motivo di tanto disagio.

 Si risvegliò di soprassalto sentendo delle mani forti e calde accarezzarle il viso. Alla luce fioca della candela posta sul comodino, distinse Massimo che  steso accanto a lei la fissava estasiato. Le mani frementi di lui scesero poi lungo il seno, stimolandone i capezzoli con le dita. Fuori la tempesta infuriava ed il vento ululava incanalandosi tra le insenature delle mura degli edifici e riversandosi sulla spianata delle piazze. Non si udiva altro se non quel terribile frastuono, quasi la natura avesse deciso di imporre il suo primato sulle creature di quel pianeta prevalentemente  ricoperto dal mare. Elsa ansimava lambita dai baci e dalle carezze di Massimo, mentre lui spronato dalla sua eccitazione, seguitava a stuzzicarla con più vigore. La donna si sfilò la tunica comprata quella mattina e giacque nuda sotto di lui, scosso dagli spasimi del desiderio. Anche il dottore continuando a baciarla con voluttà, si liberò degli abiti in fibra vegetale, gettandoli disordinatamente sul pavimento. I loro corpi nudi, aderirono uno all'altro in un turbinio di vibrante passione. Elsa accarezzò le spalle di lui, scendendo con le dita lungo il suo corpo maschio ed arrivando al suo sesso turgido e caldo. Per un attimo si fissarono negli occhi chiedendosi tacitamente se fosse giusto fermare quella progressione di assoluto godimento, oppure lasciarsi finalmente trasportare dal desiderio. Massimo non indugiò oltre e penetrò in lei, possedendola con foga e disperazione. Ondate intermittenti di piacere si impadronirono dei loro corpi accalorati e frementi, accompagnandoli in un crescendo d'estasi.

Fuori le strade erano diventate fiumi in piena e mentre gli amanti si fondevano in un unico corpo, la notte lasciò il posto all'aurora.  









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