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Capitolo 27

Massimo anticipò la madre ed Aurelie, entrando sottobraccio a Elsa nella stanza da pranzo. La sala era enorme, arredata da mobili maestosi, realizzati con una particolare resina verde e profumata. Il tavolo rettangolare era forgiato con lo stesso materiale del mobilio e arricchito da sei poltroncine disposte ai lati, mentre a capotavola una sola seduta più elaborata, faceva presagire fosse il posto abituale della padrona di casa. Infatti Egle si accomodò proprio in quella postazione, con Aurelie alla sua destra ed il figlio alla sua sinistra. Elsa la fissò proprio come guardasse un'ancestrale dea pagana, la quale seduta tra i suoi prediletti, sembrava aver ricostituito una trinità divina. Ecco, forse era proprio quello il disegno della professoressa Pirozzi, vedere l'unico figlio accasato con una promettente scienziata sua collega.

«Elsa, siediti accanto a me», esclamò Massimo sentendosi colpevole per non averla fatta accomodare. La donna si considerò quasi un elemento di troppo in quell'intimo quadretto familiare, ma sorrise grata all'invito di Massimo.

«Stavamo parlando del viaggio a Swasward di Aurelie», esclamò Egle catturando su di sé l'attenzione di tutti.

«Oh è vero!», rispose Massimo afferrando da un vassoio una fetta di Jengis, un pallido pane fatto con farina d'orzo, acqua e lievito.

Aurelie non vedeva l'ora di riprendere il suo racconto, sentendosi quasi emozionata dall'attenzione di Massimo.

«Ho assistito a un fenomeno veramente particolare a Swarsward. Una notte stavo osservando la volta celeste con il professor Prushenko... Si ricorda Egle del professor Prushenko?»

«Come potrei scordarmi di Martin!», esclamò quasi arrossendo la padrona di casa.

Massimo si volse sorpreso verso la madre. L'entusiasmo con cui aveva ricordato l'esimio professor Martin Prushenko, lo lasciava interdetto. Che Egle gli nascondesse qualcosa? Pensò fosse più che plausibile, visto che da due anni non si vedevano e non si confidavano i loro propositi per il futuro e le loro vicissitudini di vita. La prima portata interruppe il discorso dei commensali. Fu servita quella che ad Elsa apparve come una densa minestra, dallo stravagante colore violaceo con striature gialle.

Si trattenne per un attimo afferrando poi un piccolo mestolino posto alla sua sinistra sul tavolo, che quasi certamente doveva servire da cucchiaio per raccogliere la zuppa. Portò quindi il mestolo alla bocca, bloccandosi un attimo prima di ingerire la pietanza. Tutti i commensali la fissarono storditi.

«Non ti piace, mia cara?», si informò un po' indispettita la professoressa Pirozzi.

«Molto strano», osservò Aurelie sarcasticamente, «sappiamo tutti che la Kudra è una specialità tipica della città di Snorke. Non provieni da lì?»

Elsa ingoiò con la pelle sollevata un sorso di minestra. Un sapore paradisiaco invase il suo palato, sollecitando soavemente le sue papille gustative. Si rendeva conto di mangiare una zuppa di pesce, senza comprendere però esattamente quali fossero gli ingredienti che la componevano.

«Vedo che apprezzi la minestra di pesce Goblin!», disse Massimo. «Dopo tutto la cucina di Snorke, la tua città, è la più prelibata di tutto il continente emerso»,  aggiunse fissandola teso.

«Davvero deliziosa questa Kudra, mi sembra d'essere a casa!», rispose lei sorridendo e prestandosi al gioco.

 Riprese a mangiare, simulando abbastanza realisticamente un certo gradimento e pensando a come doveva essere fatto un pesce con un nome così poco invitante.

I suoi osservatori si rilassarono vedendola gustare il prelibato cibo, soprattutto Massimo che per qualche istante aveva temuto di essere smascherato.

«Hai dovuto concentrarti prima di assaporare questa bontà?», chiese Egle ridendo di quello strano comportamento. 

«Che maleducata!», mormorò Aurelie coprendosi la bocca con il tovagliolo. Le consuetudini e il galateo a tavola, erano prerogative di primaria importanza nella società di Korkian. I cibi dovevano essere gustati senza osservare troppo ciò che veniva offerto e senza apparire schizzinosi. L'inosservanza a queste precise regole, oltre ad essere una forma di scortesia verso la famiglia ospitante, erano anche un gesto estremamente maleducato e plebeo.

Massimo conscio di tale situazione, cercò immediatamente di convogliare l'attenzione di tutte le commensali su altro.

«Insomma Aurelie, continua nel tuo racconto...», esclamò imbarazzato.

La ragazza sentendosi considerata da quell'uomo tanto piacevole, sorrise eccitata.

«Come stavo dicendo», esclamò infervorata, «io e il professore stavamo osservando col tubocchiale la volta celeste. Milioni di stelle brillavano sopra di noi, tanto che abbiamo dato un nome a qualcuna di loro...».

Tutti risero sonoramente. Tutti, fuorché Elsa.

«Questa di dare un nome ad una stella può solo essere un'idea di Martin!» esclamò divertita la professoressa Pirozzi.

«Vedo che lo conosci molto bene, mamma», esclamò Massimo con impertinenza.

Egle non rispose ed Aurelie continuò indisturbata il discorso.

«Ad un certo punto, nel buio della notte, abbiamo percepito nitidamente una scia luminosa che da prima è rimasta immobile e stabile, e poi ha cominciato a vibrare in maniera impressionante».

«Un'esperienza estremamente sconcertante!», commentò Massimo turbato.

«Assolutamente! Probabilmente se non avessimo avuto l'ausilio del tubocchiale, non ci saremo neppure resi conto di tale fenomeno», spiegò Aurelie.

Tutti i presenti ammutolirono preoccupati.

«La vibrazione sembrava produrre una spaccatura nello spazio, dalla quale fuoriusciva della materia iridescente che precipitava su Terram», continuò la Corsi tra lo stupore generale.

«Raccontagli cosa è successo poi!», l'incito Egle affascinata dalla scoperta.

«Come ho detto quella che appariva una tempesta luminosa, è discesa lentamente in direzione del pianeta. Al professor Prushenko per poco non è preso un colpo per lo stupore!»

«Il caro Martin!»,  esclamò sarcastico Massimo rivolgendosi a sua madre. Tutti risero. Anche Egle rise imbarazzata, pregando poi Aurelie di continuare il suo racconto.

«Questa materia luminosa scendendo verso di noi, diventava via via sempre più sottile ed impercettibile. Ad un certo punto, ne abbiamo perso le tracce ma siamo abbastanza sicuri si sia abbattuta sulla superficie di Terram».

«Speriamo sia precipitata in mare», esclamò Elsa tentando di prendere parte alla conversazione.

«Ne dubito! Vista la sua traiettoria è pressoché impossibile sia ammarata», rispose sgarbatamente Aurelie, stizzita ed infastidita dalla sua intromissione.

«Che spiegazione avete tentato di dare a tale fenomeno?», chiese Massimo sconcertato.

«Non sappiamo di cosa si tratti, effettivamente! Quell'evento era  qualcosa di veramente singolare, come se il cielo si fosse spaccato ed avesse lasciato fuoriuscire la parte più intima della sua anima...»

Tutti tacquero, inebriati e confusi dal racconto della giovane professoressa Corsi. Due camerieri entrarono in sala, servendo la seconda portata. Un piatto comprendente un voluminoso fiore panato accompagnato a delle enormi foglie verdi alla griglia, fu posto davanti ogni commensale.

«Forza amici!», esclamò cordiale la Pirozzi, «mangiamo e mettiamo da parte le discussioni scientifiche, che sicuramente annoieranno la nostra cara ospite».

Elsa accorgendosi che Egle si rivolgesse proprio a lei, le sorrise grata.

«Purtroppo è molto brutto essere obbligati ad interloquire anche con chi non è al nostro livello intellettuale e culturale», esclamò acida la Corsi. 

Massimo la squadrò risentito. Sicuramente Elsa non era un'astronoma o una scienziata, ma questo non permetteva a nessuno di mancarle di rispetto.

«Coraggio, intratteniamoci con uno di quei discorsi banali, alla portata della nostra cara Elsa», continuò quasi accanendosi la Corsi.

«Aurelie, penso che la tua maleducazione abbia superato ogni limite!», esclamò Massimo furibondo.

La giovane donna, lo trafisse con uno sguardo carico di dolore ed astio.

«Ti ordino di chiedere subito scusa ad Aurelie!», urlò Egle al figlio, «non ti permetto di insultare un mio ospite».

«Massimo, lascia stare!», esclamò Elsa, «purtroppo la causa di questa diatriba sono solo io», considerò cercando di mantenere la calma.

 Il medico la fissò con benevolenza.

«Sebbene non ne siate al corrente da dove provengo, usiamo da secoli il vostro ridicolo "tubocchiale", che chiamiamo molto più appropriatamente "cannocchiale"», spiegò stizzita l'atipica straniera. 

«Vuoi dire che nella rurale e arretrata cittadina di Snorke, dalla quale provieni, qualche mente eccelsa ha inventato un apparecchio simile al tubocchiale?», chiese ridendo divertita Aurelie.

«Ma è un mio brevetto!», sbottò inviperita la professoressa Pirozzi.

«In realtà io non vengo da Snorke!», urlò Elsa, quasi posseduta da una singolare e sconosciuta consapevolezza. «E l'uomo che inventò il cannocchiale si chiamava Galileo Galilei e viveva a Pisa, in Italia, nel pianeta Terra!», proseguì la straniera fuori di sé dalla rabbia.

«Ma cosa dici?», urlò la Pirozzi sgomenta.

Elsa, cercò con gli occhi il volto di Massimo, quasi supplicandone il sostegno.

«Non so che mi è preso», esclamò coprendosi il viso con le mani, «non so assolutamente da dove vengano questi ricordi... Forse sto rimembrando un sogno lontano», concluse disperata.

Subito una vertigine la colse, facendola  barcollare. Si ritrovò suo malgrado, seduta a terra, mentre dondolando avanti indietro con il busto, abbandonava quel luogo.



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